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lunedì 29 luglio 2024

LA CHIESA NON E' LUOGO DI CONTAGIO

 CHIESA

D'Ercole, un'altra vittima della misericordia

Monsignor Giovanni D'Ercole ha annunciato ieri le dimissioni da vescovo di Ascoli Piceno e si ritirerà per un periodo imprecisato in un monastero in Africa. Decisione "difficile e sofferta", presa per amore della Chiesa dopo aver subito forti pressioni dalla Santa Sede. La sua colpa? Aver difeso la libertà della Chiesa durante il lockdown.

Monsignor Giovanni D'Ercole
https://vimeo.com/412273826?signup=true

«Una scelta difficile, sofferta ma profondamente libera ispirata al servizio della Chiesa»; e poi il ritiro in un monastero per accompagnare «il cammino della Chiesa in modo più intenso, con la preghiera». Le parole con cui monsignor Giovanni D’Ercole ha annunciato .. le sue dimissioni da vescovo di Ascoli Piceno rimandano immediatamente a quelle con cui Benedetto XVI quasi otto anni fa annunciò la rinuncia all’esercizio del pontificato. Non per niente, nella lettera ai fedeli della sua diocesi monsignor D’Ercole richiama un passaggio di quel discorso di Benedetto XVI, papa per cui monsignor D’Ercole non nasconde un grande affetto: «Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi».

Le dimissioni di D’Ercole hanno suscitato un notevole clamore, perché egli è un volto molto conosciuto al grande pubblico, avendo per 24 anni condotto programmi religiosi in Rai, fino al 5 gennaio 2019. Religioso orionino, dopo l’ordinazione sacerdotale (1974) era stato otto anni in missione in Costa d’Avorio (dove tornerà ora per il periodo da passare in monastero) e poi a fine anni ’80 vice-direttore della Sala Stampa vaticana. In Rai aveva iniziato la collaborazione nel programma “Prossimo tuo”, ma poi è stato l’ideatore e il conduttore dal 2002 del programma “Sulla via di Damasco”, che lo ha reso familiare a milioni di italiani che il sabato mattina lo seguivano su Rai2.

Ma non è solo per la sua notorietà che molti organi di stampa hanno parlato di dimissioni-choc; esse infatti cadono in un periodo di grande confusione e divisione nella Chiesa e appaiono senza un motivo evidente: non ci sono problemi di salute, non si vocifera di scandali. Inoltre mancherebbero appena due anni all’età (75 anni) in cui i vescovi vanno “in pensione”, salvo proroghe concesse dal Papa. Quindi "perché?", si chiedono in tanti.
La scelta sarà anche stata libera, ma ciò non vuol dire che questa libertà non sia stata esercitata di fronte a circostanze molto pesanti. Quali?

Chi ha potuto sentirlo prima dell’annuncio ufficiale racconta di un D’Ercole molto sofferente nell’anima, una decisione «difficile e sofferta», ha detto lui. Che cosa è accaduto, dunque? Da fonti attendibili, la Bussola Quotidiana ha appreso che in realtà sono state fatte molte pressioni su monsignor D’Ercole perché si dimettesse: la richiesta è partita da Santa Marta e riferita attraverso la Congregazione dei vescovi. E per evitare bracci di ferro che avrebbero creato ancora più tensioni nella Chiesa, monsignor D’Ercole ha “liberamente” scelto di obbedire e farsi da parte. Non per niente nella lettera di commiato dalla diocesi ha ripreso le parole di Benedetto XVI citate all’inizio: «Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi».  

Del resto proprio l’amore per la Chiesa deve averlo portato in rotta di collisione con Roma. Anche se non è dato sapere con certezza i motivi della richiesta di dimissioni, si può facilmente intuire che D’Ercole abbia pagato a caro prezzo la difesa pubblica della libertà della Chiesa davanti a un potere politico che aveva proibito le messe e a un potere ecclesiale che aveva ben volentieri acconsentito, o addirittura preceduto. Tutti ricordano infatti il video con cui lo scorso aprile monsignor D’Ercole si ribellò al prolungamento del divieto di messe, accusando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte di aver “fregato” i vescovi e di aver instaurato una dittatura.

«La Chiesa non è luogo di contagi», ripeté più volte con una fermezza che non deve essere piaciuta neanche ai vertici della CEI, così proni al governo nell’accettare la catalogazione delle chiese tra i luoghi a maggior rischio. «Bisogna che il diritto al culto ce lo diate, sennò ce lo prendiamo – proseguiva D’Ercole riferendo di una popolazione “stanca” e psicologicamente provata – e se ce lo prendiamo è solo un nostro diritto». E rivendicava inoltre la Chiesa come «uno spazio di libertà e uno spazio di speranza».

Parole forti, parole dure che gli sono da subito costate molti problemi: aveva attaccato il governo proprio mentre il Papa lo difendeva anche rimettendo in riga la presidenza CEI, che aveva mostrato qualche segno di insofferenza. La forza delle espressioni di monsignor D’Ercole e la sua libertà metteva anche in risalto la pusillanimità dei vertici dell’episcopato italiano, che avevano svenduto la libertà della Chiesa sancita anche dal Concordato pur di avere la benevolenza del governo.

Ed è una curiosa coincidenza che l’ufficialità delle dimissioni arrivi proprio mentre si fanno più forti le voci di un nuovo possibile stop alle messe, causa aumento dei contagi. Difficile respingere la sensazione che si usi sempre il vecchio metodo “colpirne uno per educarne cento”: con le dimissioni dell’unico vescovo che abbia alzato la voce a difesa della libertà della Chiesa, Conte e il suo comitato tecnico scientifico avranno ancor più la strada spianata per qualsiasi decisione vogliano prendere.

È un’altra brutta pagina per la Chiesa italiana, parzialmente riscattata dal gesto di un vescovo che per amore della Chiesa, di fronte a questa situazione drammatica, sceglie e indica la preghiera come l’azione più importante ed efficace che un cristiano, tanto più un pastore, possa fare. Perché non si dimentichi che il vero capo della Chiesa è Cristo, ed è a Lui che dobbiamo rivolgerci perché eviti che nel mare in tempesta la barca si rovesci.

