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giovedì 6 luglio 2017

Il Signore ne ha bisogno

"Venite e seguiteci! Il Signore ha bisogno di tutto il Suo Popolo. Ha bisogno di tutta la Sua Chiesa in cammino!"

Il Signore ne ha bisogno
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24 Giugno 2008 ~ Festa di
San Giovanni Battista

JNSR:   Se, un giorno, io fui scelta da Nostro Signore GESÙ Cristo per parlarvi nel Suo Santo Nome, fino da allora ho onorato la Sua scelta. È per voi tutti, fratelli e sorelle in Dio, che io ho detto Si al nostro Re, al nostro Dio d'Amore.

Il Suo desiderio è per me un ordine dolce e così tanto importante, che mi sono giudicata indegna, e mi sono considerata come il piccolo personaggio del giorno benedetto delle Palme e la più felice del mondo. Io servivo il Mio Re e continuo a servirlo.

 La folla gridava: «Osanna! Osanna!» e (Luca 19,18-39):

«... tutta la moltitudine dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
«Benedetto colui che viene,
il Re, nel Nome del Signore.
Pace in Cielo
e Gloria nel più alto dei Cieli!»

GESÙ Cristo andava da quella folla urlante e animata dall'euforia di un giorno di festa. Ancora oggi, noi facciamo la stessa cosa, noi, i cristiani, traboccanti di forza e di gioia, che si riuniscono per battere i piedi e urlare in bagni di folla, per manifestare la loro adesione a tutte quelle feste, come i festival della musica o per accogliere i divi della canzone...

No! Non sono così intrepidi quando dovrebbero assistere alla Messa del Signore, nemmeno per il giorno di Natale o di Pasqua! Si dice che bisogna mettersi al loro posto o nei loro panni. Ma chi si mette al posto di quelli che muoiono di fame e di freddo? Ebbene, il Signore vi aspetta perché voi non potete nemmeno immaginare quale significato avessero le parole che Egli diceva alla Sua città, a Gerusalemme (Luca 19, 41-44):

«Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace! Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee e ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte, abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata.»

Che occorre ancora per avvertirvi che i nostri Paesi, tutti o quasi tutti, su questa Terra, oggi, sono peggiori di Gerusalemme al tempo di Cristo. Che troverà Nostro Signore al Suo Ritorno? Che resterà dei nostri PAESI che non vogliono più sentir parlare di DIO?

Oggi, per parlarvi e per avvertirvi, io sono felice di prendere il posto di quel "personaggio”, che ha giocato un grande ruolo in quel giorno benedetto delle Palme. E quel “personaggio” è l’asinello, che ha prestato il suo dorso al Re dei re, a DIO, per entrare a Gerusalemme, la città ingrata, che non sapeva fare altro che gridare, con tutti i suoi abitanti, in un giorno di esultanza: «Benedetto Colui che viene nel Nome del Signore!» Ma GESÙ previene i Farisei (Luca 19, 39-40):


«Alcuni Farisei tra la folla gli dissero: Maestro, rimprovera i tuoi discepoli. Ma Egli rispose: Vi dico che se questi taceranno, grideran­no le pietre.»

Ed io, JNSR, vi dico che nel “Giorno di GESÙ”, sarà la vostra anima che si ricorderà di tutte le vostre omissioni, e il vostro Angelo sarà là, in quel momento, per ricordarvi tutta la lista. Gli Angeli conservano la memoria che Dio affida loro: nulla sfuggirà a Dio.

Le pietre di cui parla GESÙ, oggi sono le colate di fango, sono le acque furiose che si ribellano e che, a loro modo, gridano la loro pena nel vedere cosi tanta e tanta disobbedienza al Nostro Dio, Creatore del cielo e della Terra e di tutto quanto vi è in essa.

Il Signore ha bisogno di ognuno di noi: OGNUNO NEL SUO POSTO! Si può camminare e Pregare. Si può Pregare e scuotere tutti questi alberi morti che sbarrano il passaggio a quelli che vogliono camminare e trasci­nare i fratelli, che non attendono altro che questo: "Venite e seguiteci! Il Signore ha bisogno di tutto il Suo Popolo. Ha bisogno di tutta la Sua Chiesa in cammino!"

Certamente lo Spirito Santo deve darci il Segnale. Ma non bisognerà, forse, implorarlo prima, sollevando le braccia al Cielo: "Vieni, Spirito di Dio! Vieni, Spirito di Luce!“ Cantate DIO cucinando o facendo pulizia nelle vostre case...

Perché una vedette dovrebbe meritare più dello Spirito Creatore che attende solo la nostra voce, quella voce che viene dal cuore? È un SOS. Perché tutto piange, tutto geme nell'attesa del Nostro Creatore, e noi ci struggiamo dietro a quella meravigliosa nascita che DIO ci ha promesso.

Prima che la Chiesa sia restaurata e conforme alla Santa Volontà di GESÙ Cristo, tutti i Preti entreranno nel grande Ministero della Sofferenza d'AMORE quando sarà chiesto ad ognuno di loro (Mt 20, 21-23):

«Potete voi bere la coppa che Io devo bere? » ... «Ed egli soggiunse: il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre Mio.»

Sì, i posti devono essere guadagnati con l'Amore.
Parole di Cristo GESÙ.

AMDG et BVM

mercoledì 17 agosto 2016

STA A VOI LAICI

FULTON SHEEN: CHI SALVERÀ LA CHIESA? NON PENSATE AI SACERDOTI. NON PENSATE AI VESCOVI. STA A VOI, LAICI

Fulton Sheen: chi salverà la Chiesa? Non pensate ai sacerdoti. Non pensate ai vescovi. Sta a voi, laici
«Chi salverà la Chiesa? Non pensate ai sacerdoti. Non pensate ai vescovi. Sta a voi, laici. Sta a voi ricordare ai sacerdoti di essere sacerdoti e ai vescovi di essere vescovi». 
Arcivescovo Fulton Sheen (1875-1979) 



AMDG et BVM

domenica 10 luglio 2016

Il regno

"Sì Maria Te solo bramo
pongo in Te ogni speranza
e quel viver che m'avanza
a Te voglio consacrar"
107. 
Gesù disse: "Il regno è come un pastore che aveva cento pecore. 

Una di loro, la più grande, si smarrì. 

Lui lasciò le altre novantanove e la cercò fino a trovarla. 

Dopo aver faticato tanto le disse: 'Mi sei più cara tu di tutte le altre novantanove.'"

AVE MARIA!

lunedì 13 luglio 2015

Sana virilità

Don Elia. Ascolta figlio...

Ausculta, o fili, praecepta magistri…
(san Benedetto abate)

Nessun vantaggio per noi dal meditare la Parola del Signore e dal nutrirci del Suo Corpo e Sangue, se poi non ne viviamo nell’esistenza di ogni giorno; tanta grazia e degnazione nei nostri confronti deve pur produrre, con la nostra cooperazione, un effetto di santificazione: «Portate dunque un frutto degno della conversione» (Mt 3, 8). Ma com’è difficile riconoscere, momento per momento, la volontà di Dio! A seconda delle singole inclinazioni di carattere, oscilliamo dal lassismo più permissivo al rigore più scrupoloso, con tutto un ventaglio di atteggiamenti che, salvo quello equilibrato, sono espressione della nostra natura ferita o dei suggerimenti menzogneri del demonio. Quest’ultimo, con quanti sono avviati sulla via del bene, si trasforma spesso in angelo di luce per spingerli a rovinosi eccessi o in falso paraclito per giustificarne i cedimenti; una volta ottenuto lo scopo, in ogni caso, si manifesta per quello che è: implacabile accusatore.

Ecco perché ci è così necessario un maestro di vita interiore che ci insegni a discernere fra i movimenti dell’anima e ad individuarne l’origine: così potremo distinguere tra ciò che viene realmente da Dio e ciò che invece nasce dalla nostra psiche o è insinuazione del nemico. Sia ben chiaro: a nessun risultato potremo mai pervenire in questo campo senza aver dapprima conformato la nostra vita e i nostri atti all’universale volontà divina, valida per tutti in ogni circostanza ed espressa nei Comandamenti come la Chiesa li ha sempre spiegati e applicati. Ciò che la legge morale proibisce va escluso a priori dall’orizzonte delle possibili scelte e non dev’essere mai fatto da nessuno, per nessun motivo e in nessuna situazione; le nostre orecchie siano sorde a qualsiasi discorso “teologico” o “pastorale” che apra surrettiziamente spiragli all’immoralità, soprattutto in materia grave, se non vogliamo farci trascinare nel baratro dell’incosciente suicidio collettivo in cui si è gettata la società moderna.

