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sabato 8 settembre 2012

Santa Caterina, gloria della cristianità, nacque in Bologna l'8 settembre 1413..... "Ma il Figlio dell'uomo, alla sua venuta, troverà for­se la fede sopra la terra? (Luca 18,8)


LE SETTE ARMI SPIRITUALI di Santa Caterina da Bologna
Illuminata Bembo RISTRETTO DELLO SPECCHIO D'ILLUMINAZIONE
A cura di Sergio D'Aurizio

PREMESSA

Ma il Figlio dell'uomo, alla sua venuta, troverà for­se la fede sopra la terra? (Luca 18,8).
Il Signore Dio manda premurosamente e incessan­temente i suoi messaggeri ad ammonirci, perché ama il suo popolo.
I Santi sono i suoi messaggeri concepiti nel seno della Chiesa, nostra madre e maestra. Il loro messag­gio è perenne, perché viene da Dio; il loro messaggio è urgente, perché riguarda la nostra salvezza. Essi ri­propongono l'esempio di Cristo e sanno portare la cro­ce più pesante, anche per la nostra fragilità; e sono scudo della nostra sciagurata esistenza, se ad Abramo fu detto: "per amore di quei dieci non la distruggerò".
Caterina è messaggero e vero dono della Provviden­za Divina: essa ci mostra l'onnipotenza di Dio con la meraviglia della sua integrità corporale, e con miracoli e grazie; ci offre la sua continua intercessione presso l'Altissimo, l'esempio della sua vita santamente vissu­ta, le armi spirituali a salvaguardia delle nostre ani­me.
Ma, a tanta premura divina non corrisponde che la nostra sconsideratezza, perché - come dice la nostra Santa - il fuoco della carità sempre più va mancando, non essendo saviamente alimentato.
Ecco l'urgenza di attizzare insieme e senza sosta questo fuoco. In questa speranza viene presentato il la­voro di facilitazione della lettura del testo delle Sette Armi Spirituali, nel rigoroso rispetto dei suoi concetti, perché esso insegna, sollecita, preme, incalza e scuote. Solo il suo linguaggio è lontano dal nostro, perché ha più di cinquecento anni: e da qui è venuta la necessità di renderlo accessibile e comprensibile a tutti; ma il suo messaggio non invecchia, perché non conosce il tempo.

Brevi notizie biografiche

Caterina, gloria della cristianità, nacque in Bologna l'8 settembre 1413. Il padre, Giovanni de Vigri di Fer­rara, era al servizio di Nicolò III d'Este, spesso con in­carichi diplomatici; la madre, Benvenuta Mammolini, era di nota e agiata famiglia bolognese. La futura santa venne alla vita nella casa materna, che era situata dove ora sorge il Palazzo delle Poste, come anche si può leg­gere nella epigrafe di via de' Toschi, a pochi passi dal­l'ex n. 1223 (t).
Nata Caterina, la famiglia dimorò in Ferrara nella casa paterna e, secondo l'usanza di quella nobiltà, in­trodusse la figlia a Corte, come compagna di studi di (' ) Era di fronte a questa
la casa natale DI SANTA CATERINA DE VIGRI detta di Bologna e fu con più altre demolita l'anno MCMV per dare luogo al nuovo Palazzo delle Poste SPQB Margherita d'Este e di altre di alto lignaggio (z).
Gli estensi stavano facendo di Ferrara uno dei mag­giori centri di studi umanistici; e Caterina, certamente, trasse grande profitto dall'ampio corredò di cognizioni che ebbe dai precettori di Corte, come si rileva, oltre che dalla testimonianza di Illuminata Bembo, soprat­tutto da ciò che ha lasciato: il breviario miniato, le pit­ture, le poesie, la viola piccola che tanto amava suona­re nel ricordo delle sue celesti visioni, e il "Trattato del­le sette armi spirituali", mistico gioiello che particolar­mente mostra la estrema purezza della sua totale fede in Dio, la profondità della sua dottrina, la grandezza della sua sapienza, l'intelligenza della sua catechesi.
Nulla si sa del processo evolutivo che portò Cateri­na a maturare la vocazione religiosa e anteporre po­vertà, castità e obbedienza agli splendori mondani del­la Corte estense; è solo noto che, all'età di tredici anni, entrò in quella comunità che poi sarebbe diventata, an­che per merito suo, il monastero del Corpus Domini delle Clarisse di Ferrara; là scrisse il suo trattato e là rimase per circa trent'anni, umile e sottomessa, finché non fu comandata a reggere, nel 1456, il nuovo monastero che si volle fondare in Bologna, perché anche nel­la nostra città era giunta la buona fama delle Clarisse di Ferrara.
In verità Caterina, per la sua grande umiltà, non vo­leva assolutamente l'ufficio di prelatura, come i suoi superiori stavano decidendo, perché intendeva vivere e morire in stato di soggezione, a meno che a quell'inca­rico dovesse giungere in obbedienza alla volontà divi­na; e faceva grande preghiera e penitenza; e diceva: "Io son vile, io son ignorante, io son dispetta, io non sono esperta, io sono insufficiente pure alla cura di un animale irrazionale; come sarei poi conveniente alla cura e reggimento delle creature razionali tanto eccel­lenti Spose e Regine del grande Imperatore, essendomi tanto vile, che sono un pidocchio ricotto?"; ma la voce divina, in una bella e alta visione, le disse che "a Bolo­gna era stabilito il suo pellegrinaggio, e fine".
Caterina giunse in battello, percorrendo una delle vie d'acqua che allora collegavano Bologna all'Adriati­co, e fu accolta con grande festosità e calore: "... tre di continui stettero aperte le porte del Monastero, e a tut­te le persone, le quali furono tante, che non si potea ri­volgere, a tutte lietamente dava udienza, e a tutte dava mirabile giocondità; e fino al di d'oggi se ne dice della sua giocondità e cortesia... E che più? Tutte le persone che la videro, si specchiarono in lei, e parea loro vedere una Santa in carne, e non si poteano saziare di vederla, dicendo: "Oh che aspetto dignissimo! Oh che notabile e graziosa Donna! Oh che parlare dolcissimo e spirituale! Non pare creatura umana, ma tutta angelica e celestiale!".
In lei era tanta grazia, e con tanta soavità sopporta­va e consolava le sue sorelle e figliole, che tutte la ama­vano di perfetto e singolare amore e per loro era una beatitudine stare in sua compagnia e udire le sue dol­cissime parole. Nelle adunanze, o Capitoli, sempre, e­sortava alla santa umiltà, a pensare e dire bene l'una dell'altra e in ciascuna vedere l'immagine del Creatore, a non curare i fatti del mondo, perché - diceva - chi sta sinceramente all'orazione, mai vorrebbe udire e sa­pere altra cosa fuori di Dio, e tutto il suo studio è in a­mare e unirsi con Dio. Istruiva nella conoscenza dell'a­nima, fatta per grazia a immagine di Dio, redenta dal Sangue di Gesù Cristo, deputata con gli Angeli, capa­ce di verità, coerede della gloria celeste; sicché inse­gnava a ben guardare la grandezza e la dignità dell'ani­ma e la stoltezza di chi la sottopone all'amore terreno, ai vani piaceri e all'onore mondano; che la vera dignità sta sulla via della umiltà e della obbedienza, perché Cristo, Figlio di Dio, ha mostrato agli uomini la via della croce, percorrendola in vera e umile obbedienza al Padre, e non quella delle vanità, delle ricchezze e de­gli onori; e grave imprudenza e grande vergogna è in­superbire dove Iddio si è umiliato.
Caterina conosceva i segreti altrui, e, alcune volte, parlava di cose che le sue sorelle avevano tenuto ben celate nei loro cuori, sicché esse rimanevano atterrite e stupite; e predicava ciò che poi si avverava puntualmente, come la caduta di Costantinopoli, la rovina di nobili casati a seguito della uccisione di Annibale II Bentivoglio, o addirittura quali sarebbero state in futu­ro le Serve di Dio nel Monastero, che ancora non era­no nate; e toccando le sorelle inferme, le sanava nel no­me di Gesù Cristo, benedicendole col segno della santa croce.
Nei sette anni che visse a Bologna patì forti emorra­gie e gravi infermità; però mai si lamentava, e andava per casa, e lavorava con le altre confortandole nel par­lare di cose dolcissime e invitava al santo silenzio e alla meditazione: "Figliole mie, fuggite fuggite, né mai mai non albergate in voi altro che Cristo, e abbiate per cer­to che mai pel molto parlare non vi farete abitacolo di Gesù, e sia pur bello e buono il vostro parlare quanto si vuole, il silenzio è vescovo e guardiano delle cogita­zioni". Fu anche in punto di morte, ma la sua fine fu ri­tardata dalla perfetta preghiera di una consorella, che Caterina, benignamente, quasi rimproverava: "... e perdonagli Iddio a chi mi ha impedito il mio cammi­no".
A circa un anno dalla fine, venuto il Giovedì Santo, in ginocchio volle lavare e baciare i piedi a tutte le sue sorelle, con grande dolcezza e mansuetudine; e poi fare un lungo e bellissimo sermone sul tema: "O derrata, guarda il prezzo, se ti vuoi inebriare, che il prezzo è i­nebriato per il tuo amore", in cui propose l'umanità co­me derrata e Cristo come prezzo, per dimostrare quan­to ciascuno debba stimare e riverire la propria anima e l'altrui. Fu allora che narrò alle sorelle di una sua altis­sima visione di gloria e fece il primo annuncio della propria morte, dicendo: "... e questo sarà l'ultimo par­lare che io vi farò, dico di simile materia in questi sì fatti dì ...".
E giunto il tempo della morte, convocò le suore e parlò profondamente della santa orazione; e poi con­cluse: "... il fine mio è venuto, e vadomene allegramen­te, e sempre mi è stato gaudio a patire per Cristo: io vi lascio la pace di Cristo, donovi la pace mia; amatevi l'una l'altra; e se così farete, io sarò sempre vostra av­vocata dinanzi a Dio". Era il Venerdì 4 Marzo 1463; passò ancora il Sabato e la Domenica con le sorelle, con molta consolazione, ma la sera della Domenica si coricò per non più rialzarsi.
Fu presa dalla febbre, da pena di petto ed effusione di sangue; ma con somma pazienza e mansuetudine sopportò il male fino all'ultimo; il Martedì si confessò a lungo; e il giorno successivo, ultimo della sua vita, dis­se alle sorelle, che la circondavano in lacrime, i concet­ti che ora riassumo: "Io vado, ma vi lascio la santa pa­ce. Vi raccomando le novizie presenti e quelle che ver­ranno, e date loro il buon esempio e siate sempre fede­li; amatevi insieme di cordiale amore e consolatevi, perché meglio vi servirò nell'altra vita che non in que­sta; rimanete in pace tutte, con la benedizione di Cristo e con la mia. Questo è il testamento che io vi lascio". Poi, ricevuti i Sacramenti, levò gli occhi a riguardare le sue amate sorelle una ad una, e li chiuse dicendo tre volte "Gesù, Gesù, Gesù"; e l'anima parti dal suo cor­po, senza che questo facesse alcun movimento, come fa invece chi muore. Ed era la sera del 9 Marzo 1463.
Sulla fossa accadevano continui prodigi, sicché le suore, dopo diciotto giorni, ottennero il permesso di disseppellirla e la ritrovarono intatta e meravigliosa­mente odorosa. Per sei giorni fu mostrata al popolo che accorreva in gran numero; e la mattina di Pasqua era tanto bella che pareva gettasse raggi, colorita come una rosa, gli occhi aperti con uno sguardo bellissimo; e coloro che la videro se ne andarono come smemorati, dicendo di lei cose mirabili.
Da allora il corpo di Santa Caterina è sempre rima­sto incorrotto e flessibile e lo si può venerare nella Cappella costruita appositamente nel Monastero del Corpus Domini, e non poche grazie hanno ottenuto i fedeli per sua intercessione.
Fu proclamata Santa da Clemente XI, l'anno 1712.

Santa Caterina da Bologna

LE SETTE ARMI SPIRITUALI

Questa piccola opera è fatta, con l'aiuto divino, dal­la minima cagnola latrante sotto la mensa delle eccel­lenti e delicatissime serve e spose dell'immacolato a­gnello Cristo Gesù, suore del monastero del Corpo di Cristo in Ferrara. Per il dolce e soave amore Cristo Gesù, prego quelli che la leggeranno di non male inter­pretarla e di non coglierne gli errori, perché io, so­praddetta cagnola, di mia propria mano scrivo solo nel timore del rimprovero divino se tacessi ciò che potreb­be giovare agli altri; e anche perché, nel dolce ricordo dell'insegnamento dei santi nei loro scritti, ogni crea­tura deve rendersi testimone del Creatore, secondo i doni della divina Provvidenza conferita a ciascuno dal­lo stesso divino Creatore. In ciò si riconosce somma­mente l'infinita carità di Dio, che quotidianamente si degna di aiutare e difendere la sua creatura, soccor­rendola nei continui pericoli; e per questo si accresce la nostra fede in Lui, nostro vero creatore e nostro ve­ro custode.
Deo gratias. Amen.

Nel nome dell'eterno Padre e del suo unigenito Figlio Cristo Gesù, splendore della gloria paterna, per a­more del quale canto gioiosamente alle sue dilettissime serve e spose:
Ciascaduna amante che ama lo Segnore vegna alla danza cantando d'amore vegna danzando tutta infiammata solo desiderando colui che l'ha creata e separa quelle che lo amano dalla pericolosa mon­danità e le pone nella nobilissima disciplina della santa religione. In questa purgano il peccato, si adornano delle sante e nobili virtù, riconducono la bellezza delle loro anime al primo stato della innocenza. Dopo que­sto pellegrinare, così adorne entreranno degnamente nel glorioso talamo del castissimo e verginale sposo Cristo Gesù, dalle cui mani riceveranno il premio della gloria trionfante. Egli stesso l'ha preparata per tutti quelli che lo amano e, per questo amore, non curano i vani piaceri del nostro non durevole mondo e si sotto­pongono alla ragione, lasciano il proprio arbitrio e ri­parano nel sicuro porto della santa religione, si offrono completamente al volere altrui e abbandonano la pro­pria volontà in tutte le cose, per camminare sulla via della santissima obbedienza.
Poiché a questo non si può giungere senza fare vio­lenza a sé stessi, darò alcuni ammaestramenti a con­forto di quanti intraprendono la nobilissima battaglia della obbedienza e si trovano fortemente combattuti dal proprio modo di vedere e pensare e, perciò, si rat­tristano nel credere di perderne ogni merito. Non è ve­ro, perché ogni virtù si fa perfetta col suo contrario; e che sia verità - questa - lo mostrerò più avanti, quan­do tratterò della virtù della obbedienza. Chi vuole la­sciare la strada malsicura, per entrare nella casa pater­na, prenda la virtù della obbedienza e la tenga cara, come la più gentile e delicata sposa che si possa trova­re; essa, scudo imperforabile, darà piena vittoria sui nostri nemici e guiderà alla eterna retribuzione, così come disse Cristo: « Chi segue me non vaga nelle tene­bre, ma avrà la luce ».
Tuttavia, la persona così magnanima da prendere la croce per amore di Cristo Gesù, nostro salvatore, che prese la morte per darci la vita, sappia che dovrà soste­nere, dal principio alla fine, molte e angosciose tenta­zioni. Perciò, per prima cosa, prenda le armi necessarie per combattere legittimamente l'astuzia dei nostri ne­mici; ma si ricordi bene di non deporle mai, perché i nemici mai non dormono.
Dunque, su! con grande fervore e fiducia, prendia­mo le armi a lode di Cristo. Amen.
La prima arma è la diligenza; la seconda è la diffidenza verso le proprie forze; la terza è confidare in Dio; la quarta è non dimenticare mai la passione di Gesù Cristo; la quinta è non dimenticare mai la pro­pria morte; la sesta è non dimenticare mai la gloria di Dio; la settima e ultima è non dimenticare mai l'auto­rità della Santa Scrittura, così come ne diede esempio Cristo Gesù, nel deserto.
La buona volontà è l'inestimabile anello, che testimo­nia l'unione dell'anima al divino amore. Se l'anima vuole servire fedelmente Dio in spirito di verità, dovrà, per prima cosa, mondare la coscienza con una pura e integra confessione e proporsi fermamente di ricevere, piuttosto, mille volte la morte - se tanto fosse possibile - che peccare ancora mortalmente, perché la persona in peccato mortale non è membro di Cristo ma del dia­volo, è privata dei beni della santa madre Chiesa e non può fare alcuna cosa a lei giovevole per la vita eterna.
In caso contrario, se tu fossi in peccato mortale, non disperare mai della bontà divina e non cessare mai di fare quanto bene puoi, perché tu possa essere libera­to dal peccato, per il bene compiuto. E con questa spe­ranza fa pure sempre bene, in qualunque stato ti tro­vassi.
Inoltre, il fedele servo di Cristo si disponga a percor­rere la via della croce, perché riceverà molti e ango­sciosi colpi nella battaglia contro gli avversari di Dio; quindi, per resistere vigorosamente, è necessario posse­dere ottime armi, in particolare quelle che ora darò. 

La prima arma

La Santa Scrittura maledice coloro che sono negli­genti e pigri nelle cose di Dio; perciò, dico che la prima arma è la diligenza, cioè la sollecitudine nell'operare il bene.
È compito dello Spirito Santo infondere in noi le buone ispirazioni, ma è compito nostro accettarle e metterle in pratica. Ma la nostra sensualità mortifica la volontà dello spirito, per cui è necessario resistere alle sue continue sollecitazioni con vera diligenza, per non lasciare trascorrere il tempo a noi concesso, senza sfruttarlo a fin di bene, così come è scritto:
Chi vol salire non de' posare pensieri parole dire e fatti fare e in Dio sempre esercitare.
Ma con discernimento, perché vi è pericolo nel trop­po come nel poco e il ben valutare fa perfette tutte le altre virtù, come affermò Sant'Antonio da Vienna, glo­rioso dottore degli antichi santi Padri. Infatti, quando il nostro avversario non può impedire alla serva di Cri­sto di praticare il bene, l'assale alle spalle come nemico traditore, cioè cerca di ingannarla, tentandola a fare il troppo sotto forma di bene, per ucciderla. Dunque, tut­te le virtù spirituali e temporali vanno sempre usate con criterio, affinché vi siano possibilità di difesa e l'ar­ma del vero e diligente discernere sia da noi esercitata, a nostra salute e lode di Cristo. Amen. 

La seconda arma

La seconda arma è il diffidare delle proprie forze, cioè, senza alcun dubbio, dare per certo che mai da so­le si possa fare una qualunque cosa buona, secondo l'affermazione di Cristo Gesù: «Nulla potete fare sen­za di me. »; né, tantomeno, si possa resistere alla furia dei nemici infernali e alla loro astuta malizia. Nessuna confidi nella propria esperienza e sappia che, per giu­sto giudizio, certamente cadrà in grande rovina, se non si comporterà secondo le mie esortazioni, perché il ne­mico è più malizioso di noi; anzi, è la malizia stessa. Perciò, dico che la seconda arma, per combattere il male, è il non fidarsi di sé, e beata chi avrà questa nobi­lissima dote! E più la religiosa è virtuosa, o ha incari­chi di responsabilità, più ne ha bisogno. Io stessa udii raccontare da un vecchio e onestissimo prelato che, se egli decideva cose pertinenti al suo ufficio secondo il proprio giudizio, Dio permetteva l'attuazione della maggior parte di quelle che portavano affanno e tribo­lazione, mentre tutto andava a buon fine, con sua grande consolazione, se le cose venivano fatte non se­condo il suo giudizio, ma secondo coscienza e secondo il parere della maggioranza dei suoi subordinati.
Dunque, come potrà avere tanto ardire la religiosa, e in particolare la novizia, da voler vivere di testa sua e con stolto fervore? Viva essa, piuttosto, secondo la co­scienza e la volontà della sua superiora e maestra, affinché la virtù della santa umiltà in lei risplenda e rafforzi l'arma del diffidare delle sole proprie forze. A lo­de di Cristo. Amen. 

La terza arma

La terza arma è confidare in Dio e, per suo amore, virilmente non temere di combattere prontamente con­tro i diavoli, il mondo e la nostra carne, che c'è data per servire lo spirito. Buttiamo questi nemici ai piedi del nostro affetto, con ferma speranza nella sovrab­bondante grazia divina, con la quale otterremo piena vittoria, perché Dio non abbandona chi spera in Lui.
E se, alcune volte, Iddio permette che la serva e spo­sa di Cristo si trovi in così grande e penoso stato da in­vocare il Cielo, gridando:- Dio mio, non mi abbando­nare! - sappia ella, per certo, che quanto più teme e dubita di essere abbandonata, tanto maggiormente, proprio in quei momenti, è sollevata a Dio in somma perfezione, per divino e occulto mistero. Il più grande esempio di questo, lo abbiamo dal suo unico Figlio, quando, ormai prossimo alla penosa e amarissima morte, gridò: - « Padre, perché mi hai abbandonato? » - . Si comprende come Cristo, vero Figlio di Dio, ve­ramente in quel punto trionfasse in somma perfezione, nella totale obbedienza e nella perfetta unione all'eterno Padre; si comprende, anche, perché invocasse il Padre con quelle parole, in quanto uomo soggetto alle soffe­renze e alla morte, e ciò avveniva perché la divinità, a sé stessa inseparabilmente unita, realmente lasciava la parte umana, soggetta ai sensi per sua natura. Questo voleva la giustizia per cancellare, con la penosa obbe­dienza di Cristo, il piacere della disobbedienza del no­stro primo padre.
La serva di Cristo non tema di essere abbandonata, anche se, alcune volte, così le sembra; sappia che l'e­terno Padre non permetterà che accada a lei quanto non lasciò accadere al proprio Figlio; anzi, prenda più fiducia nel divino soccorso proprio nei momenti di maggior tribolazione e si ricordi della dolce promessa di Dio fatta per bocca del profeta: « Sono con lui nella tribolazione, lo salverò e lo glorificherò ».
Dunque, chi non vorrà essere messo alla prova pur di avere un così dolce e fedele compagno che, invoca­to, si offre nei momenti di angoscia? Oh! maggiormen­te, per questo, dovremmo desiderare di essere tribolate piuttosto che consolate, per rafforzare così la nostra speranza e la terza arma, del confidare in Dio, possa essere esercitata a nostro vantaggio. A lode di Cristo. Amen. 