Riccardo Cascioli

AMDG et D.V.MARIAE

lunedì 25 maggio 2020

NON PERDETEVI DI CORAGGIO

Maria Giglio della Trinità”: Domini Sacrarium, Nobile Triclinium ...
“APRITE i cuori alla speranza perché sono vera Madre di tutta la Chiesa.

Nel corso degli anni sono sempre stata accanto a questa mia figlia prediletta, con l’ansia e la tenerezza del mio amore materno.

Sono particolarmente accanto alla Chiesa in questi ultimi tempi, in cui essa deve vivere l’ora sanguinosa della sua purificazione e della grande tribolazione.

Anche per lei deve compiersi il disegno del Padre Celeste ed è così chiamata a salire il Calvario della sua immolazione.

Questa mia amatissima figlia sarà percossa e ferita, tradita e spogliata, abbandonata e condotta al patibolo, ove verrà crocifissa.

Nel suo interno entrerà l’uomo iniquo, che porterà al culmine l’abominio della desolazione, predetta dalle divine Scritture (2 Tess. 2, 3; Daniele, 12, 11)

Non perdetevi di coraggio, figli prediletti.

Sia forte la vostra fiducia.   … Aprite i cuori alla speranza. 

… Io sono l’aurora che precede il grande giorno del Signore. Sono la voce che diventa forte in questi tempi, per diffondere in ogni parte della terra il mio profetico annuncio: - preparatevi tutti a ricevere mio figlio Gesù, che sta ormai ritornando fra voi sulle nubi del cielo, nello splendore della sua gloria divina -”.

Cristo in acanto di Nicola Partipilo | Telemaco Edizioni

mercoledì 2 novembre 2016

IL POPOLO DI DIO NON CI STA. BRAVI GIOVANI!

 Si espande la sottomissione di una parte del clero al mondo, ma qualcuno non ci sta. Due casi di resistenza da imitare: a Savona e ad Anversa. Un Vice-sindaco e degli studenti non accettano il nuovo corso.

Rinfresco in parrocchia dopo il rito civile gay: il vicesindaco Maineri contro don Cozzi

Valeria Pretari per la: La Stampa
Mancano ormai pochi giorni al primo matrimonio gay di Ceriale e già in paese non si parla d’altro. Pomo della discordia è la sala parrocchiale dell’oratorio di Sant’Eugenio, concessa dal parroco alla coppia arcobaleno per il rinfresco dopo il rito civile in Comune, in programma lunedì.
Una notizia che ha diviso il paese a metà tra chi in fondo nella scelta del prete non ci vede nulla di male e chi invece la ritiene una stonatura che si poteva evitare.
A gridare per primo allo scandalo è stato il vicesindaco Eugenio Maineri: «Non mi stupisco che questo episodio accada in una diocesi già coinvolta in passato in numerosi scandali. Sono basito che questa unione venga festeggiata in un locale di proprietà della parrocchia con il suo benestare. A me risulta che la Chiesa si sia schierata contro le unioni di coppie dello stesso sesso e concedere la sala per brindare a questo evento è come appoggiare platealmente questo matrimonio».
Per nulla scomposto dalle polemiche e dalle voci, che in questi giorni si sono rincorse in paese è il parroco don Antonio Cozzi: «Questi due ragazzi sono cittadini come gli altri e non ritengo di aver sbagliato nell’aver concesso la sala parrocchiale. La Chiesa accoglie chiunque, io non giudico le scelte personali e le vite dei miei parrocchiani, il mio compito è tendere la mano a tutti, senza giudicare, bisogna essere misericordiosi».
Continua Maineri: «Non condivido questa scelta, anzi il prossimo anno per protesta durante la processione patronale di San Rocco non sarò di certo in prima fila vicino al parroco, ma chiuderò il corteo al fondo. Per me, parafrasando una celebre frase manzoniana: questo rinfresco non s’ha da fare». 

«No monsignore, quello che propone non è cattolico».
Studenti contro il vescovo di Anversa, che vuole benedire le unioni gay

«No monsignore, quello che propone non è cattolico». Così l’Unione degli studenti cattolici fiamminghi di Anversa ha risposto con un comunicato al proprio vescovo, monsignor Johan Bonny, che in una recente intervista a De Morgen ha affermato che la Chiesa cattolica dovrebbe riconoscere le unioni tra gay, lesbiche e bisessuali. «Penso che la Chiesa – ha dichiarato – dovrebbe essere più aperta nel riconoscere la qualità di fondo delle coppie omosessuali, lesbiche e bisessuali. I valori di fondo sono per me più importanti della forma istituzionale: l’etica cristiana difende la relazione stabile o quella dove esclusività, fedeltà e cura per l’altro abbiano un ruolo centrale».
RICONOSCERE UNIONI GAY. Già collaboratore del cardinale Walter Kasper al Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il vescovo di Anversa, che l’anno prossimo potrebbe sostituire l’arcivescovo di Malines-Bruxelles André-Joseph Léonard, ha aggiunto che «la Chiesa deve riconoscere la qualità fondamentale di una relazione diversa [da quella tra uomo e donna]. (…) Come nella società esistono diversi quadri legali per i partner, così dovrebbe essere in seno alla Chiesa, che dovrebbe avere diverse forme di riconoscimento per diversi tipi di relazione».
«OMOSESSUALI DA SEMPRE BENVENUTI». Gli studenti cattolici hanno contestato il vescovo perché le sue parole, secondo loro, «darebbero a intendere che attualmente gli omosessuali non hanno un posto nella Chiesa. Questo è palesemente sbagliato perché (…) la Chiesa è aperta a tutte le persone, a prescindere dall’orientamento sessuale. Anche gli omosessuali, e non ci sarebbe bisogno di dirlo, sono i benvenuti».
MATRIMONIO E SESSUALITÀ. Ma parlando di riconoscere le unioni omosessuali, continuano gli studenti, «monsignor Bonny varca la frontiera della decenza e della morale. (…) Il matrimonio, sacramento istituito da Gesù, è aperto all’uomo e alla donna, che si uniscono liberamente. La sessualità esperita all’interno del matrimonio ha come obiettivo la riproduzione umana e la crescita della famiglia e la Chiesa non la ammette al di fuori del matrimonio tanto per le coppie gay quanto per quelle eterosessuali». E se la Chiesa non accetta i matrimoni tra omosessuali «è perché la sessualità non può essere asservita al suo scopo».
OMOFOBIA. Questa presa di posizione degli studenti cattolici ha suscitato la reazione dei Giovani socialisti di Anversa, che hanno criticato la «visione angosciante dell’omosessualità all’interno della Chiesa» e denunciato l’associazione studentesca cattolica per «omofobia».

