"DIVINI ILLIUS MAGISTRI"
LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ PIO PP.XI
SULLA EDUCAZIONE CRISTIANA
DELLA GIOVENTÙ
Rappresentanti in terra di quel Divino Maestro il quale, pure abbracciando nella immensità del Suo amore gli uomini tutti, anche peccatori e indegni, mostrò tuttavia di prediligere con una tenerezza specialissima i fanciulli e si espresse in quelle parole tanto commoventi: "Lasciate che i pargoli vengano a me" (Marc. X, 14), abbiamo anche Noi in tutte le occasioni cercato di mostrare la predilezione tutta paterna che loro portiamo, particolarmente nelle cure assidue e negli insegnamenti opportuni che toccano l'educazione cristiana della gioventù.
Così, facendoCi eco del Divino Maestro, abbiamo rivolto la parola salutare, ora dell'ammonimento ora dell'esortazione ora della direzione, ai giovani e agli educatori, ai padri e alle madri di famiglia, su vari punti dell'educazione cristiana, con quella sollecitudine che si conviene al Padre comune di tutti i fedeli, e con quella insistenza opportuna ed importuna che spetta all'ufficio pastorale, inculcata dall'Apostolo: "Insisti a tempo opportuno e anche non opportuno; riprendi, esorta, sgrida, con grande pazienza e dottrina" (II Tim. IV, 2): insistenza richiesta dai tempi nostri, nei quali purtroppo si deplora una sì grande mancanza di chiari e sani principi anche circa i problemi più fondamentali.
Ma la stessa accennata condizione generale dei tempi, l'attuale vario agitarsi del problema scolastico e pedagogico nei vari paesi e il conseguente desiderio manifestatoCi con filiale confidenza da molti di voi e dei vostri fedeli, Venerabili Fratelli, e l'affetto Nostro tanto intenso, come dicemmo, verso la gioventù. Ci muovono a tornare più di proposito sull'argomento, se non per trattarlo in tutta la sua quasi inesauribile ampiezza di dottrina e di pratica, almeno per riassumerne i principi supremi, metterne in piena luce le precipue conclusioni e additarne le pratiche applicazioni.
Sia questo il ricordo, che del Nostro giubileo sacerdotale, con intenzione ed affetto tutto particolare, dedichiamo alla cara gioventù. e raccomandiamo a quanti hanno missione e dovere di occuparsi della sua educazione.
In verità, non mai come ai tempi presenti si è ragionato tanto di educazione; onde si moltiplicano i maestri di nuove teorie pedagogiche, si escogitano, si propongono e discutono metodi e mezzi, non solo a facilitare, ma a creare una educazione nuova di infallibile efficacia, la quale valga a formare le nuove generazioni per l'agognata felicità su questa terra.
Gli è che gli uomini, da Dio creati a Sua immagine e somiglianza, ed a Lui, perfezione infinita, destinati, come avvertono più che mai, nell'abbondanza del progresso materiale odierno, l'insufficienza dei beni terrestri per la vera felicità degli individui e dei popoli, così sentono più vivo in sé lo stimolo verso una perfezione più alta, inserito nella loro stessa natura ragionevole dal Creatore, e vogliono conseguirla principalmente con l'educazione. Se non che, molti di essi, quasi insistendo di soverchio nel senso etimologico della parola, pretendono estrarla dalla medesima natura umana ed attuarla con le sole sue forze. In ciò errano facilmente, giacché, invece di dirigere la mira a Dio, primo principio e ultimo fine di tutto l'universo, si ripiegano e giacciono su, se stessi, attaccandosi esclusivamente alle cose terrestri e temporanee; sicché continua ed incessante sarà la loro agitazione fino a quando non rivolgano gli occhi e l'opera all'unica meta della perfezione, Dio, secondo la profonda sentenza di Sant'Agostino: "Ci creasti, o Signore, per Te e inquieto è il cuor nostro fino a quando in Te non si riposi" (Confess. 1, 1).
E’ dunque di suprema importanza non errare nell'educazione, e non errare nella direzione verso il fine ultimo con il quale tutta l'opera dell'educazione è intimamente e necessariamente connessa. Infatti, poiché l'educazione consiste essenzialmente nella formazione dell'uomo, quale egli deve essere e come deve comportarsi in questa vita terrena per conseguire il fine sublime per il quale fu creato, è chiaro che, come non può darsi vera educazione che non sia tutta ordinata al fine ultimo, così, nell'ordine presente della Provvidenza, dopo cioè che Dio ci si è rivelato nel Figlio Suo Unigenito, che solo è "via e verità e vita", non può darsi adeguata e perfetta educazione all'infuori dell'educazione cristiana.
Onde si manifesta l'importanza suprema dell'educazione cristiana, non soltanto per i singoli individui, ma per le famiglie e per tutta quanta la umana convivenza, giacché la perfezione di questa non può non risultare dalla perfezione degli elementi che la compongono. E similmente, dai principi accennati si fa chiara e manifesta l'eccellenza, si può ben dire insuperabile, dell'opera dell'educazione cristiana, come quella che mira in ultima analisi ad assicurare il Sommo Bene, Dio, alle anime degli educandi, ed il massimo di benessere possibile in questa terra all'umana convivenza. E ciò nel modo più efficace che sia possibile da parte dell'uomo, nel cooperare cioè con Dio al perfezionamento degli individui e della società, in quanto l'educazione imprime agli animi la prima, la più potente e la più duratura direzione nella vita, secondo la notissima sentenza del Savio: "Il giovanetto, secondo la via che ha presa, anche quando sarà invecchiato non se ne scosterà" (Prov. 1 , 6). Diceva perciò con ragione San Giovanni Crisostomo: "Che v’ha di più grande se non governare gli animi, se non formare i costumi dei giovanetti?" (Hom. 60, in c. 18 Matt.).
Ma non vi ha parola che ci riveli la grandezza, la bellezza ed eccellenza soprannaturale dell'opera dell'educazione cristiana, quanto la sublime espressione d'amore con la quale Gesù Signor nostro, identificandosi con i fanciulli, dichiara: "Chi avrà ricevuto uno di questi piccoli in nome mio, riceve me" (Mar. IX, 37).
Per non errare in quest'opera di somma importanza e per condurla nel modo migliore che sia possibile, con l'aiuto della grazia divina, è necessario avere un'idea chiara ed esatta dell'educazione cristiana nelle sue ragioni essenziali, e cioè: a chi spetta la missione di educare, quale è il soggetto dell'educazione, quali le circostanze necessarie dell'ambiente, quali il fine e la norma propria dell'educazione cristiana, secondo l'ordine stabilito da Dio nell'economia della Sua Provvidenza.
L'educazione è opera necessariamente sociale, non solitaria. Ora tre sono le società necessarie, distinte e pur armonicamente congiunte da Dio, in seno alle quali nasce l'uomo; due società di ordine naturale, quali sono la famiglia e la società civile; la terza, la Chiesa, di ordine soprannaturale. Dapprima la famiglia, istituita immediatamente da Dio al fine Suo proprio, che è la procreazione ed educazione della prole, la quale perciò ha priorità di natura, e quindi una priorità di diritti, rispetto alla società civile. Nondimeno la famiglia è società imperfetta, perché non ha in sé tutti i mezzi per il proprio perfezionamento, laddove la società civile è società perfetta, avendo in sé tutti i mezzi necessari al fine; onde, per questo rispetto, cioè in ordine al bene comune, essa ha preminenza sulla famiglia, la quale raggiunge appunto nella società civile la sua conveniente perfezione temporale.