La scelta della guida spirituale richiede a sua volta acuto discernimento; per questo è necessaria una preghiera insistente, pressante, offerta con forti grida e lacrime (Eb 5, 7), sostenuta da opere di carità e, se possibile, culminante in un pellegrinaggio: il Signore non farà mancare la Sua risposta. È evidente che tocca pure a ciascuno esprimere il proprio giudizio mediante l’esercizio della ragione e del sensus fidei: un direttore di coscienza che non sia cristallino nella sua fedeltà alla dottrina definita o manifesti cedimenti sul piano morale va subito scartato, a prescindere da qualsiasi altra considerazione; sarebbe come affidare la propria salute ad un medico incompetente. Certo, molti risponderanno che questa, oggi, è merce rarissima: ne convengo pienamente, ma proprio per questo rinnovo il mio invito ai sacerdoti a segnalarsi e i fedeli stessi a far loro conoscere la parrocchia virtuale. È anche possibile collaborare senza iscriversi sulla lista, ma offrendo semplicemente la propria disponibilità a ricevere persone della zona da me indirizzate.

Un’insidia particolarmente sottile, anche per sacerdoti molto sinceri e ben formati, è quella di cui ho dovuto prender coscienza io stesso nel corso degli anni. Non mi riferisco allo spontaneismo grezzo che impazza da decenni in parrocchie, associazioni e movimenti; chiunque abbia iniziato un vero cammino spirituale sa bene che, per la nostra natura corrotta, ciò che è spontaneo è l’egoismo e il peccato, mentre la virtù e l’amore richiedono una lunga purificazione e un paziente allenamento. Penso piuttosto a quell’illusione, così diffusa, che spinge a guardare subito alle vette senza prima aver risollevato la persona dal pantano della valle – in altre parole, senza averne prima verificato le condizioni morali e la vita di preghiera. Chiudere una ferita senza purgarla è il miglior modo perché l’infezione si diffonda fino a provocare la morte… in questo caso dell’anima. Senza aver almeno cominciato a correggere le cattive abitudini e a combattere vizi e peccati, non si va da nessuna parte nel mondo dello spirito, ma si nutrono soltanto orgoglio e presunzione. Non si affronta una scalata con le gambe rotte, né si attacca in prima linea se il nemico è nelle retrovie.

Un vero padre, in vista del loro bene, non risparmia ai suoi figli lotte e sudori. Va anzitutto bandita con decisione quella tenerezza morbosa – e in fondo egoistica e peccaminosa – che non fa maturare i piccoli e fa regredire i grandi, ma che nell’odierna società ha contaminato le relazioni di ogni genere o quasi. Una sana virilità incute generalmente timore, anziché infondere fiducia e sicurezza; ad attrarre è per lo più quella malintesa virilità violenta, propinata da cinema e videogiochi, che è piuttosto una reazione alla paura e alla frustrazione. Un atteggiamento fermo e deciso viene spesso percepito e giudicato come troppo rigido e severo da chi vorrebbe unicamente conferme che lo esimessero dal rimettersi in discussione; ma non per questo bisogna rinunciare – almeno con chi è abbastanza intelligente da accettarle – a porre esigenze morali e opportune proibizioni di quanto è dannoso. Ciò risulta più facile con i bambini, almeno con quelli non ancora troppo guastati dagli stessi genitori e dall’ambiente sociale; con i giovani e gli adulti è meglio mettere in chiaro le cose fin dall’inizio, per evitare di perdere tempo e di farne perdere.

Certo, non si può non tener conto del fatto che nella cultura attuale, dopo la demolizione della pedagogia tradizionale e l’imposizione di teorie educative aberranti, non si possono applicare tali e quali i metodi del passato, che sono improponibili alla nostra debolezza; bisogna tuttavia coglierne i princìpi ispiratori e le dinamiche metodologiche per adattarli con equilibrio alle necessità di oggi. Il ricorso ai vecchi trattati di ascetica, di primo acchito, provoca un’acuta e dolorosa consapevolezza delle altezze da cui siamo precipitati; ma, senza scoraggiarsi troppo presto, fa bene inoltrarvisi a poco a poco per distillarne almeno gli elementi essenziali, indispensabili per ricostruirsi una sana disciplina. Che parola desueta! Eppure qualunque sportivo vi si sottopone per poter sviluppare le proprie capacità fisiche e ottenere dei risultati… Se tenessimo alla salute dell’anima almeno quanto a quella del corpo, quali diete e privazioni non le infliggeremmo! «Il Regno di Dio soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11, 12).

Cerca dunque un buon maestro per ascoltare i suoi precetti e, soprattutto, per metterli in pratica. In attesa di trovarne uno reale, puoi anche reperirne uno virtuale procurandoti il libro di un certo fra’ Semplice, intitolato Il setaccio, nel catalogo in linea delle Edizioni Segno; puoi altresì scrivere all’autore all’indirizzo di posta elettronica riportato dietro il frontespizio. Non sarà come aprire il cuore, di presenza, ad uno starec che ti legge nell’anima e ti risponde proprio quella parola che avevi bisogno di ricevere; ma per cominciare è già qualcosa… Se poi la Provvidenza vorrà, potrai fare la sua conoscenza o – se avrai pregato con tutto il cuore – trovare un angelo in carne e ossa vicino a casa tua, là dove Dio ti ha posto a far brillare la Sua luce in questo mondo tenebroso che Lo rifiuta, ma non sa di averne una nostalgia indicibile.

giovedì 29 gennaio 2015

San Francesco di Sales: “Dieu est le Dieu du coeur humain” [Dio è il Dio del cuore umano]


BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 2 marzo 2011

San Francesco di Sales

Cari fratelli e sorelle,

“Dieu est le Dieu du coeur humain” [Dio è il Dio del cuore umano] (Trattato dell’Amore di Dio, I, XV): in queste parole apparentemente semplici cogliamo l’impronta della spiritualità di un grande maestro, del quale vorrei parlarvi oggi, san Francesco di Sales, Vescovo e Dottore della Chiesa. Nato nel 1567 in una regione francese di frontiera, era figlio del Signore di Boisy, antica e nobile famiglia di Savoia. Vissuto a cavallo tra due secoli, il Cinquecento e il Seicento, raccolse in sé il meglio degli insegnamenti e delle conquiste culturali del secolo che finiva, riconciliando l’eredità dell’umanesimo con la spinta verso l’assoluto propria delle correnti mistiche. La sua formazione fu molto accurata; a Parigi fece gli studi superiori, dedicandosi anche alla teologia, e all’Università di Padova quelli di giurisprudenza, come desiderava il padre, conclusi in modo brillante, con la laurea in utroque iure, diritto canonico e diritto civile. 

Nella sua armoniosa giovinezza, riflettendo sul pensiero di sant’Agostino e di san Tommaso d’Aquino, ebbe una crisi profonda che lo indusse a interrogarsi sulla propria salvezza eterna e sulla predestinazione di Dio nei suoi riguardi, soffrendo come vero dramma spirituale le principali questioni teologiche del suo tempo. Pregava intensamente, ma il dubbio lo tormentò in modo così forte che per alcune settimane non riuscì quasi del tutto a mangiare e dormire. 

Al culmine della prova, si recò nella chiesa dei Domenicani a Parigi, aprì il suo cuore e pregò così: “Qualsiasi cosa accada, Signore, tu che tieni tutto nella tua mano, e le cui vie sono giustizia e verità; qualunque cosa tu abbia stabilito a mio riguardo …; tu che sei sempre giusto giudice e Padre misericordioso, io ti amerò, Signore […], ti amerò qui, o mio Dio, e spererò sempre nella tua misericordia, e sempre ripeterò la tua lode… O Signore Gesù, tu sarai sempre la mia speranza e la mia salvezza nella terra dei viventi” (I Proc. Canon., vol I, art 4). Il ventenne Francesco trovò la pace nella realtà radicale e liberante dell’amore di Dio: amarlo senza nulla chiedere in cambio e confidare nell’amore divino; non chiedere più che cosa farà Dio con me: io lo amo semplicemente, indipendentemente da quanto mi dà o non mi dà. Così trovò la pace, e la questione della predestinazione - sulla quale si discuteva in quel tempo – era risolta, perché egli non cercava più di quanto poteva avere da Dio; lo amava semplicemente, si abbandonava alla Sua bontà. E questo sarà il segreto della sua vita, che trasparirà nella sua opera principale: il Trattato dell’amore di Dio.

