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giovedì 16 febbraio 2017

Fare bene il bene

I Santi sono santi non perché abbiano fatto dei miracoli, 
ma perché bene omnia fecerunt

Il bene fa poco rumore: 
il molto rumore fa poco bene. 
Il bene va fatto bene e senza rumore
Beato Giuseppe Allamano Sacerdote, Fondatore
Castelnuovo Don Bosco, Asti, 21 gennaio 1851 - Torino, 16 febbraio 1926

Ebbe san Giovanni Bosco come insegnante e san Giuseppe Cafasso per zio. Ordinato prete a Torino a 22 anni - era nato nel 1851 a Castelnuovo d'Asti - Giuseppe Allamano fu rettore del santuario più caro ai torinesi, la Consolata. Volle fondare un istituto dedicato all'annuncio «ad gentes». Nacquero così nel 1901 i Missionari della Consolata e nel 1909 le suore. Prima prova: il Kenya. Denunciò a Pio X l'insensibilità di fedeli e pastori sulla missione e chiese l'istituzione di una giornata. Lo fece Pio XI nel 1927, un anno dopo la morte di Allamano. E' beato dal 1990. 
Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico
Martirologio Romano: A Torino, beato Giuseppe Allamano, sacerdote, che, animato da instancabile zelo, fondò due Congregazioni delle Missioni della Consolata, l’una maschile e l’altra femminile, per la diffusione della fede. 


E’ concittadino di due santi: San Giovanni Bosco, che l’ha avuto studente a Torino, e San Giuseppe Cafasso, che è anche suo zio materno.
Ordinato sacerdote in Torino a 22 anni, laureato in teologia a 23, direttore spirituale del seminario a 25, a 29 diventa rettore del santuario più caro ai torinesi (la “Consolata) e del Convitto ecclesiastico per i neosacerdoti. Però il santuario è da riorganizzare e restaurare, il Convitto è in crisi gravissima. Con fatiche che non cesseranno mai, lui rivitalizza il santuario e fa rifiorire il Convitto, come quando vi insegnava il Cafasso.


Come il Cafasso, è un eccezionale formatore di caratteri, maestro di dottrina e di vita. Vede uscire dai seminari molti preti entusiasti di farsi missionari, ma ostacolati dalle diocesi, che danno volentieri alle missioni l’offerta, ma non gli uomini. E decide: i missionari se li farà lui. Fonderà un istituto apposito, ci ha già lavorato molto. Il suo progetto è apprezzato a Roma, ma poi ostacoli e contrattempi lo bloccano, per dieci anni. Pazientissimo, lui aspetta e lavora. Arriva poi il primo “sì” vescovile per il suo Istituto dei Missionari della Consolata nel 1901, e l’anno dopo parte per il Kenya la prima spedizione. Otto anni dopo nascono le Suore Missionarie della Consolata.



Lui sente però che sull’evangelizzazione bisogna scuotere l’intera Chiesa. E nel 1912, con l’adesione di altri capi di istituti missionari, denuncia a Pio X l’ignoranza dei fedeli sulla missione, per l’insensibilità diffusa nella gerarchia. 
Chiede al Papa di intervenire contro questo stato di cose e in particolare propone di istituire una giornata missionaria annuale, "con obbligo d’una predicazione intorno al dovere e ai modi di propagare la fede". 
Declinano le forze di Pio X, scoppia la guerra nei Balcani... L’audace proposta cade.

Ma non per sempre: Pio XI Ratti realizzerà l’idea di Giuseppe Allamano, istituendo nel 1927 la Giornata missionaria mondiale. Lui è già morto, l’idea ha camminato. E altre cammineranno dopo, come i suoi missionari e missionarie (oltre duemila a fine XX secolo, in 25 Paesi di quattro Continenti). Da vivo, rimproverano a lui (e al suo preziosissimo vice, il teologo Giacomo Camisassa) di pensare troppo al lavoro “materiale”, di curare più l’insegnamento dei mestieri che le statistiche trionfali dei battesimi.

Lui è così, infatti: Vangelo e promozione umana, perseguiti con passione e con capacità. "Fare bene il bene": ecco un altro suo motto. I suoi li vuole esperti anche in scienze “profane”. E anche quest’idea camminerà fino al Vaticano II, che ai teologi dirà di "collaborare con gli uomini che eccellono in altre scienze, mettendo in comune le loro forze e i loro punti di vista" (Gaudium et spes). E lui, Giuseppe Allamano, che dal 7 ottobre 1990 sarà beato, ripete biblicamente ai suoi: "Il sacerdote ignorante è idolo di tristezza e di amarezza per l’ira di Dio e la desolazione del popolo".

Giuseppe Allamano si spegne a Torino il 16 febbraio 1926; la sua salma ora è venerata nella Casa Madre dei Missionari della Consolata.

Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005) lo  beatificò il 7 ottobre 1990, in Piazza S. Pietro a Roma.

Approfondimenti: vedi qui. Molto interessante: Il Fondatore narra la sua vita


Autore: Domenico Agasso
AMDG et BVM

sabato 23 maggio 2015

“Inganniamo la gente parlando di misericordia senza sapere quel che vuol dire la parola. Il Signore perdona i peccati, ma se ci pentiamo”

"L'Occidente è ripiegato sulle sue illusioni. Coraggio è andare controcorrente". Parola di cardinale

                     Il cardinale Robert Sarah è prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti
“Se si considera l’eucarestia come un pasto da condividere, da cui nessuno può essere escluso, allora si perde il senso del Mistero”. Così ha detto il cardinale Robert Sarah, da pochi mesi prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, intervenuto al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia in occasione della presentazione della collana “Famiglia, lavori in corso”, una raccolta di saggi editi dalla casa editrice Cantagalli, in vista del prossimo Sinodo ordinario di ottobre.  ..........

