martedì 21 febbraio 2017

Maestà e splendore delle lettere paoline



4. CORRISPONDENZA 

TRA SENECA E PAOLO 

[1] Seneca a Paolo, salute!

Credo, Paolo, che ti sia stato riferito che ieri, con il nostro Lucilio, abbiamo conversato degli apocrifi e di altre cose C'erano con me alcuni compagni delle tue discipline. C'eravamo, infatti, rifugiati negli orti Sallustiani e, prendendo occasione dal luogo, pur diretti altrove, si sono aggregati a noi quelli dei quali ho parlato. Certamente abbiamo desiderato la tua presenza! Desidero farti sapere che abbiamo letto e ci siamo nutriti del tuo scritto, una delle tante lettere da te indirizzate ad una città o capitale di provincia, che con dolcezza esorta a disprezzare la vita mortale. Non credo che quelle espressioni siano state dette da te, ma per mezzo di te; in fondo, da te e per mezzo tuo. Tanta è, invero, la maestà di quelle (lettere) e splendono di così ampia chiarezza che non penso sia sufficiente (per comprenderle) l'età degli uomini ai quali incombe (il dovere) di istruirsi e perfezionarsi in esse. Ti auguro di star bene, fratello.

[2] Paolo ad Anneo Seneca, salute!

Con piacere, ho ricevuto ieri le tue lettere. Avrei risposto subito, se avessi avuto a disposizione il giovane da mandarti. Tu sai, infatti, quando, da chi, in che tempo ed a chi si debba dare e affidare. Ti prego di non credere che tu sia trascurato, mentre invece mi interesso della qualità della persona. Sono felice che le mie lettere, scritte a diversi, vi siano state gradite e che sia favorevole il giudizio di un uomo così grande. Né tu infatti, critico, filosofo e maestro di un principe così grande, ed anche di tutti, diresti questo se proprio non lo credessi. Ti auguro di vivere a lungo e bene.

[3] Seneca a Paolo, salute!

Ho messo in ordine alcuni scritti ed ho sistemato le loro parti secondo il piano dovuto. Ho anche deciso di leggerli a Cesare; se felicemente, al più presto, la sorte vorrà che egli benevolmente presti un orecchio interessato forse sarai presente anche tu, altrimenti ti fisserò un giorno per esaminare quest'opera insieme. Potrei anche non comunicare a lui questi scritti senza prima averne parlato con te, se questo però si può fare impunemente. Questo, affinché tu sappia ch'io non ti trascuro. Stai bene, carissimo Paolo!

[4] Paolo ad Anneo Seneca, salute!

Ogni volta che ascolto le tue lettere ti considero presente e non faccio altro che pensarti sempre con noi. Non appena dunque inizierai a venire, ci vedremo da vicino. Ti auguro di stare proprio bene!

[5] Seneca a Paolo, salute!

Sono veramente desolato dell'eccessivo isolamento! Che c'è? Che cosa c'è che ti tiene in disparte? Se è l'indignazione della signora per il fatto che tu ti sei staccato dal rito e dalla setta antica voltandoti altrove, è il caso di fare in modo che sappia che ciò non è avvenuto con leggerezza, bensì a ragion veduta. Sta proprio bene!

[6] Paolo a Seneca e Lucillo, salute!

Di quanto mi hai scritto non è il caso di trattarne con penna e inchiostro, il primo dei quali segna a traccia i pensieri che il secondo rende evidenti; tanto più ch'io so che tra voi, presso di voi cioè e in voi, ci sono parecchi che mi capiscono. Si devono onorare tutti, quelli soprattutto che spiano l'occasione di indignarsi. Se verso di essi usiamo pazienza, li vinceremo sotto ogni aspetto e da qualsiasi parte, purché siano di quelli che si ravvedono. State proprio bene!

[7] Anneo Seneca a Paolo e Teofilo, salute!

Ti confesso di gradire assai la lettura delle tue lettere inviate ai Galati, ai Corinzi e agli Achei, affinché viviamo l'uno per l'altro. E con quale brivido divino tu le presenti! Lo Spirito santo, infatti, in te e aleggiando sopra di te esprime, con bocca sublime, concetti molto rispettabili. Vorrei quindi che alla loro maestà non mancasse il culto della parola, dato che tu annunci cose esimie. E per non celarti nulla, o fratello, e non volendo essere in debito verso la mia coscienza, ti confesso che Augusto si è commosso alle tue espressioni. Gli lessi quanto tu affermi nell'esordio a proposito della virtù, ed egli esclamò: "Si resta stupiti che abbia tali sentimenti chi non ha avuto una formazione regolare". Io risposi che Dio suole parlare per bocca dei semplici e di coloro che non possono adulterare la sua dottrina. Gli addussi l'esempio di Vatieno, uomo rustico, al quale - nell'agro reatino - apparvero due uomini che poi si svelarono come Castore e Polluce; ed egli ne fu abbastanza convinto. State bene!

[8] Paolo a Seneca, salute!

So che il nostro Cesare ama le cose degne di ammirazione, e quando manca permette che lo si avverta, ma non permette che lo si offenda. Ritengo invero che tu abbia agito in modo piuttosto pesante nel volergli fare conoscere quanto è contrario al suo culto e alle sue credenze. Siccome egli venera gli dèi dei gentili, non comprendo come mai ti sia passato per la mente di volergli far conoscere questo: penso che tu l'abbia fatto per troppo amore verso di me. In futuro, te ne prego, non farlo più. Volendomi bene, ti devi guardare dal compiere qualcosa di offensivo verso la signora: questa offesa, è vero, non ci nuocerà se lei sarà perseverante, ed in caso contrario non ci sarà utile. In quanto regina non si indignerà, ma in quanto donna ne sarà offesa. Sta proprio bene!