di Leone Grotti, per Il Timone
+anche qui se ne parla

sabato 7 febbraio 2015

Sin desánimo


Sin desánimo

A pesar de todos los inconvenientes no abandones la calma y la decisión de recibir la paz... El silencio seguirá siendo tu gran maestro aunque parezca que te arrojan en el mayor de los ruidos y de las inquietudes... Aún vale ¡y cuánto! sentarte calladamente y meditar acerca de lo que siempre resuena en tu corazón. Te aseguro que brotan del suelo y del aire todos los auxilios, imaginables y no imaginables. Dios no te abandona nunca, aunque tengas la impresión de haber quedado "fuera de combate." Coraje y confianza. Es posible que surja lo "inaudito", lo "imposible"... Sin embargo todo eso no tiene peso ni densidad, salvo que la otorgues por vacilación o por miedo. Confianza, pues, y paz. Aprendamos del silencio que todo lo enseña y todo lo guarda maravillosamente. No nos quedemos a la vera del camino, inmovilizados. 
Sigamos, sigamos, que la misión es real y escondida y esta peregrinación una adorable aventura, a pesar de riesgos e incomprensiones. No hay vida sin riesgo. La lucha revela sentidos insospechados. Adelante, en el Nombre del Señor y en la Morada del Corazón de Cristo, que es nuestro. 
Alberto E. Justo

mercoledì 1 ottobre 2014

Coraggio! Siate forti, miei piccoli bambini. --- 666 / 333


Milano, 17 giugno 1989. Sabato.


Il numero della Bestia: 666.




«Figli prediletti, comprendete ora il disegno della vostra Mamma Celeste, la Donna vestita di sole, che combatte, con la sua schiera, nella grande lotta contro tutte le forze del male, per ottenere la sua vittoria, nella perfetta glorificazione della Santissima Trinità.

Con Me combattete, piccoli figli, contro il Drago, che cerca di portare tutta l'umanità contro Dio.
Con Me combattete, piccoli figli, contro la bestia nera, la massoneria, che vuole condurre le anime alla perdizione.
Con Me combattete, piccoli figli, contro la bestia simile a un agnello, la massoneria infiltrata all'interno della vita ecclesiale per distruggere Cristo e la sua Chiesa.
Per raggiungere questo scopo essa vuole costruire un nuovo idolo, cioè un falso Cristo ed una falsa Chiesa.



- La massoneria ecclesiastica riceve ordini e potere dalle varie Logge massoniche ed opera per condurre segretamente tutti a fare parte di queste sette segrete.

Così sollecita gli ambiziosi con la prospettiva di facili carriere; ricolma di beni gli affamati di denaro; aiuta i suoi membri a primeggiare e ad occupare i posti più importanti, mentre emargina, in maniera subdola, ma decisa, tutti coloro che si rifiutano di partecipare al suo disegno.
Infatti la bestia simile a un agnello esercita tutto il potere della prima bestia, in sua presenza, e costringe la terra ed i suoi abitanti ad adorare la prima bestia.
Addirittura la massoneria ecclesiastica giunge fino a costruire una statua in onore della bestia e costringe tutti ad adorare questa statua.



- Ma, secondo il primo comandamento della santa legge del Signore, solo DIO si deve adorare e a Lui solo deve essere data ogni forma di culto.

Allora si sostituisce DIO con un IDOLO potente, forte, dominatore.
Un idolo così potente, da far mettere a morte tutti coloro che non adorano la statua della bestia.
Un idolo così forte e dominatore, da fare sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevano un marchio sulla mano destra o sulla fronte, e che nessuno può comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome.
Questo grande idolo, costruito per essere da tutti adorato e servito, come vi ho già rivelato nel precedente messaggio, è un falso Cristo e una falsa Chiesa.



Ma qual è il suo nome?




- Al capitolo 13 dell'Apocalisse è scritto: "Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: esso rappresenta un nome di un uomo. E tale cifra è 666 " .




Con l'intelligenza, illuminata dalla luce della divina Sapienza, si riesce a decifrare dal numero 666 il nome di un uomo e questo nome, indicato da tale numero, è quello dell'Anticristo.




Lucifero, il serpente antico, il diavolo o Satana, il dragone rosso diventa, in questi ultimi tempi, l'anticristo.

Già l'apostolo Giovanni affermava che chiunque nega che Gesù Cristo è Dio, costui è l'anticristo.
La statua o l'idolo, costruito in onore della bestia, per essere adorato da tutti gli uomini è l'Anticristo.



Calcolate ora il suo numero 666, per comprendere come indichi il nome di un uomo.




Il numero 333 indica la Divinità.

Lucifero si ribella a Dio per superbia, perché vuole mettersi al di sopra di Dio.



Il 333 è il numero che indica il mistero di Dio. Colui che vuole mettersi al di sopra di Dio porta il segno di 666, pertanto questo numero indica il nome di Lucifero, Satana, cioè di colui che si mette contro Cristo, dell'anticristo.

Il 333, indicato una volta, cioè per 1, esprime il mistero dell'unità di Dio.



Il 333, indicato due volte, cioè per 2, indica le due nature, quella divina e quella umana, unite nella Persona divina di Gesù Cristo.




Il 333, indicato tre volte, cioè per 3, indica il mistero delle Tre Persone divine, cioè esprime il mistero della Santissima Trinità.




Allora il numero 333, espresso una, due e tre volte, esprime i misteri principali della fede cattolica, che sono:

1°: l'unità e la Trinità di Dio;
2°: l'incarnazione, la passione, la morte e la resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.



Se il 333 è il numero che indica la Divinità, colui che vuole mettersi al di sopra dello stesso Dio viene indicato col numero 666.




Il 666, indicato una volta, cioè per 1, esprime l'anno 666.