“L’Occidente – ha detto Sarah rispondendo a braccio ad alcune domande che gli sono state poste dall'uditorio – si sta adeguando sulle proprie illusioni”. Il problema di tutto, ha rimarcato più volte il porporato di cui Il Foglio ha anticipato per l’Italia lo scorso 13 marzo un lungo estratto del libro “Dieu ou rien” uscito in Francia presso Fayard, è nella fede. “Se si pensa che anche nel rito del Battesimo non si menziona più la parola ‘fede’, quando ai genitori viene domandato cosa si chiede per il bambino alla Chiesa di Dio, si comprende l’entità del problema”, ha aggiunto il cardinale guineano, che ha anche biasimato il senso che viene dato oggi al Catechismo: "I bambini fanno disegni e non imparano nulla, non vanno a messa". 

Quanto al Sinodo prossimo venturo, l’invito è a non farsi illusioni su cambiamenti epocali: “La gente crede che ci sarà una rivoluzione, ma non potrà essere così. Perché la dottrina non appartiene a qualcuno, ma è di Cristo”. Dopo l'appuntamento dello scorso ottobre, ha osservato Sarah presentando i tre volumi, "fu chiaro che il vero fulcro non era e non è solo la questione dei divorziati risposati", bensì "se la dottrina della Chiesa sia da considerare un ideale irraggiungibile, irrealizzabile e necessitante quindi di un adattamento al ribasso  per essere proposta alla società odierna. Se così stanno le cose, si impone necessariamente una chiarificazione se il Vangelo sia una buona notizia per l'uomo o un fardello inutile e non più proponibile". La ricchezza del cattolicesimo – ha aggiunto – "non può essere svelata da considerazioni dettate da un certo pragmatismo e dal sentire comune. La Rivelazione indica all'umanità la via della pienezza e la felicità. Disconoscere questo dato significherebbe affermare la necessità di ripensare i fondamenti stessi dell'azione salvifica della Chiesa che si attua attraverso i sacramenti".

Il problema è anche di quei “sacerdoti e vescovi” che contribuiscono con le loro parole a “contraddire la parola di Cristo”. E questo, ha detto Sarah, “è gravissimo”. Permettere a livello di diocesi particolari quel che ancora non è stato autorizzato dal Sinodo (il riferimento era alla prassi seguita in molte realtà dell’Europa centro-settentrionale) significa “profanare Cristo”. 

Poco vale invocare la misericordia: “Inganniamo la gente parlando di misericordia senza sapere quel che vuol dire la parola. Il Signore perdona i peccati, ma se ci pentiamo”. Le divisioni che si sono viste lo scorso ottobre, “sono tutte occidentali. In Africa siamo fermi, perché in quel continente c’è tanta gente che per la fede ha perso la vita”. Un appello, il cardinale, l’ha anche lanciato contro chi – membro del clero – usa un linguaggio non corretto: “E’ sbagliato per la Chiesa usare il vocabolario delle Nazioni Unite. Noi abbiamo un nostro vocabolario”. 

Una puntualizzazione, poi, l’ha voluta fare su una delle massime che vanno per la maggiore dal 2013, e cioè l’uscita in periferia. Proposito corretto, naturalmente, ma a una condizione: “E’ facile andare nelle periferie, ma dipende se lì portiamo Cristo. Oggi è più coraggioso stare con Cristo sulla croce, il martirio. Il nostro dovere è quello di andare controcorrente” rispetto alle mode del tempo, a “quel che dice il mondo”. E poi, "se la Chiesa smette di dire il Vangelo, essa è finita. Può farlo con i modi d'oggi, ma con fermezza".  Infine, un appunto sul calo delle vocazioni sacerdotali nel mondo: "Il problema non è che ci sono pochi preti, quanto capire se quei preti sono davvero sacerdoti di Cristo".

di Matteo Matzuzzi | 21 Maggio 2015 ore 12:41
AMDG et BVM

giovedì 12 febbraio 2015

Opportuna riflessione



Leggo in Battista Mondin "La nuova teologia cattolica" 1978 questa citazione di J. Ratzinger:

"A proposito di vie di salvezza il Ratzinger respinge con grande fermezza la teoria del valore salvifico delle religioni non cristiane, che alcuni teologi cattolici (Rahner, Schelte, Panikkar) considerano la via ordinaria di salvezza"

Tale concezione conduce a concludere che una persona viene salvata ogni volta attraverso la coscienzosa applicazione di quel sistema in cui si trova o al quale è in qualche modo legata.

La coscienza degenera in coscienziosita', i diversi singoli sistemi diventano 'via  della salvezza'. Sa di umano e di longanimita', quando si dice, in questa prospettiva, che un musulmano per essere salvato, dev'essere appunto un 'buon musulmano' ( che vuol dire questo propriamente?), che un indù dev'essere un buon indù, ecc. Ma non si dovra' allora anche dire che un cannibale dev'essere appunto un 'buon cannibale' e che un convinto uomo delle SS dev'essere un uomo delle SS tutto d'un pezzo?

E' evidente: qui c'è qualcosa che non funziona; una 'teologia delle religioni', che si sviluppi in questo senso, puo' portare soltanto ad un vicolo cieco".
(J.R. "Il nuovo popolo di Dio" p. 383).


Probabilmente siamo vittime di una sopravvalutazione delle religioni ed ideologie non cristiane e non cattoliche. Da una considerazione estrema dei non cattolici come destinati inesorabilmente all'Inferno, in pochi decenni siamo passati all'idea che il comportamento etico di un "buon non cattolico" è senz'altro al livello di quello del buon cattolico, o forse anche migliore: una specie di "mito del buon selvaggio" o della "superiore saggezza dei Cinesi" come propalato nel '700.
Davvero migliori di un cattolico devoto, che prega, compie le opere di bene, si confessa coscienziosamente per fare la Comunione?


Una volta era facile assumere la posizione "esclusivista" perché
all'"uomo della strada" non era dato di incontrare il "diversamente credente"; oggi bisognerebbe approfondire l'effetto delle religioni diverse sulla psicologia e sulla vita sociale di quelle culture. A proposito del "buon induista": e il sistema castale con i paria e i roghi delle vedove?