La terza società, nella quale l'uomo nasce, mediante il Battesimo, alla vita divina della Grazia, è la Chiesa, società di ordine soprannaturale e universale, società perfetta, perché ha in sé tutti i mezzi ordinati al suo fine, che è la salvezza eterna degli uomini, e pertanto suprema nel suo ordine.
Per conseguenza l'educazione, la quale riguarda tutto l'uomo individualmente e socialmente, nell'ordine della natura e in quello della grazia, appartiene a tutte e tre queste società necessarie, in misura proporzionata, corrispondente, secondo il presente ordine di provvidenza stabilito da Dio, alla coordinazione dei loro rispettivi fini.
E dapprima, essa appartiene in modo sopraeminente alla Chiesa, per due titoli di Ordine soprannaturale da Dio stesso ad essa esclusivamente conferiti e perciò assolutamente superiori a qualsiasi altro titolo di ordine naturale.
Il primo sta nella espressa missione ed autorità suprema di magistero datale dal suo Divin Fondatore: "Ogni potere è stato dato a me in cielo e in terra. Andate dunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo; insegnando loro ad osservare tutto quanto v'ho comandato. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo" (Mat. XXVIII, 18-20). Al quale Magistero è stata da Cristo conferita l'infallibilità insieme col mandato d'insegnare la Sua dottrina; onde la Chiesa "fu costituita dal divino suo Autore colonna e fondamento della verità, affinché insegni agli uomini la fede divina, ne custodisca integro e inviolato il deposito affidatole, e diriga ed informi gli uomini e le loro consociazioni ed azioni ad onestà di costumi ed integrità di vita, a norma della dottrina rivelata" (Pio IX, Ep. Cum non sine, 14-7-1864).
Il secondo titolo è la Maternità soprannaturale onde la Chiesa, Sposa immacolata di Cristo, genera, nutre ed educa le anime nella vita divina della grazia con i suoi Sacramenti e il suo insegnamento. Perciò a buon diritto afferma Sant'Agostino: "Non avrà Dio per padre, chi avrà rifiutato di avere la Chiesa per madre" (De Symb, ad catech., XIII).
Pertanto, nell'oggetto proprio della sua missione educativa, cioè "nella fede e nella istituzione dei costumi, Dio stesso ha fatto la Chiesa partecipe del divino magistero e, per beneficio divino, immune da errore; ond'è degli uomini maestra suprema e sicurissima, e le è insito l'inviolabile diritto a libertà di magistero" (Enc. Libertas, 20 giugno 1888). Per necessaria conseguenza, la Chiesa è indipendente da qualsiasi potestà terrena, come nell'origine così nell'esercizio della sua missione educativa, non solo rispetto al suo oggetto proprio, ma anche rispetto ai mezzi necessari e convenienti per adempirla. Quindi, rispetto ad ogni altra disciplina ed insegnamento umano, che in sé considerato è patrimonio di tutti, individui e società, la Chiesa ha diritto indipendente di usare e principalmente di giudicare quanto possa esser giovevole o contrario all'educazione cristiana. E ciò, sia perché la Chiesa, come società perfetta, ha diritto indipendente sui mezzi rispondenti al suo fine, sia perché ogni insegnamento, al pari di ogni azione umana, ha necessaria relazione di dipendenza dal fine ultimo dell'uomo,- e però non può sottrarsi alle norme della legge divina, di cui la Chiesa è custode, interprete e maestra infallibile.
Il che, con perspicua sentenza, dichiara Pio X di santa memoria: "Qualunque cosa faccia il cristiano, anche nell'ordine delle cose terrene, non gli è lecito trascurare i beni soprannaturali, ché anzi deve secondo gli insegnamenti della cristiana sapienza dirigere tutte quante le cose al bene supremo come ad ultimo fine; tutte le sue azioni inoltre, in quanto sono buone o cattive in ordine ai costumi, ossia in quanto convengono o meno con il diritto naturale e divino, sottostanno al giudizio e alla giurisdizione della Chiesa" (Enc. Singulari quadam, 24 settembre 1912).
Ed è degno di nota come abbia saputo bene intendere ed esprimere questa dottrina cattolica fondamentale un laico, mirabile scrittore quanto profondo e coscienzioso pensatore: "La Chiesa non dice che la morale appartenga puramente (nel senso d'esclusivamente) a lei, ma che appartiene a lei totalmente. Non ha mai preteso che, fuori del suo grembo, e senza il suo insegnamento, l'uomo non possa conoscere alcuna verità morale, ha anzi riprovata quest'opinione più d'una volta, perché è comparsa in più d'una forma. Dice bensì, come ha detto e dirà sempre, che per l'istituzione che ha avuta da Gesù Cristo, e per lo Spirito Santo mandatole in suo nome dal Padre, essa sola possiede originariamente e inammissibilmente l'intera verità morale (omnem veritatem) nella quale tutte le verità particolari della morale sono comprese, tanto quelle che l'uomo può arrivare a conoscere col semplice mezzo della ragione, quanto quelle che fanno parte della rivelazione, o che si possono dedurre da questa" (A. Manzoni, Osservazioni sulla Morale Cattolica, c. III).
Adunque, di pieno diritto la Chiesa promuove le lettere, le scienze e le arti, in quanto necessarie o giovevoli all'educazione cristiana, oltre che a tutta la sua opera per la salvezza delle anime, anche fondando e mantenendo scuole ed istituzioni proprie in ogni disciplina e in ogni grado di cultura (Codex Iuris Canonici, c. 1375). Né è da stimarsi estranea al suo magistero materno la stessa educazione fisica, come la chiamano, appunto perché anch'essa ha ragione di mezzo che può giovare o nuocere all'educazione cristiana.
E quest'opera della Chiesa in ogni genere di cultura, come è d'immenso giovamento alle famiglie e alle nazioni che senza Cristo si perdono - come giustamente riflette Sant'Ilario: "Cosa v'ha di più pericoloso per il mondo che non accogliere Cristo?" (Commentar. in Matth., cap. 18) - così non reca il minimo inconveniente agli ordinamenti civili, perché la Chiesa, nella sua prudenza materna, non si oppone a che le sue scuole ed istituzioni educative per i laici si uniformino, in ciascuna nazione, alle legittime disposizioni dell'autorità civile, ed è pronta in ogni modo ad - accordarsi con questa, e a provvedere di comune intesa, dove sorgessero difficoltà.
Inoltre, è diritto inalienabile della Chiesa, e insieme suo dovere indispensabile, vigilare tutta l'educazione dei suoi figli, i fedeli, in qualsiasi istituzione pubblica o privata, non soltanto rispetto all'insegnamento religioso ivi impartito, ma per ogni altra disciplina e per ogni ordinamento, in quanto abbiano relazione con la religione e la morale (Codex I. C. cc. 1381-1382).