La quarta arma

La quarta arma è il non dimenticare mai la glorio­sissima incarnazione dell'immacolato agnello Cristo Gesù, la sua castissima e verginale umanità e, partico­larmente, la sua sacratissima passione e morte. Senza quest'arma, superiore a tutte, non potremmo vincere i nostri nemici e poco gioverebbero le altre.
O passione gloriosissima, rimedio di ogni nostra ferita!
Madre fedelissima, che conduci i tuoi figli al Pa­dre celeste!
Rifugio vero e soave in tutte le avversità!
Cibo vero, che guidi le piccole menti alla somma perfezione!
Specchio rilucente, che illumini chi in te si riflette e ricomponi le sue deformità!
Scudo impenetrabile, che insuperabilmente ci di­fendi!
Manna saporita e piena di ogni dolcezza, che preservi coloro che ti amano da ogni veleno mor­tale!
Scala altissima, che porti al bene infinito chi a­nela salire!
Dimora vera e confortevole delle anime pellegri­ne!
Fonte perenne, che dai refrigerio agli assetati di te!
Mare pescosissimo, per chi ti sa navigare!
Olivo soavissimo, che spandi i tuoi rami per tutto l'universo!
Sposa fedele, dolce premurosa, di te sempre in­namorata!
O carissime sorelle, esercitatevi infaticabilmente in questa arma e specchiatevi nel suo radiante splendore, se volete conservare la bellezza delle vostre anime! Perché, veramente, la Passione è la sapientissima mae­stra che vi condurrà alla piena bellezza di tutte le virtù e, con essa, perverrete al palio della vittoria. A lode di Cristo. Amen. 

La quinta arma

La quinta arma è il non dimenticare mai la nostra morte. Molto giova ricordarsi spesso della morte e sta­re continuamente preparati a essa, perché non sappia­mo in quale ora di quale giorno ce la invierà il severis­simo giudice. Dice bene il glorioso apostolo Paolo: « Facciamo il bene, finché abbiamo il tempo ».
Il tempo della nostra vita si chiama tempo di miseri­cordia, perché ci viene concesso per emendarci, pas­sando dal bene al meglio; mentre viviamo l'esistenza terrena, Dio ci aspetta di giorno in giorno e, a Lui, do­vremo rendere conto del dono della buona volontà, che ci viene donato per esercitarlo a sua lode, per la salute della nostra anima e per il bene del nostro prossimo; se non lo faremo, non solo dovremo rendere ragione del male commesso ma, anche, del bene non fatto per la nostra negligenza.
Si guardino bene le novizie dal confidare troppo nel­le loro forze, per non oltrepassare la regola imposta dalle loro superiori e maestre e, con tutta la volontà, seguano la strada loro indicata, per la salute dell'anima e del corpo. Dico questo perché, a volte, il nemico met­te con astuta malizia nelle menti delle novizie, ancora poco agguerrite nella battaglia spirituale, l'idea che debbano morire presto e, così, le induce a fare maggio­re penitenza di quella dovuta, convinte, per umiltà, di non aver acquistato sufficienti meriti. Il maligno le stu­dia, e le sollecita a trasgredire la regola della vera ob­bedienza; ma, senza alcun dubbio, l'obbedienza è più meritoria di qualunque penitenza. Quindi, è necessario usare l'arma della memoria della nostra morte con giu­sta prudenza, perché possa essere esercitata per la sa­lute dell'anima e lode di Cristo. Amen. 

La sesta arma

La sesta arma è la memoria delle beatitudini del pa­radiso. Esse sono preparate per quelli che combattono legittimamente senza curare i vani piaceri della vita terrena, perché è impossibile godere i beni presenti e quelli futuri, come dice il sacratissimo dottore Sant'A­gostino. Perciò siate contente, dilettissime sorelle, di non sperimentare alcun diletto mondano e non vi pesi la fatica di rinnegare la vostra volontà; ricordatevi del nostro Patriarca San Francesco, che riteneva il potere di vincere noi stessi il dono maggiore di Dio ai suoi ser­vi di questo mondo, e diceva: L'è tanto el ben che aspetto che ogne pena m'è diletto per spiegare perché si gloriava di patire, nella memoria dei beni eterni.
E sui doni celesti preparati per voi, carissime sorelle, vi narrerò un fatto accaduto nel nostro monastero. Poco dopo che io vi fui entrata, giunse anche una giovinetta, che, dopo qualche tempo, si pentì di avere abbandonato le vie del mondo e, col proponimento di lasciare la vita religiosa, andò a confessarsi.
- Figliola - le disse stupefatto il confessore - guar­da a ciò che fai perché, se bene intendo, proprio sta­notte, per te, ho avuto una visione che mi ha molto me­ravigliato, non sapendo cosa volesse dire o significa­re. - E lei:- Vi prego, ditemela!­
E il confessore:- Sono stato condotto a una bellissi­ma festa, dove erano innumerevoli giovani donne: tutte risplendevano di inesprimibile bellezza, ornate in capo di serti di bellissimi fiori e, vestite di meravigliosa glo­ria, gioiosamente ricevevano con onore una giovane, che si univa alla loro compagnia; ma, improvvisamen­te, quella appena giunta mostrò di essersi pentita e tornò indietro, e tutte si rattristarono molto. A questo punto, la visione disparve e, io, non ne capivo il senso; solo adesso comprendo che Dio ha voluto preavvertir­mi, per il tuo bene. Figliola, non cadere in questa tenta­zione, ma sii perseverante e forte, se vuoi pervenire a quella festa, unirti a quella nobilissima compagnia che ti aspetta, e gioire in eterno con quelle gloriose vergini. Dopo il racconto, essa decise di restare, ma più per vergogna che per altro; però, non si comportava reli­giosamente e, dopo poco tempo, fu resa alla sua fami­glia e in breve finì la sua vita, nella vanità del mondo. Si avverò, così, la visione, e la giovane, persa la corona della sua verginità, giustamente non giunse alla eletta schiera vista dal servo di Dio.
Pertanto, dilettissime sorelle, siate forti e costanti, perseverando nel bene operare solo per puro amore del nostro Signore Dio, e sperate fermamente nei beni del Paradiso perchè possiate finalmente pervenire ad essi, dicendo col nostro Serafico San Francesco: " i giusti mi faranno corona, quando mi concederai la retribuzio­ne".
A lode di Cristo. Amen. 

La settima arma

La settima arma, per vincere i nostri nemici, è la memoria della Santa Scrittura, da portare sempre nel nostro cuore. Da lei dobbiamo prendere consiglio, in tutte le cose, come da fidatissima madre, così come si legge della prudentissima e sacrata vergine Santa Ceci­lia: In segreto sempre portava in seno il Vangelo di Cristo; e con quest'arma il nostro salvatore, Cristo Gesù, confuse il diavolo nel deserto dicendo:- È scritto.- perciò, dilettissime sorelle, fate fruttificare le quotidiane letture del coro e della mensa, per rafforzar­vi in questa arma. Immaginate i brani del Vangelo e delle Epistole, che ogni giorno udite nella Messa, come altrettante lettere del vostro celeste sposo; custoditele nel vostro cuore, con grande fervente amore, pensate ad esse il più possibile e, particolarmente, quando siete in cella, perché meglio e con più sicurezza possiate dol­cemente e castissimamente abbracciare Colui che ve le manda; se farete così, vi troverete continuamente con­solate nel vedere quanto spesso riceviate nuove e belle notizie da Quello che sommamente amate.
Oh quanto dolce e soave è il divino parlare di Cristo Gesù, nell'anima di quella che sinceramente di Lui è infiammata! Infatti, non è forse parola di Cristo, la dottrina Evangelica? Certo si. Dunque, quanto atten­tamente la dovete intendere e gustare!
Qui pongo termine all'argomento delle armi spiri­tuali e mi dilungherò nel racconto di un sottilissimo in­ganno del nemico della nostra salute. Proprio quell'in­ganno mi convinse a scrivere questo libricciolo, in dife­sa e ammaestramento delle giovani suore presenti nel nostro monastero e delle prossime che verranno. Amo tanto la loro salute e quella di tutti, che mi sembra di essere rimasta senza forze per il molto e quotidiano in­vocare il divino aiuto e ho finito di scrivere con grande fatica, per la debolezza che mi fa tremare tutto il cor­po. E sarei contenta, per amore di Cristo Gesù, di fini­re presto la mia vita e la mia milizia.
Carissime sorelle, vi prego di usare con prudenza le armi spirituali e di non stare mai senza di esse, se vole­te trionfare sui vostri avversari; guardatevi di non farvi ingannare sotto forma di bene, perché, alcune volte, il diavolo appare in sembianza di Cristo o della Vergine Maria, in qualche figura di angelo o di santo. Perciò, se venissero apparizioni, prendete l'arma della Scrittura e comportatevi come la madre di Cristo che, all'appari­zione dell'angelo Gabriele, chiese:- Cosa significa questo saluto? - per assicurarvi bene, prima di ascol­tare, se vi trovate innanzi a un buono o a un cattivo spirito. E beata chi farà in questo modo.
È anche necessario fare buona guardia ai propri pensieri, perché, alcune volte, il diavolo mette buone e sante intenzioni nella mente per ingannarla e, poi, spin­gerla alla disobbedienza, che è il contrario della virtù pur nella convinzione di operare il bene, e da qui indur­la nella fossa della disperazione. 

La prima diabolica apparizione

Che il diavolo abbia libertà di agire come ho detto, lo dimostrano i fatti straordinari che accaddero a quel­la religiosa che chiama sé stessa cagnola.
Illuminata dalla grazia divina, essa, in giovane età, venne al servizio di Dio in questo monastero; con sana coscienza e buon fervore, era sollecita giorno e notte alla santa orazione e tutta tesa nella imitazione di ogni virtù, che udiva raccontare o vedeva in altre persone, ma non per invidia, bensì per piacere sempre di più a Dio, che amava e che ama con tutte le sue forze; già in quei primi tempi ebbe molte grazie, ma sostenne, an­che, grandi battaglie e resistette a diverse tentazioni.
Un giorno, fu assalita da una cattiva suggestione e vi riconobbe la presenza del diavolo; allora, con gran­de ardire, la novizia gli disse: - Sappi, maligno, che non mi indurrai in peccato, perché non puoi agire per vie tanto occulte che io non conosca. -
Dio la volle umiliare per quella presunzione e, per mostrarle quanta malizia e quanta astuzia aveva il ne­mico, gli permise di apparire innanzi a lei nelle sem­bianze della Vergine Maria e di parlarle così: - Se tu rigetti l'amore vizioso, io ti darò l'amore virtuoso. - e poiché, in quel momento, essa era in orazione pregan­do la Madre di Cristo, veramente credette che la Vergi­ne Maria si fosse degnata di concederle la grazia di a­mare ardentemente il suo Figliolo.
Nel ripensare all'accaduto, si convinse che quelle parole fossero una esortazione a ripudiare la propria sensualità e la propria volontà; infatti, amava la santa obbedienza più delle altre virtù e già vi poneva tutta la sua sollecitudine, anche se non era ancora obbligata al­la osservanza della regola monastica perché all'inizio della sua conversione; mise così ogni sua forza nella obbedienza alla superiora, senza discernimento e senza cura di sé stessa.
Ma i suoi nemici la ingannavano proprio per mezzo di questa virtù; essi misero nel suo cuore nuovi impulsi a lei sconosciuti contro la obbedienza e cominciò a for­mulare nella sua mente giudizi critici sull'operato della sua superiora; però, ne provava amarezza e grandissi­ma pena e si accusava della sua colpa con la stessa su­periora, con grande vergogna; ma la battaglia non ces­sava, anche se le giovava molto non cedere totalmente alla tentazione, che la tormentava con violenza, e rice­veva forza e un poco di conforto nel molto pregare; anche se non cadeva completamente nella tentazione, tuttavia era pur sempre molto angustiata nel pensare di essere disobbediente alla Vergine Maria e diceva di sé stessa: - Essa mi ha detto di ripudiare la mia volontà e io, ogni giorno, penso il contrario. - e, così, era in grande disperazione per quella che reputava una pro­pria grave colpa, senza avere alcun sospetto della isti­gazione diabolica. 

La seconda diabolica apparizione

L'inganno non aveva però intaccato la sua speranza in Dio e allora il diavolo maligno sperimentò una più sottile insidia.
Una mattina, appena fu entrata in chiesa per prega­re, le apparve sospeso innanzi con le braccia aperte nelle sembianze di Cristo Crocifisso e, con atto di vo­lerla rimproverare, ma in modo amichevole e benigno, le disse: - Ladra, tu hai rubato a me. Dammi quello che mi hai tolto. -
Nel credere di vedere veramente Gesù Cristo, tanto che si sarebbe sprofondata volentieri sotto terra, in grande soggezione e timore essa rispose: - Signore mio, cosa significa ciò che mi dici? Io non possiedo al­cuna cosa, sono poverissima e annichilita davanti a voi e in questo mondo sono sottoposta ad altri, sicché ve­ramente non ho nulla. -
- Non sei povera come dici e non è vero che tu non possieda nulla, perché io ti feci a mia immagine e somi­glianza dandoti la memoria, l'intelletto e la volontà e tu, nel fare voto di obbedienza, mi hai reso tutto ciò; e ora lo riprendi, sicché ti dimostro quanto sei ladra. -
Lei credette di capire perché dicesse quelle parole, cioè a causa dei suoi pensieri di infedeltà contro la su­periora, e così disse ancora: - Signore mio, come pos­so fare se non ho il cuore e i pensieri in mio potere? -
- Fa come ti dico: prendi la tua volontà, la tua me­moria, il tuo intelletto e non usarli in nessuna cosa ol­tre il volere della tua superiora. -
- Ma come posso avere intelletto senza discernere e memoria senza ricordare? -
- Metti la tua volontà nella sua, come se la sua fos­se la tua e non esercitare la memoria e l'intelletto, se non per questo. -
Ma essa diceva di non poterlo fare, perché sapeva di non avere potestà sul proprio cuore. Allora lui disse ancora: - Fa come ti dico: - dormi, veglia e riposati. -
- Signore, non capisco ciò che dite. -
- Intendi, per dormire, il non affaccendarti in cose di questo mondo; intendi, per vegliare, l'essere sollecita alla obbedienza; intendi, per riposare, l'avere sempre in mente, nello svolgere ogni tua mansione, e costante­mente meditare la mia passione. - e detto questo e molte altre cose a conforto della obbedienza, disparve.
Essa non dubitava della apparizione di quello che credeva Gesù Cristo e rimase con questo pensiero fis­so, ma non riusciva a liberarsi dal mal giudicare il dire e il fare della sua abbadessa; anzi, appena le ordinava qualche esercizio spirituale o detto qualche cosa, subi­to era portata a pensare che sarebbe stato meglio, piut­tosto, fare in questo o in quest'altro modo; poi, i pen­sieri di infedeltà e di contraddizione li confessava sem­pre alla stessa sua superiora, con vereconda amarezza e penose e abbondanti lacrime. La forza di accusarsi fu il rimedio salutare alla violenta tentazione di ribellarsi; senza quell'atto di contrizione, più volte non si sarebbe trattenuta dall'andare direttamente dall'abbadessa a contestarla e contraddirla nelle cose fatte e ordinate, e questo atto avrebbe dannato l'anima sua, perché ai re­ligiosi non è mai lecito opporsi ai superiori, finché non comandassero cose contrarie all'anima.
Il nemico ha in sommo dispetto le persone onesta­mente sottomesse a Dio e sempre cerca nuovi modi per ingannarle; perciò, se qualcuna fosse tentata nella ob­bedienza, si ricordi bene che la tentazione non è opera sua, ma viene dalla invidia del nemico; con pazienza resista fortemente e avrà la corona del martirio. 

Le lacrime di sangue

Essa non cessava di obbedire alla sua superiora, di amarla e rispettarla, ma la sua amarezza era grandissi­ma, per essere violentemente combattuta nei propri giudizi e, continuamente, versava lacrime così copiose da farle credere impossibile di conservare la vista, se non per grazia di Dio; in questa pena stette a lungo, tanto che un giorno, quasi non ci fossero più lacrime, invece di umore versò del sangue e dal piangere non poteva trattenersi, per la indicibile tristezza che le pia­gava il cuore; si credeva, ormai, privata della fiamma del divino amore e si faceva crudele il ricordo dei beni spirituali che, per grazia divina, aveva tante volte rice­vuto in passato e in così grande abbondanza da riusci­re a non rivelarli solo con grande sforzo.
Così, venne il tempo in cui le pene dello spirito gene­rarono i mali del corpo e cominciò a soffrire di tanto sfinimento da non potere pregare, né compiere i suoi doveri senza grandissima tensione; fu una ragione in più di penosa tristezza e si sommò al timore che tutto ciò avvenisse per vizio di sensualità. Il timore veniva dal nemico, che le insinuava questa idea per tormentar­la dopo averle detto di abbandonare la sensualità; e non solo il maligno la insinuò in lei, ma anche nelle persone vicine e, così, dovette sopportare anche dei rimproveri e situazioni di disagio. E questo era il con­forto che riceveva in tanti guai.
Nel crescere continuo delle sue pene spirituali e corporali, quasi si sentì mancare l'intelletto e, perciò, deci­se di non continuare a vegliare la notte, ma di prender­si, piuttosto, quanto più riposo fosse possibile; ma la o­razione le era tanto consueta che, anche dormendo, si ritrovava seduta con le braccia aperte a modo di cro­ce; e non pensò che a questo la inducesse il nemico, affinché per il troppo pregare la facesse impazzire. Le avvenne, invece, di essere nella condizione del glorioso Giobbe, cioè quasi privata della ricchezza mentale e della forza corporale, e di non essere più in grado di e­sercitare le virtù con il fervore e la sollecitudine di pri­ma; credette di essere rimasta con la sola virtù della pazienza, ma evidentemente in misura assai scarsa, perché bastava una piccola parola a metterla in grande amarezza.
Ecco quanto le capitò per la sua povertà di spirito, dopo i primi due inganni. 

La terza diabolica apparizione

Dopo qualche tempo, nel vedere che non l'aveva del tutto gettata a terra, il nemico le apparve nuovamente nelle forme della Vergine Maria con Gesù bambino in braccio e la rimproverò così: - Tu non hai voluto ripu­diare l'amore vizioso, perciò non ti darò l'amore vir­tuoso, cioè quello del mio Figliolo - e, detto questo, di­sparve con espressione turbata.
Si può ben comprendere in quale stato di indicibile amarezza essa rimase, convinta di avere veramente vi­sto la Madre di Cristo e di essere in colpa verso di Lei e il suo Figlio; e si pensi in quanta mortale miseria e tristezza si ritrovò nei giorni che seguirono l'apparizio­ne che, a malapena, sopportava sé stessa tanto che, più volte, fu sul punto di cedere alla disperazione; se non avesse saputo che il peccato più grave è la disperazio­ne; ma la divina bontà la sostenne, lasciandole il dono della buona volontà e il vivo desiderio di non fare nulla contro il volere divino.
Allora il maligno parve ricevere da Dio la libertà di accrescere la sua rabbia. Poiché non riusciva a dan­narla con gli inganni, cercò di affliggerla con altri mez­zi e colpì il bene comune a tutte le sorelle e l'onore del monastero, che lei amava sinceramente; una notte, mentre le altre sorelle dormivano, essa lo udì girare in­torno alle mura del monastero urlando rabbiosamente con spaventosa e terribile voce e, se Dio gli negò la li­bertà di abbatterlo, come invece poté fare con la casa del beato Giobbe, tuttavia intrigò tanto che, in poco tempo, rimase vuoto delle sorelle e delle cose.
Ferma nei suoi propositi, essa non acconsentì di ab­bandonarlo senza la certezza del ritorno in migliori condizioni e, con questa promessa, anche se con gran­dissimo dolore, dopo le altre uscì anch'essa, ma volle essere accompagnata in un luogo dove non fosse stato possibile vedere e parlare con alcuno.
Come piacque alla divina Provvidenza, con cinque sorelle, già sue compagne, tornò poi al monastero e lo rimise in ordine; ma passò alquanto tempo prima che riuscissero a chiudersi in clausura, perché molte perso­ne desideravano visitarlo.
Il nemico approfittò della situazione per tentare an­cora di nuocere e istigò alcune persone, altolocate se­condo il mondo, a proporle con insistenza di trasferirsi nella loro casa, come compagna di una loro figliola ammalata, e credevano di rassicurarla nel dire che, se fosse stato necessario trovare licenza dal Papa o da qualunque altro superiore, non dubitasse e, così, per il necessario alla salute dell'anima e del corpo, che sareb­be stata servita meglio di quanto avesse saputo do­mandare. Ma essa non acconsentì, forte e costante nel proposito di chiudersi in clausura sotto la regola di Santa Chiara. E così avvenne.
Ma il nemico non si disarmò e tentò di distruggere nuovamente l'edificio rinnovato; così lei, temendo for­temente, ricorse all'arma della orazione e invocò dal Cielo il divino aiuto, con tutto il suo affetto. Narrare o­gni cosa, sarebbe troppo, basti sapere che, prima di es­sere pienamente esaudita, sostenne ancora molti e di­versi tormenti e con lei anche le sue compagne; ma infine, come è scritto, così avvenne: «Nel giorno della sofferenza ti hanno invocato e Tu, dal Cielo, li hai e­sauditi ».
L'edificio finora è prosperato di bene in meglio, il nemico ha perduto la battaglia ed è rimasto confuso, a lode del Signore Iddio che non abbandona coloro che sperano in Lui, anche se, a volte, permette che vengano colpiti da molti e grandi mali, per metterli alla pro­va e farli degni di maggiore gloria.
La infernale penuria, durata circa cinque anni, è passata e Dio, apertamente, le ha rivelato che le appa­rizioni furono permesse al diavolo per farla giungere a una grande conoscenza di sé. Essa è rimasta tanto illu­minata dalla vera divina visitazione e nella conoscenza della propria impotenza, che se tutte le anime beate le giurassero il contrario, non lo crederebbe. Se è stata nuovamente consolata, è rimasta però in grande salu­tare timore, che al cospetto della divina Maestà, vede sé stessa come assoluta, incomprensibile e spregevole nullità. 