Gandhi, forse troppo mitizzato, ricavò molti elementi dalla conoscenza del Cristianesimo...
Insomma, dal non conoscerli, demonizzandoli, al conoscerli a fondo, per sapere come sono veramente. Questo va oltre il "volemose bene" : occorre documentarsi, studiare, viaggiare.



"ANDATE E FATE MIEI DISCEPOLI
TUTTE LE GENTI..."  

sabato 29 novembre 2014

«Francesco Saverio si curava dell'anima: della sua anima e di quella di tutte le persone, l'anima di ogni essere umano. Si curava dell'«anima», perché gli stava a cuore la vita: la vita nella sua pienezza, la vita nella sua felicità, la vita eterna.

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San Francesco Saverio, prega per noi!

Carissimo Amico/a

«Saverioche giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» (Mt 16,26). Questo avvertimento di Nostro Signore è rivolto a François-Xavier (Francesco Saverio) da Ignazio di Loyola che lo commenta così: «Pensaci bene, il mondo è un padrone che promette e che non mantiene la parola. E anche se mantenesse le sue promesse nei tuoi confronti, non potrà mai appagare il tuo cuore. Ma supponiamo che lo appagasse, quanto tempo durerà la tua felicità? In ogni caso, potrà forse durare più della tua vita? E alla morte, che cosa porterai con te nell'eternità? Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» 
Poco per volta, questa massima entra nel cuore di Francesco Saverio e vi si imprime profondamente. Così ha inizio un percorso che farà di lui uno dei più grandi santi della storia della Chiesa.

Più che una passione

Francesco nasce il 7 aprile 1506 nel castello di Javier nella Navarra, nel nord ovest della Spagna. Nel 1512, suo padre viene condannato alla perdita dei suoi beni per aver combattuto a fianco del re di Navarra in una guerra contro la corona di Castiglia; morirà di dispiacere nel 1515. L'anno seguente, la fortezza di Xavier viene smantellata e le terre della famiglia confiscate. Quando Francesco Saverio raggiunge la maggiore età, la sua famiglia è rovinata. In questa congiuntura, la carriera delle armi non lo attira. Lasciando sua madre e i suoi fratelli nel settembre 1525 per non rivederli più in questo mondo, egli si reca all'Università di Parigi, dove alloggia presso il collegio Santa Barbara insieme a compagni dediti, per la maggior parte, a una vita poco edificante. Tuttavia, fra di essi si trovano due uomini di una pietà eccezionale, Pietro Fabro e Ignazio di Loyola. Quest'ultimo, originario del Paese Basco confinante con la Navarra, medita da qualche tempo la fondazione di un'opera santa per il bene della Chiesa; avendo constatato le qualità d'anima di Pietro e di Saverio, cerca di far loro condividere la sua ambizione spirituale. 
Ignazio conduce quindi Pietro Fabro a fare gli Esercizi Spirituali per trenta giorni; alla conclusione di questo ritiro, quest'ultimo è interamente conquistato alla buona causa. Per Francesco Saverio, è più difficile. 
È vero che, grazie ai consigli di Ignazio e di Pietro, egli si è già allontanato da relazioni sospette e ha respinto le dottrine malsane messe in circolazione a Parigi dai seguaci di Calvino. Ma il suo cuore, fiero e aperto all'attrazione di un'ambizione mondana, non prova che disgusto per la vita oscura di rinuncia esaltata da Ignazio. Quest'ultimo, fine conoscitore di anime, s'immedesima dapprima nel modo di sentire di Francesco che, diventato professore di filosofia, ambisce a una bella carriera e a un vasto uditorio. Ignazio gli trova tanti discepoli che Francesco riconosce in lui un vero amico con il quale può confidarsi. Ignazio approfitta di questa amicizia per ricordargli la vanità della grandezza e dei vantaggi di questo mondo, e la loro inutilità per la vita eterna. Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima? 
Francesco, toccato dalla grazia di Dio, partecipa a sua volta agli Esercizi Spirituali, nel corso dei quali chiede «la conoscenza intima del Signore che per me si è fatto uomo, per amarlo con maggiore ardore e seguirlo con più fedeltà» (Es. Sp. 104). Ormai, non avrà che una passione: amare e far amare Gesù Cristo.

Ben presto, al piccolo gruppo si aggiungono altri quattro studenti. Ignazio propone allora ai suoi sei compagni di donarsi più completamente a Dio e di unirsi tra loro con il legame dei voti di religione. Il 15 agosto 1534, nella cappella di Santa Maria di Montmartre, Pietro Fabro, allora l'unico prete del gruppo, celebra la Santa Messa nel corso della quale tutti pronunciano i voti perpetui di povertà e di castità con la promessa di recarsi in Terra Santa o di rimettersi alla volontà del Sovrano Pontefice. In attesa di conoscere la santa volontà di Dio, si riuniscono spesso per pregare e incoraggiarsi vicendevolmente alla pratica delle virtù.

Diritto al cuore


Il 25 gennaio 1537, i primi membri della Compagnia di Gesù si ritrovano a Venezia, ma, poiché la situazione politica rende impossibile il pellegrinaggio in Terra Santa, decidono di andare a Roma per chiedere la benedizione del Papa Paolo III. Quest'ultimo li accoglie con benevolenza e concede loro l'autorizzazione a farsi ordinare preti; questa cerimonia ha luogo il 24 giugno 1537. Poi, il gruppetto si dissemina in diverse città d'Italia. Padre Francesco viene destinato a Bologna dove si dedica all'istruzione della gene del popolo, dei malati e dei prigionieri. Non conoscendo bene l'italiano, parla poco, ma con una tale convinzione che le sue parole vanno direttamente al cuore degli ascoltatori. 
Alla fine del 1538, il re del Portogallo, Giovanni III, chiede a Ignazio di concedergli dei religiosi per l'evangelizzazione delle Indie. Questi, d'accordo con il Papa, mette a sua disposizione due religiosi, tra cui Francesco Saverio. Quest'ultimo viene messo al corrente solo la vigilia della partenza, il 15 marzo 1540. Come unico bagaglio, porta con sé l'abito di cui è vestito, il suo crocifisso, un breviario e un altro libro.