Vincendo le resistenze del padre, Francesco seguì la chiamata del Signore e, il 18 dicembre 1593, fu ordinato sacerdote. Nel 1602 divenne Vescovo di Ginevra, in un periodo in cui la città era roccaforte del Calvinismo, tanto che la sede vescovile si trovava “in esilio” ad Annecy. Pastore di una diocesi povera e tormentata, in un paesaggio di montagna di cui conosceva bene tanto la durezza quanto la bellezza, egli scrive: “[Dio] l’ho incontrato pieno di dolcezza e soavità fra le nostre più alte e aspre montagne, ove molte anime semplici lo amavano e adoravano in tutta verità e sincerità; e caprioli e camosci correvano qua e là tra i ghiacci spaventosi per annunciare le sue lodi” (Lettera alla Madre di Chantal, ottobre 1606, in Oeuvres, éd. Mackey, t. XIII, p. 223). 

E tuttavia l’influsso della sua vita e del suo insegnamento sull’Europa dell’epoca e dei secoli successivi appare immenso. E’ apostolo, predicatore, scrittore, uomo d’azione e di preghiera; impegnato a realizzare gli ideali del Concilio di Trento; coinvolto nella controversia e nel dialogo con i protestanti, sperimentando sempre più, al di là del necessario confronto teologico, l’efficacia della relazione personale e della carità; incaricato di missioni diplomatiche a livello europeo, e di compiti sociali di mediazione e di riconciliazione. 
Ma soprattutto san Francesco di Sales è guida di anime: dall’incontro con una giovane donna, la signora di Charmoisy, trarrà spunto per scrivere uno dei libri più letti nell’età moderna, l’Introduzione alla vita devota; dalla sua profonda comunione spirituale con una personalità d’eccezione, santa Giovanna Francesca di Chantal, nascerà una nuova famiglia religiosa, l’Ordine della Visitazione, caratterizzato – come volle il Santo – da una consacrazione totale a Dio vissuta nella semplicità e umiltà, nel fare straordinariamente bene le cose ordinarie: “… voglio che le mie Figlie – egli scrive – non abbiano altro ideale che quello di glorificare [Nostro Signore] con la loro umiltà” (Lettera a mons. de Marquemond, giugno 1615). Muore nel 1622, a cinquantacinque anni, dopo un’esistenza segnata dalla durezza dei tempi e dalla fatica apostolica.

Quella di san Francesco di Sales è stata una vita relativamente breve, ma vissuta con grande intensità. Dalla figura di questo Santo emana un’impressione di rara pienezza, dimostrata nella serenità della sua ricerca intellettuale, ma anche nella ricchezza dei suoi affetti, nella “dolcezza” dei suoi insegnamenti che hanno avuto un grande influsso sulla coscienza cristiana. Della parola “umanità” egli ha incarnato diverse accezioni che, oggi come ieri, questo termine può assumere: cultura e cortesia, libertà e tenerezza, nobiltà e solidarietà. Nell’aspetto aveva qualcosa della maestà del paesaggio in cui è vissuto, conservandone anche la semplicità e la naturalezza. Le antiche parole e le immagini in cui si esprimeva suonano inaspettatamente, anche all’orecchio dell’uomo d’oggi, come una lingua nativa e familiare.


A Filotea, l’ideale destinataria della sua Introduzione alla vita devota (1607), Francesco di Sales rivolge un invito che poté apparire, all’epoca, rivoluzionario. E’ l’invito a essere completamente di Dio, vivendo in pienezza la presenza nel mondo e i compiti del proprio stato. “La mia intenzione è di istruire quelli che vivono nelle città, nello stato coniugale, a corte […]” (Prefazione alla Introduzione alla vita devota). Il Documento con cui Papa Pio IX, più di due secoli dopo, lo proclamerà Dottore della Chiesa insisterà su questo allargamento della chiamata alla perfezione, alla santità. Vi è scritto:“[la vera pietà] è penetrata fino al trono dei re, nella tenda dei capi degli eserciti, nel pretorio dei giudici, negli uffici, nelle botteghe e addirittura nelle capanne dei pastori […]” (Breve Dives in misericordia, 16 novembre 1877). 

 Nasceva così quell’appello ai laici, quella cura per la consacrazione delle cose temporali e per la santificazione del quotidiano su cui insisteranno il Concilio Vaticano II e la spiritualità del nostro tempo. Si manifestava l’ideale di un’umanità riconciliata, nella sintonia fra azione nel mondo e preghiera, fra condizione secolare e ricerca di perfezione, con l’aiuto della Grazia di Dio che permea l’umano e, senza distruggerlo, lo purifica, innalzandolo alle altezze divine. A Teotimo, il cristiano adulto, spiritualmente maturo, al quale indirizza alcuni anni dopo il suo Trattato dell’amore di Dio (1616), san Francesco di Sales offre una lezione più complessa. Essa suppone, all’inizio, una precisa visione dell’essere umano, un’antropologia: la “ragione” dell’uomo, anzi l’“anima ragionevole”, vi è vista come un’architettura armonica, un tempio, articolato in più spazi, intorno ad un centro, che egli chiama, insieme con i grandi mistici, “cima”, “punta” dello spirito, o “fondo” dell’anima. E’ il punto in cui la ragione, percorsi tutti i suoi gradi, “chiude gli occhi” e la conoscenza diventa tutt’uno con l’amore (cfr libro I, cap. XII). Che l’amore, nella sua dimensione teologale, divina, sia la ragion d’essere di tutte le cose, in una scala ascendente che non sembra conoscere fratture e abissi, san Francesco di Sales lo ha riassunto in una celebre frase: “L’uomo è la perfezione dell’universo; lo spirito è la perfezione dell’uomo; l’amore è quella dello spirito, e la carità quella dell’amore” (ibid., libro X, cap. I).

In una stagione di intensa fioritura mistica, il Trattato dell’amore di Dio è una vera e propria summa, e insieme un’affascinante opera letteraria. La sua descrizione dell’itinerario verso Dio parte dal riconoscimento della “naturale inclinazione” (ibid., libro I, cap. XVI), iscritta nel cuore dell’uomo pur peccatore, ad amare Dio sopra ogni cosa. Secondo il modello della Sacra Scrittura, san Francesco di Sales parla dell’unione fra Dio e l’uomo sviluppando tutta una serie di immagini di relazione interpersonale. Il suo Dio è padre e signore, sposo e amico, ha caratteristiche materne e di nutrice, è il sole di cui persino la notte è misteriosa rivelazione. Un tale Dio trae a sé l’uomo con vincoli di amore, cioè di vera libertà: “poiché l’amore non ha forzati né schiavi, ma riduce ogni cosa sotto la propria obbedienza con una forza così deliziosa che, se nulla è forte come l’amore, nulla è amabile come la sua forza” (ibid., libro I, cap. VI). 

Troviamo nel trattato del nostro Santo una meditazione profonda sulla volontà umana e la descrizione del suo fluire, passare, morire, per vivere (cfr ibid., libro IX, cap. XIII) nel completo abbandono non solo alla volontà di Dio, ma a ciò che a Lui piace, al suo “bon plaisir”, al suo beneplacito (cfr ibid., libro IX, cap. I). All’apice dell’unione con Dio, oltre i rapimenti dell’estasi contemplativa, si colloca quel rifluire di carità concreta, che si fa attenta a tutti i bisogni degli altri e che egli chiama “estasi della vita e delle opere” (ibid., libro VII, cap. VI).