Né l'esercizio di questo diritto potrà stimarsi ingerenza indebita, ma preziosa provvidenza materna della Chiesa, nel tutelare i suoi figli dai gravi pericoli di ogni veleno dottrinale e morale. Ed anche questa vigilanza della Chiesa, come non può creare nessun vero inconveniente, così non può non recare efficace giovamento all'ordine, al benessere delle famiglie e della società civile, tenendo lontano dalla gioventù quel veleno morale, che in quell'età inesperta e volubile suole avere più facile presa e più rapida estensione nella pratica, giacché senza la retta istituzione religiosa e morale - come sapientemente avverte Leone XIII - "malsana, sarà ogni coltura degli animi; i giovinetti non abituati al rispetto di Dio non potranno sopportare alcuna disciplina di onesto vivere, e usi a non negare mai niente alle loro cupidigie, facilmente saranno indotti a sconvolgere gli Stati" (Ep. Nobilissima Gallorum Gens, 8-2-1884).
Quanto all'estensione della missione educativa della Chiesa, essa si allarga su tutte le genti senza limitazioni, secondo il mandato di Cristo: "Ammaestrate tutte le genti" (Matth. XXVIII, 19); né vi ha potestà terrena che possa legittimamente contrastarla o impedirla. E dapprima si estende su tutti i fedeli, dei quali essa ha sollecita cura come tenerissima Madre. E perciò per essi ha in tutti i secoli creato e promosso una moltitudine ingente di scuole ed istituzioni in ogni ramo di sapere; poiché - come dicemmo in una recente occasione - "fino in quel lontano medioevo, nel quale erano così numerosi (qualcuno ha voluto dire fin troppo numerosi) i monasteri, i conventi, le chiese, le collegiate, ì Capitoli cattedrali e non cattedrali, presso ognuna di queste istituzioni era un focolare scolastico, un focolare di istruzione e di educazione cristiana. Ed a tutto ciò bisogna aggiungere le Università, sparse in ogni paese e sempre per iniziativa e sotto la guardia della Santa Sede e della Chiesa. Quello spettacolo magnifico che ora vediamo meglio, perché è più vicino a noi e in condizioni più grandiose, come portano le condizioni del secolo, fu lo spettacolo di tutti i tempi, e coloro che studiano e confrontano gli avvenimenti restano meravigliati di quello che la Chiesa ha saputo fare in questo ordine di cose, meravigliati del modo col quale la Chiesa ha saputo corrispondere a quella missione che Iddio le affidava, di educare le generazioni umane alla vita cristiana, e raggiungere tanti magnifici frutti e risultati. Ma se desta meraviglia che la Chiesa in ogni tempo abbia saputo raccogliere intorno a sé centinaia e migliaia e milioni di allievi della sua missione educatrice, non minore è quella che vi deve colpire, quando si riflette a quello che ha saputo fare, non solo nel campo della educazione, ma anche in quello della istruzione vera e propria. Poiché, se tanti tesori di cultura, di civiltà, di letteratura si sono potuti conservare, si debbono a quell'atteggiamento per il quale la Chiesa, anche nei più lontani e barbari tempi, ha saputo far brillare tanta luce nel campo delle lettere, della filosofia, dell'arte e particolarmente dell'architettura" (Discorso agli alunni del Collegio di Mondragone, 1929).
E tanto ha saputo fare la Chiesa, perché la sua missione educativa si estende anche ai non fedeli, essendo tutti gli uomini chiamati ad entrare nel Regno di Dio ed a conseguire l'eterna salvezza. Come ai nostri giorni, in cui le sue Missioni spargono a migliaia le scuole in tutte le regioni e paesi non ancora cristiani, dalle due rive del Gange al Fiume Giallo e alle grandi isole ed arcipelaghi dell'Oceano, dal Continente Nero alla Terra del Fuoco e alla gelida Alaska, così in tutti i tempi la Chiesa con i suoi missionari ha educato alla vita cristiana e alla civiltà le diverse genti che ora costituiscono le nazioni cristiane del mondo civile.
Laonde resta con evidenza assodato, come di diritto e ancora di fatto appartenga in modo sopraeminente alla Chiesa la missione educativa, e come ad ogni intelletto scevro da pregiudizi non sia concepibile alcun motivo ragionevole di contrastare o impedire alla Chiesa quella stessa opera, della quale ora il mondo gode i benefici frutti.
Molto più che con tale sopraeminenza della Chiesa, non solo non sono in opposizione, ma sono anzi in perfetta armonia i diritti della famiglia e dello Stato, e anche i diritti dei singoli individui rispetto alla giusta libertà della scienza, dei metodi scientifici e di ogni cultura profana in generale. Giacché, per indicare subito la ragione fondamentale di siffatta armonia, l'ordine soprannaturale, al quale appartengono i diritti della Chiesa, non solo non di strugge né menoma l'ordine naturale, al quale appartengono gli altri diritti menzionati, ma anzi lo eleva e lo perfeziona, ed ambedue gli ordini si prestano mutuo aiuto e quasi complemento rispettivamente proporzionato alla natura e dignità di ciascuno appunto perché entrambi procedono da Dio, il quale non si può contraddire: "Le opere di Dio sono perfette, tutte le sue vie son giustizia" (Deut. 32, 4).
Il che si vedrà più chiaramente, considerando, a parte e più da presso, la missione educativa della famiglia e dello Stato.
In primo luogo, con la missione educativa della Chiesa concorda mirabilmente la missione educativa della famiglia, poiché entrambe procedono da Dio, in modo assai somigliante. Infatti alla famiglia, nell'ordine naturale, Iddio comunica immediatamente la fecondità, principio di vita e quindi principio di educazione alla vita, insieme con l'autorità, principio di ordine.
Dice l'Angelico Dottore, con la sua consueta nitidezza di pensiero e precisione di stile: "Il padre carnale partecipa in modo particolare alla ragione di principio, la quale in modo universale si trova in Dio... Il padre è principio della generazione, dell'educazione, della disciplina e di tutto ciò che si riferisce al perfezionamento della vita umana" (S. Thom. II-II, Q. CII, a. 1).
La famiglia ha dunque immediatamente dal Creatore la missione e quindi il diritto di educare la prole: diritto inalienabile, perché inseparabilmente congiunto con lo stretto obbligo; diritto anteriore a qualsiasi diritto della società civile e dello Stato, e quindi inviolabile da parte di ogni potestà terrena.
Quanto alla inviolabilità di questo diritto, ne dà ragione l'Angelico: "Il figlio infatti naturalmente è qualche cosa del padre… onde è di diritto naturale che il figlio, avanti l'uso di ragione, sia sotto la cura del padre. Sarebbe pertanto andar contro la giustizia naturale, se il fanciullo avanti l'uso di ragione fosse sottratto alla cura dei genitori, o di lui in qualche modo si disponesse contro la volontà dei genitori" (S. Thom. II-II, Q, X, a. 12). E poiché l'obbligo della cura dei parenti continua sino a quando la prole sia in grado di provvedere a se stessa, perdura anche il medesimo inviolabile diritto educativo dei genitori: "Poiché la natura non intende soltanto la generazione della prole, ma anche il suo svilupparsi e progredire fino al perfetto stato dell'uomo in quanto è -uomo, cioè lo stato di virtù", dice il medesimo Angelico Dottore (Suppl. S. Thom. 3 p., Q. XLI, a. 1).