Dopo un viaggio di tre mesi, Padre Francesco arriva a Lisbona in compagnia di Simone Rodriguez; entrambi vengono ricevuti da Giovanni III, uomo veramente pio e preoccupato della salvezza delle anime. Attendendo di partire per le Indie, essi si dedicano al ministero delle anime nella capitale del Portogallo. La loro dedizione apostolica suscita a Lisbona una tale ammirazione che viene chiesto al re di trattenerli nel paese. Ignazio decide che Rodriguez resterà a Lisbona; quanto a Padre Francesco, partirà per le Indie. La sua partenza, in compagnia di tre giovani confratelli, ha luogo il 7 aprile 1541.

A quell'epoca, il viaggio dal Portogallo alle Indie passando per il capo di Buona Speranza è un'avventura da cui nessuno alla partenza si può vantare di uscire vivo. Se la nave non fa naufragio, le epidemie, il freddo, la fame e la sete provvedono spesso a decimare i passeggeri. Il 1° gennaio 1542, Padre Francesco scrive ai suoi fratelli di Roma: «Ho avuto il mal di mare per due mesi; e tutti hanno molto sofferto per quaranta giorni sulle coste della Guinea. Tale è la natura delle pene e delle fatiche che, per il mondo intero, non avrei osato affrontarle un solo giorno. Noi troviamo un conforto e una speranza sempre crescenti nella misericordia di Dio, nella convinzione che manchiamo del talento necessario per predicare la fede di Gesù Cristo in terra pagana». Il 6 maggio 1542, essi raggiungono Goa, sulla costa occidentale dell'India.


Primo modo di pregare

Avendo ricevuto dal Papa i pieni poteri spirituali sui sudditi dell'impero coloniale del Portogallo, Francesco Saverio arriva in India munito del titolo di «Nunzio apostolico». Egli trova a Goa una cristianità confrontata agli esempi poco edificanti di certi europei. Grazie al suo zelo, già prima della fine dell'anno, Goa appare molto cambiata; un buon numero di anime vi camminano già nella via della perfezione: Padre Francesco le sostiene esercitandole a meditare, secondo il metodo che sant'Ignazio chiama il «primo modo di pregare» (Es. Sp. 238-248). 

Questo modo di meditare consiste nell'esaminarsi sui dieci comandamenti di Dio, i sette peccati capitali, le tre facoltà dell'anima (memoria, intelligenza, volontà), e i cinque sensi del corpo. Vi si chiede a Dio la grazia di sapere in che cosa si siano osservati o trasgrediti i suoi comandamenti, e l'aiuto necessario per correggersi in avvenire. 
Il vescovo di Goa desidera che Padre Francesco prosegua a operare il gran bene che ha fatto nella città, ma quest'ultimo, spinto dallo Spirito di Dio, aspira a conquiste più vaste. Come gli apostoli, brucia del desiderio di affrontare i pericoli, le sofferenze, le persecuzioni, per conquistare il maggior numero possibile di anime a Gesù Cristo. Il governatore di Goa, che conosce il suo zelo, si fa partecipe del suo modo di vedere e gli segnala i ventimila uomini della tribù dei Paravers, battezzati precipitosamente otto anni prima sulla costa della Pescheria, e che, da allora, sono ritornati alla loro ignoranza e alle loro superstizioni.

Padre Francesco scrive in una lettera a sant'Ignazio: «Parto contento: sopportare le fatiche di una lunga navigazione, prendere su di sé i peccati altrui, quando se ne ha già abbastanza dei propri, soggiornare in mezzo ai pagani, subire l'ardore di un sole bruciante, e tutto questo per Dio; ecco sicuramente delle grandi consolazioni e un motivo di gioie celesti. Perché alla fin fine la vita beata, per gli amici della croce di Gesù Cristo, è, mi sembra, una vita disseminata di simili croci« Quale felicità pari a quella di vivere morendo ogni giorno, spezzando le nostre volontà per cercare e trovare non quello che ci dà un vantaggio, ma quello che va a vantaggio di Gesù Cristo?» I cristiani che egli trova sulla costa della Pescheria ignorano tutto della loro religione. Padre Francesco inizia quindi dai rudimenti della fede: il segno della croce accompagnato dall'invocazione delle tre Persone in Dio; il Credo, i dieci comandamenti, il Pater, l'Ave, la Salve Regina, il Confiteor.

Questa preoccupazione di trasmettere i rudimenti della fede è quella della Chiesa. In effetti, nella nostra epoca segnata da una sovrabbondanza di informazione e dalla specializzazione degli studi superiori, si constata che non vengono trasmesse le verità più semplici, quelle che conducono alla salvezza eterna. Per questa ragione il Santo Padre Benedetto XVI ha promulgato il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica che, «per la sua brevità, chiarezza e integrità, si rivolge a ogni persona, che, vivendo in un mondo dispersivo e dai molteplici messaggi, desidera conoscere la Via della Vita, la Verità, affidata da Dio alla Chiesa del Suo Figlio» (Motu proprio che approva il Compendio, 28 giugno 2005).

«Se non mancassero gli operai»

Di fronte a questa ricca messe di anime, e al pensiero del bene immenso che si potrebbe fare con la collaborazione di numerosi operai, Francesco Saverio si volge verso l'Europa dove tanti uomini intelligenti consumano le loro forze in occupazioni prive di una grande utilità. «Molte volte, egli scrive, mi viene l'idea di andare alle università d'Europa e là, gridando a gran voce come un uomo che abbia perduto il senno, dire a uomini più ricchi di scienza che non del desiderio di farla fruttificare, quante anime, per la loro negligenza, sono defraudate della gloria celeste e vanno all'inferno! Se, pur studiando le lettere, essi si studiassero anche di meditare sul conto che Dio gliene chiederà, molti di loro, toccati da questi pensieri, ricorrerebbero a dei mezzi, a degli esercizi spirituali fatti per dar loro la vera conoscenza e l'intima percezione della volontà divina; si uniformerebbero ad essa più che non alle loro proprie inclinazioni, e direbbero: «Eccomi, Signore: che cosa vuoi che io faccia? Mandami dove vuoi, e se è necessario, anche alle Indie«» Sono stato sul punto di scrivere all'università di Parigi che milioni e milioni di pagani si farebbero cristiani, se non mancassero gli operai«»