Si avverte bene, leggendo il libro sull’amore di Dio e ancor più le tante lettere di direzione e di amicizia spirituale, quale conoscitore del cuore umano sia stato san Francesco di Sales. A santa Giovanna di Chantal, a cui scrive: “[…] Ecco la regola della nostra obbedienza che vi scrivo a caratteri grandi: FARE TUTTO PER AMORE, NIENTE PER FORZA - AMAR PIÙ L’OBBEDIENZA CHE TEMERE LA DISOBBEDIENZA. Vi lascio lo spirito di libertà, non già quello che esclude l’obbedienza, ché questa è la libertà del mondo; ma quello che esclude la violenza, l’ansia e lo scrupolo” (Lettera del 14 ottobre 1604). Non per niente, all’origine di molte vie della pedagogia e della spiritualità del nostro tempo ritroviamo proprio la traccia di questo maestro, senza il quale non vi sarebbero stati san Giovanni Bosco né l’eroica “piccola via” di santa Teresa di Lisieux.

Cari fratelli e sorelle, in una stagione come la nostra che cerca la libertà, anche con violenza e inquietudine, non deve sfuggire l’attualità di questo grande maestro di spiritualità e di pace, che consegna ai suoi discepoli lo “spirito di libertà”, quella vera, al culmine di un insegnamento affascinante e completo sulla realtà dell’amore. San Francesco di Sales è un testimone esemplare dell’umanesimo cristiano; con il suo stile familiare, con parabole che hanno talora il colpo d’ala della poesia, ricorda che l’uomo porta iscritta nel profondo di sé la nostalgia di Dio e che solo in Lui trova la vera gioia e la sua realizzazione più piena.

venerdì 25 luglio 2014

Domenica 27 Luglio 2014, XVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A: Matteo 13,44-52.



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 27 Luglio 2014, XVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 13,44-52.
Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose;
trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci.
Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi.
Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni
e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì».
Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 239 pagina 73.

1 Sono tutti riuniti nella vasta stanza superiore. Il temporale violento si è risolto in una pioggia persistente, che ora si fa lieve fin quasi a sospendere e ora infittisce con improvvisa furia. Il lago non è certo azzurro oggi, ma giallastro, con strie di spume nei momenti di vento e acquazzone, grigio plumbeo con spume bianche nelle soste dell’acquazzone. Le colline, tutte grondanti d’acqua, con le fronde ancora piegate da tanto che sono molli di pioggia, con qualche ramo che pende spezzato dal vento e molte foglie strappate dalla grandine, mostrano righe di ruscelli da ogni parte, acque giallognole che riversano nel lago foglie, sassi, terra rapita alle chine. La luce è rimasta offuscata, verdognola.
Nella stanza sono, sedute presso una finestra che guarda le colline, Maria con Marta e la Maddalena, più due altre donne che non so di preciso chi siano. Ma ho l’impressione che siano già conosciute da Gesù e Maria e dagli apostoli, perché sono a loro agio. Certo più della Maddalena, che sta ferma ferma, a capo chino, fra la Vergine e Marta. 
Gli abiti riasciugati alla fiamma, spazzolati dal fango, sono stati rimessi. Ma dico male. È stato indossato dalla Vergine il suo di lana azzurro cupo. Ma la Maddalena ha una veste di imprestito, corta e stretta per lei alta e formosa, e cerca di riparare alle manchevolezze della veste stando avvolta nel mantello della sorella. Si è raccolta i capelli in due grosse trecce annodandosele sulla nuca in qualche modo, perché per sostenere quel peso ci vuole ben più delle poche forcine racimolate lì per lì. Infatti, dopo, io ho sempre visto che la Maddalena aiuta le forcine con un nastrino che le fa quasi un diadema sottile, perdendosi col suo colore paglia nell’oro dei capelli. 
Nell’altro lato della stanza, seduti chi su sgabelli, chi sui davanzali delle finestre, sono Gesù con gli apostoli e il padrone di casa. Manca il servo di Marta. Pietro e gli altri pescatori studiano il tempo, facendo pronostici per il domani. Gesù ascolta, oppure risponde a questo e a quello. 
«Ad averlo saputo, di questo, avrei detto a mia madre di venire. È bene che la donna sia messa subito a suo agio con le compagne» dice Giacomo di Zebedeo sbirciando verso le donne. 
«Eh! Ad averlo saputo!… 

2 Ma perché poi la mamma non è venuta con Maria?» chiede il Taddeo al fratello Giacomo. 
«Non lo so. Me lo chiedo anche io». 
«Non si sentirà male?». 
«Maria lo avrebbe detto». 
«Io glielo chiedo», e il Taddeo va dalle donne. 
Si sente la voce limpida di Maria rispondere: «Sta bene. Sono stata io che le ho evitato uno strapazzo con questo caldo. Siamo scappate come due bambine, non è vero, Maria? Maria è venuta a sera oscura e all’alba siamo partite. Non ho che detto ad Alfeo: “Ecco la chiave. Tornerò presto. Dillo a Maria”. E sono venuta».

3«Torneremo insieme, Madre. Non appena il tempo sarà buono e Maria avrà una veste, noi andremo, tutti insieme, per la Galilea, accompagnando le sorelle fino alla via più sicura. Così saranno conosciute anche da Porfirea, da Susanna, dalle vostre mogli e figlie, Filippo e Bartolomeo». 
È squisito quel dire: «saranno conosciute», per non dire: «Maria sarà conosciuta»! È forte, anche. E abbatte tutte le prevenzioni e restrizioni mentali degli apostoli verso la redenta. La impone, vincendo le riluttanze di loro, le vergogne di lei, tutto. Marta splende nel viso, Maria Maddalena avvampa e ha uno sguardo supplice, riconoscente, turbato, che so?… Maria Ss. ha il suo sorriso soave. 

«Dove andremo per primo luogo, Maestro?». 
«A Betsaida. Poi per Magdala, Tiberiade, Cana, a Nazaret. Di lì per Jafia e Semeron, andremo a Betlem di Galilea e poi a Sicaminon e a Cesarea…». 
Gesù è interrotto da uno scoppio di pianto della Maddalena. Alza il capo, la guarda e poi riprende come nulla fosse: «A Cesarea troverete il vostro carro. Ho ordinato così al servo, e andrete a Betania. Ci rivedremo poi, ai Tabernacoli». 
Maddalena si riprende presto e non risponde alle domande della sorella, ma esce dalla stanza ritirandosi forse in cucina per qualche tempo. 
«Maria soffre, Gesù, nel sentire che deve venire in certe città. Bisogna capirla… Lo dico più per i discepoli che per Te, Maestro» dice umile ed affannata Marta. 
«È vero, Marta. Ma così deve avvenire. Se ella non affronta subito il mondo e non strozza quell’orrendo aguzzino del rispetto umano, rimane paralizzata la sua eroica conversione. Subito e con noi». 

4«Con noi nessuno le dirà nulla. Te lo assicuro, Marta, anche per tutti i compagni miei» promette Pietro. 
«Ma certo! La circonderemo come una sorella. Così ha detto Maria che ella è, e così sarà per noi» conferma il Taddeo. 
«E poi!… Siamo tutti peccatori e il mondo non ci ha risparmiato neppure noi. Comprendiamo perciò le sue lotte» dice lo Zelote. 
«Io più di tutti la capisco. Nei posti dove peccammo è molto meritorio vivere. Le persone sanno chi siamo!… È una tortura. Ma è anche una giustizia e una gloria resistere lì. Appunto perché è palese in noi la potenza di Dio, noi siamo oggetto di conversioni anche senza usare le parole». Dice Matteo. 
«Tu vedi, Marta, che tua sorella è compresa da tutti e amata da tutti. E lo sarà sempre di più. Lei diverrà un segno indicatore per tante anime colpevoli e pavide. È una grande forza anche per i buoni. Perché Maria, quando avrà frantumato le ultime catene della sua umanità, sarà un fuoco d’amore. Non ha che cambiato direzione all’esuberanza del suo sentimento. Ha riportato questa sua potente facoltà di amare in un piano soprannaturale. E ivi compierà prodigi. Ve lo assicuro. Ora è ancora turbata. Ma la vedrete giorno per giorno pacificarsi e irrobustirsi nella sua nuova vita. In casa di Simone ho detto: “Molto le è perdonato perché molto ella ama.” Ora vi dico che in verità tutto le sarà perdonato perché ella amerà con tutta la sua forza, la sua anima, il suo pensiero, il suo sangue, la sua carne, fino all’olocausto, il suo Dio». 
«Lei beata che merita queste parole! Vorrei meritarle anche io» sospira Andrea. 
«Tu? Ma tu le meriti già! 