La vera divina visitazione

Così, divenne esperta degli inganni diabolici e, an­che, della vera divina presenza, della quale dice e affer­ma questo: quando, per sua clemenza, Iddio si degna­va di visitare la sua mente, essa subito se ne accorgeva dal segno vero e infallibile che lo precedeva, cioè entra­va in lei la santa aurora della umiltà, che le faceva im­mediatamente inclinare il capo interiore ed esteriore, tanto da sentirsi principale radice di tutte le colpe pas­sate, presenti e future; con questi sentimenti, rimaneva in vera e sincera meditazione e si compiaceva di giudi­carsi causa di qualunque difetto fosse nelle sue vicine. Veniva allora a lei il sole radiante e fuoco cocente Cristo verità e col suo spirito riposava in pace, così che poteva ben dire:
O alta nichilitade tuo atto è tanto forte che apri tutte le porte e intri in l'infinito.
Poi, declinata la fiamma del divino amore, la mente rimaneva illuminata, il cuore riscaldato e acceso dal desiderio di patire e sacrificarsi, il viso gioioso e tutti i sentimenti esultanti; a volte, l'eloquenza ne rimaneva stimolata e argomentava sulla virtù, sulla dolcezza del riprendere e sulla soavità del sopportare i difetti; altre volte, rimaneva senza parola, in grazia della perma­nenza della unione mistica, e quanto più era congiunta a Dio, tanto maggiore era il santo timore di questa a­micizia. Con questo santo timore, poteva giovarsi della divina presenza, senza pericolo di vanagloria, anche a favore di altre persone; in modo inesprimibile, le era data una luce interiore per comprendere a fondo che solo Dio poteva darle vera gloria e vera letizia e, per grazia, infinito bene e, per giustizia, infinita pena.
Davanti alla divina e imperiale Maestà, tutte le crea­ture mortali, senza distinzione, sono giustamente delle nullità: quindi aveva ben capito che è somma stoltezza il vano gloriarsi, come è somma stoltezza il temere di accettare le manifestazioni divine e non operare pron­tamente il bene, nella preoccupazione di farlo imperfet­tamente. Non dice questo per le novizie, che appena iniziano a esercitare vita devota, ma per quelle che cer­cano la perfezione e temono di sbagliare in ogni cosa; alla perfezione si perviene, solo, con vera fer­mezza passando per via delle molte tentazioni e por­tando la pena della croce. 

Considerazioni sugli inganni diabolici

Ora è utile riguardare attentamente l'esperienza pa­tita per le tre diaboliche apparizioni.
Il nemico operò secondo questo schema: per prima cosa, la ingannò comparendo nelle false forme della Vergine Maria e di Gesù Cristo e predicando la virtù da lei amata sommamente, cioè la obbedienza; poi, la indusse al contrario insinuandole, con grande insisten­za, pensieri che la disponevano a mal giudicare l'ope­rato della sua abbadessa; infine, le diede a intendere che la mal disposizione d'animo nasceva dal cuore di lei, mentre senza dubbio procedeva da lui, e sotto for­ma di contrizione le mise tanto dolore di quelle sugge­stioni, da farla precipitare nella fossa di una indicibile sofferenza spirituale e corporale, fino alle soglie della disperazione, alla quale si sottrasse solo con grande sforzo e grazie alla sua ferma fede in Dio. Inoltre il ne­mico, per più tempo, la tentò alla bestemmia: né con la confessione, né in alcun altro modo trovava rimedio a questa tentazione, e non aveva il benché minimo so­spetto dell'azione diabolica, perché mai aveva posto in dubbio l'origine divina delle apparizioni; finché una notte, mentre dormiva, il diavolo si avvicinò al suo o­recchio e le stette accanto a sussurrarle di bestemmiare Dio, mentre lei, pur dormendo, opponeva resistenza e diceva:- Questo io non lo farò mai!- e il maligno, al­lora, si disdegnò tanto, che fece un così grande strepito da svegliarla, e nello svegliarsi lo sentì partire da pres­so.
Vide allora con chiarezza da chi fossero causate le sue afflizioni e comprese, anche, che il nemico le mette­va in cuore le bestemmie e la induceva a credere che nascessero in lei, per farla cadere nella disperazione.
Solo dopo aver compreso questo fu in grado di vin­cere la tentazione; e così se una di voi, dilettissime so­relle, fosse trascinata in una simile battaglia, non si confonda e non si contristi nel pensiero di un moto ri­belle della propria anima, perché essa procede solo dal­la invidia diabolica, la quale non può sopportare che Dio sia adorato e lodato. Ma in eterno e senza sosta Dio sia benedetto, lodato, magnificato e in modo asso­luto esaltato, a dispetto e derisione di Lucifero, con tut­ti i suoi compagni e tenebrosa brigata. Amen. Amen.
Mi sforzerò di mettere ancora più in evidenza ciò che le accadde in conseguenza degli inganni diabolici: la sua buona volontà di operare il bene pareva quasi assopita e anche il minimo fuscello, posto innanzi, le sembrava una trave insostenibile; la sua vita monacale pareva priva di senso e aveva quasi perduto il gusto della devozione, che solo dopo alcuni anni poté riac­quistare; inoltre, era forte la tentazione al vizio di va­nagloria, perché il nemico la spingeva a divulgare la notizia di quei fatti straordinari per essere considerata e stimata, ma lei li celava, proprio per questo. Si consi­deri, ancora, con quanta astuzia il nemico le insegnava la via della obbedienza, per poi spingerla al contrario, e come la ingannava sulla origine di quei pensieri, facen­dole credere che procedessero da lei: così operò il mali­gno, per farla precipitare in una angoscia mortale che, per lei, fu comunque penosissima, tanto che se qualcu­no, quando ne fu liberata, le avesse fatto scegliere fra il tornare a quella angoscia e il taglio della testa, senza alcun dubbio avrebbe scelto, piuttosto, una tale morte e con grandissimo piacere.
Per questo, anche se mi sembra presunzione, prego con tutto il cuore le future abbadesse di questo mona­stero di avere in massima considerazione la cura del gregge loro affidato, perché il lupo infernale incessan­temente opera per divorarlo; è necessario stare sempre in guardia e non aspettare di soccorrere la pecorella quando è già in bocca al lupo, ma, con prontezza e ve­ra pietà, sovvenire le infermità delle anime e dei corpi: è tanto gradito a Dio, e più giovevole alla suddita, l'a­iuto della superiora dato prima della domanda, perché cosa domandata è meno grata e mezzo pagata. Chi sarà mai quella insensata che, ferendosi anche il più piccolo dito, subito non abbassi il capo per guardare la ferita e non si affretti a medicarla? In questo modo o­gni capo si comporti con tutti i suoi sudditi membri, perché operare il contrario è medicina mortale non so­lo per i membri, ma anche per lo stesso capo; e se non basta tutto ciò che ho detto per aprire gli occhi alle semplicità colombine, le raccomando a Quello che e­ternamente tutto vede.
Ricordo a quelle con incarico di responsabilità di te­nere in maggior stima la più piccola anima loro affida­ta, che non l'intero mondo col suo ornamento e questo, a ben considerarlo, è un grandissimo peso; si sforzino anche, con vera prudenza, di dare più amore a quelle tentate di inobbedienza e di infedeltà che non alle altre, perché, quando il nemico muove contro la serva di Cri­sto, la virtù della obbedienza è più meritevole, se cerca­ta con desiderio; e beata la religiosa che con pazienza sosterrà un tale abbaiamento e vincerà sé stessa, per­ché non riceverà la corona della obbedienza chi non sosterrà battaglia di contraddizione, così come disse l'infinita bontà di nostro Signore Gesù Cristo, e cioè che il vincitore di sé stesso rapirà il Cielo. 

La perfetta e umile obbedienza di Cristo

Conseguentemente, quelle che comunque obbedi­ranno superando le proprie personali convinzioni, il proprio volere e i propri giudizi, senza dubbio non perderanno per questo il merito della vera obbedienza; an­zi, a maggior ragione, acquisteranno la gloria celeste. Nel fare atto di umiltà, cioè nel rimettere la propria vo­lontà non solo alle superiori e madri, ma anche alle u­guali e alle minori, seguiranno la via mostrata dal Fi­glio di Dio che, nella sua infinita bontà, obbedì non so­lo al Padre eterno, ma a sua Madre e a Giuseppe, co­me attesta il Vangelo dove dice: « e a quelli era sotto­messo ».
Pertanto si vergogni la superbia del cuore umano, che mai non vuole sottomettersi e sempre cerca di so­prastare e dominare gli altri. Si confondano le menti di quanti ritengono sufficiente, a reggere e ammaestrare gli altri, il poco tempo trascorso nel porto della saluta­re obbedienza; della qual cosa si ingannano, perché credono di avere percorso la via della perfezione e so­no, invece, caduti nella fossa della presunzione, non considerando quanto siano lontani dalla perfettissima e umile obbedienza di Cristo Gesù.
Trascorsi ventinove anni sottomesso e docile, du­rante i quali occultò l'altezza della sua divinità sotto l'ombra della sua verginale umanità, Gesù, come capo, ancora più sopportò molte e diverse pene e derisioni, quasi non avesse fatto nulla esercitando la obbedienza: infatti, non solo non fu creduto Figlio di Dio, come in­vece è, ma fu chiamato e reputato bestemmiatore e prevaricatore della sua legge; dai principi e dai baroni del mondo non fu onorato, come oggi fanno i suoi ser­vi, anzi fu reputato stolto e malfattore; ma Egli tutto sostenne, per obbedire completamente alla volontà del Padre. Così, si dimostra che la sua obbedienza fu per­fetta, perché non solo fu soggetto al Padre, ma si sotto­mise anche alla signoria di vilissimi peccatori; dalle cui mani ebbe crudelissima morte e, in questo modo, con­dusse al fine la sua obbedienza.
Ogni persona invitata alle nozze dell'Agnello, cioè alla santa religione, dovrebbe attenersi a questo esem­pio e avere il desiderio di stare non solo trentatré anni e più sottoposto agli altri, come fece Cristo, ma quoti­dianamente domandare a Dio la grazia di finire i pro­pri giorni in vera e umile obbedienza, per essere più conforme al suo Figliolo. Si mediti, anche, che Cristo Gesù non solo fu obbediente al Padre e soggetto alle creature umane, ma anche alle cose insensibili, perché, incarnandosi, patì fame, sete, freddo e caldo e tutte le necessità della nostra fragile natura, finché, in virtù della obbedienza, si sottomise alla crudeltà degli asper­rimi chiodi, sotto i quali rimase confitto, fino all'ultimo respiro.
Perciò, chi potrà dubitare della propria eterna salu­te, se finirà il mortale cammino in tale virtù? La obbe­dienza fa più simile la serva al suo Signore, che non qualunque altra virtù: per questa sacra obbedienza, non promise il Padre eterno ad Abramo di mandare suo Figlio a prendere la nostra morte, per darci la sua vita? Certamente si; dunque, chi vuole edificare un buon edificio, prenda per fondamenta la obbedienza e non dubiti di salvarsi, con essa, meglio che non con qualunque penitenza, digiuno o contemplazione si vo­glia.
La cosa più grande e più gradita a Dio, che la reli­giosa possa fare, è quella di staccarsi dal proprio arbi­trio e di donargli tutta sé stessa: come è facilmente comprensibile, la creatura che volontariamente si sot­topone ad altre, per amore del suo Creatore, fa cosa maggiore e merita più di quella che lo serve senza ri­nunciare al proprio arbitrio; infatti, se Abramo fu giu­stificato per la sua obbedienza a Dio, quanto maggior­mente lo sarà quella che si sottopone alla obbedienza della serva di Dio!
Perciò, carissime, operate con buona volontà e ri­cordate sempre che non donerete al vostro sposo, Cri­sto Gesù, una cosa migliore della perseveranza nell'im­pegno preso con Lui, anche se, alcune volte, il nemico faccia apparire la via intrapresa o troppo stretta o troppo larga. Questo capita alle novizie, appena entra­te nel campo di battaglia, affinché, al più presto, da piombo diventino oro finissimo, cioè trasformino la lo­ro sensualità in spiritualità e lascino le cose del mondo, per appartenere al Cielo.
In questo modo opera il Signore nostro Dio, perché vuole condurle per la stessa via percorsa dal suo Fi­gliolo, che, dall'istante della sua nascita fino alla morte, andò sempre per la via della croce. 

La via della croce

Iddio le ama di amore paterno e, per questo, le met­te al più presto sulla via della croce per farle coeredi dei beni del Figlio, permettendo ai nemici infernali di assalirle nascostamente, sotto l'apparenza del bene. Il diavolo mette tanta angoscia nei loro cuori che, se non fosse per la vergogna, tornerebbero alla vita di prima, pentite di essere entrate in convento con tanto ardore; questo capita, soprattutto, a quelle che renderanno maggior frutto sulla via di Dio e tanto sono tormenta­te, che ad esse pare di non averlo trovato, come spera­vano, e dubitano di essere private di Lui, di ogni grazia e di ogni devozione. Infatti, prima di entrare in conven­to, con grande fervore desideravano lasciare parenti e amici, per amore di Dio: ma il nemico le tenta del con­trario col dare tanta memoria, tenerezza e nostalgia degli affetti famigliari che, vegliando o dormendo, pare loro di non potere pensare ad altro; inoltre, esse desi­deravano fare molta penitenza: ma il nemico le tenta di sensualità e di golosità, sicché non osano neppure prendere il pane posto loro innanzi e tanto sono stimo­late che, in poco tempo, perdono ogni gusto di devo­zione; così, entrano in uno stato di grande tristezza, che fa loro dire: - Veramente io ero migliore prima di venire qui e servivo meglio Dio e con più devozione, che non ora. - e in questo modo, sotto forma di bene, il nemico le combatte spingendole a tornare indietro.
Per nessun motivo la sposa di Cristo deve cadere in questi inganni; anzi, con forza e prontezza di spirito, deve forzare il suo libero arbitrio e dire a sé stessa: - Anche se il mio Signore Dio permettesse che io fossi tentata fino all'ultimo dei miei giorni, non consentirò mai e starò nei miei propositi sempre più forte. - e, do­po questo proponimento, andare alla orazione e prega­re con tutto il cuore, così: - Signore mio Gesù Cristo dolcissimo, per la infinita carità che vi fece stare legato al crudele tormento della colonna e sopportare l'atroce flagellazione dai vostri nemici, vi prego, per la mia sa­lute, di darmi tanta forza da vincere i miei nemici e, mediante la vostra grazia, sostenere con pazienza que­sta e ogni altra futura battaglia.- poi, al nome di Gesù, inginocchiarsi circa cento volte più o meno secondo che può invocandolo sempre a ogni genuflessione. Qualunque persona stia certissima di ricevere aiuto e conforto, se farà tale orazione con cuore sincero, se­condo ciò che disse il santissimo frate Bernardino, di dolce memoria.
Bernardino io lo ritengo il Paolo del nostro patriar­ca San Francesco, dal momento che Cristo, quasi vo­lesse specchiare la sua vita in lui, promise a uno dei suoi frati di fargli seguire l'esempio dell'apostolo Pao­lo, che mai non si saziava di pronunciare il nome di Gesù. È noto a tutti come e quanto San Bernardino abbia, ai nostri giorni, esaltato il nome di Gesù non so­lo nel suo predicare, ma anche estendendolo all'ordine da lui riformato; per questo, giustamente, lo si può chiamare il Paolo di Francesco.
Tornando all'argomento, se compiuta la predetta o­razione, per divina volontà la tentazione non se ne an­dasse, subito, senza timore e senza vergogna, la sposa di Cristo vada dal suo padre o dalla sua madre spiri­tuale e si confidi così: - Mi accuso di essere fortemen­te tentata di andarmene da questo monastero e di ciò mi dispiace molto; vi prego di aiutarmi e di mettermi in catene o in cella sotto chiave, finché non sia cessata questa battaglia e possa rimanere nel luogo ove Dio mi ha chiamata. - ma intenda bene, che lo deve fare solo se è condotta con forza al consenso; e Dio pietoso, nel vedere la violenza alla quale si dispone da sé stessa, co­manderà ai diavoli di andarsene e la arricchirà di molte virtù e grazie in questa vita e la coronerà, nell'altra, di inenarrabile gloria. Di questo ne abbiamo un esempio e ve lo narrerò.
Un uomo, toccato dalla grazia divina, lasciò parenti e amici per andare, con grande fervore, in un monaste­ro. Ma, dopo poco tempo, gli venne tanta nostalgia della famiglia che, al massimo grado tentato di ritor­narvi, come ebbro del loro ricordo, correva in qua e in là per il monastero sgraffiando le mura con le unghie, quasi volesse arrampicarvisi. Nel vedere questo, i frati, mossi a compassione, provarono ogni cosa per aiutar­lo, ma senza riuscirvi; finché, dopo tanti vani tentativi, pensarono di metterlo in ceppi. Dopo qualche tempo di quella penitenza, piacque all'altissimo Dio di coman­dare alla tentazione di andarsene e quell'uomo fu arric­chito di tante e tali virtù, da essere stimato santo.
Chi sostiene con pazienza le tentazioni per amore di Dio, viene illuminato dalla sua grazia; sicché beati e più che beati sono quei religiosi sempre tentati e mai consenzienti, come è scritto nella Apocalisse: « Farò colonna nel mio tempio di colui che ha vinto. » e come disse il glorioso apostolo San Giacomo: « Beato l'uomo che sopporta la tentazione; poiché colui che è stato provato riceverà la corona della vita ». S'ingannano co­loro che vanno al servizio di Dio convinti di trovarvi dolcezza, soavità di spirito e pace mentale: non sono queste le cose che Dio richiede ai suoi servi fedeli, ma al contrario li invita alla battaglia e dice: «Chi vuole se­guire me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. » e Lui stesso diede l'esempio quando discese dal Cielo non certo per riposare, ma ricevere per onore disprezzo, per riposo fatica, per ricchezza povertà, per sazietà fame e sete e per combattere tanta e tale guerra da morire, in poco tempo, sul campo di battaglia.
Dilettissime sorelle, la sposa che vuole congiungersi a Cristo suo sposo, deve conformarsi a Lui ed essere sempre pronta a sopportare ogni tormento corporale e mentale; ma, sempre, tenendo ben presente di non prendere iniziative personali senza il consenso della sua superiora, perché la virtù della vera obbedienza precede, per importanza, tutte le altre e conduce al Cielo chi la pratica. Essa è sempre sicura, se la religio­sa manifesta le sue tentazioni a chi la deve guidare, perché la piaga nascosta non può essere medicata e cu­rata; inoltre, quanto più la cosa che vuole fare le sembri buona, tanto più la esponga, per non essere indotta in errore sotto forma di bene, come è accaduto a quella della quale si parla e che fu ingannata dal nemico nelle sembianze di Cristo e della Vergine Maria. 
Una occulta tentazione
Non tacerò di un altro inganno, teso alla medesima religiosa, per rendere più prudenti e accorte anche quelle che prediligono l'orazione e la meditazione.
Una notte, mentre stava in coro per le preghiere del mattutino, si sentì come mentalmente sollevata e ralle­grata e credette di essere visitata da uno spirito buono; così si dispose ad ascoltarlo, interrrompendo il mattuti­no, ma senza mutare posto e atteggiamento, per non fare trapelare nulla alle altre sorelle. Mentre continua­va quel senso di consolazione, udì in sé una voce, che ragionava su come e quanto Iddio avesse nobilitato l'uomo e la donna col dare loro il libero arbitrio di ope­rare il bene e il male, e del premio che Dio concede a chi fa il bene, quasi per debito di giustizia; infatti - continuava la voce, sempre in forma di ragionamento dimostrativo - anche l'apostolo Paolo diceva di atten­dersi il giusto premio, per avere scelto di esercitare il li­bero arbitrio nell'operare il bene e ripudiare il male, che pure aveva libertà di fare.
Essa rimase con questi ragionamenti nella mente e li meditò, convinta di avere ricevuto una grazia divina.
Ma la notte successiva, sempre in coro per il mattuti­no, le venne un tedio mentale e una stanchezza fisica insopportabili; così, nel considerare le fatiche dei suoi doveri religiosi e gli altri sacrifici offerti a Dio volonta­riamente, li mise in connessione coi ragionamenti uditi la notte precedente, e in lei si insinuò il pensiero che dovesse ricevere, per giustizia, un più alto stato di quel­lo di Cristo, perché il Figlio di Dio non aveva potuto peccare e concupire i vizi del mondo, mentre lei, in li­bertà di peccare e soggetta al peccato, aveva nondime­no lasciato la via del male e scelto di esercitare la virtù.
Da questo ragionamento, comprese subito che quanto le stava accadendo in quelle due notti era azio­ne del diavolo, che la spingeva a credersi generatrice del bene fatto; così ricorse all'arma della umiltà, si sot­topose all'abisso infernale con la immaginazione e me­ditò sul dono divino della buona volontà, senza il quale non avrebbe potuto operare il bene. Infatti, se da Dio abbiamo ricevuto la libertà di fare il bene e il male, il debito di giustizia verso di Lui ci impegna a fare il be­ne, che non possiamo, però, praticare senza il dono di­vino della buona volontà: quindi, non è Dio in debito verso chi fa il bene, ma l'uomo lo è comunque verso Dio. E certamente manca di vero intelletto chi pensa di avere meriti, invece di colpa e difetto. 