Curarsi dell'anima


Il 7 aprile 2006, il Cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, in occasione di una Messa che celebrava il quinto centenario della nascita di san Francesco Saverio, ha spiegato così questa passione del santo: «Francesco Saverio si curava dell'anima: della sua anima e di quella di tutte le persone, l'anima di ogni essere umano. Si curava dell'«anima», perché gli stava a cuore la vita: la vita nella sua pienezza, la vita nella sua felicità, la vita eterna. Si curava della salvezza dell'uomo e per questo la sua vita consistette nel consumarsi affinché ogni creatura che egli incontrava potesse conoscere e far sua la verità secondo la quale Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Gv 3,16). Precisamente in virtù dell'amore che nutriva per l'uomo, egli desiderava che il maggior numero possibile di popoli e di persone giungessero alla fede cristiana; è così che si spiega la sua ricerca instancabile delle anime fin nei luoghi più remoti dove non era ancora giunta la Buona Novella di Gesù».

Tale è la moltitudine di coloro che Francesco Saverio conduce tutti i giorni alla fede, che spesso gli accade di avere le braccia stanche a forza di battezzare. Oberato di attività impegnative, non si trova da solo che durante le notti, che gli dedica in gran parte ai suoi esercizi religiosi e allo studio della lingua del paese. Ma Dio non abbandona mai i suoi servitori: Egli inonda l'anima del missionario di consolazioni celesti; gli concede largamente il dono dei miracoli. Alla fine dell'ottobre 1543, Padre Francesco decide di ritornare a Goa per cercarvi rinforzi.
Là apprende – con tre anni di ritardo – che Paolo III ha approvato la Compagnia di Gesù e che Ignazio è stato eletto Generale. Fa dunque la sua professione solenne, utilizzando la formula di cui si sono serviti i suoi Fratelli di Roma.
Tuttavia il Padre sa che altre contrade attendono la Buona Novella. È perplesso: deve spingersi verso queste terre lontane, in cui il nome di Cristo è sconosciuto a tanti uomini? Si reca presso la tomba dell'apostolo san Tommaso per chiedere a Dio di illuminarlo. Vi resta quattro mesi (aprile-agosto 1545), rendendo servizio al parroco del luogo, che dirà di lui: «Conduceva in tutto la vita degli apostoli». «Nella santa casa di san Tommaso, scrive il missionario ai Padri di Goa, mi sono dedicato a pregare senza interruzione perché Dio nostro Signore mi conceda di sentire nella mia anima la sua santissima volontà, con la ferma risoluzione di compierla« Ho sentito con grande consolazione interiore che era la volontà di Dio che io andassi in quei luoghi di Malacca, dove recentemente alcuni sono stati fatti cristiani».

Dopo qualche mese trascorso nella penisola malese di Malacca, dove non teme di andare a cercare i pescatori a domicilio, nelle case da gioco e di piacere, per ricondurli sulla retta via, egli inizia, il 1° gennaio 1546, una crociera di più di 2000 km, nel corso della quale evangelizza diverse isole, in particolare l'isola del Moro, dove rischia la sua vita in mezzo a popolazioni cannibale. In una lettera ai suoi confratelli d'Europa che si preoccupano di questa avventura, risponde: «È necessario che le anime dell'isola del Moro siano istruite e che qualcuno le battezzi per la loro salvezza. Io dal canto mio ho l'obbligo di perdere la vita del corpo per garantire al mio prossimo la vita dell'anima. Andrò quindi all'isola del Moro, per soccorrervi spiritualmente i cristiani, e affronterò qualsiasi pericolo, affidandomi a Dio nostro Signore e riponendo in Lui tutta la mia speranza. Voglio, nella misura delle mie piccole e misere forze, fare in me la prova di questa parola di Gesù Cristo, nostro Redentore e Signore: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25).



La salvezza integrale

Lo zelo di san Francesco Saverio, che si è prodigato senza riserve per annunciare il Vangelo a migliaia di anime, costituisce una lezione e un esempio per la nostra generazione; esso ci ricorda l'urgenza e la necessità della missione, in conformità con l'insegnamento di Giovanni Paolo II: «La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una «graduale secolarizzazione della salvezza», per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché la missione? Perché a noi, come a san Paolo, è stata concessa la grazia di annunziare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo. (Ef 3,8) La novità di vita in lui è la «buona novella» per l'uomo di tutti i tempi: a essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati « La Chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per esser comunicata a tutti gli uomini» (Enciclica Redemptoris Missio, 7 dicembre 1990, n. 11).

Il Giappone« e la Cina


Nel dicembre 1547, Padre Francesco fa la conoscenza di un nobile Giapponese di nome Anjiro. Questi erra da cinque anni alla ricerca di un maestro spirituale che possa restituire la pace alla sua anima. «Scoprimmo Padre Francesco, racconterà Anjiro, nella chiesa della Madonna della Montagna, dove celebrava un matrimonio. Venni conquistato completamente dal suo carisma e gli feci un lungo racconto della mia vita. Egli mi abbracciò e apparve così felice di vedermi che era evidente che Dio stesso aveva combinato il nostro incontro». Nel corso delle sue conversazioni, il Padre s'informa sul Giappone. Apprendendo che «il re, la nobiltà e tutte le persone di alto rango si sarebbero fatti cristiani, perché i Giapponesi sono interamente guidati dalla legge della ragione», questo gli basta; partirà per il Giappone.
Tuttavia, consapevole dei suoi doveri di Nunzio apostolico, riprende contatto con le Indie e ritorna a Goa, che lascerà il 15 aprile 1549 per il Giappone. Il 15 agosto seguente, approda a Kagoshima dove trascorre più di un anno a iniziarsi alla lingua e ai costumi giapponesi. Verso la fine del 1550, parte per la residenza del più potente principe del Giappone, poi per la capitale. Là, lo attende una grande delusione: il re, che di fatto non è che un fantoccio, non lo riceve neppure. Padre Francesco ottiene tuttavia dal principe il permesso di predicare la fede cristiana, e ha la gioia di accogliere qualche centinaio di conversioni. Ma presto scoppia una rivoluzione, e il missionario deve partire. Non avendo notizie delle Indie da due anni, decide di ritornare a Malacca, dove arriva alla fine del 1551. È là che riceve una lettera da sant'Ignazio scritta più di due anni prima, che lo nominava «Provinciale dell'Est», cioè di tutte le missioni della Compagnia di Gesù dal capo Comorin, a sud dell'India, fino al Giappone.


