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martedì 16 dicembre 2014

La vera gioia





Carissimo Amico/a,
«Se non vi sono più sacerdoti, è il catechista che sarà il buon pastore delle pecore di Gesù Cristo!» diceva, nel  1942, il beato Pierre To Rot, catechista, in occasione dell'arresto di un missionario; egli stesso doveva morire martire nel 1945, all'età di 29 anni, per aver rifiutato la poligamia; papa Giovanni Paolo II l'ha beatificato il 16 gennaio 1995.

Pietro To Rot è nato nel 1916 a Rakunai nell'attuale Papua Nuova Guinea (Oceania). Isola più grande della Francia, la Nuova Guinea è circondata da numerosi arcipelaghi; vi abitano più di mille tribù che parlano settecento dialetti diversi . Questa regione è stata evangelizzata da missionari francesi e tedeschi a partire dal 1890; il padre di Pietro To Rot, To Puia, è il capo di un villaggio; cattolico molto stimato, insegna egli stesso a suo figlio gli elementi fondamentali del catechismo, mentre sua madre gli insegna a pregare. La scuola del villaggio è tenuta dai missionari; il bambino vi si mostra attivo e pieno d'interesse per la religione. È noto per la sua prontezza nel rendere servizio; molto agile nell'arrampicarsi sugli alberi di cocco, va volentieri a fare la raccolta delle noci di cocco per conto degli abitanti anziani del villaggio. Questa gentilezza stupisce da parte di un figlio di capo, che potrebbe pretendere che lo si serva. Ma la parola di Nostro Signore: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere (At 20,35) gli ha colpito il cuore.

A scuola, il giovane Papuano si mostra birichino, ma la sua franchezza (virtù rara tra i Tolai, etnia alla quale egli appartiene) è totale. Nel 1930, padre Laufer, che è incaricato della parrocchia di Rakunai, chiede al padre del bambino se non potrebbe farlo studiare in vista del sacerdozio. L'innalzamento di un papuano al sacerdozio era allora rarissima. A questa proposta lusinghiera, To Puia risponde con saggezza: «Penso che i tempi non siano maturi perché uno dei miei figli, o un altro uomo di qui diventi prete. Ma se vuoi mandarlo alla scuola di catechisti di Taliligap, sono d'accordo». L'adolescente parte quindi per questa scuola dove giovani scelti studiano allo scopo di fornire un sostegno ai missionari, poco numerosi in quell'immenso campo di apostolato. Attivo e ottimista, Pietro si reca con eguale entusiasmo agli Uffici religiosi, alle lezioni o ai lavori manuali (la scuola deve in gran parte la sua sussistenza al lavoro agricolo degli allievi). Egli stimola i compagni spesso portati all'indolenza sotto il bruciante clima equatoriale. La comunione quotidiana, la confessione frequente, la recita del rosario sono la sua forza contro le tentazioni. Poco per volta, corregge il proprio temperamento faceto di cui sono vittima i suoi professori. Ma rimane un compagno allegro, impareggiabile nel disarmare gli attaccabrighe con le sue battute.

Nel 1934, avendo dato ogni soddisfazione, Pietro To Rot riceve dal suo vescovo la croce di catechista, poi viene inviato nel suo villaggio natale per aiutare padre Laufer. Egli esercita sui cristiani una sorveglianza discreta, incoraggia i tiepidi a partecipare alla Messa domenicale, prepara i peccatori a un seria confessione, riconduce le pecore disperse all'ovile del Buon Pastore. Ama soprattutto fare conoscenza con la gente. Il suo zelo lo porta a combattere le pratiche di stregoneria ancora vive, anche tra i cristiani.

Testimoni diretti

«Cari catechisti, diceva papa Giovanni Paolo II in occasione della beatificazione di Pietro To Rot, siate testimoni diretti, evangelizzatori insostituibili, la forza basilare delle comunità cristiane. Fin dagli inizi, l'opera dei catechisti laici in Papua Nuova Guinea ha apportato un contributo singolare ed insostituibile alla propagazione della fede e della Chiesa. A nome dell'intera Chiesa vi ringrazio per l'opera santa che state svolgendo».

Per guidare la catechesi attuale, papa Giovanni Paolo II ha pubblicato, nel 1992, il Catechismo della Chiesa Cattolica (CEC). Questo era rivolto in primissimo luogo all'episcopato «come testo di riferimento sicuro e autentico per l'insegnamento della dottrina cattolica, e in particolare per l'elaborazione dei catechismi locali». Nel 2005, Benedetto XVI ha approvato la stampa di un sunto di questo Catechismo: «Il Compendio che ora presento alla Chiesa universale è una sintesi fedele e sicura del Catechismo della Chiesa Cattolica. Esso contiene, in modo conciso, tutti gli elementi essenziali e fondamentali della fede della Chiesa, così da costituire, come era stato auspicato dal mio Predecessore, una sorta di «vademecum» (Benedetto XVI, 28 giugno 2005). [Il «vademecum» è un libro che si porta abitualmente e comodamente su di sé, destinato a ricordare in poche parole i concetti principali di una scienza o di un'arte].