La via della vera obbedienza

Con tutto il mio affetto di carità vi prego, dilettissi­me mie sorelle, e in particolare prego voi, novizie qui presenti e future che verrete, di porre la massima solle­citudine nella vera obbedienza, perché questo è il sa­crificio che Dio attende da chi sinceramente lo serve; per la vera obbedienza, lasciate qualunque altra cosa e anteponetela a ogni orazione, contemplazione o qualsi­voglia dolcezza mentale, e beate se sarete perseveranti nel ben fare, senza cercare, o anche solo desiderare, di essere consolate. Come dice San Bernardo, servire Dio significa fare il bene e patire il male: questa è la via si­cura e questa deve essere la regola delle vere serve di Cristo, cioè di non ricevere mai conforto, se non in tempo di grande necessità. Chi vuole andare a Dio per la via facile, tra dolcezze e soddisfazioni, s'inganna: per l'amore che Gli portate, non vogliate altra consola­zione se non di finire la vostra vita in stato di vera ob­bedienza; praticatela, e possederete in questo mondo anche la santa orazione e tutte le altre virtù e acquiste­rete il regno del Cielo; ricordatevi del beato Paolo sem­plice, che acquistò la grazia di fare miracoli dopo poco tempo nel quale servì Dio in pura obbedienza.
Non dico di praticare la obbedienza per fare mira­coli; a questo proposito, infatti, Cristo disse: - Impa­rate da me non di fare miracoli, ma di essere umili e mansueti di cuore. - e il vero servo e la vera serva di Cristo non cercano, né desiderano altro che di finire la loro vita perseverando, virtuosamente, nello stato in cui Dio li ha chiamati; questo si è miracolo grande e meraviglioso, anche se misconosciuto dalle persone di mondo, che non hanno mai sperimentato, come i veri servi e le vere serve di Dio, il combattimento contro i veri nemici, ossia contro l'ingannevole mondo, che si mostra sempre fiorito alle creature mortali, contro la propria carne, che si ribella allo spirito per sua natura, contro le innumerevoli schiere dell'inferno, che con molta malizia, nascostamente come iniqui traditori, continuamente cercano di ingannare e uccidere le ani­me disposte al servizio divino; tali combattenti fanno già un grande miracolo e, senza paragone, sostengono una ben più grande prova che non i soldati del mondo. Certamente nessun soldato è tanto imprudente: anche se avesse la sapienza di Salomone e la forza di Sanso­ne, da scendere in campo di battaglia a occhi chiusi, anzi, vuole vedere bene i propri nemici; allora si com­prende facilmente, a confusione degli amanti del mon­do che ci chiamano sacchi di pane, il grande miracolo quotidianamente operato dai servi e dalle serve di Cri­sto a perseverare nel bene, perché continuamente com­battono contro nemici invisibili, cioè contro i diavoli a­stuti e fortissimi, che mai non cessano di tentarli a tor­nare indietro dalla via di Dio.
Tanta è la malizia dei diavoli, da spingere la religiosa fervente, quando non sia possibile rimuoverla dal pro­posito di operare il bene, a oltrepassare i sacrifici della normale regola, per debilitarla e farla cadere in qualche grave infermità; così, la religiosa, se lascia il giusto per il troppo, vale a dire l'arma del discernimento, deve tralasciare l'esercizio della orazione e delle altre virtù; così, non si fortifica spiritualmente e diventa tiepida e quasi insopportabile a sé stessa; così, toglie l'onore a Dio e il buon esempio alle compagne e così ben le sta, perché presuntuosamente ha oltrepassato i consigli della sua madre e maestra. E se poi il nemico non rie­sce a prevalere con il detto inganno, appena vede la re­ligiosa gustare la dolcezza dell'amore divino nella ora­zione, subito la sottopone al desiderio di appartarsi in un luogo solitario, dicendole: - In questo modo guste­rai meglio Dio e potrai stare giorno e notte alla orazio­ne, quanto vorrai. -
Quindi, dilettissime sorelle, siate prudenti. Conside­rate come il consiglio e il desiderio di appartarsi non si accordino con il vero e ottimo consiglio di Cristo, che non invita a desiderare la dolcezza mentale, a cercare consolazioni e a seguire la nostra volontà, ma a porta­re la innamorata croce, perché dice: - ...rinneghi sé stesso... - che significa, in altre parole: - Chi vuole se­guirmi in somma perfezione, abbandoni totalmente il proprio arbitrio e vada allo stato religioso, lasciando tutte le cose. - e questo stato veramente si può chia­mare croce, per il continuo ricusare la propria volontà.
Che il portare la croce eccelli sul perseguire la dol­cezza mentale, si può ben comprendere, se si osserva la presente generazione: oggi, vi sono molti religiosi di grande levatura mentale, e anche di grandi e buoni sentimenti, ma nessuno in grazia di fare miracoli, di cono­scere i segreti altrui o di annunciare cose future; inve­ce, ve ne furono nelle generazioni passate, perché ave­vano percorso la via della croce in stato di vera e umile obbedienza. Uno di quelli fu il nostro padre San Fran­cesco, che si diceva pronto alla obbedienza di chi fosse appena entrato nella religione, preferiva un frate passa­to per dure tentazioni, piuttosto che per la via delle dol­cezze, delle consolazioni e dei soavi sentimenti mentali, e voleva il religioso fatto com'è il morto, il quale non contraddice nessuno, se è battuto non si lamenta e ri­mane pure dov'è posto. Abbiamo altri esempi nelle sa­cratissime vergini Santa Marina e Santa Teodora, oltre che in molte altre: esse meritarono la santità non per essersi adagiate in gusti e dolcezze mentali, ma per la loro perseveranza nell'obbedire non solo alle superiori, ma anche alle uguali e alle inferiori; portarono la pro­pria croce e sostennero fatiche e sudori per il monaste­ro, con vera pazienza; soffrirono freddo, caldo, fame e sete; sopportarono obbrobri, vergogne, mortificazioni, infamie, ingiurie e persecuzioni, combatterono aspre battaglie contro i diavoli furiosi, vinsero la propria car­ne e il proprio fragile sesso e patirono l'incuria e le col­pe di quanti avrebbero dovuto aiutarle e confortarle in ogni preoccupazione e necessità, cioè i loro prelati e fratelli. E perché tutto questo, se non per celare il loro intento di santità? Eppure, non avevano fama maggio­re e più reputazione delle altre; anzi, ponevano ogni cura nel nascondere ogni loro grazia e virtù, erano neglette, considerate ultime e più stolte e viziose che savie e virtuose; e non perché si comportassero da matte, oppure perché facessero cose meno di buone, ma per non scusarsi delle colpe e delle infamie loro attribuite, grandemente felici della misera condizione in cui erano poste.
Veramente, questi sono gli inestimabili ornamenti e la dote delle spose del grande e magnifico imperatore Cristo Gesù, Dio nostro; poiché Egli dice: - Chi vuole salire a me, fonte di vita, deve percorrere la via più difficile. - si confortino i vostri cuori, dilettissime so­relle, nel sapere che siete chiamate alla via stretta, lun­go la quale virilmente combattere contro la vostra fra­gilità, lasciare la vana letizia e le naturali impurità, sot­toporsi agli altri per amore di Dio, affinché in tutte voi sia lo spirito di pace e la vera dimora dello Spirito San­to, secondo le sue parole: In chi riposa il mio Spirito, se non nell'umile e mansueto?
Ci insegna a pervenire a questa umiltà il diletto compagno del nostro patriarca San Francesco, frate Egidio, il quale disse: - Chi vuole possedere la perfetta pace mentale, vera madre della umile mansuetudine, tenga ognuna per sua superiora; e amando, non desi­deri essere amata, e servendo, non desideri essere ser­vita. 

La via della santa religione

Ora sapete di quali virtù dovete essere ornate; ma è necessario che comprendiate, anche, di dovere perse­verare nel luogo ove Dio vi ha chiamate. Dicono bene i versi:
O peccator te pentirà tu mai ché del mio sangue te ricomparai su la croce con mortali tormenti? D'unde t'ho post voglio te contenti.
e per ribadire questa verità, vi racconterò ancora un fatto di quella religiosa che subì l'apparizione del nemi­co nelle sembianze del crocifisso.
Essa entrò in questo luogo all'inizio della sua con­versione, e dopo qualche anno, presa dalla soavità del­l'amore divino che gustava nella orazione, sentì un grande desiderio di appartarsi in un luogo solitario e deserto; desiderio alimentato e favorito, anche, dalla mancanza di ostacoli, perché questo luogo, allora, non era ancora soggetto a religione. Tuttavia, nel timore di sbagliare, per sfiducia verso sé stessa, cercò di sapere se ciò che aveva in animo di fare piacesse a Dio e, così, lo supplicò con grande e quasi continua preghiera, di giorno e di notte, di indicarle la via da seguire. Dopo più giorni di ansiosa e sollecita preghiera, una mattina, circa nella terza ora, mentre in questa chiesa pregava con tutto il cuore la divina Maestà di esaudirla, la cle­menza di Dio le rivelò quanto dovesse fare é che ogni persona deve rimanere nello stato e nel luogo nei quali Dio chiama; e le disse anche altre cose, qui non scritte per buon rispetto. Perciò essa abbandonò il suo pro­getto e rimase, in obbedienza alla rivelazione divina e alla volontà del nostro Signore Dio.
Se una novizia fosse tentata d'instabilità o da qual­siasi altra tentazione, ricordi - e non solo all'inizio del­la sua vita religiosa, ma per sempre - che è ottima co­sa rimanere con animo costante ove Dio ci chiama; mediti il pensiero del sacrato dottore Sant'Agostino sulla tentazione, vita dell'anima nella esistenza terrena; stia forte e perseveri, perché beata è la religiosa sempre combattuta e mai consenziente.
Lo dimostra anche quanto mi narrò un venerabile religioso.
Un giovane, entrato nel suo monastero pieno di fer­vore nel servizio di Dio, dopo avere ricevuto l'abito, subito fu fortemente tentato di andarsane; pur gravato da tale insistente pensiero, con pazienza e costanza se­guì la strada della obbedienza e delle altre virtù, adem­piendo sempre, e con grande prontezza, tutto ciò che gli era imposto; perseverò virtuosamente nella batta­glia contro la continua tentazione e finì la sua vita nel luogo stesso della sua conversione. E Iddio volle che in morte compisse miracoli, a dimostrazione della santità conquistata nel resistere alla incessante tentazione, per amore di Cristo.
Da questo comprendiamo quanto piaccia a Dio la virtù della pazienza nel sopportare le tentazioni e nel sostenere, per suo amore, le avversità e le pene che Egli permette, da qualunque parte esse vengano. Come dice San Bernardo, il capo coronato di spine non si confà alle membra delicate; se volete essere membra di Cri­sto e sue vere serve e spose, andate per la via spinosa e seguite le sue traccie che per onore e altezza esso venne a torre despregio e bassezza; e, per abundanzia e ric­chezza, povertade e necessità; e, per piacere e diletto, pena e dispetto; e, per segnoria e libertade, ubidienzia e penalitade; e, per fortezza e sanitade, debilezza e infirmitade; e, per sua alta baronia, el bò e l'asenello in compagnia; e, per dignitade papale, como sacerdoto magno ave Josef per compagno; e, per regali servituri, li poveri pescaturi; e, per lo cibo celestiale, mendicando volse andare; e, per sua divinitade, prese nostra morta­litade; e, per la imperiale altezza, i ladruni in sua bas­sezza.
Or te goldi sorella mia caminando per la via del to Cristo vero Messia
e in essa finisci tua giornata se non voli esser ingannata perciò che tutta la brigata la quale in cielo è andata per tale via è caminata.
Dilette sorelle, ora potete stimare quanto siano ne­cessarie le battaglie e le tentazioni alla vera religiosa. Reputate somma felicità, essere al massimo sottomesse e umiliate; grande ricchezza, essere misere e mendiche; grande onore, essere disprezzate, grande altezza, esse­re infime in tutte le cose; grande consolazione, essere afflitte e tribolate nel fare il bene; grande sanità, essere inferme per Cristo; somma scienza, essere reputate stolte per amore di Lui e, per lo stesso amore, finire la vita corporale in grande e acerbo martirio, per poi go­dere in eterno.
Carissime sorelle, questi sono gli ornamenti che vi fanno bellissime al cospetto del nostro invisibile e im­mortale Dio e, per l'amore che gli porto, non mi stan­cherò mai di esortarvi a sopportare con vera pazienza ogni affanno della vita presente.
E voi, novizie, non comportatevi come le stolte reli­giose, persone di poco spirito e di povera mente, che stanno bene solo se sono ben viste dalle loro prelate, e si arrovellano per uno sguardo severo, o per un rim­provero. La buona figliola, quando è percossa dalla materna carità su di una guancia, deve umilmente por­gere l'altra; a maggior ragione la novizia, più è condot­ta per la via stretta dalla sua superiora, più deve sfor­zarsi di riverirla e di amarla, sull'esempio dell'agnello mansuetissimo Cristo Gesù, che mai mancò al proprio Padre nella obbedienza e che, per adempierla piena­mente, fu odiato e disprezzato, sottoposto a penosi col­pi e duri tormenti. Perciò non si rattristi, la buona e u­mile obbediente, quando le pare di essere odiata, afflit­ta e tribolata; non incolpi nessuna creatura umana, ma sopporti tutto, con forza e vera pazienza, e si rallegri dello speciale beneficio che le concede il Padre eterno: Egli, infatti, la lascia cadere nelle pene solo per farla partecipe della eredità del suo diletto Figlio, che, per primo, percorse la via stretta e, sul suo esempio, ci in­vita a seguirla.
La serva fedele non può essere tanto stolta da getta­re via ciò che volle prendere dal suo Signore, ossia la croce della mente e del corpo; e diceva bene l'apostolo Paolo: - Noi giustamente ci gloriamo solo nella croce del Signore nostro Gesù Cristo. - Dunque, non essere pigra nel fare il bene e timorosa nel patire il male, per­ché se con grande violenzia non te forzarai, de Jesu Cristo vera sposa non serai; e se per lui pena portarai, con esso in gloria sempre viverai; e quanto più per lui te medesma abbandonarai, in verità sappi che esso tro­varai e abbandonata mai non serai. Sono verità le pa­role: - Se tutto vuoi, tutto dona a Gesù benedetto e con vera umiltà offriti sempre a ogni suo volere. - per­ché più la persona va verso la perfezione, più si con­giunge al divino volere; e più è vicina alla perfezione, più è necessario il santo timore.
E affinché restiate sempre in grande timore, anche dopo avere ricevuto molte grazie, e mai crediate di co­noscere le insidie diaboliche, né che il bene possa pre­valere sul male se non in quanto Iddio porga lume, in­telligenza e forza, la religiosa, alla quale apparve il ne­mico in forma di crocifisso, vi fa sapere quanto segue. Ma prima essa vuole dirvi, in tutta verità e senza timo­re di sbagliare, che avanti i predetti inganni le erano state concesse, per grazia di Dio, tante virtù e tante vit­torie sulle tentazioni, da essere troppo lungo a narrare: comunque, delle molte, ne dirà alcune, a lode di Cristo e per vostro esempio e cautela. Intanto, considerate che quella sorella, per alcuni anni, fu data parzialmente al potere dei diavoli, per essersi creduta capace di resi­stere alla malizia e alla potenza diabolica con le sole proprie forze: eppure, essa aveva già percorso i gradi della perfezione, ricevuto la grazia di conoscerli pro­fondamente nel passare per ciascuno di essi, infine ave­va visto la sua anima tornata e restituita alla prima in­nocenza.
Essa udì il canto degli angeli
Vi fu anche un tempo in cui il tormento di un fortis­simo desiderio di dormire era diventato la sua croce. Resisteva con tutta la volontà, ma non riusciva a estir­pare il sonno da sé, fosse giorno o fosse notte; così, ri­servava a suppliche la maggior parte delle orazioni, dell'ufficio divino e della messa, per ottenere da Dio la forza di vincerlo.
Una mattina, mentre combatteva la sua fragilità con grande tensione per ben assistere alla messa, e valuta­va il suo scarso vigore e il poco tempo nel quale avreb­be potuto resistere in quelle condizioni, fu presa dal ti­more che il soccorso, tanto invocato in tanta necessità, non dovesse più giungere e la sua mente fu sopraffatta da un così grande smarrimento e disperazione da cre­dere di morire, senza l'immediato sostegno divino. Era il momento in cui il sacerdote, letto il prefazio, diceva: Sanctus, Sanctus...; in quello stesso istante, essa udì cantare la stessa parola « alla angelica baronia che pre­cedeva innanzi a tanto divino ed eccellentissimo Sacra­mento » e la melodia del canto angelico era così stupen­damente dolce e soave, che subito, al primo suono, la sua anima tese a uscirle dal corpo; se non mancò del tutto, fu solo perché non giunse a udire la fine del can­to sulla stessa parola.
Da quel momento le riuscì talmente facile vincere il sonno, che, anche trascorso molto tempo, non ne fu più molestata, poté vegliare a suo piacimento e senza alcuno sforzo. O sorelle cordialissime, non v'incresca la fatica del sonno e degli altri disagi, perché con quella perverrete alle requie eterne. Sappiate che nessuna lin­gua può esprimere e mente immaginare la estrema dol­cezza di quel canto angelico; io dico solo che le scese in cuore tanta soavità, da farle dimenticare sé stessa e tutte le cose create come se mai fossero esistite e, per quanto lo udisse così brevemente da parerle un batter d'occhio, fino dal primo istante la sua anima tese a staccarsi dal suo corpo.
Accadeva questo e stava fra le altre sorelle: tuttavia non fece il benché minimo strepito, ma si chinò perva­sa da tanta modestia, che le parve di essere meno pesa di una piuma; sicché nessuna delle presenti si accorse di nulla. 