Il 17 aprile 1552, il missionario s'imbarca nuovamente, questa volta a destinazione della Cina. Questo viaggio, l'ultimo della sua vita, servirà agli ultimi spogliamenti e lo assimilerà al Cristo sofferente. All'inizio del settembre 1552, raggiunge l'isola di Sancian, a dieci chilometri dalla costa della Cina. I pochi portoghesi che vi fanno allora scalo lo accolgono con gioia, gli costruiscono una capanna di legno e una cappellina di rami. Padre Francesco inizia subito a occuparsi dei bambini e dei malati, a predicare, catechizzare, confessare. Nel frattempo, egli cerca di prendere contatto con qualche «passatore» cinese che possa condurlo clandestinamente a Canton. In effetti, l'accesso alla costa della Cina è severamente vietato; chiunque si avventuri a sfidare questo divieto è destinato, se viene catturato, alla tortura e alla morte. Almeno a due riprese, il missionario trova un uomo che acconsente a condurvelo in cambio di una grossa somma di denaro: ogni volta, riscosso il denaro, il «passatore» si dilegua.
Il 21 novembre, Padre Francesco celebra la sua ultima Messa. Scendendo dall'altare, si sente venir meno. Cerca di riprendere il mare, ma il rollio della nave gli risulta insopportabile. Ricondotto a Sancian, trascorre gli ultimi giorni della sua vita in uno stato di mezza incoscienza. Privo di rimedi, e certo della sua prossima morte, alza gli occhi al Cielo e conversa con Nostro Signore o la Madonna: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me – O Vergine, Madre di Dio, ricordati di me». È pronunciando il nome di Gesù che esala il suo ultimo respiro, all'alba del 2 dicembre 1552. Ha solo quarantasei anni. 


Il suo corpo viene riportato a Goa dove è tuttora venerato dai fedeli. Francesco Saverio, canonizzato contemporaneamente a sant'Ignazio di Loyola il 12 marzo 1622, è il patrono celeste delle missioni cattoliche.

Quando si considera la vita di questo gigante della santità, si è colpiti dalla quantità di fatiche e di sofferenze che ha potuto sopportare. Il suo segreto si trova in un amore senza limiti per Gesù. NegliEsercizi Spirituali, sant'Ignazio gli ha insegnato ad ascoltare la chiamata di Cristo: «È mia volontà conquistare tutto il mondo, sottomettere tutti i miei nemici, e così entrare nella gloria del Padre mio. Chi vuole venire con me lavori con me; mi segua nelle fatiche, per seguirmi anche nella gloria». (Es. Sp. 95). 


Docile, Francesco Saverio si è mostrato «pronto e diligente nel compiere la santissima volontà di Gesù» (ibid. 91); a sua volta, si è dedicato senza riserve a tutte le opere per estendere il regno di Dio sulla terra. Che egli ci ottenga la grazia di essere come lui pieni di zelo per la salvezza eterna del prossimo.
Dom Antoine Marie osb

AMDG et BVM

martedì 5 novembre 2013

Che cosa ne pensate?

Ave Maria, P.
Carità in Verità
Eh, eh, con affetto e simpatia, lei è furbacchione con la sua domanda.

- Quando la notizia è apparsa... Ho pensato che non c'era necessità di una nuova ferula... ce ne sono già tante.
- Poi , come si vede nella foto...del retro della ferula o meglio come si può vedere nella foto, ho pensato che almeno sembra un pastorale .
- Poi, osservando il dettaglio ho pensato le cose più strane.  Ho guardato i due Crocifissi che ho in casa, uno da scrittoio e uno da parete (entrambi abbastanza grandi) e entrambi sono dell'ottocento, (tempi bui, tempi di fede immatura).  Legno e metallo, entrambi di legno e metallo.  Entrambi raffigurano un uomo nelle normali fattezze di un uomo, anatomia di un uomo, muscolatura, venatura, mani e braccia al loro posto. Il volto di un uomo.  Nelle espressioni e nelle proporzioni di un uomo, visto che ha la barba si presume anche sia un uomo maschio.  Dunque inequivocabilmente un uomo, non serve dar spiegazioni.  Un uomo trafitto alle mani e ai piedi, dove è ben saldato al legno della croce. Il costato con la trafittura della lancia.  Il capo piegato verso il basso che permette di contemplare nella sua circolarità la corona di spine...Un uomo normale, nella normale espressione lacerante della crocifissione che all'epoca era in uso....Legno e metallo...equi e solidali anche se dell'ottocento.... E qui partirebbe la mia polemica.   Immagino che non sia necessario farla per dire che è una delle oramai tante stupidità ingannevoli che l'abusivo argentino end & vaticana stanno diffondendo.   
Ho letto le espressioni dell'artista..........che ha avuto l'ardire di fare catechesi, naturalmente alla b-maradiaga....   E si, mi sono detto, è proprio necessario spiegare.   Mi è venuto in mente la mia mamma e anche la mia nonna soprattutto la nonna.....Che poverette non sempre gli riusciva bene di sfornare una torta o un dolce...che, per qualche stramberia di esecuzione, sembravano tutt'altro che ciò che erano...E allora si inventavano che il forno era troppo caldo...la farina era quella dell'anno vecchio....il lievito , il sale lo zucchero....Insomma per farcelo mangiare senza che le prendessimo in giro o vomitassimo,  dovevano spiegare che quel mostro ripugnante era una torta.
Guardo ancora i miei Crocifissi...vecchi di non meno di duecento anni, equo solidali e ricordo che nessuno mi ha mai spiegato che sono di legno e metallo...Mi spiegavano tutt'altre cose.   Non godo di eccelso acume, ma anche mai mi sono chiesto o posto il problema...lo vedo da me che sono di legno e metallo come lo è la nuova ferula....Mi domando e dico le altre ferule di cosa sono fatte ?  Di materiale radioattivo ?   Di risulata di discariche di diossina ?  Il legno è forse di piante trattate con veleni  ?  O forse il legno è un impasto di rami di mariuana o di cicuta.....?   L'argento è forse ricavato dalla decantazione di osido di nitrato da decomposizione organica umana (tra l'altro fortemente tossico e velenoso ) ? Non penso !
- Poi la foto fa vedere il davanti ...allora ho capito che la nonna ha fatto la torta oriibile tanto da dover dare spiegazioni---perchè non si capisce cosa sia quel groviglio mostruoso....