La catechesi è prima di tutto un'educazione della fede. Che cosa significa concretamente, per l'uomo, credere in Dio? «Significa, risponde il Compendio, aderire a Dio stesso, affidandosi a Lui e dando l'assenso a tutte le verità da Lui rivelate» (n. 27). «Insegna il Concilio [Vaticano II] che «a Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza della fede» (Dei Verbum, n. 5). Con questa breve ma densa affermazione, viene indicata una fondamentale verità del cristianesimo» (Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio, 14 settembre 1998, n. 13). «L'uomo, sostenuto dalla grazia divina, risponde [a Dio] con l'obbedienza della fede, che è affidarsi pienamente a Dio e accogliere la sua Verità, in quanto garantita da Lui, che è la Verità stessa» (Compendio, n. 25).


Una chiave preziosa

Nell'enciclica Spe salvi, del 30 novembre 2007, papa Benedetto XVI ricorda che la fede è la chiave della vita eterna. Evoca a questo riguardo il rituale del Battesimo: «Vorrei partire dalla forma classica del dialogo con cui il rito del Battesimo esprimeva l'accoglienza del neonato nella comunità dei credenti e la sua rinascita in Cristo. Il sacerdote chiedeva innanzitutto quale nome i genitori avevano scelto per il bambino, e continuava poi con la domanda: «Che cosa chiedi alla Chiesa?» Risposta: «La fede». «E che cosa ti dona la fede?» «La vita eterna». Stando a questo dialogo, i genitori cercavano per il bambino l'accesso alla fede, la comunione con i credenti, perché vedevano nella fede la chiave per «la vita eterna». Di fatto, oggi come ieri, di questo si tratta nel Battesimo, quando si diventa cristiani: non soltanto di un atto di socializzazione entro la comunità, non semplicemente di accoglienza nella Chiesa» (n. 10).

Chiave della vita eterna, la fede è «necessaria per essere salvati» (Compendio, n. 28). Ma quando è autentica, la fede guida il modo di vivere. Al giovane che lo interroga sulla vita eterna, Gesù risponde: Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti, poi aggiunge: Vieni e seguimi (Mt 19,16-21). «Seguire Gesù implica l'osservanza dei Comandamenti. La Legge non è abolita, ma l'uomo è invitato a ritrovarla nella persona del divino Maestro, che la realizza perfettamente in se stesso, ne rivela il pieno significato e ne attesta la perennità » (Compendio, n. 434). È grazie ai sacramenti che diventa possibile vivere secondo la fede: «Ciò che il Simbolo della fede professa, i sacramenti lo comunicano. Infatti, con essi i fedeli ricevono la grazia di Cristo e i doni dello Spirito Santo, che li rendono capaci di vivere la nuova vita di figli di Dio nel Cristo accolto con la fede» (Compendio, n. 357).

Nel 1942, il Giappone, in guerra contro le potenze occidentali, invade la Nuova Guinea; i giapponesi, appena sbarcati a Rabaul, imprigionano preti, religiosi e religiose. Padre Laufer viene ben presto arrestato; Pietro To Rot si sforza da quel momento di supplire quanto possibile all'assenza del sacerdote, battezza i neonati, assiste con testimoni ai matrimoni, presiede i funerali. Ogni domenica, dirige in chiesa un incontro di preghiera in cui esorta i fedeli alla perseveranza. Perché possano ricevere i sacramenti, li conduce, di nascosto, da un missionario che ha evitato l'arresto e vive nella foresta. Ben presto, i soldati giapponesi si danno al saccheggio e alla distruzione delle chiese, e To Rot deve costruire nella boscaglia una cappella di legno nonché dei nascondigli sotterranei per gli arredi e i vasi sacri. A causa delle numerose spie, effettua abitualmente di notte le sue visite ai cristiani. Va spesso a Vunapopé, città distante dove un prete gli dà il Santissimo, che egli può allora distribuire ai morenti e ai malati, in virtù di un permesso speciale del vescovo.


Per il Regno di Dio

Pietro ha sempre nutrito un grande rispetto per la santità del matrimonio. Sposato dal 1936 con Paula Ia Varpit, giovane di un villaggio vicino, è un modello per le altre famiglie, e salva molte coppie minacciate dai litigi o dalla cattiva condotta di uno dei coniugi. I giapponesi incoraggiano il ritorno alla poligamia, praticata nel paese prima dell'evangelizzazione. Sperano, con questa misura, di allontanare la popolazione dall'influenza «occidentale». Trascinati dalla sensualità o per timore delle rappresaglie, molti uomini prendono una seconda donna. Di fronte a questo scandalo. Pietro To Rot non può tacere: la sua fede e le sue responsabilità di catechista gli impongono di parlare, quali che ne possano essere le conseguenze: «Non dirò mai troppo ai cristiani sulla dignità e il profondo significato del sacramento del matrimonio», egli dichiara. A sua moglie che teme che questa determinazione attiri la sventura sulla sua famiglia, To Rot risponde: «Se devo morire, è una cosa buona, perché morirò per il Regno di Dio sul nostro popolo».