In questo periodo storico, l'Anticristo si manifesta attraverso il fenomeno dell'Islam, che nega direttamente il mistero della divina Trinità e la divinità di nostro Signore Gesù Cristo.
L'islamismo, con la sua forza militare, si scatena ovunque, distruggendo tutte le antiche comunità cristiane, invade l'Europa e solo per un mio materno e straordinario intervento, sollecitato fortemente dal Santo Padre, non riesce a distruggere completamente la Cristianità.



Il 666, indicato due volte, cioè per 2, esprime l'anno 1332.

In questo periodo storico, l'Anticristo, si manifesta con un radicale attacco alla fede nella Parola di Dio.
Attraverso i filosofi, che iniziano a dare esclusivo valore alla scienza e poi alla ragione, si tende gradualmente a costituire unico criterio di verità la sola intelligenza umana. Nascono i grandi errori filosofici, che continuano nei secoli fino ai vostri giorni.



L'importanza esagerata data alla ragione, come criterio esclusivo di verità, porta necessariamente alla distruzione della fede nella Parola di Dio.

Infatti, con la riforma protestante, si rifiuta la Tradizione come fonte della divina Rivelazione, e si accetta solo la Sacra Scrittura. Ma anche questa deve essere interpretata per mezzo della ragione, e si rifiuta ostinatamente il Magistero autentico della Chiesa gerarchica, a cui Cristo ha affidato da custodire il deposito della fede. Ciascuno è libero di leggere e di comprendere la sacra Scrittura, secondo la sua personale interpretazione. In questa maniera la fede nella Parola di Dio viene distrutta.



Opera dell'Anticristo, in questo periodo storico, è la divisione della Chiesa, la conseguente formazione di nuove e numerose confessioni cristiane, che gradualmente vengono sospinte ad

una perdita sempre più estesa della vera fede nella Parola di Dio.




Il 666, indicato tre volte, cioè per 3, esprime l'anno 1998.




In questo periodo storico, la massoneria, aiutata da quella ecclesiastica, riuscirà nel suo grande intento: costruire un idolo da mettere al posto di Cristo e della sua Chiesa.

Un falso Cristo e una falsa Chiesa. Pertanto la statua costruita in onore della prima bestia, per essere adorata da tutti gli abitanti della terra e che segnerà del suo marchio tutti coloro che vorranno comprare o vendere è quella dell'Anticristo.
Siete così giunti al vertice della purificazione, della grande tribolazione e della apostasia.
L'apostasia sarà ormai generalizzata perché quasi tutti seguiranno il falso Cristo e la falsa Chiesa.



Allora sarà aperta la porta per la comparsa dell'uomo o della persona stessa dell'Anticristo!





Ecco, figli prediletti, perché vi ho voluto illuminare sulle pagine della Apocalisse, che si riferiscono ai tempi che vivete.

Per prepararvi con Me alla parte più dolorosa e decisiva della grande lotta che si sta combattendo fra la vostra Mamma Celeste e tutte le forze del male che si sono scatenate.



Coraggio! Siate forti, miei piccoli bambini. A voi tocca il compito, in questi difficili anni, di restare fedeli a Cristo ed alla sua Chiesa, sopportando ostilità, lotte e persecuzioni. Ma siete parte preziosa del piccolo gregge, che ha il compito di combattere e di vincere alla fine la

forza potente dell'Anticristo.
Tutti vi formo, vi difendo e vi benedico».

AMDG et DVM

domenica 10 agosto 2014

Domenica 10 Agosto 2014, XIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A: Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 14,22-33.


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta



Domenica 10 Agosto 2014, XIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 14,22-33.


Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla.
Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. 
La barca intanto distava gia qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. 
Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. 
I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «E' un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. 


Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». 
Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». 
Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 
Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 
E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 
Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!». 
Traduzione liturgica della Bibbia



Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 274 pagina 334.


1È tarda sera, quasi notte, perché ci si vede appena sul sentiero che si inerpica su un poggio su cui sono sparse delle piante che mi paiono di ulivo. Ma, data la luce, non posso assicurare. Insomma sono piante non troppo alte, fronzute e contorte come di solito sono gli ulivi.


Gesù è solo. Vestito di bianco e col suo manto azzurro cupo. Sale e si interna fra le piante. Cammina di un passo lungo e sicuro. Non sveltamente, ma per la lunghezza del passo fa molta strada anche andando senza fretta. Cammina sinché giunge ad una specie di balcone naturale, dal quale ci si affaccia sul lago tutto quieto sotto al lume delle stelle, che ormai gremiscono il cielo coi loro occhi di luce. Il silenzio avvolge Gesù col suo abbraccio riposante e lo stacca e smemora dalle folle e dalla terra congiungendolo al cielo, che pare scendere più basso per adorare il Verbo di Dio e carezzarlo con la luce dei suoi astri. 


Gesù prega nella sua posa abituale: in piedi e con le braccia aperte a croce. Ha dietro alle sue spalle un ulivo e pare già crocifisso su questo tronco scuro. Le fronde lo sovrastano di poco, alto come è, e sostituiscono con una parola consona al Cristo il cartello della Croce. Là: Re dei Giudei. Qui: Principe della pace. Il pacifico ulivo dice giusto a chi sa intendere. 


Prega a lungo. Poi si siede sulla balza che fa base all’ulivo, su un radicone che sporge, e prende la sua attitudine solita, con le mani intrecciate e i gomiti posati sui ginocchi. Medita. Chissà quale divina conversazione Egli intreccia col Padre e lo Spirito in quest’ora in cui è solo e può esser tutto di Dio. Dio con Dio! 


Mi pare che molte ore passino così, perché vedo che le stelle cambiano zona e molte già sono tramontate ad occidente. 
2Proprio mentre una larva di luce, anzi di luminosità, perché non si può ancora chiamare luce, si disegna all’estremo orizzonte dell’est, un brivido di vento scuote l’ulivo. Poi calma. Poi riprende più forte. A pause sincopate e sempre più violente. La luce dell’alba, appena appena iniziata, stenta a farsi strada per un accumulo di nubi scure che vengono ad occupare il cielo, spinte da raffiche di vento sempre più forte. Anche il lago non è più quieto. Ma, anzi, mi pare che stia mettendo insieme una burrasca come quella già vista nella visione della tempesta. Il rumore delle fronde e il brontolio delle acque empiono ora lo spazio, poco prima tanto quieto. 