5 Vieni qui, mio pescatore. Ti voglio raccontare una parabola che pare pensata proprio per te». 
«Maestro, attendi. Vado a prendere Maria. Desidera tanto sapere la tua dottrina!…». 
Mentre Marta esce, gli altri dispongono i sedili in modo da fare un semicerchio intorno a quello di Gesù. Tornano le due sorelle e riprendono posto vicino a Maria Ss. 


Gesù inizia a parlare: 
«Dei pescatori uscirono al largo e gettarono nel mare la loro rete, e dopo il tempo dovuto la tirarono a bordo. Con molta fatica compivano così il loro lavoro per ordine di un padrone che li aveva incaricati di fornire di pesce prelibato la sua città, dicendo loro anche: “Però quei pesci che sono nocivi o scadenti non state neppure a trasportarli a terra. Ributtateli in mare. Altri pescatori li pescheranno e, poiché sono pescatori di un altro padrone, li porteranno alla città dello stesso, perché là si consuma ciò che è nocivo e che rende sempre più orrida la città del mio nemico. Nella mia, bella, luminosa, santa, non deve entrare nulla di malsano”. 

Tirata perciò a bordo la rete, i pescatori iniziarono il lavoro di cernita. I pesci erano molti, di diverso aspetto, grossezza e colore. Ve ne erano di bell’aspetto, ma con una carne piena di spine, dal cattivo sapore, dal grosso buzzo pieno di fanghiglia, di vermi, di erbe marce che aumentavano il sapore cattivo della carne del pesce. Altri invece erano di brutto aspetto, un muso che pareva il ceffo del delinquente o di un mostro da incubo, ma i pescatori sapevano che la loro carne è squisita. Altri, per essere insignificanti, passavano inavvertiti. I pescatori lavoravano, lavoravano. Le ceste erano colme di pesce squisito ormai e nella rete erano i pesci insignificanti. “Ormai basta. Le ceste sono colme. Gettiamo tutto il resto a mare” dissero molti pescatori. 
Ma uno, che poco aveva parlato, mentre gli altri avevano magnificato o deriso ogni pesce che capitava loro fra le mani, rimase a frugare nella rete e tra la minutaglia insignificante scoperse ancora due o tre pesci, che mise al di sopra di tutti nelle ceste. “Ma che fai?” chiesero gli altri. “Le ceste sono complete, belle. Tu le sciupi mettendovi sopra per traverso quel povero pesce lì. Sembra che tu lo voglia celebrare come il più bello”. “Lasciatemi fare. Io conosco questa razza di pesci e so che rendimento e che piacere danno”. 

Questa è la parabola, che finisce con la benedizione del padrone al pescatore paziente, esperto e silenzioso, che ha saputo discernere fra la massa i migliori pesci. 

6  Ora udite l’applicazione di essa. 

Il padrone della città bella, luminosa e santa è il Signore. La città è il Regno dei Cieli. I pescatori, i miei apostoli. I pesci del mare, l’umanità nella quale è presente ogni categoria di persone. I pesci buoni, i santi. 
Il padrone della città orrida è Satana. La città orrida, l’Inferno. I suoi pescatori, il mondo, la carne, le passioni malvagie incarnate nei servi di Satana sia spirituali, ossia demoni, sia umani, ossia uomini che sono i corruttori dei loro simili. I pesci cattivi, l’umanità non degna del Regno dei Cieli: i dannati. 

Fra i pescatori delle anime per la Città di Dio ci saranno sempre quelli che emuleranno la capacità paziente del pescatore che sa perseverare nella ricerca, proprio negli strati dell’umanità, dove altri suoi compagni, più impazienti, hanno levato solo le bontà che appaiono tali a prima vista. E vi saranno purtroppo anche pescatori che, per essere troppo svagati e ciarlieri, mentre il lavoro di cernita esige attenzione e silenzio per udire le voci delle anime e le indicazioni soprannaturali, non vedranno pesci buoni e li perderanno. E vi saranno quelli che per troppa intransigenza respingono anche anime che non sono perfette nell’aspetto esteriore ma ottime per tutto il resto. 

Che vi importa se uno dei pesci che catturate per Me mostra i segni di lotte passate, presenta mutilazioni prodotte da tante cause, se poi queste non ledono il suo spirito? Che vi importa se uno di questi, per liberarsi dal Nemico, si è ferito e si presenta con queste ferite, se il suo interno mostra la sua chiara volontà di voler essere di Dio? Anime provate, anime sicure. Più di quelle che sono come infanti salvaguardati dalle fasce, dalla cuna e dalla mamma, e che dormono sazi e buoni, o sorridono tranquilli, ma che però possono in seguito, con la ragione e l’età, e le vicende della vita che avanzano, dare dolorose sorprese di deviazioni morali. 

7 Vi ricordo la parabola del figliuol prodigo. Altre ne udrete perché sempre Io mi studierò a infondervi un retto discernimento nel modo di vagliare le coscienze e di scegliere il modo con cui guidare le coscienze, che sono singole, ed ognuna, perciò, ha il suo speciale modo di sentire e di reagire alle tentazioni e agli insegnamenti. 
Non crediate facile l’essere cernitore di animi. Tutt’altro. Ci vuole occhio spirituale tutto luminoso di luce divina, ci vuole intelletto infuso di divina sapienza, ci vuole possesso delle virtù in forma eroica, prima fra tutte la carità. Ci vuole capacità di concentrarsi nella meditazione, perché ogni anima è un testo oscuro che va letto e meditato. Ci vuole unione continua con Dio, dimenticando tutti gli interessi egoisti. Vivere per le anime e per Dio. Superare prevenzioni, risentimenti, antipatie. Essere dolci come padri e ferrei come guerrieri. Dolci per consigliare e rincuorare. Ferrei per dire: “Ciò non è lecito, e non lo farai”. Perché, pensatelo bene, molte anime saranno gettate negli stagni infernali. Ma non saranno solo anime di peccatori. Anche anime di pescatori evangelici vi saranno: quelle di coloro che avranno mancato al loro ministero, contribuendo alla perdita di molti spiriti. 

Verrà il giorno - l’ultimo giorno della terra, il primo della Gerusalemme completata e eterna - in cui gli angeli, come i pescatori della parabola, separeranno i giusti dai malvagi, perché al comando inesorabile del Giudice i buoni passino al Cielo e i cattivi nel fuoco eterno. E allora sarà resa nota la verità circa i pescatori ed i pescati, cadranno le ipocrisie e apparirà il popolo di Dio quale è, coi suoi duci e i salvati dai duci. Vedremo allora che tanti, fra i più insignificanti all’esterno o i più malmenati all’esterno, sono gli splendori del Cielo, e che i pescatori quieti e pazienti sono quelli che più hanno fatto, splendendo ora di gemme per quanti sono i loro salvati. 
La parabola è detta e spiegata». 

8«E mio fratello?!… Oh! ma!…>> Pietro lo guarda, lo guarda… Poi guarda la Maddalena… 
«No, Simone. In quella io non ci ho merito. Il Maestro solo ha fatto» dice schietto Andrea. 
«Ma gli altri pescatori, quelli di Satana, prendono dunque gli avanzi?» chiede Filippo. 
«Tentano di prendere i migliori, gli animi capaci di maggior prodigio di Grazia, ed usano degli stessi uomini per farlo, oltre che delle loro tentazioni. Ce ne sono tanti nel mondo che per un piatto di lenticchie rinunciano alla primogenitura!». 

«Maestro, l’altro giorno Tu dicevi che molti sono quelli che si lasciano sedurre da cose del mondo. Sarebbero ancora quelli che pescano per Satana?» chiede Giacomo d’Alfeo. 
«Si, fratello mio. In quella parabola l’uomo si lasciò sedurre dal molto denaro che poteva dare molto godimento, perdendo ogni diritto al Tesoro del Regno. Ma in verità vi dico che su cento uomini, solo un terzo sa resistere alla tentazione dell’oro o ad altre seduzioni, e di questo terzo solo la metà sa farlo in maniera eroica. Il mondo muore asfissiato per aggravarsi volontariamente dei lacci del peccato. Vale meglio essere spogli di tutto anziché avere ricchezze irrisorie e illusorie. Sappiate fare come i saggi gioiellieri, i quali, saputo che in un luogo è stata pescata una perla rarissima, non si preoccupano di trattenere tante piccole gioie nei loro forzieri, ma di tutto si liberano per acquistare quella perla meravigliosa».