La dolce presenza di Cristo

Ma alla stessa religiosa fu concessa una ancor più grande e meravigliosa grazia, dopo una ulteriore prova alla quale Iddio volle sottoporla.
Per un certo tempo, le fu tolta la fiamma dell'amore divino e gli occhi della sua mente furono privati della dolce presenza di Cristo Gesù, dalla quale era pur sta­ta consolata molte volte in passato; fu tanta la sua a­marezza, che ogni motivo di consolazione si trasfor­mava in tristezza, così da stare giorno e notte in quasi continue lacrime e reputare grande refrigerio il poter piangere liberamente nelle ore concesse per dormire.
Si avvicinava intanto la festa della natività del no­stro Salvatore Cristo Gesù. Giunta la vigilia di Natale, domandò alla madre abbadessa il permesso di vegliare quella notte per sua devozione; avuto l'assenso, entrò in questa chiesa col proponimento di recitare mille vol­te l'Ave Maria, in supplica e reverenza alla madre di Cristo.
Alla quarta ora della notte, momento nel quale cre­do che sia nato il Salvatore, mentre pregava, le appar­ve improvvisamente innanzi la Vergine gloriosa col suo dilettissimo Figliolo fra le braccia, fasciato esattamente come si usa per gli altri piccoli quando nascono. Fa­cendosi vicina, la Vergine le pose il bambinello in grembo, con somma cortesia e benignità; e la religiosa, per grazia divina rassicurata della presenza del vero Figliolo dell'eterno Padre, dolcemente lo strinse a sé, viso a viso; e tutto, intorno, pareva dileguarsi come ce­ra al fuoco.
Nessuna mente può essere così gentile da immagi­nare e nessuna lingua può narrare il soave odore della purissima carne di Gesù benedetto; e del bellissimo e delicato viso del Figliolo di Dio, quando anche ne di­cessi tutto ciò che si può dire, sarebbe niente e lo lascio alla immaginazione di ciascuno. Ma ben mi sento di e­sclamare: - Cuore insensato e più duro di tutte le cose create, come non ti spezzasti o non ti sciogliesti come neve al sole nel vedere, gustare e abbracciare lo splen­dore della paterna gloria? - perché non fu sogno, né immaginazione, né eccesso mentale; ma realtà aperta, manifesta e senza alcuna fantasia.
Dopo che ebbe accostato il proprio viso a quello del bambinello, subito la visione disparve; e la religiosa ri­mase in tanta contentezza e beatitudine, che non solo il suo cuore, ma tutte le sue membra parevano gioire; e l'amara tristezza, che tanto l'aveva afflitta per l'assen­za di Cristo Gesù, scomparve in tal modo, che per moltissimo tempo non provò più alcuna melanconia.
Dilettissime sorelle, siate prudenti e sopportate con pazienza l'assenza dell'amore divino; insistete con for­za e costanza nelle consuete orazioni, nelle sante virtù e nell'operare il bene, finché alla clemenza divina pia­cerà raddoppiare nei vostri cuori la fiamma del suo verginale e castissimo amore. Quando Dio avrà messo alla prova l'anima rimasta vedova e la vedrà ugual­mente costante e fedele in tanta penuria, non potrà trattenersi dal consolarla: si ricongiungerà con essa in­separabilmente e le darà una più grande abbondanza di grazie e di doni spirituali.
Però, io prego con tutto il cuore ogni futura abba­dessa di questo luogo di prediligere, con materna ca­rità, quella che dovesse essere afflitta da così amarissi­ma pena e di sostenerla nella mente e nel corpo; perché non vi è dolore maggiore di quello dell'anima, quando pensa e crede di avere perduto la grazia di Dio. Io dico « crede », perché credere, in tale caso, non è sapere: in­fatti, l'anima, inesperta del perfetto amore divino, pen­sa di essere privata di tale amore se si ritrova a non gu­stare più le consuete dolcezze mentali, cioè quando le è tolta la presenza della umanità di Cristo; per questo si duole in tanta mortale miseria, che non la può com­prendere chi non la prova. 

L'amore trionfante di Dio

Nondimeno, per occulto mistero, Iddio è congiunto all'anima con amore trionfante e proprio tramite il do­lore. La stessa presenza del dolore lo dimostra: infatti, non è possibile dolersi della mancanza di ciò che non si ama; così, l'anima che si duole perché non sente amo­re, possiede, insieme al dolore, anche l'amore; e tanto è l'amore, quanto è il dolore.
Ma questo ragionamento non è compreso dalle no­stre piccole menti, perché facilmente amano più il dono del donatore. Quindi, è necessario che Dio sottragga l'amore sensuale dall'anima pellegrina e dimori con es­sa sotto il manto del dolore, per farla salire, con questo mezzo, al perfetto amore divino.
Io vi assicuro che il dolore spirituale supera ogni al­tro dolore, anche se non sembra possibile a chi non lo prova, soprattutto alle donne di mondo, che si danno a intendere fra loro che il dolore maggiore è quello della morte dei loro figlioli. Ciò non è vero, perché esse pos­sono sperare di avere da Dio il paradiso in ricompensa del dolore patito; ma la serva di Dio ha posto tutto il suo amore in Lui e da Lui ha ricevuto l'anello della buona volontà e per questo sposalizio ha abbandonato non solo parenti, amici e tutte le cose, ma anche sé stessa; così, quando si vede o si crede privata dello stesso Dio, di cui ha in parte gustato l'amore dolce e soave, tanto più resta in grande pena dolorosa, quanto più sa di non potere trovare maggiore gioia e grazia senza l'infinita divinità; e questo dolore è tanto incom­prensibile, quanto è incomprensibile Dio. Ecco perché provano maggiore pena e dolore coloro che vanno per la via dell'amore divino, che non qualunque altra per­sona, per qualunque altro amore si voglia.
In verità, non tutti i servi e le serve di Dio percorro­no la via dolorosa, perché pochi, soprattutto oggi, sal­gono i gradi della perfezione e possono capire il dolore dell'anima per diretta esperienza; per questo si può ben dire: « Molti sono chiamati, pochi gli eletti. » perché tanto si è intiepidito lo spirito, che molti disertano nel tempo del dolore; inoltre, oggi, le forze naturali si sono indebolite, rispetto ai tempi passati, e si resiste poco tempo negli esercizi spirituali; così mancano le armi necessarie alla ascesa verso la perfezione e si compren­de il perché non si trovi facilmente chi a essa pervenga; soprattutto non si sa sopportare il dolore: molte perso­ne vanno al servizio di Dio e si comportano bene finché gustano il miele del primitivo fervore, ma subito mancano e vengono a niente quando sopravviene la tempesta delle tentazioni necessarie a giungere alla perfezione.
Carissime sorelle, siate forti e costanti nel tempo della battaglia. Anche se il vostro corpo si indebolisse tanto da non poter compiere pienamente i vostri dove­ri, mantenetevi però ferme nel desiderio e nella buona volontà di operare il bene e di patire il male, affinché si compia ugualmente, per affetto e desiderio, ciò che non potete mettere in atto. A lode di Cristo. Amen. 

L'Ostia sacramentale

Ecco un'altra eccellente grazia concessa da Dio alla religiosa che subì l'apparizione del nemico in forma di crocifisso; e ve la narrerò in tutta verità, a lode di Cri­sto e argomentazione della nostra fede.
La religiosa, per più tempo, fu anche fortemente ten­tata di infedeltà al Sacramento di Cristo, cioè mise in dubbio la consacrazione dell'Ostia. Il dubbio divenne il suo tormento e nemmeno con la confessione riuscì a porvi rimedio; per questo, con grande pena e amaro pianto, non faceva che invocare Dio, quasi continua­mente. Più si avvicinava il momento della Comunione e più la tentazione si faceva forte, fino a toglierle il sen­so di devozione quando si comunicava; e la insensibi­lità, a sua volta, favoriva la violenza della tentazione. Ricordo di un giorno, mentre nella chiesa di questo monastero stava in ginocchio fra le altre sorelle, come si usa dopo la Comunione, in cui le era cresciuta tanto la tentazione che, quasi ebbra di dolore, si sentiva tra­scinata al consenso; e nel resistere sul punto di cedere, ora si alzava in piedi e ora tornava a genuflettersi sen­za avvedersene, tanto era afflitto il suo cuore.
Ma la bontà divina, se permette la battaglia e la pe­na, prepara anche la vittoria e il refrigerio. Così, una mattina presto, mentre pregava nella stessa chiesa, Id­dio visitò la sua mente e parlò al suo intelletto, per illu­minarla sul mistero dell'Ostia consacrata e su tutto ciò che concerne la fede nel medesimo Sacramento: le die­de aperta conoscenza della vera presenza di tutta la di­vinità e di tutta l'umanità di Dio nell'Ostia consacrata dal sacerdote e le mostrò come e in quale modo è pos­sibile che, sotto quella poca specie di pane, sia tutto Dio e tutto uomo; ragionò con lei sui dubbi che la sta­vano tormentando e su quelli che potesse avere nell'av­venire e li rimosse dalla sua mente, assolvendoli tutti con esempi belli e naturali. Inoltre, le mostrò la totale validità della grazia sacramentale della Comunione, anche se ricevuta senza devozione e per quanto lo spirito sia tentato nella fede o in altre virtù, purché sia ac­colta con retta coscienza e senza consenso alla con­traddizione; anzi, comunicarsi sopportando con pa­zienza la tempesta dello spirito, è merito maggiore che accostarsi al Sacramento in dolcezza e soavità. Le mo­strò, anche, come e in che modo il Figlio di Dio, Cristo Gesù, fosse incarnato per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria, senza il corrompimento del­la sua sacratissima e purissima verginità. E, infine, le diede chiara dimostrazione, conoscenza e intendimen­to della altissima Trinità e di molte altre notabili cose, che tralascio per impotenza e poca memoria.
Tutto le fu rivelato nella stessa mattina; con quel mezzo, la sua anima fu liberata dalla tentazione e lei ri­mase in tanta consolazione, che le sembrò di non esse­re mai stata sottoposta a così grande pena. Ma non ba­sta: dopo la grazia, la prima volta che si comunicò, ap­pena ricevuta l'Ostia consacrata in bocca, sentì e gustò la soavità della purissima carne dell'Agnello immaco­lato Cristo Gesù; e quel sentire e quel gusto furono di tanto dolce e soave sapore, che non esiste figura retori­ca sufficiente a farlo intendere; ma essa veramente poté esclamare: - Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente. - e l'anima sua rimanere indicibilmente consolata, e la mente tanto più radicata nella santa fe­de del Sacramento, che, se tutte le creature le avessero predicato il contrario, non l'avrebbero mossa dalla sua convinzione. Così, la tristezza che l'aveva afflitta si convertì in gioia, tanto che, per nessun motivo, avrebbe desiderato di non essere stata tentata, nel considera­re la utilità e la consolazione che ne aveva ricevuto. Di­ce assai bene l'apostolo Paolo: «Se noi saremo stati partecipi della Passione, lo saremo anche delle conso­lazioni. »
Dopo quei fatti, le rimase un forte e indeficiente de­siderio di comunicarsi spesso e provava grande pena e dolore se non lo poteva fare; ma la sollecitudine della divina Provvidenza non trascura i legittimi moti dello spirito: così, una volta, mentre lei, per l'impossibilità di comunicarsi, stava in tanto soave pianto che dai suoi occhi parevano uscire due abbondantissimi rivoli d'ac­qua, si sentì, in quella ora, veramente comunicata nel­l'anima dalla bontà divina, in modo indicibile e incom­prensibile. A lode di Cristo e conforto delle novelle piante, non ancora ferme e salde nella conoscenza di tanto ineffabile e incomprensibile Sacramento, a causa della nostra mortale ignoranza, incapace di compren­dere i misteri divini. Perciò, dilettissime sorelle, se, per divina dispensa, qualcuna di voi fosse molestata di in­fedeltà al Sacramento dell'Ostia, purché non acconsen­ta, non tema; anzi, con fiducia riceva il nostro Signore Gesù Cristo, che si degna di venire a noi con amore infinito.
O incomprensibile e somma profondità della umiltà di Cristo! Egli non solo si abbassò a prendere la nostra infima e fragile natura, facendosi obbediente fino a ri­cevere la morte, ma ancora nel presente, e finché du­rerà il mondo, si sottopone alla obbedienza col discendere quotidianamente alle sacre parole da lui stesso or­dinate, quantunque proferite da uomini e, perciò, sog­getti alla colpa. E poiché i sacerdoti, per tale e così ec­cellente officio, devono essere in tutto santi e puri, non vi stancate, dilettissime sorelle, di pregare Dio per essi, affinché si degni di santificare tutti i loro sentimenti e, con l'aiuto divino, possano più degnamente adempiere a tanto inconsiderabile Sacramento e santamente trat­tare il Corpo di Cristo, agnello immacolato e mansue­tissimo sposo vostro e di tutte le anime caste e vergina­li.
Carissime, non vi appaia stretta la via della umile obbedienza, se il vero maestro, Cristo Gesù, incessan­temente ne dà esempio all'atto della consacrazione, col donarsi in cibo spirituale all'anima ancora pellegrina, sotto le specie di pane. Perciò
O anima gentile non te fare tanto vile che non prendi Quello che a ti vole venire veggendo sua bontade esser tanto cortese che de sua deitade
te ne fa larghe spese. Or curriti peccaturi e più non indugiati ch'El s'è fatto cibo perché lo prendiati.
Oimé de quanto errore è pieno el core umano che da tanto cibo pure vole star luntano.
Dilettissime sorelle mie, guardate bene che il nemico non vi induca a privare le vostre anime, sotto l'appa­renza della umiltà, di tanto merito quanto ve n'è nel comunicarsi, quando potete farlo lecitamente.
Desidero anche pregarvi quanto più posso - e non solo voi, ma tutte quelle che verranno dopo di voi - di volere sempre conservare e migliorare, con tutto il vo­stro impegno, il nome del luogo ove siete state chiama­te al cospetto di Dio, per l'osservanza alla santa vita, e al cospetto del popolo cristiano, per buon esempio di perseveranza nell'operare il bene: di volere sempre mantenere e difendere la vostra buona fama, non per ambizione di essa, bensì a lode e gloria del sacratissi­mo Corpo di Gesù, in onore del quale la venerabile donna Madonna Bernardina fondò questo monastero, e in memoria della visitazione della diletta madre di Cristo, Vergine Maria.
Chi avrà tanto ardire da presumere di violare l'ono­re e la buona fama della chiesa di tanto Figlio e di tan­ta Madre? Orsù, carissime, con diligente studio siate buone guardiane e conservatrici della vostra santità, davanti a Dio e agli uomini. A lode di Cristo e salute di tutti i suoi membri. Amen. 

La grazia del perdono divino

Questa è un'altra grazia salutare concessa dalla cle­menza divina del nostro Signore Iddio alla stessa reli­giosa, cui apparve il nemico sotto l'apparenza di Cri­sto.
Essa desiderava la remissione plenaria dei suoi pec­cati e cominciò a pregare il nostro Signore di perdo­narla in colpa e in pena e, anche, di renderla certa della remissione, se di ciò si fosse compiaciuto.
Circa nel terzo anno della sua conversione, andò nella chiesa del Santo Spirito a confessarsi da un vene­rabile religioso, uno di quei veri coltivatori della vigna di Dio, nostro Signore, e veri uomini, la cui vita è de­gna di essere lodata innanzi a Dio e agli uomini, anche se coloro che, con cieca stoltezza, volgono i pensieri al­le cose terrene e assai poco curano le cose celesti, non li sanno riconoscere e li chiamano per invidia capi stor­ti; ma ohimé, ohimé, sarebbe meglio che i derisori si tri­tassero la lingua coi denti minutamente come sabbia del mare, perché, senza dubbio, non passerà troppo tempo all'ora della dura condanna che riceveranno dal giudizio divino.
Riprendendo il primo argomento, quando la religio­sa ebbe più volte pregato nella stessa chiesa affinché la divina clemenza si degnasse di esaudirla, Iddio, nostro Signore, le manifestò apertamente di avere perdonato tutti i suoi peccati, in colpa e in pena.
Dilettissime sorelle, io scrivo queste cose principal­mente per le mie carissime novizie, da poco entrate in campo di battaglia spirituale, e per quelle che qui ver­ranno, perché tutte abbiano di che riflettere e di che stare sempre all'erta e imparino a non confidare mai nella sola propria forza e nel solo proprio senno. Infat­ti, esse potranno considerare quante grazie la suddetta religiosa ebbe da Dio e, nonostante quelle, quante tri­bolazioni e inganni essa ugualmente subì dal nemico in forma di Cristo e della Vergine Maria. E perché Dio permise che le avvenisse ciò? Solo perché si gloriò in sé stessa di conoscere le astuzie e di essere capace di elu­dere le tentazioni diaboliche. Per questo fu necessario che Dio lasciasse ai nemici il potere di ingannarla per un certo tempo, affinché poi, umiliata, essa avesse mo­tivo di stare in perfetto timore e di riconoscere che solo Dio può dare intelletto e forza per resistere ai nemici infernali. E certamente avvenne così perché, nel tempo dell'inganno, si sentì tanto avvilita e afflitta, da credersi abbandonata da Dio; e, per la tristezza che le aveva piagato il cuore, era tanto fuori di sé, da non ricordare le grazie ricevute, come se fossero state cose mai avve­nute.
Ma ora, passato il mare tempestoso e giunta alla terra promessa, canta con il salmista: « Sono stata umi­liata e mi ha liberata. » perché è in grandissima pace e sicura in ogni battaglia. Così, ormai senza nessuna an­goscia, vive con ferma speranza della sua salute e a­spetta l'uscita da questo pellegrinaggio con sommo desiderio, per congiungersi totalmente a Cristo Gesù, no­stro Salvatore; in Lui spera così fermamente, che già le pare di essere cittadina della corte celeste, anche se vi­ve ancora nel corpo mortale. In tutta verità, questa si­curezza non le viene dalla stima di sé: infatti, se fra tut­te le presenti fu la prima a dimorare in questo monaste­ro, pure è convinta di essere l'ultima e la più vile di tut­te, indegna di stare fra le dilettissime sue madri e sorel­le, al cui confronto si reputa un serpente velenoso e pe­stifero.
Tuttavia, poiché la divina bontà la sostiene, la risto­ra di ogni fatica e la mantiene in così nobile e alto luo­go, umilmente e di cuore essa esclama, rivolta al Cielo: - O infinita clemenza della Maestà di Dio, io non sono degna di abitare nella vostra casa e neanche di ringra­ziarvi di tanto e tale beneficio. I miei occhi di tenebra non devono avere l'audacia di lodare Voi, sole di giu­stizia, che illuminate e nobilitate il Cielo e la moltitudi­ne di quanti vi abitano con il radiante splendore della bellissima e piissima vostra faccia; la mia abominevole bocca, piena di orribile fetore, non può lodare Voi, soavissimo e inestimabile balsamo, che generate tutti gli altri soavissimi odori; la mia nullità, la mia bassez­za, la mia mortalità, non possono lodare Voi, altissimo e divinissimo Dio, uomo vivo e vero, incomprensibile e immortale. Ma la vostra altissima e piissima carità, che si degna di soccorrere e sostenere me e gli altri pecca­tori, sia lode e gloria di Voi stesso; e così la vostra pa­zienza, che consente alla terra di nutrirmi e che io, tanto immondo e vilissimo verme, dimori nella vostra casa, sia lode e gloria a Voi, bene infinito. -
Così, in tutte le cose, si comporta in questo modo, cioè ringraziando la Divina Provvidenza; e per quanto, come è detto sopra, le pare di essere già cittadina della corte celeste, però non presume di sé stessa, perché Dio le ha dato tanta conoscenza della sua impotenza, della sua nullità e di quella di tutti i mortali, che non può in alcun modo gloriarsi di sé stessa e di nessun al­tro; confida solo nella bontà divina e sempre ricorda l'immacolato Agnello che la riscattò a così caro prez­zo, ossia con la sua amarissima e acerba Passione, nei cui meriti pone tutta la sua speranza.
Questo lascia in eredità a tutte le sue venerabili e di­lettissime madri e sorelle in Cristo Gesù. E quanto mai le prega di essere forti e costanti nel campo di batta­glia, di perseverare fino all'ultimo, di desiderare e di cercare sempre in tutte le cose solo la parte che vada a lode e gloria dell'altissimo Dio; perché Egli dissiperà le ossa di coloro che cercano di piacere ad altri, piuttosto che a lui. 

Il bene della comune fratellanza

Con dolcissimo affetto di carità, le prega anche di a­mare sempre il bene della comune e santa fratellanza, di sopportare con mansuetudine tutte le avversità che Iddio permette e di riporre sempre in Lui ogni speranza. Io, se innanzi alla sua Maestà accatterò grazia, co­me spero, mi impegno di pregare per tutte le presenti e per quelle che verranno in questo sacrato monastero del divinissimo e verginale Corpo di Cristo, dolcissimo e soave cibo delle anime sante, affinché facciano la sua volontà e lo servano in spirito di verità. E in verità, finora, da quando ultimamente le sorelle vi furono re­cluse, per grazia divina mai vi fu alcuna rissa o altro turbamento della comune fratellanza; ma se una perso­na, dentro o fuori, nel presente o nell'avvenire, avesse tanta impudenza di macchiare l'onore di Dio o la buo­na fama del monastero, o di turbare, in qualunque mo­do, la pace della comune dilezione, io oso dire, se mi è lecito, che di tale persona ne domanderò vendetta alla giustizia divina. Pertanto, ognuna pensi bene di fare quello che deve secondo il proprio stato, di perseverare con pazienza, fortezza, santa compassione e materna carità nell'operare il bene per il sostentamento delle a­nime e dei corpi a esse congiunti, affinché l'ira del giu­dizio divino non colpisca chi manca a questi doveri.
Vi prego, dilettissime sorelle, di fare buona guardia, affinché la pestifera carogna della mortale ambizione, foriera di dannazione, non abbia mai parte in voi nel­l'avvenire come non l'ha avuta nel passato, perché mi rendo ben conto che essa è la pungente ortica che scaccia il soavissimo olivo della santa pace. Ohimé, o­himé, carissime spose di Cristo, certamente è stato il vizio della ambizione, assieme alla diminuzione della santa carità, a fare precipitare l'antica santità; perciò, ciascuna di voi ami e cerchi sempre di essere la più pic­cola fra le altre, l'ultima in tutte le cose, di sostenere le infermità mentali e corporali delle altre sorelle e se ne faccia carico con vera carità. Sommamente prego le future abbadesse del nostro monastero di attendere in modo particolare a queste cose e di ricordare l'insegna­mento di San Bernardo, che dice di non caricare i su­bordinati di maggiore peso di quanto ne possano por­tare, perché la buona volontà, quale Dio vuole dall'ani­ma, non venga meno e sempre preceda l'opera; guai ai pastori e alle prelate che, per poca sollecitudine e indi­screta considerazione, causano danni ai corpi dei loro sottoposti, perché Dio ci dà il corpo affinché in esso l'anima acquisti la sua grazia.
Ma ora, prona a terra, domando mille migliaia di volte perdono alle mie venerabili e reverendissime ma­dri e sorelle, presenti e future, di ogni presunzione e di ogni colpa che io avessi usato in questo argomento e in tutta la mia conversazione.
La pace e la dilezione del nostro Salvatore, agnello immacolato che per me subì il crudele tormento della innamorata croce, sia sempre con voi, dilettissime ma­dri e sorelle in Cristo Gesù, alla cui infinita pietà e mi­sericordia vi prego di raccomandarmi. Egli mai abban­dona chi spera in Lui, anche se, alcune volte, permette che i suoi fedeli siano provati da grandi e penose tem­peste, per farli più degni al suo cospetto; e in questo si riconosce l'altissima carità del nostro Signore Iddio, al quale sia lode, gloria, onore, ora e in eterno. 