Gesù si scuote della sua meditazione. Si alza. Guarda il lago. Cerca su esso alla luce delle superstiti stelle e della povera alba malata, e vede la barca di Pietro che arranca faticosamente verso la sponda opposta, ma che non ce la fa. Gesù si avvolge strettamente nel mantello sollevando il lembo, che cade e che gli darebbe noia nello scendere, sul capo come fosse un cappuccio, e scende di corsa, non per la strada già fatta ma per un sentierucolo rapido che va direttamente al lago. Va così velocemente che pare che voli. 


Giunto sulla riva schiaffeggiata dalle acque, che fanno sul greto un orlo di spuma sonante e fioccosa, prosegue il suo cammino veloce come non camminasse su un elemento liquido e tutto in movimento, ma sul più liscio e solido pavimento della terra. Ora diventa Egli luce. Sembra che tutta la poca luce, che ancora viene dalle rare e morenti stelle e dall’alba burrascosa, si converga su di Lui e ne venga raccolta come fosforescenza intorno al suo corpo slanciato. Vola sulle onde, sulle creste spumose, nelle pieghe scure fra onda e onda, a braccia tese in avanti, col manto che si gonfia intorno alle sue gote e che svolazza, per quanto può, così stretto come è al corpo, con un palpito d’ala. 


3Gli apostoli lo vedono e gettano un grido di paura che il vento porta verso Gesù. 
«Non temete. Sono Io». La voce di Gesù, per quanto abbia il vento contrario, si spande sul lago senza fatica. 
«Sei proprio Tu, Maestro?» chiede Pietro. «Se sei Tu, dimmi di venirti incontro camminando come Te sulle acque». 
Gesù sorride: «Vieni» dice semplicemente, come fosse la cosa più naturale del modo camminare sull’acqua. 
E Pietro, seminudo come è, ossia con una tunichella corta e senza maniche, fa un salto soprabordo e va verso Gesù. 
Ma, quando è lontano una cinquantina di metri dalla barca e quasi altrettanto da Gesù, viene preso dalla paura. Fin lì l’ha sorretto il suo impulso d’amore. Ora l’umanità lo soverchia e… trema per la propria pelle. Come uno messo su un suolo scivoloso, o meglio su una sabbia mobile, egli comincia a traballare, ad annaspare, a sprofondare. E più annaspa e ha paura, e più sprofonda. 


4Gesù si è fermato e lo guarda. Serio. Attende. Ma non stende neppure una mano, che ha anzi conserte al petto, e non fa più passo o parola. 
Pietro sprofonda. Scompaiono i malleoli, gli stinchi, i ginocchi. Le acque son quasi all’inguine, lo superano, montano verso la cintura. E il terrore è sul suo viso. Un terrore che lo paralizza anche nel pensiero. Non è più che una carne che ha paura di affogare. Non pensa neppure di gettarsi a nuoto. Nulla. È inebetito dalla paura. 
Finalmente si decide a guardare Gesù. E basta che lo guardi perché la sua mente cominci a ragionare, a capire dove è la salvezza. «Maestro, Signore, salvami». 


Gesù disserra le braccia e, quasi portato dal vento o dall’onda, si precipita verso l’apostolo e gli tende la mano dicendo: «Oh, che uomo di poca fede! Perché hai dubitato di Me? Perché hai voluto fare da te?». 
Pietro, che si è afferrato convulsamente alla mano di Gesù, non risponde. Lo guarda soltanto per vedere se è in collera, lo guarda con un misto di restante paura e di sorgente di pentimento. 
Ma Gesù sorride e lo tiene ben stretto per il polso, sino a che, raggiunta la barca, ne scavalcano il bordo e vi entrano. E Gesù comanda: «Andate a riva. Costui è tutto bagnato». E sorride guardando l’umiliato discepolo. 
Le onde si spianano per facilitare l’approdo, e la città, vista altra volta dall’alto di una collina, si delinea oltre la riva. 
La visione mi cessa qui.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/ 


giovedì 12 dicembre 2013

L’ennesimo «schiaffo in faccia ai cristiani»


In Inghilterra un nuovo caso di discriminazione cristiana

Peter e Hazelmary Bull(di Lupo Glori) Ancora un caso di intolleranza e discriminazione cristiana. Dall’Inghilterra arriva, infatti, la notizia della condanna da parte della Corte Suprema al pagamento di una multa di 3.600 sterline (circa 4.400 €) per due albergatori cristiani, Peter e Hazelmary Bull, che nel settembre 2008 si rifiutarono, all’interno del loro hotel, di mettere a disposizione di una coppia omosessuale una stanza matrimoniale. Lady Hale, vice presidente della Corte Suprema, ha giustificato con queste parole la sentenza arrivata a cinque anni di distanza dall’accaduto: «l’orientamento sessuale è una componente fondamentale dell’identità di un individuo ma secoli di discriminazioni e persecuzioni hanno negato agli omosessuali il diritto di realizzare se stessi e questo è un affronto alla loro dignità umana».


Tuttavia la vicenda ha delle cause ben precise. In coerenza con il credo religioso i proprietari del Chymorvah Hotel da 25 anni hanno adottato all’ interno dell’hotel la seguente regola: solo le coppie regolarmente sposate possono dividere una camera matrimoniale, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. In tal senso i coniugi Bull, ignari del fatto che la prenotazione di una camera doppia fosse stata fatta da una coppia omosessuale, non avevano fatto altro che applicare il principio che da sempre vigeva all’interno dell’ hotel.


Cosi quando Steven Preddy e il suo compagno Martyn Hall si presentarono al Chymorvah Hotel furono pregati di rispettare le “regole della casa” e alloggiare in due stanze singole invece che nella matrimoniale. Per tutta risposta la coppia omosessuale abbandonò l’albergo furibonda accusando i coniugi Bull di discriminazione sessuale e promettendo che la vicenda non si sarebbe chiusa li. Dalle parole ai fatti e così i Bull furono citati in giudizio per danni dalla coppia omosessuale e condannati prima dal tribunale di Bristol, successivamente dalla Corte d’Appello e ora dalla Corte Suprema che con la sua sentenza mette la parola fine sulla vicenda.