L'insegnamento di Pietro sul matrimonio è quello della Chiesa, ricordato ai nostri giorni dal Compendio: «Dio, che è amore e che ha creato l'uomo per amore, l'ha chiamato ad amare. Creando l'uomo e la donna, li ha chiamati nel Matrimonio a un'intima comunione di vita e di amore fra loro, così che non sono più due, ma una carne sola (Mt 19,6)» (n. 337). L'unità che formano gli sposi è esclusiva durante la loro vita: «Il sacramento del Matrimonio genera tra i coniugi un vincolo perpetuo ed esclusivo. Dio stesso suggella il consenso degli sposi. Pertanto il Matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può essere mai sciolto» (n. 346). Per questa ragione, «l'unione matrimoniale, secondo l'originario disegno divino, è indissolubile, come afferma Gesù Cristo: Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi (Mc 10,9)» (n. 338). Inoltre, Gesù Cristo « dona la grazia per vivere il Matrimonio nella nuova dignità di sacramento, che è il segno del suo amore sponsale per la Chiesa: Voi mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa (Ef 5,25)» (n. 341).


« Senza di lui... »

To Metepa, un cattolico, poliziotto al servizio dei giapponesi, concupisce, benché sia già sposato, Ia Mentil, la moglie di un protestante. Il padre di questa donna, nonché To Rot, gli impediscono di prenderla. Furioso, il poliziotto denuncia To Rot al suo superiore Kueka, che convoca il catechista e gli vieta ogni attività pastorale. To Metepa, aiutato da un altro poligamo, s'impadronisce di Ia Mentil e molesta suo marito, attaccandolo alla fine a un albero dove resta due giorni. Ma il capo del villaggio, buon cristiano, chiama To Rot e riescono a mettere Ia Mentil al sicuro a Rakunai. Numerosi cattolici sono sul punto di cedere alla tentazione della poligamia, ma Pietro, con le sue vigorose esortazioni, li rimette sul retto cammino. Uno di loro testimonierà in seguito: «Senza di lui, avrei preso una seconda moglie. To Rot era un santo, preoccupato unicamente della salvezza delle anime. Non aveva alcun timore dei ricchi e dei potenti». «Con la loro vita conforme al Signore Gesù, afferma il Compendio, i cristiani attirano gli uomini alla fede nel vero Dio, edificano la Chiesa, informano il mondo con lo spirito del Vangelo e affrettano la venuta del Regno di Dio» (n. 433). Lo stesso fratello di Pietro, Tatamai, ha abbandonato sua moglie per «sposarne» un'altra. Rifiutando di ascoltare i rimproveri di To Rot, lo denuncia ai giapponesi. Poco dopo, tuttavia, preso dal pentimento, viene a chiedergli perdono. Dopo la guerra, ricostruirà con i propri mezzi la chiesa di Rakunai, in segno di penitenza per il suo tradimento.

Nessuno riesce a dissuadere il catechista dal proseguire il suo apostolato. Di conseguenza egli riceve delle minacce sempre più dirette da parte di certi giapponesi che odiano il cristianesimo, giudicato responsabile del fallimento militare del Giappone. Interrogato dalla polizia giapponese sui suoi sentimenti nei confronti dell'occupante, To Rot risponde: «La Chiesa cattolica desidera la pace; ma non è colpa sua, se voi non siete vittoriosi. – Silenzio! grida il poliziotto, vietiamo tutte le riunioni religiose. – Gesù, risponde calmo Pietro, ha insegnato ai suoi discepoli che era meglioobbedire a Dio che agli uomini (At 5,29)». E continua a riunire i cattolici ogni domenica. Da allora viene spiato da traditori che cercano di coglierlo in flagrante reato di preghiera. Un giorno mentre assiste, a nome della Chiesa, a due matrimoni, la sbadataggine di una delle coppie lo fa denunciare. Dapprima viene perquisita la casa del catechista. I poliziotti vi scoprono diversi oggetti di culto e vanno ad arrestare Pietro che sta piantando degli ortaggi per conto di soldati giapponesi. Quest'ultimo racconterà in seguito il suo interrogatorio al quartier generale di Vunaiara: «Il capo della polizia, Meshida, mi chiese: «Hai tenuto una riunione di preghiera ieri? – Sì». Mi ha allora colpito violentemente sul viso e sulla nuca. «È vero che sei contro la bigamia (matrimonio di un uomo con due donne)?» Quando ho risposto «sì», sono stato messo in prigione. Era, per Mescida, la mia colpa principale».

Pietro sa che la poligamia è contraria alla comunione degli sposi nel matrimonio. «La poligamia nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell'uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, del 22 novembre 1981, n. 19). «Quando le autorità legalizzarono e incoraggiarono la poligamia, diceva papa Giovanni Paolo II, il Beato Pietro, sapendo che ciò andava contro i principi cristiani, denunciò fermamente tale pratica. Grazie allo Spirito di Dio che dimorava in lui, egli proclamò coraggiosamente la verità circa la santità del matrimonio. Rifiutò di prendere la «via più facile» (cf. Mt 7,13) del compromesso morale. «Devo compiere il mio dovere come testimone nella Chiesa di Gesù Cristo» spiegò. Non lo fermò il timore della sofferenza e della morte».