L'ardente amore che essa ebbe per Dio e per il prossimo

Iddio sa come del suo onore mi ha concesso un im­menso desiderio per cui più volte l'ho pregato con cor­dialissime lacrime e deliberata volontà che esso si de­gni farmi questa speciale grazia: se la mia dannazione potesse aggiungere onore alla sua Maestà, mi voglia concedere questo: che nel fondo dell'abisso infernale, se fondo si può dire che abbia, di fabbricare con la sua severissima giustizia un altro fondo più orribile e inno­minabile, dove io, come ultima e più colpevole pecca­trice, sia posta a incudine infernale su cui battere inces­santemente in riparazione delle colpe di tutti i peccato­ri passati, presenti e futuri.
A questo mi offro continuamente con tutto il cuore e deliberata volontà pensando che maggiormente sarebbe letificato il capo della pluralità di tanti membri, quanta è la moltitudine di tutti i peccatori, piuttosto che da me sola, putrido membro. Perché, chiaramente, nel regno di Dio si moltiplicherebbero coloro che lo lo­dano se, per grazia, al numeroso collegio dei beati si associasse la moltitudine di tutti i peccatori; e meno di­sonore a te, Dio mio, sarebbe la bestemmia di un'ani­ma sola, piuttosto che quella di tanta moltitudine, an­che se sono certa che nessun disonore può essere fatto alla tua Maestà, Dio altissimo e incomprensibile.
Ma se questa grazia, Signore, io indegnissima non posso avere, e cioè che a Voi si moltiplichino azioni di infinite lodi in cambio della mia dannazione, perché al­la altezza della vostra divinità non si può aggiungere o­nore, almeno fatemi la grazia, pietosissimo Signore, che tutti i peccatori siano salvati, in cambio della mia dannazione; senza confronto, infatti, reputo maggior consolazione e immenso gaudio la salute di tutti i pec­catori, piuttosto che di me sola.
Per questo, senza sosta e ribellione, mi offro mental­mente alla divina giustizia, pregandola di vendicarsi sopra di me delle colpe commesse da tutti i peccatori, affinché la loro salute non mi sia negata per ragione di giustizia. Ma, ohimé! temo veramente che le mie peti­zioni mi saranno rigettate stracciate sulla faccia, per­ché il dono della carità, finora, non l'ho mai potuto a­dempiere. Narrare la causa sarebbe assai poco giove­vole; tuttavia, mi soffermerò un poco su questo argo­mento, nel ricordo della violenza del dolore sopportato per lungo tempo.
Il dono della carità, per grazia divina, è meraviglio­samente concesso e donato a molti e a molte fra i tanti che abitano i luoghi di culto. Con tutto ciò, oggi, quelli che lo possiedono non possono accrescerlo, né elargir­lo a chi sta loro vicino; anzi, conviene che lo celino nel­la terra dei loro cuori e, per questo, sopportino molte e penose angoscie.
Chi è causa di questo, ben lo saprà nel rendere i de­biti. Certo che, alcune volte, i superiori, ingannati, sot­to il titolo e il nome della sensibilità, impediscono i frutti della più profonda carità e pongono innanzi al loro gregge quello che essi stessi non saprebbero né ro­dere, né smaltire; e questa è una delle cause che fa pre­cipitare l'osservanza nei monasteri.
Ohimé, ai nostri giorni l'astuzia dei diavoli è cresciu­ta molto, così che solo la mente illuminata dalla vera carità può riconoscere i loro malefizi, sempre celati sotto nuove false apparenze; essi tanto hanno brigato, che nei santi collegi non si trova più l'eredità di Cristo. Egli, che non poteva sbagliare, volle lasciare ai suoi a­postoli l'usanza di offrirsi reciprocamente la pace co­me segno di vera dilezione, perché il fuoco della carità crescesse e si irradiasse, alimentato dalla pace spiritua­le; come il fuoco materiale, senza nuova legna, poco a poco va spegnendosi finché non muore, così il fuoco della carità sempre più va mancando, perché non sa­viamente alimentato. Il diavolo, sotto il manto della virtù, ha scacciato la radice di tutte le virtù: così, nei santi collegi, non solo non si danno la pace, ma, addi­rittura, non osano neppure guardarsi in faccia l'un l'al­tro. L'esperienza insegna: a buon intenditor, poche pa­role.
Ma chi, per divina concessione, è fatto medico delle altrui infermità, per carità di Dio, pensi bene alla rovi­na che viene dalla mancanza di amore fraterno, se la più nobile e indispensabile virtù delle sante congrega­zioni, quella di sapere sopportare i difetti gli uni degli altri, è tanto indebolita che un minimo fuscello pare u­na inamovibile trave. Perciò, si può ben comprendere l'urgenza di attizzare insieme e senza sosta, religiosamente e santamente, il fuoco della carità, affinché il ne­mico, che cerca di smorzarlo perché ben sa quanto sia necessario, al tutto sia confuso e gettato nel profondo dell'abisso infernale. Amen. Deo gratias. 

Sul giudizio finale

E ora, dilettissime sorelle, non voglio tacere ciò che Dio volle mostrare sul futuro giudizio; ma solo perché, col più grande timore, siate sempre preparate alla sen­tenza dell'ultimo giorno.
Il fatto accadde in questo luogo dedicato al Corpo di Cristo, ma innanzi di prender regola monastica; pre­cisamente, al tempo della nostra prima madre suor Lu­cia Mascarini, la stessa che mi accolse con affetto ma­terno e, con pura carità, mi insegnò il modo di servire Dio. Le sarò sempre obbligatissima e, di cuore, la rac­comando a voi, madri e sorelle, ricordando quanto dobbiamo alla sua persona, non tanto per il rispetto che, pure, meritano le molte fatiche di tanti anni di du­ro lavoro, quanto per aver fondato questo luogo e per averlo conservato, nella sua umile reggenza, in buona fama, santa pace e onesta vita a lode di Cristo, alla cui presenza spero di ritrovarmi, alla fine, gioiosamente con lei. Così sia. Amen.
Tornando all'argomento, in tutta verità, dico che lo spirito della religiosa, la stessa contro la quale il mali­gno nemico mosse le sue battaglie, nell'anno del Signore Gesù Cristo millequattrocentotrentuno, fu portato a vedere il giudizio finale nella forma che segue.
Vide l'altissimo Dio in sembianze umane, ammanta­to di rosso, stare nelle nuvole del cielo, con la faccia ri­volta a ponente; e di lato, poco più in basso e poco di­scosto, con aspetto di attesa e di ammirazione, la no­stra avvocata Vergine Maria, vestita e ammantata di bianco; e alquanto spazio oltre la Vergine vi erano i sa­cratissimi Apostoli, assisi su risplendenti seggi in for­ma di lingue di altissimo fuoco; molto più in basso, u­na innumerevole moltitudine di uomini e di donne che, in piedi e con le facce rivolte al cielo, guardavano Dio, mentre uno, fra loro, predicava a gran voce. La stessa religiosa, che vedeva tutto questo, si trovava fra la moltitudine dalla parte destra di Dio e gridava a Lui, con molta allegrezza e gaudio, parole che ora preferi­sco non riportare.
Compiuta la visione, la religiosa cominciò a interro­garsi sul significato di quanto le era stato mostrato, an­che perché non poteva escludere una illusione diaboli­ca; così, pregò l'altissimo Dio di renderla certa del ve­ro senso della visione. E in verità - chi legge, com­prenda - essa fu certificata della provenienza divina della visione, a premonizione dell'avvicinarsi del giudi­zio finale.
Perciò, carissime madri e sorelle, vi prego e vi solle­cito di non stancarvi di placare la divina giustizia con le vostre orazioni, di sopportare in letizia, per amore di Cristo, il male che vi viene fatto in odio a Cristo, affinché Egli si degni di sopportare le innumerevoli col­pe quotidianamente commesse dalla umana natura, in particolare quelle del peccato abominevole contro la verginale e castissima bellezza di Cristo e della sua sa­cratissima Madre, della ambiziosa superbia e della cru­dele avarizia che, ora, regnano in ogni generazione. Questi sono i principali vizi del popolo cristiano, per cui sta in continua rissa e battaglia; non v'è più, oggi, vera carità e anche la naturale dilezione è perduta, sic­ché non si trova quasi pace tra padre e figlio e tra fra­telli. E sono segni infallibili, questi, del vicino finale giu­dizio.
Qui mi fermo, ché altrimenti troppo ce ne sarebbe da dire. 

La sua nullità e la profonda umiltà di Cristo

Poiché nel giorno dell'ultimo giudizio tutte le colpe dell'uomo saranno svelate, non voglio ora occultare le mie, ma anzi manifestarle, anche perché le colpe con­fessate sono in parte purgate e meglio perdonate.
Nell'esaminarmi con diligenza, trovo in me una fal­sità, per cui riconosco che, giustamente, posso atten­dermi solo grandissima rovina e confusione, davanti a Dio e agli uomini. Infatti - ecco la falsità - non ho de­siderato pienamente, come si conviene alla vera serva di Dio, nostro Signore, e come mi stava a cuore, di essere considerata da tutti vile e miserabile come mi giu­dico, cioè superba, arrogante, presuntuosa, maldicente, sensuale, golosa, priva di ogni lume della ragione come immondo animale, causa e accattatrice di rovina, di scandalo e mancanza di bene, quale nell'universo sia stato, sia nel presente e debba essere nell'avvenire; e per questi e altri mali, essere considerata la maggior peccatrice.
Confesso di non essermi mai esaminata profonda­mente, così da avere coscienza, come ora, della mia nullità; in verità, se mi fossi conosciuta a fondo, mai a­vrei avuto l'ardire di levare gli occhi, non dico al Cielo, ma al più vile luogo che si possa trovare. Almeno, nel caliginoso profondo dell'abisso infernale, si adempie la giustizia col tormentare chi ha peccato contro la divina bontà; ma, in me, non trovo alcuna giustizia, per cui non esiste luogo tanto tenebroso che mi si convenga, al di fuori di me stessa; e perciò in me stessa rimarrò, co­me nel più abominevole luogo che si possa trovare.
Ma, ohimè, a cosa mi giova tale conoscenza se, ben al di sopra di questa, non ho amato con pieno cuore e cercato con vivo desiderio il compimento della giusti­zia, e cioè che ogni creatura dotata di intelletto mi giu­dicasse come ho detto? E anche se non ho desiderato il contrario, ossia onore, principato e nemmeno fama di santità, sono stata, comunque, negligente nel desiderio di patire il male e, quindi, non ho custodito fedelmente l'inestimabile dono della buona volontà, che la bontà di Dio, nostro Signore, mi ha donato. Infatti, ricevuto l'altissimo dono di essere chiamata al suo servizio, sa­rebbe stato mio dovere porre tutte le mie forze nel con­formarmi a Lui e andare sulla via della croce, rifiutan­do ogni allegrezza e ogni consolazione, e amare chi mi avesse odiata, onorare chi mi avesse disprezzata, servi­re chi mi avesse trascurata e dire bene di chi mi avesse detto male; perché, giustamente, io non merito benevo­lenza, ma sputi sulla faccia. E chi più mi avesse aiutata in questo, più da me doveva essere amato e riverito, perché così mi sarei conformata a Cristo, dolce mio Si­gnore, più che in qualunque altro modo; invece, ora, posso solo dire di essere vissuta in grande falsità per­ché, avendo nome di servire Cristo, non ho amato col massimo fervore quella che Lui stesso venne a prende­re con tanto ardore di carità, cioè l'innamorata croce.
Ohimé, quale grande errore è stato il rimanere tanto tempo senza esaminarmi a fondo!
Al principio della mia conversione, ebbi qualche consolazione mentale nel patire ingiurie; poi, passato il primo fervore, ho lasciato trascorrere molti anni in grande tiepidezza, senza cercare, con vera diligenza, quello che a me si sarebbe ben adattato, cioè di essere ingiuriata, beffata, schernita, infamata e sottoposta in tutto a ogni minima creatura, perché almeno un poco fossero vendicate le ingiurie al Creatore, per me e da me offeso innumerevoli volte.
Ohimé, nuda anima mia, disadorna dell'ornamento nobilissimo quale a te sarebbe convenuto, dimmi: con che fronte aspetti di comparire innanzi alla bellissima faccia dello splendore della paterna gloria, quale è il Figlio dell'altissimo Dio? Egli, come tu ben sai, discese dalla sua angelica corte imperiale pieno d'amore per te e impaziente di salvarti; come ebbro di Spirito, si fece uomo passibile e mortale e andò stentando per il mon­do, pellegrino e forestiero, povero e mendìco, nascon­dendo i raggi dell'altissima sua divinità, come attesta il Vangelo ove narra della turba dei sacerdoti che, par­lando di Lui, diceva: - Non sappiamo di dove sia. - Pensa, anima mia, alla incommensurabile grandezza del suo perfettissimo e incomprensibile amore! Egli volle congiungersi a te per la tua salvezza; non esitò a scendere da tanta gloria a tanta vile e misera bassezza e intraprendere un così faticoso pellegrinaggio, come testifica il profeta Geremia, quando dice: « Abitò fra la gente e non trovò pace. » e sopra queste pietose parole avrei molto da dire, nel vedere quale contraddizione oggi si trova in persone che hanno nome di seguire Cri­sto; ma, poiché a me non si addice, tacerò.
Tornerò, invece, all'argomento della mia colpa. Dico che sono denudata della principale virtù a me sommamente necessaria, perché non ho corrisposto al­lo smisurato amore del mansuetissimo agnello Cristo Gesù; Egli, per me, volle che la sua bellissima, vergina­le e risplendente faccia fosse percossa e oscurata, men­tre io non mi sono esercitata e dilettata in questi obbro­bri. Perciò pregate, mie dilettissime madri e sorelle, pregate per me la divina clemenza, che si degni di perdonarmi e di adempiere la promessa di non scacciare l'adultera pentita.
Ma la vostra prudenza, carissime e cordialissime so­relle - pare che da voi io non possa finire di prendere commiato - sia per voi tanto buon nocchiero da con­durvi, sempre e presto, fuori dalle tentazioni e, così, possiate non essere annoverate fra le adultere, come me. Preparate la dote e ornatevi come fedeli e verissi­me spose, affinché l'eterno e celeste imperatore vi trovi degne di tale e tanto verginale sposo, quando vi chia­merà a celebrare le vostre dolci nozze, e possa intro­durvi nel glorioso talamo della sua gloria trionfante e congiungervi in eterno al suo divino e castissimo amo­re.
E anche se più volte ho elencato gli ornamenti che completano la dote della vera religiosa, nondimeno vo­lentieri, li ripeto, perché molto mi piacciono e meglio possiate ricordarli. 

La dote di Cristo Gesù

O dolcissime mie sorelle, già vi dissi - e così è fer­mamente - che Cristo vuole in dote da voi la massima forza e la più grande costanza nella battaglia contro le tentazioni. Con l'esercizio della virtù della pazienza, voi potete arricchirla di quegli ornamenti sui quali già mi sono soffermata, cioè malpatire per Cristo, con in­cessante desiderio, tribolazioni, disagi, angustie, infamie, derisioni e penosa morte, da qualunque parte pos­sano giungervi. Con queste cose, sarete certe di posse­dere, come corredo nuziale, l'insegna di Cristo Gesù, che, come ben sapete, dice alla sua delicata sposa cro­ce d'amore: - Tu mi porterai come io patii per te, spo­sa mia. - e dice anche: - Chi vuole salire a me, fonte di vita, deve percorrere la via più difficile.
Dunque, dilettissime sorelle, se non dimenticherete i vostri salutari ornamenti, potrete attendere serenamen­te la grande e magnifica ambascieria che il vostro spo­so invierà a voi e, così adorne, ottenere l'invito di salire a tanta altezza. O quanto, allora, sarete beate! Quanto gusterete il frutto delle pene e delle fatiche sopportate con vera pazienza nel perseverare ove Dio vi ha chia­mate! Non vi troverete nella mia falsità, per non avere provato diletto nel portare la croce di Cristo, così co­me a me si conveniva, per cui, giustamente, mi aspetto solo rovina e confusione davanti a Dio e agli uomini.
Ma, nonostante le mie colpe, nel ricordo delle parole del profeta: « Anche da morto spererò nella tua miseri­cordia. » non voglio allontanarmi dalla eccellente virtù della speranza la quale parlandomi per sua cortesia, disse che veramente in cielo potrò andare, se in questo mondo non avrò dove il mio capo reclinare; e che lì troverò grandissimo piacere, se qui avrò sempre qual­che male da patire; e che lì molto sarò onorata, se qui per Cristo, fra le altre, sarò dispregiata e afflitta e tri­bolata; e che in paradiso contenta sarò, se qui non avrò quello che io vorrò; e nel cospetto del Dio mio dolcemente canterò, se in coro umilmente salmeggerò; e che da Lui immortale e impassibile fatta sarò, se qui per Lui morte e pena non temerò; e del regno suo im­peratrice fatta sarò, se qui, per Lui, povera e mendica sarò; e se nel suo castissimo e verginale amore perse­vererò, senza dubbio, per sua cortesia, con Lui in eter­no godrò. Amen.
La pace di Cristo, dolce amore, sia sempre nei vo­stri cuori, amatissime madri e sorelle, e in quelli di tut­to il popolo cristiano, per il quale e dal quale sempre sia benedetto e lodato il nostro vero e unico Dio, in perfetta Trinità e Verbo incarnato. Amen. 

Illuminata Bembo

RISTRETTO DELLO SPECCHIO D'ILLUMINAZIONE

 PREMESSA
Non è possibile sapere le ragioni che spinsero la beata Illuminata Bembo a scrivere il «Ristretto» della sua opera maggiore, cioè lo « Specchio di Illuminazio­ne », se non quelle da lei stessa dichiarati nella parte in­troduttiva; ma non si può non notare, nel codice ma­noscritto che lo contiene il suo abbinamento al « Trattato delle sette armi spirituali » di Santa Caterina da Bologna. Se non si sposasse alla perfezione all'ope­ra della Santa, il « Ristretto » avrebbe ben poche altre ragioni d'essere; in mancanza di precisi riferimenti, è preferibile attenersi alla indicazione del codice quattro­centesco. 

Brevi notizie biografiche

Illuminata Bembo, figlia del nobile veneziano sena­tore Lorenzo Bembo, fu allevata e istruita secondo la posizione sociale e la tradizione culturale della sua fa­miglia ed entrò, ancora in giovane età, nel monastero delle Clarisse di Ferrara nel 1432.
In quel monastero, già da alcuni anni, v'era Cateri­na dé Vigri, la futura Santa Caterina da Bologna, e la Bembo ebbe il privilegio di non abbandonarla mai, per­ché fra quelle prescelte ad accompagnarla a Bologna, quando fu nominata abbadessa del nuovo monastero, che si volle fondare nella nostra città; visse con la San­ta per circa trent'anni e fu una delle suore che ne dis­seppellirono il corpo, in seguito ai fatti prodigiosi che si verificarono sulla sua sepoltura, e fu una di quelle inca­ricate a custodirlo.
Ebbe molta familiarità con la gloriosa Caterina, ed i suoi scritti, dai quali è tolta quasi tutta la vita della Santa, sono volti a testimoniare ed esaltare giustamen­te la santità della Vigri.
Coloro che la conobbero, la stimarono fra le donne più spiritualmente elevate e colte; e per tre volte, dopo la morte della Santa, fu eletta abbadessa del monastero di Bologna.
Mori il 18 marzo 1493 ed ha titolo di beata. 