La signora Bull, non appena appresa la condanna definitiva, ha espresso il suo disappunto al “Daily Mail” dichiarando: «siamo profondamente delusi e amareggiati dalla sentenza perché io e mio marito siamo solo dei semplici cristiani che credono nell’importanza del matrimonio come unione di un uomo e una donna e questo convincimento non è basato sull’ostilità nei confronti di nessuno. La Gran Bretagna dovrebbe essere un paese di libertà e tolleranza, ma sembra che il credo religioso sia destinato a passare sempre in secondo piano di fronte all’esigenza del “politicamente corretto ad ogni costo”(…), ma i giudici hanno, non solo eluso il problema, ma anche rafforzato la convinzione che i diritti dei gay debbano trionfare sempre e comunque».
Purtroppo per i coraggiosi coniugi Bull oltre i danni si è aggiunta anche la beffa dal momento che si sono trovati improvvisamente, loro malgrado, al centro di una persecuzione morale che non gli ha risparmiato atti vandalici e minacce di morte. Il boicottaggio mediatico scatenatosi nei loro confronti ha portato ad un drastico calo nelle prenotazioni e alla fine, lo scorso settembre, la coppia è stata costretta a chiudere la loro trentennale attività del Chymorvah Hotel. Tuttavia la signora Bull, consapevole di aver agito secondo coscienza, non è pentita ed ha cosi tenuto a precisare: «non abbiamo rimpianti per quello che abbiamo fatto e non ci vergogneremo mai delle nostre convinzioni religiose».

Mike Judge, portavoce del “Christian Institute”, che si è fatto carico delle spese legali del processo ha denunciato il clima di intolleranza anti-cristiano sottolineando come la decisione della Corte Suprema rappresenti l’ennesimo «schiaffo in faccia ai cristiani». Questa nuova, triste ed allarmante, vicenda, conferma il clima di repressione e intolleranza nei confronti di coloro che, in nome del loro credo religioso, si oppongono alla dittatura omosessualista rivendicando l’unicità del matrimonio tra un uomo ed una donna. (Lupo Glori)

domenica 13 ottobre 2013

Roberto Grossatesta e il coraggio della Verità


Quando resistere al Papa è un dovere. Il singolare caso del vescovo Roberto Grossatesta