La vera gioia

«Lo so, confida Pietro a sua madre, mi uccideranno. Ma non preoccupatevi; sono pronto a offrire la mia vita per Gesù Cristo». «Sì, affermava papa Giovanni Paolo II, la saggezza del Vangelo ci dice che la vita eterna si ottiene attraverso la morte, e la vera gioia attraverso la sofferenza. Per comprendere ciò dobbiamo giudicare con i criteri divini e non con quelli umani!... Agli occhi di Dio, coloro che sono stati perseguitati per la loro fedeltà al Vangelo sono realmente beati, poiché grande sarà la ricompensa nei cieli (Mt 5,12)« Nel piano salvifico di Dio, la sofferenza, più di ogni altra cosa, rende presenti nella storia dell'umanità le forze della Redenzione« Proprio come il Signore Gesù ha salvato il suo popolo amandolo sino alla fine (Gv 13,1), fino alla morte e alla morte in croce (Fil 2,8), così continua anche ad invitare ogni discepolo a soffrire per il Regno di Dio. Quando viene unita alla Passione redentrice di Cristo, la sofferenza umana diventa uno strumento di maturità spirituale e una magnifica scuola di amore evangelico» (Omelia di beatificazione).

Imprigionato in una minuscola cella senza finestra, Pietro ne esce solo per occuparsi dei porci. Sua madre e sua moglie gli portano il cibo. Un giorno, in presenza dei loro due figli, sua moglie supplica Pietro di dire ai giapponesi che rinuncia al suo mestiere di catechista e vuole vivere d'ora in poi come un uomo ordinario nel suo villaggio. Lei pensa così di poterlo far liberare, tramite l'intervento dei notabili del villaggio. To Rot le risponde gravemente: «Non è affar tuo. Bisogna, aggiunge facendo il segno della croce, che io glorifichi il Nome di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, e che io aiuti così il mio popolo». E chiede a sua moglie di portargli la sua croce di catechista, che lo accompagnerà fino alla fine. Lo stesso giorno – è nel giugno 1945 -, confida a sua madre: «I poliziotti mi hanno detto che, questa sera, un medico giapponese verrà a darmi una medicina. Questo mi stupisce, non sono malato! Torna presto a casa e prega per me». L'indomani, un poliziotto arriva a Rakunai e annuncia: «Il vostro catechista è morto». Dominando la propria emozione, il capo del villaggio chiede: «Che cosa gli avete fatto? Eppure era in buona salute. – Si è ammalato ed è morto».



La fecondità di una morte

Ben presto, Tarua, lo zio di To Rot, viene inviato alla prigione, accompagnato dal comandante Meshida, per riconoscere e portare via il corpo. Il martire giace, rannicchiato, il corpo ancora caldo, il viso rivolto verso il cielo. Ha del cotone, in certi punti rosso di sangue, nel naso, negli occhi e nelle orecchie. Un foulard rosso gli stringe il collo, la sua nuca è gonfia e mostra delle piaghe. La traccia di un'iniezione nel braccio destro è ben visibile. Gli è stata iniettata della manioca (prodotto contenente cianuro), a giudicare dall'odore dell'ambiente circostante. Vedendo che il veleno tardava a fare la sua opera, i soldati hanno strangolato la loro vittima e l'hanno colpita alla nuca con una trave. Pietro To Rot è sepolto nel cimitero di Rakunai, dove la sua tomba diventa un luogo di pellegrinaggio. Lungi dallo scoraggiare e dall'intimidire i cristiani, la morte di To Rot fu per tutti un potente stimolo. Il villaggio di Rakunai, dal 1945, non ha dato alla Chiesa meno di dodici preti e religiose. Questa fecondità spirituale è stata sottolineata da papa Giovanni Paolo II: «Nei periodi di persecuzione, la fede degli individui e delle comunità si prova col fuoco (1Pt 1,7). Tuttavia Cristo ci dice che non c'è ragione di aver paura. Coloro che vengono perseguitati per la loro fede saranno più eloquenti che mai: Non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt 10,20). Così è stato per il Beato Pietro To Rot... Anche lui fu condotto come un agnello al macello (Is 53,7). E ciononostante questo «chicco di grano» che è caduto silenziosamente in terra (cf. Gv 12,24) ha prodotto una messe di benedizioni per la Chiesa in Papua Nuova Guinea! »

Il beato Pietro To Rot è stato scelto per figurare tra i patroni delle GMG del 2008 a Sydney, in Australia. In occasione della sua beatificazione, nel 1995, papa Giovanni Paolo II si rivolgeva così ai giovani: «Il Beato Pietro è un modello anche per voi. Egli vi insegna a non preoccuparvi solo per voi stessi, ma a mettervi generosamente al servizio degli altri... Non abbiate paura d'impegnarvi nel compito di far conoscere e amare Cristo». «L'esempio del Martire parla anche alle coppie sposate, aggiungeva il Papa. Il Beato Pietro To Rot aveva un'alta considerazione del matrimonio e, nonostante il grande rischio personale e l'opposizione, difese l'insegnamento della Chiesa sull'unità del matrimonio e sul bisogno di fedeltà reciproca. Trattò sua moglie Paola con grande rispetto, e pregava con lei ogni mattina e ogni sera. Per i suoi figli nutriva un profondo affetto e trascorreva con essi più tempo possibile. Se le famiglie sono buone, i vostri paesi saranno pacifici e buoni. Mantenetevi fedeli alle tradizioni che difendono e rafforzano la vita familiare».