I

Nel nome del dolce Gesù e nella memoria del suo prezioso sangue, io poverella, serva e schiava dei servi di Cristo, ho preso l'ardire di scrivere ciò che meritai di vedere con i miei immondi occhi di tenebra, dapprima nel monastero di Ferrara e poi in quello di Bologna. Nei due monasteri, ebbi come guida spirituale, e suc­cessivamente come Prelata; l'eccellente anima della no­stra beata Madre Caterina; e se tacessi la sua san­tità, dubiterei di offendere la divina clemenza, che ha mostrato la sua grande potenza in questa nuova e ra­diante stella, durante la sua vita, in morte e dopo la morte.
Oltre che nel dubbio di offendere la clemenza divi­na, se occultassi le sue meraviglie, scrivo per mia con­templazione, perché, quando rileggerò le cose qui scrit­te, per mezzo degli occhi del corpo io possa poi vedere con gli occhi dell'intelletto; e scrivo anche a mia caute­la, perché, se dovessi cadere nel laccio della tiepidezza o nel tedio di operare il bene, io possa poi riprendere forza, nel considerare la grande potenza di Dio opera­ta nella sua creatura. E nel meditare la vita della nostra beata Madre, possa io passare i miei giorni più gioiosa­mente; possa io combattere i miei nemici tentatori e le loro astuzie; e possa io ben dire, col profeta Geremia: - Chi darà acqua al mio capo, affinché ai miei occhi non manchi la fonte delle lacrime? - Perché giorno e notte piangiamo il perduto sostegno della nostra così amabile e tanta Madre, che ci difendeva dalle insidie e dagli inganni diabolici; e dava inaudita gioia alla figlio­la afflitta e tentata, col solo suo pietoso sguardo.

II

Alcune volte, io le dissi: - Se voi foste abbadessa, ne avrei molta consolazione. -
E lei: - Sappiate che non mi vedrete mai abbades­sa. -
Ma venne il tempo in cui si ebbe sentore di una sua probabile elezione; e ancora le dissi: - Si dice che voi sarete abbadessa in un altro monastero. -
Mi rispose: - Al presente se ne fa menzione; ma al mio Signore non piaccia che io abbia mai questo inca­rico, perché è troppo dolce essere sottomesse. E, se succedesse, non acconsentirò mai senza prima cono­scere la volontà divina, a cui sempre voglio essere sot­toposta come la più povera e vile creatura. - E conti­nuò in lacrime, con parole di profonda umiltà.
Si trattava di inviare alcune suore in altri monasteri e, in uno di quelli, si voleva comandare lei come abba­dessa, perché era donna esemplare e una delle prime entrate nel nostro di Ferrara. Ma lei fortemente ricusa­va; e faceva continue e sofferte orazioni,affinché l'eter­no Iddio si degnasse di rivelarle apertamente la sua vo­lontà; se, cioè, quanto i superiori stavano decidendo, fosse veramente stabilito da Dio che avvenisse a lode e gloria Sua e salute delle anime; perché lei, ancella del Signore, mai avrebbe avuto l'ardire di prendere un si­mile ufficio, se non in pura obbedienza alla volontà di­vina. E io, che avevo la cella a lato della sua, udivo le intense preghiere e le lacrime di quella benedetta.

III

In un primo momento, i superiori erano incerti: al­cuni volevano inviarla come abbadessa a Cremona, al­tri a Bologna. Poi, sembrò che avessero deciso di man­darla a Cremona; ma non attuarono il proposito, per­ché persistevano ancora dei dubbi.
Intanto lei benedetta, che presentiva ancora più for­temente la sua elezione a Superiora, moltiplicava le o­razioni, non sentendosi disposta a un simile ufficio; e con ogni sua forza intendeva rifiutarlo, dicendo di esse­re infima creatura e al tutto insufficiente al governo delle anime; e spesso ribadiva, con alcune di noi, che mai avrebbe accettata la Prelatura se, prima, Dio non le avesse rivelato la sua volontà.
Infatti, quando poi fu a Bologna, e noi le confidava­mo certe nostre afflizioni, ci rassicurava così: - Fi­gliole, non dubitate che mai sarò levata da questo mo­nastero; e credetemi in questo, che è ferma verità, per­ché non fui mandata a Bologna per caso, o per vento o per fumo. Io non avevo altro desiderio che quello di vi­vere e morire nella obbedienza e nella altrui sottomis­sione; ma poiché è piaciuto alla divina volontà di in­viarmi in questo luogo, voglio che piaccia anche a me, e siate certe che qui finirò i miei giorni. - E disse que­sto perché proprio dalla bocca di Dio ebbe il mandato di accettare l'ufficio di Prelata in Bologna; altrimenti, non avrebbe mai acconsentito.

IV

Ci raccontò che in visione vide due grandi sedie, una delle quali più alta e ornata; e la voce divina dice­va: - Questa, così bella e ricca, è di suor Caterina, che sarà detta da Bologna.­
E lei: - Signore, l'altra sedia di chi sarà? -
E il Signore, benignamente: - Quest'altra sarà di suor Giovanna. -
Suor Giovanna è anch'essa detta da Bologna e o­ra è la nostra Vicaria, perché così chiese e ottenne la nostra beata Madre, cioè di averla con sé in Bologna con questo incarico.
Dopo pochi giorni dalla visione, venne frà France­sco Maldente e le disse: - Abbiamo concluso e deter­minato che voi siate per il monastero di Bologna. - e poi giunse il Reverendo Padre Vicario e le comandò, per santa obbedienza, di farsi nominare « da Bologna ». E così fu chiamata e detta.

V

In quei giorni essa era inferma e aveva trascorso la quaresima digiunando e prendendo per cibo del solo pane cotto nell'acqua, come può testimoniare Suor Giovanna; così, mentre era inferma, capì il senso della visione «di suor Caterina da Bologna»; e oggi, tutti noi, meritatamente la possiamo chiamare Beata.
Lei, negli anni che visse a Ferrara, predisse a me, e a chi la volle udire, la morte di Annibale e la rotta che vi fu in Bologna; la distruzione di Costantinopoli, proprio come avvenne, perché disse di averla veduta; e de­scrisse le fattezze del Gran Turco, che riscontram­mo poi identiche a un suo ritratto, quando ci fu porta­to.

VI

In quegli stessi tempi, stava per essere giustiziato un empio peccatore, la cui anima disperata non poteva a­vere salvezza, e lui stesso non chiamava altro che il diavolo. Nell'udire questo, lei si pose in orazione, piena di carità, e non si mosse dallo stare innanzi al Sacra­mento fino all'ora del mattutino, sempre domandando l'anima di costui. E, alla mattina presto, disse: - Iddio sia lodato. Questa notte, mi ha donato l'anima di quel peccatore.­
La stessa mattina, mentre tutte le suore assistevano alla Messa, venne con urgenza una persona, da parte del peccatore, a chiedere il nostro confessore e le no­stre preghiere per l'anima sua; così fu fatto e così morì nella grazia di Dio.
Ci disse anche di essere stata in spirito alla canoniz­zazione di San Bernardino e di avere impetrato, dallo stesso Santo, l'anima del proprio fratello, che aveva abbandonato lo stato religioso e viveva in peccato. Per le sue orazioni, il fratello si pentì, tornò al suo abito e ordine e morì poi bene, esattamente come lei ci aveva predetto.
Per le sue orazioni; lo stesso accadde in morte della sua sorella, anche lei monaca in Ferrara, la cui anima fu vista, dalla nostra benedetta suor Caterina, andare con pena in purgatorio, perché in vita era stata negli­gente nell'ufficio divino; ma subito collocata nei beni della vita eterna.
E non voglio dimenticare ciò che ottenne quest'ani­ma gentile per madonna Mergherita, vedova del Beato Roberto, quando seppe del suo smisurato dolo­re; dolore che la sconvolse perché, destinata a seconde nozze, non sopportava di doversi congiungere con un altro uomo, dopo essere stata moglie di quel Beato. La nostra benedetta Madre si pose in cuore di ottenere da Dio la grazia che un tal matrimonio fosse impedito; e Dio la esaudì. La notte precedente le seconde nozze, madonna vide nuovamente il suo Beato Roberto, che le disse:, - Sappiate, madonna Margherita, che lo spo­so vostro sono io; e di nuovo vi sposo e non voglio che abbiate altri che me. -; e, alla mattina, giunse la notizia che il nuovo promesso era morto. Da allora vive serena, in vedovanza e devotamente, per le orazioni della nostra beata Madre, arca di carità.

VII

Essa prediceva molte cose, ma da noi non erano in­tese e meditate. Ma ci tornano alla memoria ora, che abbiamo visto la sua mirabile fine, con i nostri stessi occhi. Di quelle molte cose, ne scriverò alquante, per­ché voglio che lo spirito mio le contempli, con la spe­ranza di meritare il perdono dei miei peccati; e voglio ripensare alla sua mirabile perseveranza, io, che la vidi nel monastero di Ferrara passare per la via della croce, umiliata da abbadesse e vicarie, dalle uguali e dalle mi­nori come minima fra tutte. E sempre con il viso sere­no, tutto sopportava gloriosamente, senza nessuna e­spressione di malcontento; e, veramente, mai sentii da lei una sola parola contro la sua abbadessa.
Parlandole, più volte mi trovai liberata da varie e forti tentazioni, ancor prima di finire il conversare; e anche quando non gliele confidavo, bastava la sua pre­senza e il suo umile e devoto parlare, per sentirmi tutta tramutare; e poi, mi pareva di essere stata alla presen­za di una non di questo mondo.
Ero piena di grande cecità e non sapevo discernere, né conoscere ciò che sentivo nell'anima; e la mia mente era presa dal dubbio e sempre temevo di non riuscire a salvarmi.

VIII

Una volta, le confidai i miei dubbi; e lei mi rispose così: - A vostro conforto, vi dico che quando seppi la volontà vostra di farvi suora, mi preoccupai molto, presentendo la vostra grande vanità; e dubitai che ca­pitasse anche a voi la stessa cosa di un'altra, tornata al secolo proprio in quei giorni. Così, per voi, feci molte orazioni. La mattina che dovevate venire dopo il desi­nare, mentre stavo in chiesa, mi apparve la Madre di Dio e mi disse che la corona di colei che se n'era anda­ta dal monastero, era data a voi, che invece avreste perseverato. - E mi disse anche altre cose che preferi­sco tacere, perché non giungano in mani altrui i miei segreti.
Ma questo dico apertamente: che più volte mi liberò dalla forza dei nemici infernali con la sua dolce elo­quenza, che era di tanto conforto alle anime tentate, da essere cosa stupenda. E quantunque non fosse bella, nondimeno aveva nel viso una espressione di grazia angelica, che la faceva apparire piena di luce; e questo lo dico in tutta verità, perché spesso la vidi con i miei occhi, e così le altre sue figliole e amabili sorelle, tra­mutare il benedetto viso in diverse sembianze.

IX

Non sopportava di udire parole meno di buone. Quando sentiva discorsi mondani, di passatempo o di­vertimento, si oscurava tanto in viso da sembrare vecchia di ottant'anni e più; interrompeva le sue occupa­zioni, levava la faccia al cielo e poi cominciava a parla­re dolcemente di Dio, ripetendo: «Cristo mio» o « Cri­sto bello », oppure: « Francesco poverello che parla con l'esempio »; e metteva tanta dolcezza in quel nominare Cristo, che era una meraviglia.
Quanto avesse caro il nome di Gesù, lo si può vede­re semplicemente sfogliando il suo breviario, nel quale mise la locuzione « Cristo Gesù », come fioritura in quasi tutti i capoversi.
E non sono capace di descrivere la mutazione del suo viso, quando era in elevazione di mente; perché, certamente, non appariva creatura terrena, ma celeste; e dai suoi occhi sembravano uscire raggi di luce. Così rimaneva alquanto tempo; poi, ritornava nel suo aspet­to normale, più simile a quello di una morta che di una viva, perché era pallidissima e con le labbra scolorite, per le grandi emorragie di cui soffriva. Io lo so bene, perché le fui vicina per più di un anno per servirla, ed ebbi modo di conversare con lei; ma, mai la vidi un po­co colorita, se non quando la sua mente si elevava nelle cose celesti; e allora le sue gote parevano due rose ver­miglie.

X

Per tutta la sua ultima quaresima, quasi continua­mente stette in compagnia delle amate sorelle; e venuto il Giovedì Santo, le chiamò a Capitolo, secondo l'usanza. Con viso sereno e gioioso, in ginocchio volle lava­re, con le sue benedette mani, e poi baciare i piedi a tutte, con somma mansuetudine e dolcezza. Poi fece un lungo e bel sermone, sul tema: « O derrata, guarda il prezzo. », in cui propose noi come derrata e Cristo co­me prezzo, per dimostrare quanta stima dobbiamo al­l'anima nostra e altrui; e ci esortò a non abbandonare, per le vanità del mondo, Colui che ci ebbe tanto care.
Al termine del lungo sermone, che prese più di quat­tro ore, ci disse: - Figliole amatissime, io non mi tro­verò più con le vostre carità in un così santo giorno, perché, questo, sarà l'ultimo parlare che io vi farò; di­co, di simile materia in questi santi giorni. Sappiate che, nella mia recente infermità, era stabilita la mia morte e Dio aveva già disposto il riposo dell'anima mia; ma una delle presenti ha fatto così forte e tale ora­zione, che ha penetrato il Cielo e Dio le ha concesso la grazia che io viva ancora un poco con voi. Quale sia stata questa sorella, non voglio, per obbedienza, che nessuna me lo domandi.

XI

E anche voglio raccontarvi, figliole, della visione che ebbi durante la mia malattia.
Mi sono ritrovata in un prato di così meravigliosa bellezza, che non esiste linguaggio umano capace di e­sprimerla; là, vi era un trono sul quale era assiso Dio, con tanta mirabile e indicibile dignità, che il cuore mi manca solo a ricordarla. Alla sua destra, circondata da una moltitudine di Angeli, vi era la sua diletta Madre, il cui trono aveva per pomi, l'uno Santo Stefano e l'altro San Lorenzo; e davanti all'Onnipotente, stava uno che suonava la viola piccola, le cui corde risuonavano in queste parole: « e la sua gloria sarà vista in te. »
Nel vedere e nel sentire quelle stupende cose, la mia anima cominciò a staccarsi dal corpo; ma il sommo Iddio si alzò dal trono, mi prese con la destra e disse: - Figliola, intendi bene le parole di colui che sta suonando. -
E qui ci narrò che Dio le volle svelare il loro vero senso; e che, appena terminato il divino parlare, subito la visione disparve e, immediatamente, cominciò a mi­gliorare; e che rimase, per molti mesi, in tanta gioia da ripetere, cantare e ridire: «e la sua gloria sarà vista in te. »
Infatti, per le sue insistenze, le trovammo una violet­ta; e trovata che fu, più volte al giorno la suonava e con tanto cuore, da sembrare si sciogliesse come cera al fuoco; e ora cantava quelle parole, e ora stava con la faccia al cielo, come muta.

XII

Ma noi tutte, inesperte e accecate, non sapevamo ri­conoscere la sua perfezione e la sua santità.
Così visse con noi, fra molte consolazioni ma, an­che, sopportando grandi mali; tuttavia, era tanta la sua pazienza, che mai si lamentava. Per quasi un anno, andò per casa, come morta; eppure, stava con le altre a lavorare, spesso parlava di cose dolcissime e ancor più ci esortava, quasi ogni giorno, al santo silenzio; e diceva: - Figliole dolcissime, fuggite, fuggite e mai, mai non albergate in voi altro che Cristo; siate certissi­me che, per il vostro parlare, mai vi farete casa di Cri­sto, sia pur buono il vostro parlare, quanto si vuole. -
Alcune volte, a me e a due altre, disse le cose segrete dei nostri cuori; cose che non era possibile sapere, se non da Dio. E prediceva fatti, che poi si avveravano in tutto.

XIII

Quando mi ricordo ciò che lei ci disse, una notte do­po il mattutino, ancora tremo, nel ripensare al suo ter­ribile viso e alle sue terribili parole: - Io, ora, sono quasi costretta a domandare giustizia contro quel pez­zo di lingua che è causa di tanta afflizione alle anime di Cristo, le quali, invece, devono essere tenute in grande riverenza. Perciò, ben si guardi colei; che, se non farà ammenda e se non vivrà in carità con le sorelle, ne do­manderò vendetta all'Onnipotente. E ora, innanzi a tanto Sacramento, qui, in chiesa, e me ne scuso con Lui, non voglio nascondervi che starò ancora poco con voi, perché il mio ultimo giorno verrà presto; ma chiunque sarà così ardita di violare l'onore e la fama del monastero del Corpo di Cristo, ne domanderò vendetta, e non dubito che sarà punito. - E queste parole le disse con tanta amarezza, che molte di noi rimasero in lacrime e come smarrite.

XIV

Dopo non molti giorni, ci congregò tutte a Capitolo; per più di tre ore, trattò profondamente della santa o­razione, dando, con belli esempi, nuovi e pregevoli am­maestramenti. Poi, disse: - Dilette figliole in Cristo e amate mie sorelle, non vi sia penoso il mio lungo parla­re, perché questo è il mio ultimo Capitolo alla vostra carità. Io non starò più con voi e molto presto vedrete la mia fine. Fatevi forza, mie figliole, amatevi in carità e sopportate i difetti l'una dell'altra; voi siete tutte membra di Cristo, perciò non scandalizzatevi delle col­pe e dei difetti di ciascuna, ma scusateli, perdonateli e aiutatevi insieme. Abbiate ricordo delle mie parole; e soprattutto, quando sarete fortemente tentate, ricorda­tevi della mia vita, sempre trascorsa in varie infermità e afflizioni. La mia fine è giunta, e me ne vado con gio­ia. Con gioia, sempre ho patito per Cristo; e in questo sta tutto il mio desiderio, perfino in punto di morte. Al­tro non voglio dirvi, ora. Vi lascio e vi dono la mia pa­ce. Andate; e che siate benedette. -
E questo, il Venerdi prima della sua morte.

XV

Ma i nostri cuori, accecati di tenebra, mai non capirono appieno il suo parlare; e voglio credere, per acquietare la mia coscienza, che ciò avvenisse per di­spensa divina, perché tanto era smisurato il nostro a­more per lei che, se l'avessimo ben intesa, senza dub­bio l'avremmo così afflitta col nostro dolore, da farla morire anzitempo.
E senza dolore non posso ricordare le affettuose e gioiose parole che, il Sabato e la Domenica, quasi di continuo ci rivolgeva; sicché dicevamo fra noi: - Ma cos'è questa allegrezza della Madre? -; perché acca­deva rarissime volte che ridesse, se ridere si poteva chiamare. Inoltre, quella gioia era per noi tanto più in­comprensibile, nel pensare che il giorno prima era stata rieletta abbadessa; e lei ne aveva provato molta affli­zione.
Alle sorelle, che si rallegravano con lei per la ricon­ferma del suo incarico, diceva: - Figliole mie, non per questo sono contenta; anzi, il mio Signore avrebbe do­vuto rimandare l'elezione di quattro giorni, per esaudi­re il mio desiderio di morire in stato di soggezione e non di prelazione. Ma, credo, che con questo mi abbia voluto punire per i miei grandi peccati, e massimamen­te per la mia ingratitudine. -

XVI

E anche da tante altre parole avremmo dovuto ben intendere che prediceva la sua fine; ma, come ho già detto, troppo grande era la nostra cecità.
Passò così, in consolazione con le sorelle, quei due giorni; ma, la notte della stessa Domenica, fu di nuovo assalita dalla malattia e obbligata a rimanere a letto. E Martedì chiese il confessore e rimase con lui circa due ore; e noi tutte ci meravigliammo di questo, perché non sembrava più grave di altre volte. Anche il giorno dopo, verso le 14, chiese il confessore; ma ci disse an­che: - Preparate per l'Eucarestia, perché desidero co­municarmi, e per l'olio santo; mettete ai piedi del letto il crocifisso e portate dell'acqua e delle candele bene­dette; e fate che ogni cosa sia ben ordinata. -
Rimanemmo perplesse, nell'udire questo, perché non aveva alcun sintomo di morte; però cominciammo a smarrirci e ci radunammo in lacrime attorno a lei, ma ancora senza avvertire la gravità dell'ora. Veden­doci piangere, disse: - Deh, figliole mie dilette, non piangete. Confortatevi in Gesù Cristo e confidate com­pletamente in Lui. Con tutta la vostra volontà, mie dol­ci figliole, cercate insieme pace e concordia; amatevi e non dubitate, se vivrete in carità, che io sarò molto più utile a voi da morta, di quanto non sia stata in vita. È piaciuto al mio Signore che sia venuta la mia fine; ma vi lascio la mia pace.

XVII

E questo è il mio testamento. Fate che l'onore del Corpo di Cristo vi sia prezioso; e nessuna ardisca intri­gare, affinché vengano qui da altri monasteri, o che da questo alcuna se ne vada; perché io pregherò la poten­za divina che le colpevoli siano amaramente afflitte e tribolate. Al contrario, pregherò per la consolazione di quelle che vorranno stare in pace e carità; e le terrò per mie carissime figliole. -
Dopo un pò di tempo, ci disse ancora: - Vi racco­mando mia madre e anche la Vicaria, che mi è sem­pre stata fedele e buona figliola. Non piangete, mie di­lette; quelle che piangono, non sono mie figliole. Ricor­datevi che siete obbligate al digiuno. Confortatevi, per­ché io vi lascerò un tale odore, che sarete contente. -
Poi si rivolse alle sorelle addette alla ruota che piangevano insieme alle altre: - Andate, presto, che il padre è qui. -
Ma quelle non si facevano forza di abbandonarla e le rimanevano vicino; e anche pensavano che il messo, mandato a chiamare il confessore, ancora si trovasse lungo la via.
Ma lei, di nuovo, insistette: - Figliole, andate, che il padre è alla porta e batte. -
Esse andarono e sentirono i colpi del padre confes­sore contro la porta, come lei benedetta aveva detto; e rimanemmo tutte stupite, perché non era umanamente possibile giungere in cosi poco tempo; ma fu come se lui avesse volato.