            Ho passato in rassegna alcune immagini di Crocifissi tra gli innumerevoli che la pietà degli uomini di chiesa commissionavano agli artisti...i quali valutavano le opere per la loro capacità di modellare e raffigurare un uomo e renderlo reale, nelle fattezze, nei colori, nell'anatomia reale e non era necessario dare spiegazioni....semmai si restava sbalorditi nell'ammirare dipinti o sculture che parevano rappresentazioni viventi, calde, respiranti.  Si capiva che era un uomo in croce.  Ben attacato alla croce, sanguinante e martirizzato.  Ebbene ho guardato la ferula e ho capito che bisognava necessariamente spiegare che quello sgorbio era l'uomo Dio, che quel metallo informe e sproporzionato poteva anche essere una torta mal riuscita.

Il culto dell'orrido, l'inganno del trasformare il bello in brutto, il privare le anime della capacità di comprendere e adorare il volto di Cristo Crocifisso...uomo, imbambolare con inutili, superflue e devianti teologie artistiche.  La nuova teologia, la nuova catechesi...la nuova chiesa non più la Chiesa di Cristo, ma la chiesa dell'anticristo .....Padre non mi ammonisca...ascolti e senta che oramai è sulla bocca di tutti...La chiesa di b....  
Del resto Padre, non mi meraviglio più di nulla....Certo se Dio permette questo, un motivo ben ci sarà.....  Ben ci sarà un motivo perchè il suo vicario è rappresentato da un m., oltre tutto i. o meglio in., che lo odia, che disprezza e ridicolizza ciò che dovrebbe essere e non lo è.   Demolisce costantemente e impunemente tutto ciò che Egli ha fatto, prescritto, detto e stabilito una volta per tutte....Un motivo ci sarà, perché, per avere un v che snatura le migliaia di esempi di santi e di Papi, prende a mozziconi il vangelo e lo propina tagliuzzato e stuprato a suo diletto e convenienza, capovolgendo e alterando il significato del messaggio che per duemila anni era tutt'altro, trasformandolo, simile, per dirne l'opposto.  In buona sostanza la torta mal riuscita della nonna....fatta passare per una buona torta....che regolarmente la nonna poi gettava nella spazzatura....  
Io personalmente eviterò di guardare quella ferula......non sono un cultore dell'orrido, non soffro di incubi e non vorrei dover comunciare ad averne.  Continuerò a guardare il pur tragico Crocifisso che mi permette di meditare sulle piaghe di Nostro Signore.  Considerando che quell'uomo in croce non è un mostro, ma Cristo Gesù che ha sulla carne tutti i segni della sua Pasione.  Considerando che già allora io c'ero nei tagli, nei lividi di quel volto umano, in quel corpo bello forte e proporzionato straziato per riscattarmi.  Considerando e dolendomi di quante volte ho, disgraziato io, rinnovato i dolori patiti dal Mio e Nostro Salvatore, con le mie mancanze, con le mie superficialità...con la mia umanità che so di dover portare lì, sotto quella Croce Santa e guardare con sguardo pieno di vergogna e chiedere misericordia sapendo che non esiste misericordia senza giustizia..come l'a argentino vuol farci credere.
Padre mi ha provocato.... si sorbisca le conseguenze.....Sa io temo Dio e non gli uomini...e neppure satana, anche se veste di bl.
Ma adesso me lo deve, da buon amico....e voi, P., che ne pensate ?
Con costante ricordo, unitamente alla preghiera
un fraterno saluto
F.

****
Carissimo F., mentre ringrazio per la tua ... 'provocazione' ti dico come la penso citando Papa BXVI: 
"Lo sguardo contemplativo al santo Mistero dell’Altare e al Crocifisso risvegliava in lui (san Carlo Borromeo) sentimenti di compassione per le miserie degli uomini e accendeva nel suo cuore l’ansia apostolica di portare a tutti l’annuncio evangelico. D’altra parte, ben sappiamo che non c’è missione nella Chiesa che non sgorghi dal "rimanere" nell’amore del Signore Gesù, reso presente a noi nel Sacrificio eucaristico. Mettiamoci alla scuola di questo grande Mistero! Facciamo dell’Eucaristia il vero centro delle nostre comunità e lasciamoci educare e plasmare da questo abisso di carità! Ogni opera apostolica e caritativa prenderà vigore e fecondità da questa sorgente!"


sabato 6 aprile 2013

EVIDENZA



       Milano 2005 - 88 pagine - euro 5,00 
          Milano 2005 - 192 pagine - euro 11,00


Domanda di don Barsotti a un cardinale:

"...io ho l'impressione che nella Chiesa oggi comandi molto la massoneria. La spiritualita' della Chiesa mi sembra di essere quella dell' illuminismo francese: vi domina la dea ragione, subito seguita dalle divinità del potere e della promozione umana"
Impiegò parecchio a rispondermi (...) alla fine mi disse :
"...anch'io ho la stessa impressione..."
(Barsotti, Il mistico della missione, p.36)

"Predicare oggi al mondo il messaggio evangelico è una cosa che deve stupire il mondo. La verità è che abbiamo fatto del cristianesimo un prodotto che si adatta benissimo alla mediocrità e alla povertà dell'uomo. Non c'e piu il senso dello stupore, non c'e piu' il senso della novità cristiana"
(Ibidem).