L'esempio del beato catechista Pietro To Rot ci incoraggia ad approfondire la nostra fede e a vivere in perfetta coerenza con essa, in conformità con le richieste di papa Benedetto XVI ai cristiani, il 18 maggio 2008: «Abbiate cura della formazione spirituale e catechistica, una formazione «sostanziosa», più che mai necessaria per vivere bene la vocazione cristiana nel mondo di oggi. Lo dico agli adulti e ai giovani: coltivate una fede pensata, capace di dialogare in profondità con tutti, con i fratelli non cattolici, con i non cristiani e i non credenti».
Dom Antoine Marie osb

martedì 27 maggio 2014

«Gesù mio, misericordia!». «Fratello mio, una Messa vale più di tutti i tesori del mondo». «Se noi siamo convinti e abbiamo fatto l'esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna»


In occasione del suo viaggio in Angola, papa Benedetto XVI ha rilevato un'obiezione spesso fatta ai missionari del Vangelo: «Perché non lasciamo gli altri in pace? Essi hanno la loro verità ; e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com'è, perché realizzi nel modo migliore la propria identità ». Il Papa ha risposto: «Se noi siamo convinti e abbiamo fatto l'esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna» (Omelia nella chiesa di São Paulo di Luanda, 21 marzo 2009). Tra i predicatori che hanno preso sul serio questo dovere di annunciare la salvezza a tutti è San Leonardo da Porto Maurizio.

Il 20 dicembre 1676, a Porto Maurizio, sulla costa ligure, nel nord Italia, viene al mondo un bambino posto con il battesimo sotto il patrocinio dei Santi Paolo e Girolamo. Dirà in seguito di aver ricevuto la grazia di avere dei genitori molto bravi. La sua giovinezza è esemplare; trascina facilmente i compagni a pregare e a fare opere buone. Uno dei suoi autori spirituali preferiti è San Francesco di Sales di cui ha sempre con sé il libro Introduzione alla vita devota. Trova sostegno morale e spirituale negli incontri di giovani organizzati dai gesuiti e degli oratoriani; vi attinge un crescente fervore per la pratica delle virtù, accompagnato dal desiderio delle penitenze. Nei giorni di festa, percorre le strade e le piazze di Roma, e, sfidando lo sprezzo e gli insulti, esorta tutti coloro che vogliono ascoltarlo a recarsi a sentire i sermoni nelle chiese.


Parole che vanno diritto al cuore

Paolo Girolamo si sente chiamato allo stato religioso.  Il suo confessore lo stimola a intensificare la sua vita di preghiera e di penitenza per ottenere la grazia di conoscere la volontà di Dio. Un giorno, al vedere due religiosi vestiti poveramente e dall'atteggiamento modesto, Frati Minori Riformati del «Ritiro di San Bonaventura», sente nascere in sé il desiderio di abbracciare il loro genere di vita. Entrando nella chiesa del convento nel momento in cui i Fratelli iniziano la recita della Compieta, sente queste parole: « Convertici, Dio, nostra Salvezza ! » Queste parole gli vanno diritto al cuore e decide di chiedere la sua ammissione. Accolto nel noviziato, riceve, il 2 ottobre 1697, l'abito e il nome di Fra Leonardo. Un anno dopo, pronuncia i suoi voti. Il giovane religioso è l'edificazione di tutti, in particolare per la sua fedeltà alle osservanze, anche a quelle che sembrano più insignificanti. Egli ama dire: «Se, mentre siamo giovani, teniamo in poco conto le piccole cose e vi manchiamo volontariamente, quando saremo avanti negli anni e avremo più libertà, ci permetteremo di mancare ai punti più importanti».Zelante per gli studi sacri, insiste sulla necessità di acquisire nuove conoscenze per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Dopo la sua ordinazione sacerdotale, viene nominato professore di filosofia. Si ammala però gravemente. I suoi superiori lo mandano a Porto Maurizio, suo paese natale, ma questo cambiamento d'aria si rivela inefficace. Il giovane Padre supplica allora la Vergine Maria di ottenergli dal suo divin Figlio una salute robusta che dedicherà a guadagnare anime per il Cielo. La sua preghiera viene esaudita; l'infermità di cui soffre scompare completamente.
Nel 1708, padre Leonardo predica, non lontano da Porto Maurizio, la sua prima «missione popolare». Questo nome viene dato a una serie di sermoni predicati nel corso di diversi giorni o settimane, presso una parrocchia, da un sacerdote di passaggio. Queste missioni, allora in voga, portavano frutti abbondanti. Tradizionalmente, il predicatore prendeva per tema la necessità di convertirsi al Signore al fine di condurre una vita veramente cristiana per la salvezza della propria anima.

Nel nostro tempo, parlare della salvezza dell'anima non è più di moda. Il contesto culturale e le ideologie diffuse rinchiudono sempre più l'uomo all'interno delle realtà terrene: molti vivono solo per questo mondo e non pensano a ciò che segue la morte. Per altri, vi è certo «un'eternità» dopo la morte, ma la salvezza non costituisce un problema: si immagina che tutti senza distinzione vadano in Paradiso. Il risultato, in entrambi i casi, è la noncuranza per la salvezza delle anime.