Pertanto la sapienza giuridica della Chiesa così si esprime in questo argomento, con precisione e chiarezza comprensiva, nel Codice di Diritto Canonico, al Can. 1113: "I genitori sono gravemente obbligati a curare a tutto potere l'educazione sia religiosa e morale che fisica e civile della prole, e della prole stessa provvedere anche al bene temporale".
Su questo punto è talmente concorde il senso comune del genere umano, da mettere in aperta contraddizione con esso quanti osassero sostenere che la prole, prima che alla famiglia, appartenga allo Stato, e che lo Stato abbia sulla educazione diritto assoluto. Insussistente è poi la ragione, che costoro adducono, l'uomo nascere cittadino e perciò appartenere primariamente allo Stato, non riflettendo che, prima di essere cittadino, l'uomo deve esistere, e l'esistenza non l'ha dallo Stato, ma dai parenti; come sapientemente dichiara Leone XIII:
"I figli sono qualche cosa del padre, e della persona paterna come un'estensione; e se vogliamo parlare con esattezza, non essi per se medesimi, ma attraverso la comunità domestica nella quale sono stati generati entrano a far parte della civile società" (Enc. Rerum Novarum, 15-5-1891). Pertanto: "La patria potestà è di tale natura che non può essere né soppressa né assorbita dallo Stato, perché ha il medesimo comune principio con la vita stessa dell'umanità", dice nella medesima Enciclica Leone XIII. Dal che però non segue che il diritto educativo dei genitori sia assoluto e dispotico, poiché è inseparabilmente subordinato al fine ultimo e alla legge naturale e divina, come dichiara lo stesso Leone XIII, nell'altra sua memorabile Enciclica "Dei principali doveri dei cittadini cristiani", dove così espone in compendio la somma dei diritti e doveri dei parenti: "Da natura i genitori hanno il diritto della formazione dei figli, con questo dovere in più, che e l'educazione e l'istruzione del fanciullo s'accordino col fine, in grazia del quale, per beneficio di Dio, hanno avuto la prole... Debbono per tanto i genitori sforzarsi ed energicamente insistere per impedire in questa materia ogni attentato, e in modo assoluto assicurare che a loro rimanga il potere di educare come si deve cristianamente i figli, e massimamente di negarli a quelle scuole nelle quali v'è pericolo che bevano il tristo veleno dell'empietà" (Enc. Sapientiae Christianae, 10-1-1890).
Si ponga poi mente che l'obbligo educativo della famiglia comprende non soltanto l'educazione religiosa e morale, ma altresì la fisica e la civile (Cod. D. C. c. 1113), principalmente in quanto hanno relazione con la religione e la morale.
Tale diritto incontrastabile della famiglia è stato varie volte riconosciuto giuridicamente presso nazioni nelle quali si ha cura di rispettare il diritto naturale negli ordinamenti civili. Così, per citare un esempio tra i più recenti, la Corte Suprema della Repubblica Federale degli Stati Uniti dell'America settentrionale, nella decisione di una importantissima controversia, dichiarò: "Non compete allo Stato nessuna potestà generale di stabilire un tipo uniforme di educazione per la gioventù, costringendola a ricevere l'istruzione soltanto dalle scuole pubbliche ", soggiungendone la ragione di diritto naturale, " Il fanciullo non è una mera creatura dello Stato: quelli che lo allevano e lo dirigono hanno il diritto, congiunto con l'altro dovere, di educarlo e prepararlo all'adempimento dei suoi doveri" (U. S. Supreme Court Decision in the Oregon School Cases, jeune, 1, 1925).
La storia è testimone come, segnatamente nei tempi moderni, sì sia data e si dia da parte dello Stato violazione dei diritti conferiti dal Creatore alla famiglia, laddove essa dimostra splendidamente come la Chiesa li ha sempre tutelati e difesi; e la miglior prova di fatto sta nella fiducia speciale delle famiglie verso le scuole della Chiesa, come scrivemmo nella recente Nostra lettera al Cardinale Segretario di Stato: "La famiglia si è subito accorta che è così, e dai primi giorni del Cristianesimo fino ai giorni nostri, padri e madri, anche se poco o nulla credenti, mandano e portano i loro figli agli istituti educativi fondati e diretti dalla Chiesa" (Lettera al Cardinale Segretario di Stato, 30-5-1929).
Gli è che l'istinto paterno, che viene da Dio, si orienta con fiducia verso la Chiesa, sicuro di trovarvi la tutela dei diritti della famiglia: insomma quella concordia che Dio ha posto nell'ordine delle cose. La Chiesa infatti, quantunque, conscia com'è della sua divina missione universale e dell'obbligo che tutti gli uomini hanno dì seguire l'unica vera religione, non si stanchi di rivendicare a sé il diritto di ricordare ai genitori il dovere di far battezzare ed educare cristianamente i figli di parenti cattolici, è però tanto gelosa della inviolabilità del diritto naturale educativo della famiglia, che non consente, se non sotto determinate condizioni e cautele, di battezzare i figli degli infedeli, o comunque disporre della loro educazione contro la volontà dei genitori sino a quando i figli si possano determinare da sé abbracciando liberamente la fede (Cod. D. C., e. 750, par. 2; S. Thom. II-II, Q. X, a. 12).
Abbiamo pertanto, come rilevammo nel citato Nostro discorso, due fatti di altissima importanza: "la Chiesa che mette a disposizione delle famiglie il suo ufficio di maestra e di educatrice; le famiglie che corrono a profittarne e danno alla Chiesa a centinaia, a migliaia i loro figli. E questi due fatti richiamano e proclamano una grande verità, importantissima nell'ordine morale e sociale. Essi dicono che la missione dell'educazione spetta innanzi tutto, soprattutto, in primo luogo alla Chiesa e alla Famiglia, spetta a loro per diritto naturale e divino, e perciò in modo inderogabile, ineluttabile, insurrogabile" (Discorso agli alunni del Collegio di Mondragone, 14-5-1929).
Da tale primato della missione educativa della Chiesa e della famiglia siccome grandissimi vantaggi, come abbiamo veduto, provengono a tutta la società, così nessun danno può venire ai veri e propri diritti dello Stato rispetto all'educazione dei cittadini secondo l'ordine da Dio stabilito.
Questi diritti sono partecipati alla società civile dall'Autore stesso della natura, non per titolo di paternità, come alla Chiesa e alla famiglia, ma bensì per l'autorità che ad essa compete per il promovimento del bene comune temporale, che è appunto il fine suo proprio. Per conseguenza l'educazione non può appartenere alla società civile nel medesimo modo in cui appartiene alla Chiesa e alla famiglia, ma in modo diverso, corrispondente al suo fine proprio.
Ora questo fine, il bene comune di ordine temporale, consiste nella pace e sicurezza, onde le famiglie e i singoli cittadini godono nell'esercizio dei loro diritti, e insieme nel maggior benessere spirituale e materiale che sia possibile nella vita presente, mediante l'unione e il coordinamento dell'opera di tutti. Duplice è dunque la funzione dell'autorità civile, che risiede nello Stato: proteggere e promuovere, non già assorbire, la famiglia e l'individuo, o sostituirsi ad essi.
Pertanto, in ordine all'educazione, è diritto, o per dir meglio, dovere dello Stato proteggere nelle sue leggi il diritto anteriore - che abbiamo sopra descritto - della famiglia sull'educazione cristiana della prole; e, per conseguenza, rispettare il diritto soprannaturale della Chiesa su tale educazione cristiana.