384px-Grosseteste_bishop(di Cristiana de Magistris) Il nome del vescovo inglese Roberto Grossatesta  (1175-1253) è quasi del tutto sconosciuto al mondo italiano. Ai pochi che ne hanno qualche erudizione è noto per il suo genio in campo scientifico dove le sue opere sono considerate di pregio inestimabile tanto da avergli meritato il titolo di “pioniere” di un movimento scientifico e letterario, nonché di “primo” matematico e fisico del suo tempo.
Ma Roberto Grossatesta fu anzitutto un santo Vescovo, che si distinse per il suo zelo nel promuovere la salus animarum e per il suo amore al Papato.
Mente assolutamente prodigiosa e versata non solo negli studi scientifici ma anche in quelli letterari, teologici e scritturistici, Roberto Grossatesta divenne vescovo di Lincoln nel 1235. “Da quando sono stato nominato vescovo – scrisse – mi considero il pastore e custode delle anime che mi impegno a curare con tutte le mie forze, poiché del gregge che mi è stato affidato mi sarà chiesto stretto conto nel giorno del Giudizio”[1]. Il suo scopo principale fu quello di “riformare la società attraverso le riforma del clero”[2]. L’austera disciplina che esigeva dai suoi preti era nota in tutta Inghilterra: rinuncia a ricompense pecuniarie, obbligo alla residenza, riverenza nella celebrazione della Santa Messa, fedeltà nella recita dell’Ufficio divino, istruzione del popolo, piena disponibilità per i malati e i bambini. Con queste regole il Vescovo inglese, oltre che elevare il livello di predicazione e d’insegnamento del clero, voleva migliorarne la condotta morale.
Ma una delle caratteristiche più singolari del Grossatesta fu la sua venerazione per il primato petrino che uno dei suoi biografi descrisse in questi termini: “L’aspetto più interessante della teoria del Grossatesta sulla costituzione e funzione della gerarchia ecclesiastica è la sua esaltazione del Papato. Egli è stato probabilmente il più fervente e risoluto papista tra gli scrittori medievali inglesi”[3].
Tale venerazione per la plenitudo potestatis del Romano Pontefice assume un significato del tutto speciale ed una portata quanto mai interessante in relazione alla sua  successiva resistenza a Innocenzo IV.
Nel 1239 il Grossatesta, in un discorso sulla gerarchia ecclesiastica rivolto al  Decano e al Capitolo di Lincoln, disse: “[…] seguendo le prefigurazioni dell’Antico Testamento, il Signor Papa ha il primato del potere sulle nazioni e sui regni, ha il potere di demolire e di sradicare, di distruggere e di disperdere, di piantare e costruire […] Samuele era tra il popolo d’Israele come un sole, proprio come lo è il Papa nella Chiesa universale e ogni vescovo nella sua diocesi”[4].
Nel 1237 aveva scritto ad un legato pontificio: “Dio non permetta che la Santa Sede e coloro che vi presiedono, ai quali normalmente occorre prestare obbedienza in tutto ciò che comandano, divengano invece la causa della perdita di fede per il popolo comandando ciò che è contrario ai precetti di Cristo e alla Sua volontà. Dio non permetta che ad alcuno che è veramente unito a  Cristo, non volendo in alcun modo andare contro la di Lui Volontà, questa Sede e coloro che vi presiedono possano essere causa di perdita di fede o di scisma apparente, comandando di fare ciò che si oppone alla volontà di Cristo”.
Il vescovo Grossatesta guardava con orrore anche alla semplice idea di disobbedire all’autorità ecclesiastica legittimamente costituita, poiché considerava l’obbedienza come la sola risposta adeguata a tale autorità che viene da Dio. Ma l’autorità esiste entro limiti ben precisi. Non v’è autorità oltre tali limiti – ultra vires – e rifiutarsi di obbedire all’autorità quando questa oltrepassa tali limiti non è una disobbedienza, ma l’affermazione che l’autorità sta abusando del suo potere. Molti teologi, come il Suarez, ritengono che sia lecito resistere anche al Papa “se questi fa qualcosa che si oppone manifestamente alla giustizia e al bene comune”[5].
Nel Medioevo forse nessuno come il Grossatesta era convinto che il Papa possedesse la plenitudo potestatis. Ma egli sosteneva, con i medievali del suo tempo, che tale potere non è un potere arbitrario, bensì è un ufficio affidato a lui “per il servizio dell’intero Corpo (di Cristo)”, che è la Chiesa. Tale potere è dato al Papa per la salvezza delle anime, per edificare il Corpo di Cristo e non per distruggerlo. Il Papa – non bisogna dimenticarlo – è il vicario di Cristo, non Cristo stesso, e deve esercitare il suo potere secondo la volontà di Cristo e non in manifesto contrasto con essa. Dio non permetta, diceva il Grossatesta, che la Santa Sede divenga la “causa” di un apparente scisma comandando ai fedeli cattolici qualcosa che si oppone alla Volontà di Cristo Signore.
L’occasione che provocò la resistenza del Grossatesta fu data dal problema dei benefici ecclesiastici, la cui prima funzione era la cura d’anime. Il complesso rapporto Chiesa-Stato di quel tempo scardinò questa funzione, e spesso i benefici venivano elargiti a chierici che non avrebbero potuto (o voluto) in alcuni modo curare il gregge loro affidato. Accadeva che il Papa stesso nominava per un beneficio, una prebenda o un canonicato ecclesiastici che molto spesso non risiedevano nei luoghi loro assegnati o, in ogni caso, erano incapaci per un motivo o per un altro di occuparsene. Per l’alta stima che nutriva per il Papato, il Grossatesta si oppose a questa pratica che era in forte odore di simonia e, talvolta, di nepotismo. Egli accettava pienamente le nomine del Papa quando i beneficiari erano in grado assolvere alle funzioni per cui ricevevano i benefici. Sia il potere papale che i benefici, infatti, avevano per il Grossatesta un unico scopo: la salvezza delle anime.
Il Vescovo inglese resistette a questo stato di decadenza con tutti i mezzi possibili, specie attraverso un intelligente e saggio uso del diritto canonico. Nel 1250, oramai ottuagenario, si recò a Lione – dove allora risiedeva Innocenzo IV – e si confrontò col Papa in persona. “Egli solo si alzò […] Papa Innocenzo sedeva con i suoi cardinali e i familiari per ascoltare l’attacco più veemente e completo che alcun papa abbia mai udito nel pieno del suo potere”[6].
L’oggetto dell’accusa era la mancanza di cura pastorale, che poneva la Chiesa in uno stato di profonda sofferenza. “L’ufficio dei pastori versa in condizioni miserevoli. E la causa del male va ricercata nella Curia papale […] essa provvede cattivi pastori per il suo gregge. Che cos’è un ufficio pastorale? I suoi doveri sono molteplici, ma in particolare esso comporta il dovere delle visite (ai fedeli)…”[7]. Ora, come poteva un pastore non residente provvedere al suo gregge? A questa domanda neppure il Papa poteva rispondere. Il Grosattesta, del resto, insegnava con l’esempio prima che con le parole. Anni addietro, nel 1232, aveva rinunciato a tutti i suoi benefici e le prebende, ad eccezione di una prebenda che deteneva a Lincoln, cosa che lo aveva coperto di ridicolo agli occhi dei contemporanei. Ma egli aveva risposto con queste superne parole che rivelano la nobiltà del suo animo: “Se sono più disprezzato agli occhi del mondo, sono però più gradito ai cittadini del Cielo”[8].    
L’eroica visita del Vescovo inglese a Innocenzo IV – eroica sia per l’arditezza dell’avvenimento sia per l’età avanzata del Grossatesta – non sortì alcun effetto. Il Papa dipendeva dal sistema delle provvigioni per mantenere la Curia e per finanziare le interminabili guerre contro Federico II.
Nel 1253, il Papa assegnò a un suo nipote, Federico di Lavagna, un canonicato nella cattedrale di Lincoln. Il Grossatesta ricevette il comando di  porre in esecuzione la volontà del Romano Pontefice e si trovò in un atroce dilemma. Il comando del Papa era assolutamente legale, avendo egli tutti i diritti di assegnare canonicati, e in quanto tale occorreva obbedire. Ma, pur essendo legale, il comando era un chiaro “abuso di potere”, poiché il nipote del Papa non avrebbe mai messo piede nella terra degli Angli e dunque non avrebbe mai esercitato il suo ministero a Lincoln, per il quale però avrebbe riscosso il beneficio.
In tal caso, il Papa usava del suo ufficio di Vicario di Cristo in un senso contrario a quello per il quale gli era stato affidato. La risposta del Grossatesta fu il rifiuto di obbedire ad un comando che era un chiaro abuso di potere. Il Papa in quel frangente agiva ultra vires, ossia oltre i limiti della sua autorità. La resistenza del Grossatesta fu dovuta non al fatto che mancasse di riconoscere l’autorità del Papa, ma per l’immensa stima e rispetto che nutriva per essa.
Il vescovo Grossatesta si rifiutò di assegnare al nipote del Papa il canonicato della Cattedrale di Lincoln e scrisse una lettera di rimostranza e rifiuto, non al Papa in persona, ma ad un suo commissario, il Maestro Innocenzo, attraverso il quale aveva ricevuto il comando.
Ecco quanto vi si legge: “Nessun fedele soggetto alla Santa Sede, nessun uomo che non è escluso con lo scisma dal Corpo di Cristo e dalla stessa Sede Apostolica, può obbedire a comandi, precetti o altri ordini di questo tipo, neppure se venissero dal più alto coro degli Angeli. Egli deve ripudiarli e rigettarli con tutte le forze. Per l’obbedienza che mi lega e per l’amore che porto alla Santa Sede nel Corpo di Cristo, come figlio obbediente io disobbedisco, contraddico e mi ribello. Voi non potete far nulla contro di me poiché ogni mia parola e ogni mia azione non è una ribellione ma un atto di onore filiale dovuto al padre e alla madre attraverso il comando di Dio. Come ho detto, la Sede Apostolica nella sua santità non può distruggere ma solo costruire.  È questa la plenitudo potestatis: essa deve fare tutto per l’edificazione. Ora, queste cosiddette “provvigioni” non costruiscono ma distruggono. Esse non possono essere l’opera della Sede Apostolica, poiché sono dettate “dalla carne e dal sangue”, che non posseggono il Regno di Dio, e non dal Padre che è nei cieli[9].
Commentando queste parole, W. A. Pantin, nel suo studio sulle relazioni tra il vescovo Grossatesta e il Papato, scrive: “Sembrano esserci qui due linee di pensiero. Una prima, secondo cui, poiché laplenitudo potestatis esiste al fine dell’edificazione e non della distruzione, ogni atto che tende alla distruzione o alla rovina delle anime non può essere considerato un vero esercizio della plenitudo potestatis… Una seconda, secondo cui, se il Papa o chiunque altro comandasse qualcosa di contrario alla legge divina, allora sarebbe sbagliato obbedire e, in ultima istanza, mentre si afferma la propria fedeltà, occorre rifiutarsi di obbedire. Il problema di fondo è che mentre l’insegnamento della Chiesa è soprannaturalmente garantito contro l’errore, i ministri della Chiesa, dal Papa in giù, non sono impeccabili e possono formulare giudizi errati e impartire comandi sbagliati”[10].
“Non potete fare niente contro di me”, aveva protestato il Grossatesta, e gli eventi gli diedero ragione. Quando Innocenzo IV lesse la lettera, sdegnato oltremisura, voleva chiederne l’incarcerazione, ma i Cardinali lo dissuasero. “La Santità Vostra – gli dissero – non deve far nulla. Noi non possiamo condannarlo. È un uomo cattolico e santo, l’uomo migliore che abbiamo, senza eguali tra gli altri prelati. Il clero francese e inglese lo sa bene e un nostro intervento non avrebbe alcun vantaggio. La verità contenuta in questa lettera, che è probabilmente nota a molti, potrebbe spingere altri ad agire contro di noi. Grossatesta è stimato come grande filosofo, conoscitore della letteratura latina e  greca, zelante per la giustizia, teologo, predicatore e nemico degli abusi”[11].
Innocenzo IV comprese che la cosa migliore da fare era di astenersi da qualunque intervento. E così fu. In quello stesso anno 1253, il Grossatesta morì. Sulla sua tomba avvennero molti miracoli e divenne subito un luogo di culto e di devozione, né sono mancati tentativi di avviare la sua causa di canonizzazione[12]. L’Inghilterra vanta solo un altro Vescovo santo, John Fisher, il cui amore e la cui fedeltà alla Santa Sede non superava quella del Grossatesta. Certamente se questi fosse vissuto al tempo di John Fisher non avrebbe esitato a dare, come lui, la vita per la Sede Apostolica. Ma è anche certo che, se John Fisher fosse vissuto nel XIII secolo, sotto il pontificato di Innocenzo IV, avrebbe resistito agli abusi del potere papale.
Il caso del vescovo Grossatesta riveste un’importanza del tutto particolare poiché la sua resistenza non è motivata dall’eresia, nel cui caso è opinione comune che non bisogna obbedire. Egli non difese l’ortodossia cattolica ma si rifiutò di porre in esecuzione una direttiva pratica del Papa che egli considerava dannosa per la salus animarum.
Il caso “Grossatesta” fece storia. Silvestro Prierias, insigne domenicano e strenuo difensore dell’autorità pontificia, nel suo Dialogus de Potestate Papæ (1517), riprendendo le parole e l’esempio del Grossatesta, asserì che il Sovrano Pontefice può abusare del suo potere: “Se il Papa volesse sperperare i beni della Chiesa o distribuirli ai suoi parenti, se volesse distruggere la Chiesa o compiere un atto di simile portata, allora sarebbe un dovere impedirglielo e un obbligo opporglisi e resistergli. La ragione è che egli non possiede il potere per distruggere. Dal che consegue che, se agisse così, sarebbe legittimo resistergli”.
Durante il Concilio Vaticano I, il caso Grossatesta fu citato varie volte non per condannarne la resistenza del Vescovo inglese ma per dimostrare che la plenitudo potestatis del Romano Pontefice – nonostante l’infallibilità pontificia che quel Concilio stava per definire – ha dei limiti ben precisi, non essendo né assoluta né arbitraria.
Riprendendo le parole del Grossatesta – “la Sede Apostolica nella sua santità non può distruggere ma solo costruire” – il vescovo D’Avanzo, in sede di Concilio, disse: “Pietro ha tanto potere quanto ha voluto dargliene Nostro Signore, non per la distruzione ma per l’edificazione del Corpo di Cristo che è la Chiesa”[13].
E così, dopo sei secoli, la resistenza al Papa del più “papista” dei Vescovi inglesi del XIII secolo contribuì alla definizione dell’infallibilità pontifica. Questa è l’ironia di Dio di cui gli Angeli e i Santi – anche il Grossatesta! – gioiscono in cielo. (di Cristiana de Magistris)