La vera felicità


Ora, «Dio ci ha creati per conoscerlo, servirlo e amarlo, e così giungere in Paradiso... La beatitudine promessa ci pone di fronte alle scelte morali decisive. Essa ci invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l'amore di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità non si trova... in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore... Il Decalogo, il Discorso della Montagna e la catechesi apostolica ci descrivono le vie che conducono al Regno dei Cieli» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 1721-1724). Il Signore Gesù è venuto a rivelare agli uomini l'amore infinito del Padre che vuole che tutti siano salvati e partecipino alla sua vita divina in Cielo, ma Egli insiste anche sul fatto che gli uomini saranno giudicati secondo le loro opere e che coloro che non muoiono nell'amicizia divina non possiederanno la vita eterna. «Gesù parla ripetutamente della geenna, del fuoco inestinguibile, (cf. Mt 5,22.29; 13,42.50; Mt 9,43-48) che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo (cf. Mt 10,28). Gesù annunzia con parole severe che egli manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno (...) tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente (Mt 13,41-42), e che pronunzierà la condanna: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! (Mt 25,41). La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, «il fuoco eterno». La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira» (CCC, 1034-1035).

La considerazione dei Novissimi, cioè delle realtà ultime, è al cuore dell'insegnamento di padre Leonardo. «Considera, scrive, quanto sia importante per te giungere alla tua meta ultima. Ne va di tutto per te; perché, se vi arrivi, sei salvato, sei eternamente felice, colmo di tutti i beni per l'anima e per il corpo. Se invece la manchi, sei perduto, corpo e anima, perdi Dio e il paradiso, sei eternamente infelice, dannato per sempre. Ecco allora, tra tutte le occupazioni, l'unica utile, importante, necessaria: servire Dio e salvarsi. Se tu perdessi ora una parte dei tuoi beni, te ne resterebbero degli altri; se perdessi una causa, potresti ricorrere in appello; se ti accadesse di commettere qualche errore temporale, può essere riparato. E qualora tu venissi anche a perdere tutto, che importa? Comunque, che ti piaccia o no, verrà un giorno in cui bisognerà lasciare tutto. Ma se manchi la tua meta ultima, perdi tutti i beni e attiri su di te mali irreparabili per tutta un'eternità. Che giova all'uomo, dice il Salvatore, se guadagna tutto il mondo e poi perde la propria anima? (Mt 16,26). Salvarci! ecco la nostra grande, la nostra unica occupazione. Quando non si tratta che delle faccende di questo mondo, se non ci pensi, un altro può pensarci per te; ma quando si tratta di quella grande della tua salvezza eterna, se non ci pensi, chi può pensarci per te? Se non te ne prendi cura, chi può assumere questo incarico per te? Se non ti aiuti da te stesso a salvarti, chi ti salverà ? Quel Dio che ti ha creato senza di te non vuole salvarti senza di te. Se vuoi salvarti , bisogna che tu ci pensi» (Meditazione sul fine dell'uomo).


L'ostacolo da rimuovere

Prima di iniziare un'opera, è necessario rimuovere gli  ostacoli che si oppongono alla sua realizzazione. L'ostacolo alla salvezza eterna è il peccato mortale, vale a dire una violazione pienamente cosciente della legge di Dio su una questione grave. «Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l'esclusione dal Regno di Cristo e la morte eterna dell'inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili» (CCC, 1861).

A questo proposito, ecco in quali termini padre Leonardo era solito rivolgersi ai suoi ascoltatori: «Ah! come aveva ben ragione sant'Agostino a prendersela con la strana cecità che considera il male come un bene, e il bene come un male, secondo le parole di Isaia (5,20): Guai a coloro che chiamano «bene» il male e «male» il bene! Egli non sa come chiamare, se sia frenesia, passione o demenza, questo disordine, così comune tra gli uomini, per cui, pur essendo il peccato il male più abominevole che vi sia al mondo, non vi è al mondo un male che sia detestato meno del peccato... Ecco qual è l'origine di tante cadute, e perché tante anime fanno passi falsi, e si precipitano in un abisso di iniquità: il motivo è che non si pensa, no, non si riflette al male che si fa commettendo un peccato mortale» (Sermone sulla malizia del peccato mortale).