Similmente spetta allo Stato proteggere il medesimo diritto della prole, quando venisse a mancare fisicamente o moralmente l'opera dei genitori, per difetto, incapacità o indegnità, giacché il loro diritto educativo, come sopra dichiarammo, non è assoluto o dispotico, ma dipendente dalla legge naturale e divina, e perciò sottoposto all'autorità e giudizio della Chiesa, ed altresì alla vigilanza e tutela giuridica dello Stato in ordine al bene comune; inoltre la famiglia non è una società perfetta che abbia in sé tutti i mezzi necessari al suo perfezionamento. Nel quale caso, eccezionale del resto, lo Stato non si sostituisce già alla famiglia, ma supplisce al difetto e provvede, con mezzi acconci, sempre in conformità con i diritti naturali della prole e i diritti soprannaturali della Chiesa.
In generale poi, è diritto e dovere dello Stato proteggere, secondo le norme della retta ragione e della Fede, l'educazione morale e religiosa della gioventù, rimovendone le cause pubbliche ad essa contrarie.
Principalmente appartiene allo Stato, in ordine al bene comune, promuovere in molti modi la stessa educazione ed istruzione della gioventù.
Dapprima e per sé, favorendo ed aiutando l'iniziativa e l'opera della Chiesa e delle famiglie, la quale quanto sia efficace, vien dimostrato dalla storia e dall'esperienza. Di poi, completando questa opera, dove essa non arriva o non basta, anche per mezzo di scuole ed istituzioni proprie, perché lo Stato più di chiunque altro è provveduto dei mezzi, che sono messi a sua disposizione per la necessità di tutti, ed è giusto che li adoperi a vantaggio di quelli stessi dai quali essi vengono (Discorso agli alunni del Collegio di Mondragone, 14 maggio 1929).
Inoltre lo Stato può esigere e quindi procurare che tutti ì cittadini abbiano la necessaria conoscenza dei loro doveri civili e nazionali, e un certo grado di cultura intellettuale, morale e fisica, che, attese le condizioni dei nostri tempi, sia veramente richiesto dal bene comune.
Tuttavia, è chiaro che in tutti questi modi di promuovere l'educazione e l'istruzione pubblica e privata lo Stato deve rispettare i diritti nativi della Chiesa e della famiglia sull'educazione cristiana, oltre che osservare la giustizia distributiva. Pertanto, è ingiusto ed illecito ogni monopolio educativo o scolastico che costringa fisicamente e moralmente le famiglie a frequentare le scuole dello Stato contro gli obblighi della coscienza cristiana o anche contro le loro legittime preferenze.
Ciò però non toglie che per la retta amministrazione della cosa pubblica e per la difesa interna ed esterna della pace, cose tanto necessarie al bene comune e che richiedono speciali attitudini e speciale preparazione, lo Stato si riservi l'istituzione e la direzione di scuole preparatorie ad alcuni suoi dicasteri e segnatamente alla milizia, purché abbia cura di non ledere i diritti della Chiesa e della famiglia in quello che loro spetta. Non è inutile ripetere qui in particolare questa avvertenza, perché ai tempi nostri (in cui va diffondendosi un nazionalismo quanto esagerato e falso, altrettanto nemico di vera pace e prosperità) si sogliono eccedere i giusti limiti nell'ordinare militarmente l'educazione così detta fisica e dei giovani (e talora anche delle giovinette, contro la natura stessa delle cose umane), spesso ancora invadendo oltre misura, nel giorno del Signore, il tempo che deve restare dedicato ai doveri religiosi, e al santuario della vita familiare. Non vogliamo del resto biasimare quello che vi può essere di buono nello spirito di disciplina e di legittimo ardimento in siffatti metodi, ma soltanto ogni eccesso, quale, per esempio, lo spirito di violenza, che non è da scambiare con lo spirito di fortezza né con il nobile sentimento del valore militare in difesa della patria e dell'ordine pubblico; quale ancora l'esaltazione dell'atletismo, che della vera educazione fisica, anche per l'età classica pagana, segnò la degenerazione e la decadenza. 1n generale poi, non solo per la gioventù ma per tutte le età e condizioni, appartiene alla società civile, allo Stato, l'educazione che può chiamarsi civica, la quale consiste nell'arte di presentare pubblicamente agli individui associati tali oggetti di cognizione ragionevole, d'immaginazione, di sensazione, che invitino le volontà all'onesto e ve lo inducano per una morale necessità; sia nella parte positiva che presenta tali obietti, sia nella negativa che impedisce i contrari (P. L. Taparelli, Saggio teoretico di Diritto Naturale, n. 922: opera non mai abbastanza lodata e raccomandata allo studio dei giovani universitari; cfr. discorso Nostro del 18-12-1927). La quale educazione civica, talmente ampia e molteplice da comprendere quasi tutta l'opera dello Stato per il bene comune, come deve essere informata alle norme della rettitudine, così non può contraddire alla dottrina della Chiesa, che di queste norme è Maestra divinamente costituita.
Tutto ciò che abbiamo detto finora intorno all'opera dello Stato in ordine all'educazione, riposa sul fondamento saldissimo ed immutabile della dottrina cattolica de Civitatum constitutione christiana, così egregiamente esposta dal Nostro Predecessore Leone XIII, segnatamente nelle Encicliche Immortale Dei e Sapientiae christianae, e cioè: "Dio ha diviso fra due potestà il governo del genere umano, l'ecclesiastica cioè e la civile, preposta l'una alle cose divine, l'altra alle umane. Ambedue supreme, ciascuna nel suo ordine; l'una e l'altra hanno confini determinati che la contengono, segnati dalla natura propria e dal fine prossimo di ciascuna; di modo che viene a descriversi come una sfera dentro la quale svolgersi con esclusivo diritto l'azione di ciascuna. Ma poiché all'una ed all'altra potestà sottostanno gli stessi sudditi, potendo accadere che la stessa materia, per quanto sotto aspetti diversi, spetti alla competenza e al giudizio di ciascuna d'esse, deve Dio Provvidentissimo, da cui ambedue promanano, aver segnato con retto ordine a ciascuna le sue. Le potestà che sono, sono da Dio ordinate" (Enc. Immortale Dei).
Ora l'educazione della gioventù è appunto una di tali cose, che appartengono alla Chiesa e allo Stato "benché in modo diverso", come abbiamo sopra esposto. "Deve dunque - prosegue Leone XIII - fra le due potestà regnare una ordinata armonia, la quale coordinazione non a torto viene paragonata a quella per cui l'anima e il corpo nell'uomo sì associano. Quale e quanta essa sia, non si può altrimenti giudicare se non riflettendo, come dicemmo, alla natura di ciascuna d'esse con riguardo alla eccellenza e nobiltà del fine; essendo all'una prossimamente e propriamente demandato di curare l'utile delle cose mortali, all'altra invece di procurare i beni Celesti e sempiterni. Tutto ciò pertanto che v'ha nelle cose umane di, in qualche modo, sacro, tutto ciò che si riferisce alla salute delle anime e al culto di Dio, sia esso tale per sua natura o tale si consideri in ragione del fine cui tende, tutto ciò sottostà al potere e alle disposizioni della Chiesa; il resto, che rimane nell'ordine civile e politico, è giusto che dipenda dalla civile autorità, avendo Gesù Cristo comandato di dare a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio" (Enc. Immortale Dei).