XVIII

Quando il padre fu al suo capezzale, noi tutte ci fa­cemmo in disparte; e lei gli parlò speditamente e bene, come se non avesse avuto alcun male. Terminata la confessione, volle umilmente chiedere perdono a tutte e, poi, ricevette i Sacramenti; il pallore del suo viso si fece allora quasi risplendente e parve che l'anima co­minciasse a separarsi dal corpo. Intanto, il padre cer­cava e scorreva le pagine del libro, senza trovare ciò che serviva; allora lei, dolcemente, gli disse: - Padre, guardate nel mezzo del libro, che la troverete. -
Poi, levò i suoi benedetti occhi per guardarci; e, con la più grande umiltà, ancora volle dirci: - Figliole mie, domando perdono a tutte. -
Appena ebbe pronunciato quelle parole, chiuse i suoi devoti occhi e invocò: - Gesù. - per tre volte; e senza alcun movimento, come fa invece chi muore, su­bito l'anima partì dal suo corpo.
Rimase così bella da meravigliare, tanto che, invece di cinquant'anni, pareva ne avesse venticinque; era bianca, flessibile, odorosa e sembrava solo addormen­tata. E quando fu portata in chiesa per il servizio divi­no, appena fu deposta innanzi al Santissimo, si mosse in atto di giubilo.
Mi piace ricordare il suo atteggiamento di profonda umiltà, quando, in vita, si recava innanzi al Sacramen­to; e ora, ancor più, mi diletta il pensiero che, anche in morte, abbia voluto mostrare il suo grande amore per il Creatore.
Intanto, la sua bocca gettava continuamente un soa­ve odore.

XIX

Ma noi, insensate, piene di amarezza, non facevamo altro che piangere e gridare, convinte di aver perduto ogni nostro sostegno e aiuto; e tanto era grande il no­stro dolore, che alcune persero i sensi.
Il padre confessore, nel vedere quella grande ango­scia, pensò di farla sotterrare la sera stessa e fece sca­vare una fossa, profonda di ben due braccia.
Tolto il benedetto corpo dalla chiesa per seppellirlo, sparse un così grande odore, che fu sentito per tutto il sagrato; e nemmeno le unghie delle mani e dei piedi si erano un poco annerite, ma le aveva chiare e belle, co­me se fosse viva. Allora, una delle sorelle che doveva sotterrarla, nel vedere quel viso angelico e quel bellissi­mo corpo, non ebbe la forza di gettarle la terra addos­so; andò, in fretta, a prendere un pannicello e glielo depose sul viso; poi, trovò un asse, sufficiente a coprirla tutta, e lo assestò nella fossa, a un palmo dal corpo; e le sorelle vi gettarono sopra della terra. Ma la tavola di legno non resse al peso e le cadde addosso, schiaccian­dole la faccia e rovinandole il corpo.
Stette, la nostra Madre benedetta, sotto terra per di­ciotto giorni; ogni giorno, usciva dalla fossa nuovo o­dore e le sorelle ammalate, che si recavano sulla sepol­tura, erano guarite dalle loro infermità.

XX

Alcune volte, sembrava che sopra alla fossa vi fos­sero raggi di luce; così noi, per tutte quelle cose straor­dinarie, e anche perché ci sembrava un peccato che un così bel corpo rimanesse nella nuda terra, cominciam­mo a molestare con insistenza il padre confessore, per avere il consenso di metterla in una cassa.
Dopo aver pregato per lui e per noi, il sabato sera a­vemmo il permesso di dissotterrarla; ma, in quell'ora, stava cadendo una fitta pioggia. Poiché il maltempo non cessava, alcune di noi, verso le due di notte, si po­sero in orazione, per chiedere a Dio la grazia di mo­strarci la sua volontà; e, appena finita la nostra suppli­ca, non solo smise di piovere, ma, sopra la sepoltura, si aprì un varco nelle nubi, dal quale si vedeva una stella, fra le altre, cosi brillante da dare luce sulla fossa.
Nel vedere quei segni, così evidenti, prendemmo co­raggio e cominciammo a togliere la terra. Appena dissepolta e cavata dalla fossa, fummo presi da grande sbigottimento, perché aveva il viso schiacciato e defor­mato; i suoi lineamenti erano irriconoscibili, senza oc­chi, né bocca, né naso, sembrava una creatura non u­mana. Ben tre suore avevano lavorato sulla fossa, con zappe e badili, credendo che il corpo fosse riparato dall'asse; ma, al contrario, quella le era franata sopra, schiacciandole il viso.
Così, la deponemmo in una cassa, per rimetterla sotto terra; ma - cosa mirabile! - fummo forzate, senza che ce ne avvedessimo, a portarla sotto una loggia. E lì, poco a poco, vedemmo il suo viso riformarsi, mentre il suo corpo emanava un soave odore; e noi eravamo stupefatte. E il suo corpo benedetto riprendeva la sua bellezza e il suo candore; ed era elastico e flessibile, co­me se fosse stato vivo.

XXI

All'ora del Mattutino la portammo in chiesa con noi e la deponemmo innanzi al Sacramento; subito emanò un forte odore, che si faceva più intenso a brevi inter­valli di tempo, sicché tutte le suora, assai turbate, co­minciarono a invocare: - Gesù! Gesù!­
E il Mattutino fu recitato col massimo fervore e con la più grande soavità di cuore.
Il suo viso si era ricomposto ed era diventato bellis­simo in meno di due ore; aveva nella gola, procurato dalla caduta dell'asse, un taglio fresco e vermiglio, come se fosse stato fatto allora a un corpo vivo; e di simi­li ne aveva un pò dovunque, soprattutto in una gamba, in un piede e in una mano.
Nella stessa mattina, il suo viso si coprì di sudore o­doroso e divenne rosa; e, di ora in ora, si colorì sempre più, fino a sembrare ardente come brace. Poi impallidì e poi riprese colore più volte; ma sempre trasudò odo­rosamente e sembrò, a tratti, che traspirasse sangue e acqua.
Venne il nostro padre confessore e rimase al tutto stupefatto. Poi, sembrò che la notizia fosse bandita per tutta la città, perché, non so in che modo, cominciò a venire gente nel monastero, domandando di vederla.

XXII

Per primi, vennero il Maestro Giovanni Marcanova e il Signor Battista Mezzavacca, che cominciarono a mostrarla ad altre persone; e così tutti i giorni, a chiun­que volesse entrare in chiesa, per cinque giorni conti­nui. Intanto, il corpo benedetto pareva farsi, di ora in ora, sempre più bello e colorito.
Venne anche il Vicario del Vescovo, persona distin­ta e di pregio, che, con le stesse due persone suddette, volle esaminarla in tutto e a lungo; e dopo, rivolgendo­si a noi suore, ci disse: - Figliole e sorelle in Cristo, siate grate al clemente Iddio di tanto splendido dono, quale è stato l'avere per Madre una così santa e prezio­sa anima. Nella mia vita, ho visto circa trecento corpi di santi, ma mai uno più bello di questo; perché mi pa­re che non sia morto, ma addormentato. E io, nel vede­re con i miei stessi occhi questi miracolosi segni celesti, credo e dico che essa è ora una delle più eccellenti ani­me del Paradiso. - E, a queste, aggiunse anche molte altre belle parole.

XXIII

Poi, vennero il Maestro Baldisserra, medico, i Si­gnori Ianico Dalivo, Battista di Manzoli, Bartolomeo dalla Cascina, il Maestro Bartolomeo da Modena e al­tri insieme a loro, che la osservarono dal finestrino e videro le mutazioni del suo viso.
Monsignore volle che le fosse preparato un luogo più degno, come sepolcro; e in questo fu posta, chiusa in due casse, dal padre confessore e da alcuni fra i detti cittadini, con molta solennità.
La notte del Venerdì Santo, noi suore riaprimmo le due casse; e grande fu la nostra afflizione, perché la trovammo con gli occhi così incavati e tanto pallida che ci fece tremare. In alcune parti del corpo, la pelle e­ra sollevata dalla carne; così cercammo di toglierle pic­cole parti di cute, per tenerle come reliquie; ma dalle e­scoriazioni, subito ne uscì sangue.
Ci tornò un grande desiderio di rivederla anche la notte della Resurrezione; e grande fu la nostra conso­lazione, perché la ritrovammo di aspetto bellissimo e gioioso, tanto colorita, da sembrare infuocata come un serafino. Un occhio, già sollevato e socchiuso, riflette­va una luce chiara; e non passò un'ora, che anche l'al­tro fu nella stessa forma. E furono molte le suore che assistettero a quella mutazione.

XXIV

Il Martedì di Pasqua, col permesso di Monsignore, fu vista dal finestrino da religiosi e cittadini; e tutti assi­stettero attoniti a tanta bellezza e al mutare del suo vi­so, chi manifestando il proprio turbamento, chi stando come smemorato di fronte a tanta espressività in un corpo morto. E non pochi furono gli increduli, i quali, nel vederla assumere in poco tempo aspetti diversi, se ne andavano dicendo che era una suora viva.
Tre mesi dopo la sua morte, le caddero dal naso di­verse gocce di sangue, vivo e bello; ma noi, nello smar­rimento in cui ci trovammo, non pensammo di racco­glierlo e, così, andò perduto. I suoi capelli canuti, forti come quando visse, le crebbero ancora; e così le un­ghie delle mani, tanto che le tagliammo tre volte, fin sulla carne. Solo ora non crescono più; ma, dai piedi, ha trasudato una certa quantità d'olio, sicché ne abbia­mo colto una mezza ampollina.

XXV

Altro non posso dire di questa nobile e gentile ani­ma di Gesù Cristo, perché non ho molte capacità, né sottile ingegno; così, lascio ai cuori eletti e alle menti speculative considerare la meravigliosa esistenza - vi­ta, morte e dopo morte - di quest'anima beata. Con i loro ingegni la esalteranno come ben merita, compas­sionando la mia semplicità e la mia anima poverella, che giace nel lago della profondissima ignoranza, ne­gligenza e ingratitudine. Ma, a chi avesse in sorte di leggere questo mio grossolano scritto, chiedo solo, dol­cemente, di pregare l'eterno Iddio che mi faccia parte­cipe della sua gloria, senza guardare ai miei demeriti e ai miei grandi peccati.
Ora, non posso tacere i miracoli che ricordo, operati per la nostra beata e devota anima Caterina; e ricor­dandoli, spero che la mia infedeltà nello scrivere, se in­fedeltà vi fosse, mi sia un poco perdonata. Ne posso scrivere solo alcuni, perché non tenni il conto e non li annotai, quando mi furono detti, per mia negligenza; e adesso non li rammento tutti.
ALCUNI MIRACOLI AVVENUTI PER LA BENEDETTA MADRE ABBADESSA SUOR CATERINA DA BOLOGNA

XXVI

Una suora, per circa undici anni, soffrì di forti per­dite di sangue dalla bocca e, per tutto quel tempo, mai vi fu alcun rimedio al suo male, tanto che lei stessa si rassegnò a dover morire di quella infermità.
Un giorno, rimasta sola nel dormitorio, perché tutte le suore erano comandate a Capitolo per ricevere una novizia, sentì in sé una ispirazione che le disse: - Abbi ferma fede e devozione. Come sarai segnata con quelle cose che toccarono il corpo della beata Caterina, tu guarirai. - Lei, per umiltà, fece resistenza a quel pen­siero e rispose in sé stessa: - È volontà di Dio che io porti questa pena, per i miei peccati. - Ma, da capo, l'ispirazione ribadì: - No, anzi, sarai liberata dal male, per i meriti della beata Caterina. -
Nel pensare se scacciare o no quel moto interiore, la suora fu presa da un sonno leggero. Appena addor­mentata, le apparve una bellissima donna, di circa trent'anni vestita splendidamente in color cremisi e di broccato d'oro e argento, adorna di perle e pietre preziose e regalmente incoronata, accompagnata da un giovane, simile a lei per età e bellezza. La donna, rivol­gendosi alla inferma, le chiese come stava; e la suora le rispose: - Bene, poiché così piace a Dio. Ma la mia sensualità sostiene grande pena. - Disse ancora la donna: - Ti voglio mostrare quanto è grande la tua in­fermità. -; e, con un coltellino, incise e le aprì il torace. La suora inferma vide così, dentro il proprio petto, la bocca di una lacerazione che versava sangue intorno. Quindi, la donna la esortò così: - Abbi speranza nella beata Caterina. -; e subito sparì.
Quando l'inferma si svegliò, si sentì migliorata, tan­to che poté inginocchiarsi con le braccia in croce; cosa che, prima, non poté mai fare, senza grande pena.

XXVII

Ma lei pensò a una illusione diabolica, piuttosto che a una grazia. Finché, una notte, nel rientrare in cella, aperta la porta, sentì un soavissimo odore. Presa da smarrimento, non seppe cosa fare e non osò entrare; poi, invocando Gesù, varcò la soglia con grande spa­vento. Appena in cella, le venne una grande fede e cer­tezza, nell'intimo del suo cuore, quasi che una persona le dicesse dall'anima: - Sta certa, per i meriti di questa beata, che tu guarirai. -
Col passare del tempo, questa fede crebbe e la sti­molò continuamente, finché la Superiora acconsentì a farla segnare con le cose della beata Caterina. Così fu fatto e così fu liberata dal male; e, da allora a oggi, non ha più sputato sangue.
Ma la suora si considerava infedele, misera, imper­fetta e colpevole di innumerevoli mancanze; per la sua umiltà, cominciò a pensare che la guarigione fosse sta­ta opera del nemico, credendosi in tutto indegna di tale grazia. E d'altra parte, non poteva escludere la benevo­lenza di Dio, che dà doni e grazie ai peccatori, per atti­rarli al suo amore; ma, proprio per questo, aveva mag­gior timore di un inganno diabolico contro la sua fede in Dio e contro i meriti della beata Caterina, qualora le fosse, poi, ricomparso il male.

XXVIII

In tanto affanno, nel dubbio di credere o di dubitare, non ebbe più pace, né di giorno né di notte. Ma, pro­prio una notte, nel dire il Rosario, vinta dalla stanchez­za, si addormentò; e, subito, le riapparvero la stessa bella donna e il giovane, che si tenevano per mano. La donna, quasi rimproverandola, ma con occhi ridenti e viso lieto, dolcemente le disse: - Vieni con me, incre­dula, e non dubitare. - e prese anch'essa per mano. La condusse in un giardino delizioso, pavimentato d'oro, argento e gemme d'ogni colore, e aiuole con erbetta e piccoli fiori odorosi, assai dilettevoli a vedersi. Sulla destra, vide una numerosa compagnia di bellissimi gio­vani, vestiti di cremisino e broccato d'oro e argento, a­dorni di candide perle e pietre preziose; ciascuno aveva, nella mano destra, una splendida e lucente crocetta e, al collo, un meraviglioso cerchietto finemente lavo­rato. In mezzo a loro, vide un magnifico re, assai più riccamente vestito degli altri; cinque raggianti stelle, u­na per ogni mano e piede, e una nel costato, illumina­vano, col loro splendore, tutta la schiera dei giovani.

XXIX

In mezzo al giardino, gradini di pietre preziose por­tavano a un trono, intagliato e lavorato mirabilmente. Circondava il seggio regale una moltitudine di fanciul­lini, con tonachelle vermiglie e stole bianche, sulle qua­li, all'altezza del petto, spiccava uno scudetto, nel cui centro figurava un candidissimo e ornatissimo agnello; al collo, portavano un sottile cerchietto d'oro finissimo e, nella mano destra, una foglia di palma, ornata di gi­gli e rose bianche e vermiglie, e, nella sinistra, uno stru­mento musicale. E tutti insieme, con voce chiara, can­tavano: « Gloria, lode e onore... » in una dolcissima me­lodia.
Secondo il parere della suora, era tanta la soavità di quel canto e la bellezza dei fanciullini, che tutte le alle­grezze e i piaceri di questo nostro mondo, radunati in­sieme, sarebbero parsi, al confronto, tristezza e dolore.

XXX

E lei si sarebbe sentita beata, se fosse potuta rima­nere per sempre, con uno solo di quei fanciullini. Allora, stupefatta, si rivolse alla donna, felice regina, e le chiese: - Ma questa è la corte del re di Francia, o quella del re Assuero, delle quali si dicono tante meravi­glie? - Rispose quella, con aspetto angelico: - Questa non è corte di un signore del mondo. 1 bambinelli sono gli innocenti martirizzati per amore di Gesù piccolino; e il magnifico re e la nobile schiera sono il serafico pa­triarca San Francesco con i suoi frati. Le bellissime ve­sti sono loro date per la vile e rude tonaca che portaro­no nel mondo; il collare, per il giogo della santa obbe­dienza; la crocetta, per la fedeltà a Cristo e alla sua croce; e per le cinque sacre stigmate, nelle mani, nei piedi e nel costato, sono impresse al loro re le cinque radianti stelle.
Detto questo, si allontanò. Poi, volando, venne nuo­vamente con due damigelle bellissime, vestite e ornate come regine alle loro nozze; una, portava un vasetto d'argento di preziosissimo e profumato unguento, e, l'altra, recava il piccolo coperchio.

XXXI

La donna colse un poco d'unguento, con la punta del mignolo, e unse il petto della suora, dove prima a­veva tagliato; e le disse: - Abbi fede e speranza in Dio. Non sputerai più sangue, per i meriti della beata Caterina. -
La suora, nel sentirsi completamente guarita e nel vedere tutte quelle cose, credette che la donna fosse la Vergine Maria, o qualche Santa, e la volle ringraziare, con grande timore e rispetto: - Venerabile Madonna e dolcissima Madre, ringrazio la vostra immensa carità, dal profondo del mio cuore. Ma vi prego, anche, di dir­mi chi siete e qual'è il vostro nome. -
Benignamente, la donna rispose: - Io sono quella cagnolina di suora chiamata, in vita eterna, Caterina e, dalla gente, beata Caterina. Questo giovane, che mi ac­compagna, è il tuo padre San Bernardino; le due dami­gelle sono Santa B. e Santa Domicilia, della quale tu porti il nome. -
Si abbracciarono e si rallegrarono insieme e, in quel momento la suora si risvegliò.
Da allora la suora va di bene in meglio e non risente della sua lunga infermità. A lode e gloria dell'eccelso imperatore Gesù Cristo, giglio d'amore, e della sua Madre Vergine amorosa e della beata Caterina, rosa o­lente fiorita negli anni del Signore 1463.

XXXII

Un'altra sorella Clarissa, chiamata Suor Evangeli­sta, nel genuflettersi innanzi all'immagine della Vergi­ne, cadde tanto malamente da slogarsi la rotula di un ginocchio. Stette per cinque giorni con la febbre, senza potersi muovere dal letto e senza riposare per il fortis­simo dolore. Le fu fatta una lavanda rinfrescante ma, dopo un iniziale sollievo, peggiorò ancora.
Allora, lei cominciò a raccomandarsi devotamente alla beata Caterina. Circa alle due di notte, presa dal sonno, le parve di entrare in un bellissimo palazzo, le cui smisurate dimensioni le erano incomprensibili; e lei tremava, nella soggezione che la sublimità del luogo le incuteva. Guardando in quella immensità, vide passare un numeroso gruppo di bellissimi giovani, meraviglio­samente vestiti, che recavano nelle mani gioie e gemme e altri ornamenti. Uno dei giovani, nel vederla, disse ai suoi compagni: - Come, costei, ha avuto licenza di en­trare nel Palazzo? - Gli rispose un altro, dicendo di non credere che lei fosse potuta entrare senza permes­so, perciò non la rimproverasse. A quella risposta, lei prese coraggio e li seguì a distanza, mentre il primo giovane, ogni tanto, la riguardava volgendosi indietro. Giunsero a uno splendido trono, sul quale stava una bellissima donna come nobilissima regina. Questa ave­va sul capo tre grandi corone, ciascuna ben differen­ziata dalle altre, ma tutte più rilucenti del sole; la sua veste, lunga fino ai piedi, bianchissima e tutta adorna di perle e gemme preziosissime, era cinta da un tessuto di mirabile bellezza e ricoperta da un candido mantel­lo, aperto davanti a foggia di piviale, completamente e mirabilmente lavorato.

XXXIII

Le dissero che la regina era la beata Caterina; allora lei, nell'udire questo, cominciò a pregarla devotamente di aiutarla nella sua pena. La beata, benignamente, le fece cenno di avvicinarsi e la suora obbedì lestamente; ma, per rispetto, si fermò a una certa distanza; nuova­mente, la beata le fece cenno con la mano di andarle appresso e la suora si inginocchiò ai suoi piedi, guar­dandola. E si meravigliò della bellezza del suo viso e del soavissimo odore che la beata emanava.
Al suo fianco, vide una monaca di Santa Chiara, ve­stita di una tonaca scura, tutta ben lavorata.
«Finisce l'incompleta testimonianza »

AVE MARIA!
IMMACOLATA MIA E MIO TUTTO!