Alcuni pensano che il peccato mortale sia commesso solo in casi eccezionali di odio o di disprezzo esplicito di Dio. Ma San Giovanni Paolo II ha ricordato nell'Enciclica Veritatis splendor (6 agosto 1993): «La grazia della giustificazione, una volta ricevuta, può essere perduta non solo per l'infedeltà, che fa perdere la stessa fede, ma anche per qualsiasi altro peccato mortale... È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso... Si ha, infatti, peccato mortale anche quando l'uomo, sapendo e volendo, per qualsiasi ragione sceglie qualcosa di gravemente disordinato», il che avviene «in tutte le disubbidienze ai comandamenti di Dio in materia grave» (nn. 68 e 70). Il Catechismo spiega: «La materia grave è precisata dai dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre (Mc 10,19)» (CCC, 1858). Tra i peccati gravi frequenti, bisogna menzionare i peccati contro il sesto e il nono comandamento: «Sono peccati gravemente contrari alla castità, ognuno secondo la natura del proprio oggetto: l'adulterio, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, la prostituzione, lo stupro, gli atti omosessuali. Questi peccati sono espressione del vizio della lussuria» (Compendio del CCC, 492), che, senza essere il più grave, tuttavia porta alla cecità della mente sulle realtà eterne.
Non ci si deve quindi stupire delle seguenti parole di padre Leonardo: «Peccatore, a che cosa pensi? Saresti più duro della pietra? Hai mai riflettuto alla grazia tutta speciale che Dio ti fa dandoti il tempo di fare penitenza? Insensato che sei!... Che cosa fai per metterti al sicuro? Sarebbe troppo praticare qualche piccola mortificazione?... Sarebbe troppo preparare una buona confessione generale, per porre fine a questa vita piena di disordini che conosci?» (Invito alla penitenza).


Il rimedio

Ma padre Leonardo non si accontenta di fustigare il  male; fornisce anche il rimedio: lasciarsi conquistare dal Signore che offre a tutti la sua misericordia: «Considerate che se la giustizia di Dio è infinita nei confronti dei peccatori ostinati, la sua misericordia non è meno infinita nei confronti dei peccatori penitenti. Dio odia infinitamente il peccato; ma ama infinitamente le sue creature: non appena l'anima si pente del suo peccato, ritrova l'amore del suo Dio; se tutti i peccatori volessero ricorrere a Dio con un cuore contrito e umiliato, tutti sarebbero salvati. Questa bontà infinita desidera che tutti gli uomini arrivino in Paradiso... Una madre sarebbe meno sollecita nel soccorrere il suo bambino caduto nel fuoco di quanto Dio sia sollecito nell'abbracciare il peccatore pentito. Più i vostri peccati sono grandi, più è grande anche il trionfo della bontà, della carità, della clemenza di questo Dio infinitamente ricco di misericordia» (Meditazione sulla misericordia di Dio).

« Gesù invita i peccatori... alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l'infinita misericordia del Padre suo per loro (cf. Lc 15,11-32) e l'immensa gioia [che] ci sarà in cielo per un peccatore convertito (Lc 15,7). La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita in remissione dei peccati (Mt 26,28)» (CCC 545).

Diventato maestro nell'arte di guidare le anime, padre Leonardo ha spesso fatto l'esperienza dell'utilità di certe devozioni per aiutarle a convertirsi e a mantenersi nello stato di grazia ritrovato. 

Vi è prima di tutto la pratica delle tre Ave Maria. Questa pratica deve la sua origine alla benedettina tedesca santa Matilde, che un giorno chiese alla Madonna di ispirarle una preghiera che le piacesse. Le apparve la Vergine che portava sul petto a lettere d'oro l'Ave Maria. «Mai, le disse, si arriverà più in alto di questo saluto, e non mi si può salutare con più dolcezza che facendolo rispettosamente con queste parole»

Un altro giorno, la stessa santa chiedeva alla sua celeste Regina come ottenere sicuramente la grazia della perseveranza finale e della buona morte. Di nuovo, la santa Madre di Dio le si mostrò e le disse: «Se vuoi ottenere questa grande grazia, recita ogni giorno tre Ave Maria, in onore dei miei privilegi, e te la concederò ». San Leonardo si fa propagatore di questa devozione consigliando di recitare queste tre Ave Maria in onore dei privilegi di Maria: «Tutte le mattine al suo risveglio, e alla sera prima di coricarsi, l'anima devota a Maria chiederà la benedizione della sua santa Madre; non mancherà di recitare tre Ave Maria, in onore della sua purezza senza macchia, di offrirle i suoi sensi e tutte le potenze della sua anima, affinché li custodisca come cose a lei appartenenti e consacrate in suo onore, e le chiederà la grazia di non cadere, in quel giorno (o in quella notte), nel peccato».


La tromba dell'ultimo giorno


Il santo diffonde anche la breve invocazione: «Gesù  mio, misericordia!» Egli riferisce queste parole di un missionario: «Quando ritorno in un luogo in cui ho già predicato la missione, mi accade spesso di veder venire a me dei penitenti che iniziano la loro confessione con queste parole: «Padre mio, sono quel dissoluto che, diversi anni fa, è venuto a sgravarsi ai vostri piedi di un sacco di iniquità; non so se mi riconoscete, ma grazie a Dio, a partire da quella missione, non ho più commesso alcun peccato disonesto, né alcuna colpa mortale. – Come avete fatto? gli chiedeva il missionario. – Ah! Padre mio, ho messo in pratica la grande risoluzione che ci avete così fortemente inculcata di raccomandarci sovente a Dio con questa pia invocazione: 'Gesù mio, misericordia!' L'ho fatta tutti i giorni, mattino e sera, e, soprattutto nelle tentazioni, imploravo spesso l'aiuto di Dio dicendo: 'Gesù mio, misericordia!' Devo dirvi di più, Padre mio? Sentivo rinascere nella mia anima nuove forze e, in questo modo, non mi è più accaduto di soccombere»». E padre Leonardo proseguiva: «Fratelli miei carissimi, chi mi darà una voce di tuono, o piuttosto una di quelle trombe che risuoneranno nel giorno del giudizio finale, e, trasportato da un santo zelo, m'innalzerò sulla cima delle più alte montagne, e di là griderò con tutte le mie forze: Popoli smarriti! Svegliatevi una buona volta, e se volete assicurarvi la vostra eternità, raccomandatevi a Dio, ricorrete spesso a Lui, con queste o altre simili parole: «Gesù mio, misericordia!» E vi do la mia parola, poiché Gesù Cristo vi ha dato la sua prima di me nel suo santo Vangelo: «Chiedete e vi sarà dato (Mt 7,7), chiedete il mio aiuto e l'avrete, e con il mio aiuto non peccherete più». Ve ne do la mia parola, ripeto, se vi raccomandate spesso a Dio dicendo dal profondo del cuore: «Gesù mio, misericordia!» non peccherete più, e vi salverete».