Chiunque ricusasse di ammettere questi principi e quindi di applicarli alla educazione, verrebbe necessariamente a negare che Cristo ha fondato la sua Chiesa per la salvezza eterna degli uomini, e a sostenere che la società civile e lo Stato non siano soggetti a Dio e alla sua legge naturale e divina. Il che è evidentemente empio, contrario alla sana ragione e segnatamente, in materia di educazione, estremamente pernicioso alla retta formazione della gioventù e sicuramente rovinoso per la stessa società civile e il vero benessere dell'umana convivenza. Ed al contrario dall'applicazione di questi principi non può non provenire massimo giovamento alla retta formazione dei cittadini. Il che è abbondantemente dimostrato dai fatti in tutte le età; onde come Tertulliano per i primi tempi del Cristianesimo, nel suo Apologetico, così Sant'Agostino per i suoi poteva sfidare tutti gli avversari della Chiesa Cattolica - e Noi, ai Nostri tempi, possiamo ripetere con lui: - "Ebbene, coloro che dicono essere la dottrina di Cristo nemica dello Stato, ci diano un esercito tale come la dottrina di Cristo insegna dover essere i soldati; ci diano tali sudditi, tali mariti, tali coniugi, tali genitori, tali figli, tali padroni, tali servi, tali re, tali giudici, infine tali contribuenti ed esattori del fisco quali comanda di essere la dottrina cristiana, ed osino poi dirla nociva allo Stato: o piuttosto non dubitino un istante di proclamarla, ove la si osservi, la grande salvezza dello Stato" (Ep. 138).
E, trattandosi di educazione, cade qui a proposito far notare come abbia bene espressa questa verità cattolica, confermata dai fatti, per i tempi più recenti nel periodo della Rinascenza, uno scrittore ecclesiastico grandemente benemerito della educazione cristiana, il piissimo e dotto Cardinale Silvio Antoniano discepolo dell'ammirabile educatore che fu San Filippo Neri, maestro e segretario delle lettere latine di San Carlo Borromeo, ad istanza e sotto l'ispirazione del quale scrisse l'aureo trattato Dell'educazione cristiana dei figliuoli, dove egli così ragiona:
"Quanto maggiormente il governo temporale coordina se medesimo allo spirituale, e più lo favorisce e lo promuove, tanto più concorre alla conservazione della repubblica. Perciocché mentre il rettore ecclesiastico procura di formare un buon cristiano, con l'autorità e i mezzi spirituali, secondo il fine suo procura insieme per conseguenza necessaria di fare un buon cittadino, quale deve essere sotto il governo politico. Il che avviene, perché nella Santa Chiesa Cattolica Romana, città di Dio, una istessa cosa è assolutamente il buon cittadino e l'uomo dabbene. Laonde grave è l'errore di coloro che disgiungono cose tanto congiunte, e che pensano poter avere buoni cittadini con altre regole, e per altre vie da quelle che contribuiscono a formare il buon cristiano. E dica pure, e discorra la prudenza umana quanto le piace, che non è possibile che produca vera pace, né vera tranquillità temporale, tutto quello che ripugna e che si diparte dalla pace e dall'eterna felicità" (Dell'educazione cristiana, lib. I, c. 43).
Come lo Stato così anche la scienza, il metodo scientifico, la ricerca scientifica, non hanno niente da temere dal pieno e perfetto mandato educativo della Chiesa. Gli istituti cattolici, a qualunque grado appartengano dell'insegnamento e della scienza, non hanno bisogno di apologie. Il favore che godono, le lodi che raccolgono, le produzioni scientifiche che promuovono e moltiplicano, e più che tutto i soggetti pienamente e squisitamente preparati che danno alla magistratura, alle professioni, all'insegnamento, alla vita in tutte le sue esplicazioni, depongono più che sufficientemente in loro favore (Lettera al Card. Segretario di Stato, 30-5-1929).
I quali fatti, del resto, non sono che una splendida conferma della dottrina cattolica, definita dal Concilio Vaticano: "La fede e la ragione non solo non possono mai contraddirsi, ma si prestano reciproco aiuto, perché la retta ragione dimostra le basi della fede e della sua luce illuminata, coltiva la scienza delle cose divine, mentre la fede libera e protegge dagli errori la ragione e l'arricchisce di svariate cognizioni. Onde è così lontana la Chiesa dall'opporsi alla coltura delle arti e delle umane discipline, che in molte maniere l'aiuta e la promuove. Poiché né ignora, né disprezza i vantaggi che da esse provengono alla vita dell'umanità; ripete anzi che esse, come vengono da Dio Signore delle scienze così, se rettamente trattate, a Dio, con la sua grazia, conducono. E per nulla essa vieta che coteste discipline, ciascuna nel suo ambito, usino e di principi propri e di proprio metodo; ma, riconosciuta questa giusta libertà, solertemente provvede a che opponendosi per avventura alla dottrina divina, non cadano in errori, ovvero oltrepassando i propri limiti occupino e sconvolgano il campo della fede" (Concilio Vaticano I, Sess. 3, cap. 4).
La quale norma della giusta libertà scientifica è insieme norma inviolabile della giusta libertà didattica o libertà di insegnamento rettamente intesa; e deve essere osservata in qualsiasi comunicazione dottrinale ad altri e, con obbligo assai più grave di giustizia, nell'insegnamento alla gioventù, sia perché su di essa ogni maestro, pubblico o privato, non ha diritto educativo assoluto, ma partecipato, sia perché ogni fanciullo o adolescente cristiano ha stretto diritto all'insegnamento conforme alla dottrina della Chiesa, colonna e fondamento della verità, e gli recherebbe grave torto chiunque turbasse la sua fede, abusando della fiducia dei giovani verso i maestri e della loro naturale inesperienza e disordinata inclinazione a una libertà assoluta, illusoria, falsa.
Non si deve mai perdere di vista che il soggetto dell'educazione cristiana è l'uomo tutto quanto, spirito congiunto al corpo in unità di natura in tutte le sue facoltà, naturali e soprannaturali, quale ce lo fanno conoscere la retta ragione e la Rivelazione: pertanto, l'uomo decaduto dallo stato originario, ma redento da Cristo e reintegrato nella condizione soprannaturale di figlio adottivo di Dio, benché non nei privilegi preternaturali della immortalità del corpo e della integrità o equilibrio delle sue inclinazioni. Restano quindi nella natura umana gli effetti del peccato originale, particolarmente l'indebolimento della volontà e le tendenze disordinate.
"La stoltezza è legata al cuore del fanciullo e la verga della disciplina la scoterà di dosso" (Prov. XXII, 15). Sono dunque da correggere le inclinazioni disordinate, da promuovere e ordinare le buone, fin dalla più tenera infanzia, e soprattutto si deve illuminare l'intelletto e fortificare la volontà con le verità soprannaturali, e i mezzi della grazia, senza i quali non si può né dominare le perverse inclinazioni, né raggiungere la debita perfezione educativa della Chiesa, perfettamente e compiutamente dotata da Cristo della dottrina divina e dei Sacramenti, mezzi efficaci della grazia.