[1] D. A. Callus, Robert Grosseteste, Oxford 1955, p .150.
[2] Ivi, p. 85.
[3] Ivi, p. 183.
[4] Ivi, p. 185.
[5] “Se il papa comanda qualcosa che sia contrario alla morale non bisogna obbedirgli. Se prova a fare qualcosa che sia contrario alla giustizia e al bene comune, è lecito resistergli. Se egli attacca con la forza, può essere respinto con la forza, con la moderazione propria di una giusta difesa”: De fide, disp. X, sect. VI, n. 16.
[6] M. Powicke, “Robert Grossateste, Bishop of Lincoln”, Bullettin of the John Rylands Library, Manchester, vol. 35, n. 2, march 1953, p. 504.
[7] M. Powicke, King Henry III and the Lord Edward , Oxford 1959, p. 284.
[8] D. A. Callus, cit., XIX.
[9] M. Powicke, King Henry III and the Lord Edward , cit., p. 286.
[10] W. A. Pantin, “Grosseteste’s relations with the papacy and the crown”, in D. A. Callus, cit., pp. 190-191.
[11] M. Powicke, King Henry III and the Lord Edward , cit., p. 287.
[12] Cf E. W. Kemp, “The attempted canonization of Robert Grossateste”, in D. A. Callus, cit., pp. 241-246.
[13] J. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissa collectio, Parigi 1857-1927, LII, p. 715