L'esercizio della Via Crucis – che consiste nel seguire Gesù nelle tappe principali della sua Passione – esiste già a quell'epoca, ma è poco in uso al di fuori dell'Ordine francescano. Grazie a padre Leonardo, questa pratica si estenderà a tutta la Chiesa. Egli ne parla con affetto, e non teme di chiamarla «la madre di tutte le devozioni, in quanto la più antica, la più santa, la più pia, la più divina, la più eccellente, e meritevole, per questo, di avere, giustamente, la precedenza su tutte le altre». Da solo padre Leonardo istituirà 572 Via Crucis. La sua devozione alla Passione poggia su una lunga tradizione. San Bonaventura, per esempio, dichiara che, tra tutti gli esercizi di pietà, non ve ne sono che contribuiscano in modo più efficace alla santificazione.

Il Cielo benedice le opere del Padre e le missioni si moltiplicano. Quasi tutta l'Italia e la Corsica beneficiano delle sue predicazioni. Nel 1715, padre Leonardo viene nominato custode del convento di San Françesco al Monte, a Firenze, dove introduce la massima regolarità. Ma la solitudine di un convento ordinario non gli basta; cerca, come san Francesco ha fatto prima di lui, un luogo appartato dove poter, di tanto in tanto, vivere da solo con Dio. Fonda un eremo situato su una montagna, chiamato Santa Maria dell'Incontro, dove possono ritirarsi i religiosi che vogliono raccogliervisi. Vi si osservano le regole della più rigorosa povertà e ci si dedica ai lavori manuali. Ben presto, religiosi di diversi istituti e anche uomini laici chiedono di esservi accolti per partecipare agli esercizi spirituali. Padre Leonardo stesso lo ama tanto che solo il suo ardente zelo di apostolo può strapparlo da quel luogo.


Il sole del cristianesimo


Partito dopo il Giubileo del 1750 per un nuovo giro  di missioni, il Padre viene ben presto richiamato a Roma dal Papa. In uno spirito di obbedienza al Vicario di Cristo, si mette in cammino. Questo viaggio, in prossimità dell'inverno, gli è molto faticoso. Lasciando Tolentino si sente male, ma deve valicare le montagne. Arrivato a Foligno, desidera celebrare la Messa; a un Fratello che lo prega di rinunciarvi a causa della sua grande stanchezza, risponde: «Fratello mio, una Messa vale più di tutti i tesori del mondo». Aveva scritto in un opuscolo: «La Santa Messa non è niente di meno che il sole del cristianesimo, l'anima della fede, il cuore della religione di Gesù Cristo; tutti i riti, tutte le cerimonie, tutti i sacramenti vi si ricollegano. Essa è, in una parola, la quintessenza di tutto ciò che vi è di bello e di buono nella Chiesa di Dio... Per me, non ne ho nessun dubbio, senza la Santa Messa il mondo sarebbe a quest'ora in fondo all'abisso, trascinato dal peso spaventoso di tante iniquità. La Messa, ecco la leva vittoriosa che lo sostiene. Vedete quindi, dopo questo, a che punto il divino Sacrificio ci è indispensabile» (La Santa Messa, Tesoro Sconosciuto).

È recitando il Te Deum che padre Leonardo arriva al convento di San Bonaventura nel novembre 1751. Viene fatto scendere con difficoltà dalla carrozza: è così debole che non si sente più il suo polso. Appena arrivato all'infermeria, si confessa e riceve gli ultimi sacramenti, dopo aver pronunciato con un'energia sorprendente gli atti di fede, di speranza e di carità. Gli viene offerta una bevanda che accetta, poi dice: «Non ho abbastanza parole per ringraziare Dio per la grazia che mi concede di morire in mezzo ai miei confratelli». Poco dopo aver ricevuto l'Estrema Unzione, si addormenta tranquillamente nel Signore. Era il venerdì 26 novembre 1751. Canonizzato dal beato Pio IX, è stata dichiarato da Pio XI «celeste patrono dei sacerdoti che si dedicano alle missioni popolari».
San Leonardo, ottienici la grazia di un grande zelo per la salvezza delle anime!
Dom Antoine Marie osb