Falso è perciò ogni naturalismo pedagogico, che in qualsiasi modo escluda o menomi la formazione soprannaturale cristiana nell'educazione della gioventù; ed è erroneo ogni metodo di educazione che si fondi, in tutto o in parte, sulla negazione o dimenticanza del peccato originale e della Grazia e quindi sulle sole forze dell'umana natura. Tali sono generalmente quei sistemi odierni di vario nome, che si appellano ad una pretesa autonomia e libertà sconfinata del fanciullo e che sminuiscono o anche sopprimono l'autorità e l'opera dell'educatore, attribuendo al fanciullo un primato esclusivo d'iniziativa ed una attività indipendente da qualsiasi legge superiore naturale e divina, nell'opera della sua educazione.
Se con alcuni di quei termini si volesse indicare, pur impropriamente, la necessità della cooperazione attiva, a grado a grado sempre più consapevole dell'alunno alla sua educazione; se si intendesse rimuovere da questa il dispotismo e la violenza (quale non è, del resto, la giusta correzione), si direbbe il vero, ma nulla affatto di nuovo, che non abbia insegnato la Chiesa ed attuato nella pratica l'educazione cristiana tradizionale, a somiglianza del modo tenuto da Dio stesso rispetto alle creature, ch'Egli chiama alla cooperazione attiva, secondo la natura propria di ciascuna, giacché la Sua Sapienza "si estende con potenza da una estremità all'altra, e tutto governa con bontà" (Sap. VIII, 1).
Ma, purtroppo, col significato ovvio dei termini e col fatto stesso, si intende da non pochi sottrarre l'educazione da ogni dipendenza dalla legge divina. Onde ai nostri giorni sì dà il caso, in verità assai strano, di educatori e filosofi che si affannano alla ricerca di un codice morale universale dell'educazione, quasi non esistesse né il Decalogo, né la legge evangelica, e neanche la legge di natura, scolpita da Dio nel cuore dell'uomo, promulgata dalla retta ragione, codificata, con rivelazione positiva, da Dio stesso nel Decalogo. E similmente, da tali novatori si suole denominare, come per disprezzo, "eterònoma", "passiva", "superata", l'educazione cristiana perché si fonda sull'autorità divina e sulla sua santa legge.
Costoro miseramente si illudono nella pretensione di liberare, come essi dicono, il fanciullo, mentre lo rendono piuttosto schiavo del suo cieco orgoglio e delle sue disordinate passioni, poiché queste, per logica conseguenza di quei falsi sistemi, vengono ad essere giustificate quali legittime esigenze della natura sedicente autonoma.
Ma vi ha ancor peggio, nella pretensione falsa, irriverente e pericolosa, oltre che vana, di voler sottoporre a ricerche, esperimenti e giudizi di ordine naturale e profano, i fatti di ordine soprannaturale concernenti l'educazione, come, ad esempio, la vocazione sacerdotale o religiosa ed in generale le arcane operazioni della Grazia, la quale, pur elevando le forze naturali, le eccede nondimeno infinitamente e non può in nessun modo sottostare alle leggi fisiche, poiché "lo Spirito soffia dove vuole" (Giov. III, 8).
Massimamente pericoloso è poi quel naturalismo, che ai nostri tempi invade il campo dell'educazione in argomento delicatissimo come è quello dell'onestà dei costumi. Assai diffuso è l'errore di coloro che, con pericolosa pretensione e con brutta parola, promuovono una così detta educazione sessuale, falsamente stimando di poter premunire i giovani contro i pericoli del senso con mezzi puramente naturali, quale una temeraria iniziazione ed istruzione preventiva per tutti indistintamente, e anche pubblicamente, e peggio ancora, con l'esporli per tempo alle occasioni, per assuefarli, come essi dicono, e quasi indurirne l'animo contro quei pericoli.
Costoro errano gravemente, non volendo riconoscere la nativa fragilità della natura umana e la legge, di cui parla l'Apostolo, repugnante alla legge della mente (Rom. VII, 23) e misconoscendo anche l'esperienza stessa dei fatti, onde consta che, segnatamente nei giovani, le colpe contro i buoni costumi non sono tanto effetto dell'ignoranza intellettuale quanto principalmente dell'inferma volontà, esposta alle occasioni e non sostenuta dai mezzi della Grazia.
In questo delicatissimo argomento, se, considerate tutte le circostanze, qualche istruzione individuale si rende necessaria, a tempo opportuno, da parte di chi ha da Dio la missione educativa e la grazia di stato, sono da osservare tutte le cautele notissime all'educazione cristiana tradizionale, sufficientemente descritte dal citato Antoniano, là dove dice:
"Tale e tanta è la miseria nostra, e l'inclinazione al peccato, che spesse volte dalle medesime cose che si dicono per rimedio dei peccati si prende occasione ed incitamento allo stesso peccato. Pertanto importa sommamente che il buon padre, mentre ragiona col figliuolo di materia così lubrica, stia bene avvertito, e non discenda ai particolari ed ai vari modi, con i quali quest'idra infernale avvelena tanta parte del mondo, acciò non avvenga che invece di estinguere questo fuoco, lo desti e lo accenda imprudentemente nel petto semplice e tenero del fanciullo. Generalmente parlando, mentre ancora continua la fanciullezza, basterà usare quei rimedi che con l'effetto istesso introducono la virtù e chiudono l'ingresso al vizio" (Silvio Antoniano, Dell'educazione cristiana dei figliuoli, lib. Il, c. 88).
Similmente erroneo e pernicioso per l'educazione cristiana è il così detto metodo della "coeducazione" fondato anch'esso, per molti, sul naturalismo negatore del peccato originale, oltre che, per tutti i sostenitori di questo metodo, su una deplorevole confusione di idee che scambia la legittima convivenza umana con la promiscuità ed eguaglianza livellatrice. Il Creatore ha ordinato e disposto la convivenza perfetta dei due sessi soltanto nell'unità del matrimonio, e a grado a grado distinta nella famiglia e nella società. Inoltre, non vi ha nella natura stessa, che li fa diversi nell'organismo, nelle inclinazioni e nelle attitudini, nessun argomento che vi possa o debba essere promiscuità e molto meno eguaglianza di formazione dei due sessi. Questi, conforme agli ammirevoli disegni del Creatore, sono destinati a completarsi reciprocamente nella famiglia e nella società, appunto per la loro diversità, la quale perciò deve essere mantenuta e favorita nella formazione educativa, con la necessaria distinzione e corrispondente separazione, proporzionata alle varie età e circostanze. I quali principi vanno applicati a tempo e a luogo, secondo le norme della prudenza cristiana, a tutte le scuole, segnatamente nel periodo più delicato e decisivo della formazione, qual è quello dell'adolescenza: e nelle esercitazioni ginnastiche e di diporto, con particolare riguardo alla modestia cristiana della gioventù femminile alla quale gravemente disdice ogni esibizione e pubblicità.
Ricordando le tremende parole del Divino Maestro: "Guai al mondo per causa degli scandali!" (Matth. XVIII, 7), stimoliamo vivamente la vostra sollecitudine e vigilanza, Venerabili Fratelli, su questi perniciosissimi errori, che troppo largamente vanno diffondendosi tra il popolo cristiano con immenso danno della gioventù.