«Ma allora perché Tu stesso metti delle differenze nelle missioni che dài alle persone che ti seguono, e dici che noi le missioni le dobbiamo tenere come dono di Dio? Allora bisognerebbe rinunciare anche a queste, perché anche queste sono briciole rispetto al Regno dei Cieli» dice Bartolomeo. 
«Non briciole: mezzi sono. Briciole sarebbero, meglio ancora, sarebbero festuche di paglia sudicia, se divenissero scopo umano nella vita. Quelli che armeggiano per avere un posto a scopo di utile umano fanno di quel posto, anche se santo, una festuca di paglia sudicia. Ma fatene una ubbidiente accettazione, un gioioso dovere, un totale olocausto, e ne farete una perla rarissima. La missione è un olocausto, se compiuta senza riserva, è un martirio, è una gloria. Gronda lacrime, sudore, sangue. Ma forma corona di eterna regalità». 

9«Tu sai proprio rispondere a tutto!». 

«Ma mi avete capito? Comprendete ciò che Io dico con paragoni trovati dalle cose di ogni giorno, illuminate però da una luce soprannaturale che ne fa spiegazione a cose eterne?». 
«Sì , Maestro». 

«Ricordatevi allora il metodo per istruire le turbe. Perché questo è uno dei segreti degli scribi e dei rabbi: ricordare. In verità vi dico che ognuno di voi, istruito nella sapienza di possedere il Regno dei Cieli, è simile ad un padre di famiglia che trae fuori del suo tesoro ciò che serve alla famiglia, usando cose antiche o cose nuove, ma tutte per l’unico scopo di procurare il benessere ai propri figli. L’acqua è cessata. Lasciamo in pace le donne e andiamo dal vecchio Tobia che sta per aprire i suoi occhi spirituali sulle albe dell’al di là. La pace a voi, donne».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/ 

martedì 8 luglio 2014

Il trionfo della Grazia


Narrerò ora solo un caso, dei  tanti che potrei riferire. Eccolo:

319 - Una sera passavo per la strada di una grande città spagnola. Mi si  avvicinò un bambino per chiedermi un'immaginetta e io gliela diedi. Il giorno  seguente celebrai la Messa molto presto nella solita chiesa per poi sedermi in  confessionale, perché c'era sempre molta gente che mi aspettava. Dopo la Messa  mi inginocchiai nel presbiterio per il ringraziamento, quando, poco dopo, mi si avvicinò un uomo alto, robusto, con lunghi baffi e folta barba, chiuso nel suo  mantello in modo che non si vedeva altro che il naso e la fronte. Gli occhi  teneva chiusi e il volto era coperto da peli di folte basette, dai baffi e  dalla barba, con il bavero del mantello rialzato, anche questo alto e peloso.  Con voce fioca e tremante mi disse che voleva confessarsi. Lo pregai di entrare  in sacrestia e che sarei a sua disposizione appena finito il ringraziamento. Sebbene al confessionale ci fossero già uomini e donne che aspettavano, ritenni di doverlo ascoltare separatamente, perché il suo aspetto mi aveva suggerito di  fare così, come feci. Entrai in sacrestia ove non c'era che quel signore e lo  condussi nell'angolo più appartato.

320 - Mi sedetti. Egli si inginocchiò e cominciò a piangere così  sconsolatamente, che non sapevo più cosa dirgli per calmarlo. Gli feci varie  domande per conoscere il motivo, finché, tra le lacrime e i sospiri, mi disse: Padre, ieri sera lei é passato per la via dove io abito; davanti alla porta  della mia casa le é venuto incontro un bambino per baciarle la mano e le ha  chiesto un santino. Il piccolo é rientrato in casa tutto contento, con quel  foglio nelle mani; lo ha poi lasciato sul tavolo per andare a giocare in strada  con gli altri bambini. Ero solo in casa, e sia per curiosità che per  passatempo, presi il foglietto e lo lessi. Ah, Padre, io non so ridire quello  che ho provato in quel momento. Ogni parola era per me una freccia che feriva  il mio cuore. Decisi di confessarmi. Ma mi son detto: giacché Dio si é valso di  lui per farti conoscere le tue miserie, da lui andrai a confessarti. Ho  passato tutta la notte nel pianto esaminando la mia coscienza, e ora eccomi  qui. Padre, sono un gran peccatore. Ho cinquant'anni, e da quando ero bambino  non mi sono più  confessato. Sono stato a capo di pessima gente. Padre, ci sarà perdono per me? - Sì, caro signore, sì. Si faccia coraggio e confidi nella misericordia di Dio.  Egli le ha fatto sentire la sua voce, lei non ha indurito il suo cuore e ha  preso la risoluzione di confessarsi subito. Ha agito bene. - Si confessò. Gli  detti l'assoluzione, e restò tanto contento e sereno, che lui stesso ne  stupiva.


321 - Ebbene, se i foglietti e le stampe non avessero prodotto altra  conversione che questa, io terrei per molto bene impiegato il lavoro e le spese  per la stampa. Però non é stato questo l'unico caso di conversione con  la lettura degli stampati che ho pubblicato. 

(dall'Autobiografia di sant'Antonio Maria Claret)
Videos: http://www.claret.org/it/node/13633

martedì 27 maggio 2014

«Gesù mio, misericordia!». «Fratello mio, una Messa vale più di tutti i tesori del mondo». «Se noi siamo convinti e abbiamo fatto l'esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna»


In occasione del suo viaggio in Angola, papa Benedetto XVI ha rilevato un'obiezione spesso fatta ai missionari del Vangelo: «Perché non lasciamo gli altri in pace? Essi hanno la loro verità ; e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com'è, perché realizzi nel modo migliore la propria identità ». Il Papa ha risposto: «Se noi siamo convinti e abbiamo fatto l'esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna» (Omelia nella chiesa di São Paulo di Luanda, 21 marzo 2009). Tra i predicatori che hanno preso sul serio questo dovere di annunciare la salvezza a tutti è San Leonardo da Porto Maurizio.

Il 20 dicembre 1676, a Porto Maurizio, sulla costa ligure, nel nord Italia, viene al mondo un bambino posto con il battesimo sotto il patrocinio dei Santi Paolo e Girolamo. Dirà in seguito di aver ricevuto la grazia di avere dei genitori molto bravi. La sua giovinezza è esemplare; trascina facilmente i compagni a pregare e a fare opere buone. Uno dei suoi autori spirituali preferiti è San Francesco di Sales di cui ha sempre con sé il libro Introduzione alla vita devota. Trova sostegno morale e spirituale negli incontri di giovani organizzati dai gesuiti e degli oratoriani; vi attinge un crescente fervore per la pratica delle virtù, accompagnato dal desiderio delle penitenze. Nei giorni di festa, percorre le strade e le piazze di Roma, e, sfidando lo sprezzo e gli insulti, esorta tutti coloro che vogliono ascoltarlo a recarsi a sentire i sermoni nelle chiese.


Parole che vanno diritto al cuore

Paolo Girolamo si sente chiamato allo stato religioso.  Il suo confessore lo stimola a intensificare la sua vita di preghiera e di penitenza per ottenere la grazia di conoscere la volontà di Dio. Un giorno, al vedere due religiosi vestiti poveramente e dall'atteggiamento modesto, Frati Minori Riformati del «Ritiro di San Bonaventura», sente nascere in sé il desiderio di abbracciare il loro genere di vita. Entrando nella chiesa del convento nel momento in cui i Fratelli iniziano la recita della Compieta, sente queste parole: « Convertici, Dio, nostra Salvezza ! » Queste parole gli vanno diritto al cuore e decide di chiedere la sua ammissione. Accolto nel noviziato, riceve, il 2 ottobre 1697, l'abito e il nome di Fra Leonardo. Un anno dopo, pronuncia i suoi voti. Il giovane religioso è l'edificazione di tutti, in particolare per la sua fedeltà alle osservanze, anche a quelle che sembrano più insignificanti. Egli ama dire: «Se, mentre siamo giovani, teniamo in poco conto le piccole cose e vi manchiamo volontariamente, quando saremo avanti negli anni e avremo più libertà, ci permetteremo di mancare ai punti più importanti».Zelante per gli studi sacri, insiste sulla necessità di acquisire nuove conoscenze per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Dopo la sua ordinazione sacerdotale, viene nominato professore di filosofia. Si ammala però gravemente. I suoi superiori lo mandano a Porto Maurizio, suo paese natale, ma questo cambiamento d'aria si rivela inefficace. Il giovane Padre supplica allora la Vergine Maria di ottenergli dal suo divin Figlio una salute robusta che dedicherà a guadagnare anime per il Cielo. La sua preghiera viene esaudita; l'infermità di cui soffre scompare completamente.
Nel 1708, padre Leonardo predica, non lontano da Porto Maurizio, la sua prima «missione popolare». Questo nome viene dato a una serie di sermoni predicati nel corso di diversi giorni o settimane, presso una parrocchia, da un sacerdote di passaggio. Queste missioni, allora in voga, portavano frutti abbondanti. Tradizionalmente, il predicatore prendeva per tema la necessità di convertirsi al Signore al fine di condurre una vita veramente cristiana per la salvezza della propria anima.