 

sabato 17 novembre 2012

"La missione è un Fatto che posso incontrare adesso mentre scrivo: Gesù di Nazareth!"



INTERVISTA A PADRE ALDO TRENTO
Paraguay, si riparte dalle «riduzioni»



​Tempo fa Piero Gheddo, decano dei missionari-giornalisti, dedicò ad Augusto Gianola, prete del PIME di stanza in Brasile capace di avvincere un cronista di lungo corso come Enzo Biagi, un’appassionante biografia, In missione per cercare Dio. Per padre Aldo Trento, missionario da diversi anni in Paraguay, membro della Fraternità San Carlo Borromeo fondata da monsignor Massimo Camisasca, si potrebbe vergare una biografia dal titolo assonante, In missione per trovare Dio. Perché stato proprio nella terra dei guaranì, immortalati nel celebre film Mission di Roland Joffé, che il sacerdote bellunese ha scoperto e "incocciato" il volto di Dio. Oggi ad Asunciòn padre Trento guida la clinica San Riccardo Pampuri al cui interno si trova il primo hospice di tutto il territorio paraguagio. Alle vicende dei suoi malati padre Trento ha dedicato il suo recente libro Rio sole. Cronache di "santi" dal Paraguay (Ares, pp. 256, euro 15), curato dal giornalista di “Famiglia cristiana” Alfredo Tradigo e impreziosito dalle fotografie di Nino Leto. Padre Trento si trova in Italia in questi giorni per alcuni incontri: domani alle 21 all’auditorium di Casatenovo presenta il suo libro insieme a Camillo Candia, di Gruppo Zurich Italia; giovedì 22 novembre parlerà a Seregno.

Padre Trento, nel suo raccontare traspare il dettato evangelico "l’avete fatto a me…"
«Negli ultimi otto anni abbiamo accompagnato a morire più di mille persone indigenti e molto ammalate. Accompagnare significa vedere nel paziente non un "malato" ma Cristo stesso. È così chiara per me questa verità che non distinguo più il Cristo che soffre dal Cristo che "domina" la clinica e che è Gesù Eucaristia. Il fatto che nessun paziente muoia disperato e che invece affronti la morte con una fortezza unica costituisce il frutto stesso dell’Eucaristia che incontro nel Cristo che soffre di cancro o di Aids».

Lei racconta di come i guaranì le abbiano insegnato a "trattare" la morte. Cosa le hanno trasmesso?



«Per loro la vita come la morte fanno parte dell’unico ciclo che è la vita tutta intera. Quando chiedo  ad un ammalato grave  come sta, lui mi risponde "muy bien": e molto spesso è in fin di vita! Una cosa che mi commuove è  vedere, quando celebro la Messa per la persona appena defunta, gli altri ammalati gravi; se appena possono muoversi, assistono alla funzione, coscienti che il giorno dopo potrebbe benissimo toccare a loro morire. La cultura paraguaiana ancora viva nei paesi di campagna guarda al dolore e alla morte come parte integrante della vita. Per questo è bello e sorprendente notare che, mentre portiamo la bara in chiesa, passando di fianco alla pizzeria (dove c’è gente che mangia o bambini che giocano), nessuno si intimorisce. Anzi, tutti si alzano in piedi e i bambini si fermano dai loro giochi e schiamazzi e guardano».

Il suo impegno missionario si rifà esplicitamente all’esperienza delle reducciones dei gesuiti dei secoli. Perché? 



«Come per loro, anche per me l’unica ragione della missione è quella di vivere per annunciare Gesù. La grande opera e ragion d’essere di quegli uomini è stata solo di vivere  "ad maiorem Dei gloriam". Così, umilmente, lo è anche per me. Tutto il resto è la conseguenza di questa passione per Cristo che si esprime poi in passione per l’umanità di ogni persona che incontro. La storia delle reducciones è solo l’evidenza di cosa accade quando uno vive e vibra solo per Gesù; è lui che "ha fatto" e continua a fare, tenendo in piedi quest’opera che vive solo grazie alla Sua Divina Provvidenza. Ieri come oggi, il ricco come il povero hanno solo bisogno di sperimentare la convenienza della fede per la propria vita. Quindi il problema di cui gli antichi gesuiti son testimoni si può riassumere così: "La missione è un Fatto che posso incontrare adesso mentre scrivo: Gesù di Nazareth!". Senza questa certezza che nasce dalla propria carne afferrata da Gesù, diventiamo costruttori di rovine».

Nel suo libro si trova una bellissima definizione del cristianesimo: "La vita eterna, fin da ora". Cosa significa questo in un contesto come quello della sua missione?



«In Paraguay, in questi ultimi anni, il potere politico è stato occupato e permeato da una corrente della teologia della liberazione, guidata da un vescovo poi diventato presidente della Repubblica. La gente lo ha votato perché lo ha percepito come un nuovo Messia. Ma questo mi fa capire che l’unica cosa urgente è che esistano uomini, donne, pastori innamorati di Gesù. Constato tristemente che per tanti di noi questa coscienza è ancora lontana, con l’esito che in molti hanno abbandonato la Chiesa e sono passati alle sètte. Invece il cristianesimo autentico non nasce né dalla politica né dall’economia, ma solo da Gesù, che nel mio caso ha preso totalmente la mia vita, mi ha fatto Suo, usandomi come uno strumento per mostrare al mondo la sua misericordia, in particolare per quanti vivono abbandonati, soli o sui marciapiedi. La nostra clinica è come un porto di mare dove approda "ciò" che per il mondo è solo spazzatura».

Lorenzo Fazzini
AMDG et BVM