[9] Seneca a Paolo, salute!

So bene che quanto ti agita nella lettera con la quale ti ho annunziato di avere comunicato le tue lettere a Cesare, non è un motivo personale, bensì la conoscenza della natura (umana) che distoglie gli spiriti degli uomini da ogni dottrina e morale sana: io non me ne sono stupito, e non da oggi soltanto! Ho, infatti, molte prove che mi confermano pienamente questa conoscenza. Agiamo dunque in modo diverso. Se in passato si è fatto qualcosa con faciloneria, tu mi scuserai. Ti ho mandato un volume sulla ricchezza delle espressioni. Stai bene, Paolo carissimo!

[10] Paolo a Seneca, salute!

Ogni volta che ti scrivo e che appongo il mio nome accanto al tuo, compio un'azione grave e incongruente verso la mia setta. Come spesso ho detto, debbo essere tutto a tutti e rispettare nella tua persona quell'onore che la legge romana riconosce ai senatori, e scegliere l'ultimo posto al termine della lettera, ma non voglio agire a mio arbitrio, meschinamente, contro le convenienze e in modo disdicevole. Stai bene, devotissimo maestro. Il 27, sotto il terzo consolato di Nerone e Messala.

[11] Seneca a Paolo, salute!

Salve, Paolo mio carissimo. Pensi che non mi rattristi e ch'io non ritenga cosa deplorevole il fatto che la vostra innocenza sia oggetto di supplizio? Ed ancora, che il popolo tutto vi giudichi rei di dure e perverse condanne attribuendovi tutte le sfortune della città? Sopportiamo con animo forte e accontentiamoci delle circostanze che la sorte ci ha serbato, fino a tanto che l'inalterabile felicità metta fine ai nostri mali. Anche le età passate hanno subìto Alessandro Magno, il Macedone, figlio di Filippo, Dario e Dionisio, e la nostra età ha Caio Cesare, ai quali fu lecito ogni arbitrio. E' a tutti noto che Roma ha frequenti incendi e non c'è dubbio sulla loro origine. Ma se ad uomini oscuri fosse concesso di dire qual è la causa, se nelle tenebre fosse permesso di parlare impunemente, allora tutti vedrebbero ogni cosa. Purtroppo, ahimè! cristiani ed Ebrei sono continuamente inviati al supplizio come incendiari. Ma il bandito, chiunque egli sia, che si copre di menzogna e la cui voluttà è nel sangue, avrà indubbiamente il suo giorno. E come ogni persona che è migliore delle altre ha dato la sua testa per molti, così costui sarà votato da tutti a quel fuoco che lo consumerà. In sei giorni bruciarono centotrentadue case e quattro isolati; nel settimo giorno si fermò. Ti auguro, fratello di stare proprio bene! Il 28 marzo, sotto il consolato di Frugi e Basso.

[12] Seneca a Paolo, salute!

Salve, Paolo mio carissimo. Se a me e al mio nome, essendo tu così grande e amato sotto ogni aspetto, capiterà che tu non unisca soltanto il tuo nome, ma sia necessariamente congiunto, allora, per il tuo Seneca sarà una cosa perfetta. Essendo tu la cima, il vertice di tutte le più alte montagne, come non potrei rallegrarmi se ti sarò così vicino da essere preso per un altro te stesso? Non ritenere dunque di essere indegno di figurare in testa alle nostre lettere: in tal modo, infatti, più che lodarmi sembrerebbe che tu mi metta alla prova. Giacché sai bene di essere cittadino romano. Invero, il mio rango è il tuo, e vorrei che il tuo fosse mio. Stai bene, mio carissimo Paolo! Il 23 marzo, sotto il consolato di Aproniano e Capitone.

[13] Seneca a Paolo, salute!

Molte tue opere contengono enigmi ed allegorie. Bisognerebbe dunque che tanta forza di pensiero e il genio che ti è proprio avessero non dico una certa qual bellezza di parole, ma almeno una certa eleganza. Non temere il fatto che molti, come spesso ti ho sentito dire, presi da questa arte abbiano snaturato il pensiero e snervata la forza delle idee. Vorrei che tu mi accordassi di tenere conto del carattere della lingua latina, affinché il sublime genio che ti è stato concesso fosse, da te, trattato come merita. Stai proprio bene. La vigilia delle none di luglio sotto il consolato di Lurcone e Sabino.

[14] Paolo a Seneca, salute!

Le tue ricerche ti hanno rivelato delle verità che la divinità fa conoscere a pochi. Con fiducia, dunque, io semino in un campo, già fertile, una semente molto feconda; non certo qualcosa di corruttibile, ma il Verbo immutabile, emanazione di un Dio che cresce e resta in eterno. Constaterai che quanto tu hai imparato con la riflessione confuta le obiezioni degli Ebrei e dei pagani, e vedrai che è verità che non verrà meno. Tu diverrai un autore nuovo annunziando Gesù Cristo, mostrando una sapienza che i retori non potranno superare. Questa sapienza che gusterai, tu l'insinuerai nell'ambito del re temporale, dei familiari ed amici; ma ti sarà duro e difficile convincerli e la maggior parte di loro non si arrenderà alle tue esortazioni. Ma la parola di Dio, instillata in essi come un adattissimo principio vitale, genererà un uomo nuovo, incorruttibile, un'anima eterna che da quaggiù è protesa verso Dio. Stai bene, nostro carissimo Seneca. Il 1ø agosto, sotto il consolato di Lurcone e di Sabino.

Terminano così le quattordici lettere che san Paolo apostolo e Seneca reciprocamente si scrissero.

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