Nel nostro tempo, parlare della salvezza dell'anima non è più di moda. Il contesto culturale e le ideologie diffuse rinchiudono sempre più l'uomo all'interno delle realtà terrene: molti vivono solo per questo mondo e non pensano a ciò che segue la morte. Per altri, vi è certo «un'eternità» dopo la morte, ma la salvezza non costituisce un problema: si immagina che tutti senza distinzione vadano in Paradiso. Il risultato, in entrambi i casi, è la noncuranza per la salvezza delle anime.


La vera felicità


Ora, «Dio ci ha creati per conoscerlo, servirlo e amarlo, e così giungere in Paradiso... La beatitudine promessa ci pone di fronte alle scelte morali decisive. Essa ci invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l'amore di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità non si trova... in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore... Il Decalogo, il Discorso della Montagna e la catechesi apostolica ci descrivono le vie che conducono al Regno dei Cieli» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 1721-1724). Il Signore Gesù è venuto a rivelare agli uomini l'amore infinito del Padre che vuole che tutti siano salvati e partecipino alla sua vita divina in Cielo, ma Egli insiste anche sul fatto che gli uomini saranno giudicati secondo le loro opere e che coloro che non muoiono nell'amicizia divina non possiederanno la vita eterna. «Gesù parla ripetutamente della geenna, del fuoco inestinguibile, (cf. Mt 5,22.29; 13,42.50; Mt 9,43-48) che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo (cf. Mt 10,28). Gesù annunzia con parole severe che egli manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno (...) tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente (Mt 13,41-42), e che pronunzierà la condanna: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! (Mt 25,41). La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, «il fuoco eterno». La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira» (CCC, 1034-1035).

La considerazione dei Novissimi, cioè delle realtà ultime, è al cuore dell'insegnamento di padre Leonardo. «Considera, scrive, quanto sia importante per te giungere alla tua meta ultima. Ne va di tutto per te; perché, se vi arrivi, sei salvato, sei eternamente felice, colmo di tutti i beni per l'anima e per il corpo. Se invece la manchi, sei perduto, corpo e anima, perdi Dio e il paradiso, sei eternamente infelice, dannato per sempre. Ecco allora, tra tutte le occupazioni, l'unica utile, importante, necessaria: servire Dio e salvarsi. Se tu perdessi ora una parte dei tuoi beni, te ne resterebbero degli altri; se perdessi una causa, potresti ricorrere in appello; se ti accadesse di commettere qualche errore temporale, può essere riparato. E qualora tu venissi anche a perdere tutto, che importa? Comunque, che ti piaccia o no, verrà un giorno in cui bisognerà lasciare tutto. Ma se manchi la tua meta ultima, perdi tutti i beni e attiri su di te mali irreparabili per tutta un'eternità. Che giova all'uomo, dice il Salvatore, se guadagna tutto il mondo e poi perde la propria anima? (Mt 16,26). Salvarci! ecco la nostra grande, la nostra unica occupazione. Quando non si tratta che delle faccende di questo mondo, se non ci pensi, un altro può pensarci per te; ma quando si tratta di quella grande della tua salvezza eterna, se non ci pensi, chi può pensarci per te? Se non te ne prendi cura, chi può assumere questo incarico per te? Se non ti aiuti da te stesso a salvarti, chi ti salverà ? Quel Dio che ti ha creato senza di te non vuole salvarti senza di te. Se vuoi salvarti , bisogna che tu ci pensi» (Meditazione sul fine dell'uomo).


L'ostacolo da rimuovere

Prima di iniziare un'opera, è necessario rimuovere gli  ostacoli che si oppongono alla sua realizzazione. L'ostacolo alla salvezza eterna è il peccato mortale, vale a dire una violazione pienamente cosciente della legge di Dio su una questione grave. «Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l'esclusione dal Regno di Cristo e la morte eterna dell'inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili» (CCC, 1861).

A questo proposito, ecco in quali termini padre Leonardo era solito rivolgersi ai suoi ascoltatori: «Ah! come aveva ben ragione sant'Agostino a prendersela con la strana cecità che considera il male come un bene, e il bene come un male, secondo le parole di Isaia (5,20): Guai a coloro che chiamano «bene» il male e «male» il bene! Egli non sa come chiamare, se sia frenesia, passione o demenza, questo disordine, così comune tra gli uomini, per cui, pur essendo il peccato il male più abominevole che vi sia al mondo, non vi è al mondo un male che sia detestato meno del peccato... Ecco qual è l'origine di tante cadute, e perché tante anime fanno passi falsi, e si precipitano in un abisso di iniquità: il motivo è che non si pensa, no, non si riflette al male che si fa commettendo un peccato mortale» (Sermone sulla malizia del peccato mortale).

Alcuni pensano che il peccato mortale sia commesso solo in casi eccezionali di odio o di disprezzo esplicito di Dio. Ma San Giovanni Paolo II ha ricordato nell'Enciclica Veritatis splendor (6 agosto 1993): «La grazia della giustificazione, una volta ricevuta, può essere perduta non solo per l'infedeltà, che fa perdere la stessa fede, ma anche per qualsiasi altro peccato mortale... È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso... Si ha, infatti, peccato mortale anche quando l'uomo, sapendo e volendo, per qualsiasi ragione sceglie qualcosa di gravemente disordinato», il che avviene «in tutte le disubbidienze ai comandamenti di Dio in materia grave» (nn. 68 e 70). Il Catechismo spiega: «La materia grave è precisata dai dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre (Mc 10,19)» (CCC, 1858). Tra i peccati gravi frequenti, bisogna menzionare i peccati contro il sesto e il nono comandamento: «Sono peccati gravemente contrari alla castità, ognuno secondo la natura del proprio oggetto: l'adulterio, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, la prostituzione, lo stupro, gli atti omosessuali. Questi peccati sono espressione del vizio della lussuria» (Compendio del CCC, 492), che, senza essere il più grave, tuttavia porta alla cecità della mente sulle realtà eterne.
Non ci si deve quindi stupire delle seguenti parole di padre Leonardo: «Peccatore, a che cosa pensi? Saresti più duro della pietra? Hai mai riflettuto alla grazia tutta speciale che Dio ti fa dandoti il tempo di fare penitenza? Insensato che sei!... Che cosa fai per metterti al sicuro? Sarebbe troppo praticare qualche piccola mortificazione?... Sarebbe troppo preparare una buona confessione generale, per porre fine a questa vita piena di disordini che conosci?» (Invito alla penitenza).


Il rimedio

Ma padre Leonardo non si accontenta di fustigare il  male; fornisce anche il rimedio: lasciarsi conquistare dal Signore che offre a tutti la sua misericordia: «Considerate che se la giustizia di Dio è infinita nei confronti dei peccatori ostinati, la sua misericordia non è meno infinita nei confronti dei peccatori penitenti. Dio odia infinitamente il peccato; ma ama infinitamente le sue creature: non appena l'anima si pente del suo peccato, ritrova l'amore del suo Dio; se tutti i peccatori volessero ricorrere a Dio con un cuore contrito e umiliato, tutti sarebbero salvati. Questa bontà infinita desidera che tutti gli uomini arrivino in Paradiso... Una madre sarebbe meno sollecita nel soccorrere il suo bambino caduto nel fuoco di quanto Dio sia sollecito nell'abbracciare il peccatore pentito. Più i vostri peccati sono grandi, più è grande anche il trionfo della bontà, della carità, della clemenza di questo Dio infinitamente ricco di misericordia» (Meditazione sulla misericordia di Dio).

« Gesù invita i peccatori... alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l'infinita misericordia del Padre suo per loro (cf. Lc 15,11-32) e l'immensa gioia [che] ci sarà in cielo per un peccatore convertito (Lc 15,7). La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita in remissione dei peccati (Mt 26,28)» (CCC 545).

Diventato maestro nell'arte di guidare le anime, padre Leonardo ha spesso fatto l'esperienza dell'utilità di certe devozioni per aiutarle a convertirsi e a mantenersi nello stato di grazia ritrovato. 

Vi è prima di tutto la pratica delle tre Ave Maria. Questa pratica deve la sua origine alla benedettina tedesca santa Matilde, che un giorno chiese alla Madonna di ispirarle una preghiera che le piacesse. Le apparve la Vergine che portava sul petto a lettere d'oro l'Ave Maria. «Mai, le disse, si arriverà più in alto di questo saluto, e non mi si può salutare con più dolcezza che facendolo rispettosamente con queste parole»

Un altro giorno, la stessa santa chiedeva alla sua celeste Regina come ottenere sicuramente la grazia della perseveranza finale e della buona morte. Di nuovo, la santa Madre di Dio le si mostrò e le disse: «Se vuoi ottenere questa grande grazia, recita ogni giorno tre Ave Maria, in onore dei miei privilegi, e te la concederò ». San Leonardo si fa propagatore di questa devozione consigliando di recitare queste tre Ave Maria in onore dei privilegi di Maria: «Tutte le mattine al suo risveglio, e alla sera prima di coricarsi, l'anima devota a Maria chiederà la benedizione della sua santa Madre; non mancherà di recitare tre Ave Maria, in onore della sua purezza senza macchia, di offrirle i suoi sensi e tutte le potenze della sua anima, affinché li custodisca come cose a lei appartenenti e consacrate in suo onore, e le chiederà la grazia di non cadere, in quel giorno (o in quella notte), nel peccato».


La tromba dell'ultimo giorno


Il santo diffonde anche la breve invocazione: «Gesù  mio, misericordia!» Egli riferisce queste parole di un missionario: «Quando ritorno in un luogo in cui ho già predicato la missione, mi accade spesso di veder venire a me dei penitenti che iniziano la loro confessione con queste parole: «Padre mio, sono quel dissoluto che, diversi anni fa, è venuto a sgravarsi ai vostri piedi di un sacco di iniquità; non so se mi riconoscete, ma grazie a Dio, a partire da quella missione, non ho più commesso alcun peccato disonesto, né alcuna colpa mortale. – Come avete fatto? gli chiedeva il missionario. – Ah! Padre mio, ho messo in pratica la grande risoluzione che ci avete così fortemente inculcata di raccomandarci sovente a Dio con questa pia invocazione: 'Gesù mio, misericordia!' L'ho fatta tutti i giorni, mattino e sera, e, soprattutto nelle tentazioni, imploravo spesso l'aiuto di Dio dicendo: 'Gesù mio, misericordia!' Devo dirvi di più, Padre mio? Sentivo rinascere nella mia anima nuove forze e, in questo modo, non mi è più accaduto di soccombere»». E padre Leonardo proseguiva: «Fratelli miei carissimi, chi mi darà una voce di tuono, o piuttosto una di quelle trombe che risuoneranno nel giorno del giudizio finale, e, trasportato da un santo zelo, m'innalzerò sulla cima delle più alte montagne, e di là griderò con tutte le mie forze: Popoli smarriti! Svegliatevi una buona volta, e se volete assicurarvi la vostra eternità, raccomandatevi a Dio, ricorrete spesso a Lui, con queste o altre simili parole: «Gesù mio, misericordia!» E vi do la mia parola, poiché Gesù Cristo vi ha dato la sua prima di me nel suo santo Vangelo: «Chiedete e vi sarà dato (Mt 7,7), chiedete il mio aiuto e l'avrete, e con il mio aiuto non peccherete più». Ve ne do la mia parola, ripeto, se vi raccomandate spesso a Dio dicendo dal profondo del cuore: «Gesù mio, misericordia!» non peccherete più, e vi salverete».

L'esercizio della Via Crucis – che consiste nel seguire Gesù nelle tappe principali della sua Passione – esiste già a quell'epoca, ma è poco in uso al di fuori dell'Ordine francescano. Grazie a padre Leonardo, questa pratica si estenderà a tutta la Chiesa. Egli ne parla con affetto, e non teme di chiamarla «la madre di tutte le devozioni, in quanto la più antica, la più santa, la più pia, la più divina, la più eccellente, e meritevole, per questo, di avere, giustamente, la precedenza su tutte le altre». Da solo padre Leonardo istituirà 572 Via Crucis. La sua devozione alla Passione poggia su una lunga tradizione. San Bonaventura, per esempio, dichiara che, tra tutti gli esercizi di pietà, non ve ne sono che contribuiscano in modo più efficace alla santificazione.

Il Cielo benedice le opere del Padre e le missioni si moltiplicano. Quasi tutta l'Italia e la Corsica beneficiano delle sue predicazioni. Nel 1715, padre Leonardo viene nominato custode del convento di San Françesco al Monte, a Firenze, dove introduce la massima regolarità. Ma la solitudine di un convento ordinario non gli basta; cerca, come san Francesco ha fatto prima di lui, un luogo appartato dove poter, di tanto in tanto, vivere da solo con Dio. Fonda un eremo situato su una montagna, chiamato Santa Maria dell'Incontro, dove possono ritirarsi i religiosi che vogliono raccogliervisi. Vi si osservano le regole della più rigorosa povertà e ci si dedica ai lavori manuali. Ben presto, religiosi di diversi istituti e anche uomini laici chiedono di esservi accolti per partecipare agli esercizi spirituali. Padre Leonardo stesso lo ama tanto che solo il suo ardente zelo di apostolo può strapparlo da quel luogo.


Il sole del cristianesimo


Partito dopo il Giubileo del 1750 per un nuovo giro  di missioni, il Padre viene ben presto richiamato a Roma dal Papa. In uno spirito di obbedienza al Vicario di Cristo, si mette in cammino. Questo viaggio, in prossimità dell'inverno, gli è molto faticoso. Lasciando Tolentino si sente male, ma deve valicare le montagne. Arrivato a Foligno, desidera celebrare la Messa; a un Fratello che lo prega di rinunciarvi a causa della sua grande stanchezza, risponde: «Fratello mio, una Messa vale più di tutti i tesori del mondo». Aveva scritto in un opuscolo: «La Santa Messa non è niente di meno che il sole del cristianesimo, l'anima della fede, il cuore della religione di Gesù Cristo; tutti i riti, tutte le cerimonie, tutti i sacramenti vi si ricollegano. Essa è, in una parola, la quintessenza di tutto ciò che vi è di bello e di buono nella Chiesa di Dio... Per me, non ne ho nessun dubbio, senza la Santa Messa il mondo sarebbe a quest'ora in fondo all'abisso, trascinato dal peso spaventoso di tante iniquità. La Messa, ecco la leva vittoriosa che lo sostiene. Vedete quindi, dopo questo, a che punto il divino Sacrificio ci è indispensabile» (La Santa Messa, Tesoro Sconosciuto).

È recitando il Te Deum che padre Leonardo arriva al convento di San Bonaventura nel novembre 1751. Viene fatto scendere con difficoltà dalla carrozza: è così debole che non si sente più il suo polso. Appena arrivato all'infermeria, si confessa e riceve gli ultimi sacramenti, dopo aver pronunciato con un'energia sorprendente gli atti di fede, di speranza e di carità. Gli viene offerta una bevanda che accetta, poi dice: «Non ho abbastanza parole per ringraziare Dio per la grazia che mi concede di morire in mezzo ai miei confratelli». Poco dopo aver ricevuto l'Estrema Unzione, si addormenta tranquillamente nel Signore. Era il venerdì 26 novembre 1751. Canonizzato dal beato Pio IX, è stata dichiarato da Pio XI «celeste patrono dei sacerdoti che si dedicano alle missioni popolari».
San Leonardo, ottienici la grazia di un grande zelo per la salvezza delle anime!
Dom Antoine Marie osb