Per ottenere un'educazione perfetta è di somma importanza vigilare a che le condizioni di tutto ciò che circonda l'educando, durante il periodo della sua formazione, cioè quel complesso di tutte le circostanze che suole denominarsi "ambiente", corrisponda bene al fine inteso. .
Primo ambiente naturale e necessario dell'educazione è la famiglia, a ciò appunto destinata dal Creatore. Onde, di regola, l'educazione più efficace e duratura è quella che si riceve in una bene ordinata e disciplinata famiglia cristiana: tanto più efficace quanto più chiaro e costante vi splende il buon esempio dei genitori, sopra tutti, e degli altri domestici.
Non è Nostra intenzione qui trattare di proposito, anche toccando i soli punti principali, dell'educazione domestica, tanto ampia è la materia, sulla quale, del resto, non mancano speciali trattazioni, antiche e moderne, di autori di sana dottrina cattolica, tra cui appare degno di speciale menzione il già ricordato aureo trattato dell'Antoniano: Dell'educazione cristiana dei figliuoli, che San Carlo Borromeo, faceva leggere pubblicamente ai genitori insieme adunati nelle chiese.
Vogliamo però richiamare in modo speciale la vostra attenzione, Venerabili Fratelli e figli diletti, sul lacrimevole scadimento odierno dell'educazione familiare. Agli uffici e alle professioni della vita temporale e terrena, certo di minore importanza, si premettono lunghi studi ed accurata preparazione, laddove all'ufficio e dovere fondamentale dell'educazione dei figli sono oggi poco o punto preparati molti genitori, troppo immersi nelle cure temporali. Ad indebolire l'influenza dell'ambiente familiare si aggiunge oggi il fatto che, quasi dappertutto, si tende ad allontanare sempre più dalla famiglia la fanciullezza sin dai più teneri anni, sotto vari pretesti, siano economici, attinenti all'industria o al commercio, siano politici; e vi è un paese dove si strappano i fanciulli dal seno della famiglia, per formarli (o, per più veramente dire, per deformarli e depravarli), in associazioni e scuole senza Dio, all'irreligiosità e all'odio, secondo le estreme teorie socialiste, rinnovandosi una vera e più orrenda strage degli innocenti.
Scongiuriamo pertanto, nelle viscere di Gesù Cristo, i Pastori delle anime di adoperare ogni mezzo nelle istruzioni e nei catechismi, con la voce e con gli scritti divulgati largamente, per ammonire i genitori cristiani sui loro gravissimi obblighi, e non tanto teoricamente e genericamente, quanto praticamente, sui loro singoli doveri rispetto all'educazione religiosa, morale e civile dei figli e sui metodi più acconci ad attuarla efficacemente, oltre l'esempio della loro vita. A siffatte istruzioni pratiche non disdegnò di scendere l'Apostolo delle genti nelle sue epistole, particolarmente in quella agli Efesi, dove, tra le altre cose, ammonisce: "Padri, non provocate ad ira i vostri figli" (Eph. VI, 4): il che non è tanto effetto dell'eccessiva severità, quanto principalmente dell'impazienza, dell'ignoranza dei modi più acconci alla fruttuosa correzione e anche della ormai troppo comune rilassatezza della disciplina familiare, onde crescono negli adolescenti passioni indomite. Attendano perciò i genitori, e tutti gli educatori con essi, ad usare rettamente dell'autorità loro data da Dio, di cui sono in vero senso vicari non per il proprio comodo, ma per la retta istruzione dei figli nel santo e filiale "timore di Dio principio della sapienza", sul quale soltanto si fonda solidamente il rispetto all'autorità, senza di cui non può sussistere né ordine, né tranquillità, né benessere alcuno nella famiglia e nella società.
Alla debolezza delle forze dell'umana natura decaduta, la Divina Bontà ha provveduto con gli abbondanti aiuti della Sua Grazia e dei mezzi molteplici, onde è ricca la Chiesa, la grande famiglia di Cristo, la quale è perciò l'ambiente educativo più strettamente ed armoniosamente congiunto con quello della famiglia cristiana.
Il quale ambiente educativo della Chiesa non comprende soltanto i suoi Sacramenti, mezzi divinamente efficaci della Grazia, e i suoi riti, tutti in modo meraviglioso educativi, né solo il recinto materiale del tempio cristiano, pur esso mirabilmente educativo nel linguaggio della liturgia e dell'arte; ma anche la grande copia e varietà di scuole, associazioni ed ogni genere di istituzioni intese a formare la gioventù alla pietà religiosa insieme con lo studio delle lettere e delle scienze, e con la stessa ricreazione e cultura fisica. Ed in questa inesauribile fecondità di opere educative, com'è mirabile la provvidenza materna della Chiesa, altrettanto mirabile è l'armonia sopra accennata, che essa sa mantenere con la famiglia cristiana, tanto da potersi dire con verità che la Chiesa e la famiglia costituiscono un solo tempio dell'educazione cristiana.
E poiché è necessario che le novelle generazioni vengano istruite nelle arti e discipline onde si avvantaggia e prospera la civile convivenza, ed a questa opera è per sé sola insufficiente la famiglia, così nacque l'istituzione sociale della scuola, dapprima, si ponga ben mente, per iniziativa della famiglia e della Chiesa molto tempo innanzi che per opera dello Stato. Laonde la scuola, considerata anche nelle sue origini storiche, è, di sua natura, istituzione sussidiaria e complementare della famiglia e della Chiesa; e pertanto, per logica necessaria morale, deve non soltanto non contraddire, ma positivamente accordarsi con gli altri due ambienti, nell'unità morale più perfetta che sia possibile, tanto da poter costituire, insieme con la famiglia e la Chiesa, un solo santuario, sacro all'educazione cristiana, sotto pena di fallire al suo scopo e di cambiarsi, invece, in opera di distruzione.
E ciò è stato manifestamente riconosciuto anche da un laico, tanto celebrato per i suoi scritti pedagogici (non del tutto encomiabili perché infetti di liberalismo), il quale sentenziò: "La scuola, se non è tempio, è tana"; e inoltre; "Quando l'educazione letteraria, sociale, domestica, religiosa, non s'accordano insieme, l'uomo è infelice, impotente" (Nicolò Tommaseo, Pensieri sull'educazione, Parte 1, 3, 6).
Da ciò appunto consegue, essere contraria ai principi fondamentali dell'educazione la scuola così detta neutra o laica, dalla quale viene esclusa la religione. Una tale scuola, del resto, non è praticamente possibile, giacché nel fatto essa diviene irreligiosa. Non occorre ripetere quanto su questo argomento hanno dichiarato i Nostri Predecessori, segnatamente Pio IX e Leone XIII, nei tempi dei quali particolarmente il laicismo cominciò ad infierire nella scuola pubblica. Noi rinnoviamo e confermiamo le loro dichiarazioni (Pio IX, Ep. Cum non sine, 14-7-1864; Syllabus, Prop. 48; Leone XIII, allocuzione Summi Pontificatus, 24 agosto 1880, Enc. Nobilissima, 8 febbraio 1884, Ep. Quod multum, 22 agosto 1886, Ep. Officio sanctissimo, 22-12-1887, Ep. Enc. Caritatis, 19 marzo 1894, ecc.; vedi Cod. I. C. cum Fontium Annot. can. 1374) ed insieme le prescrizioni dei Sacri Canoni, onde la frequenza delle scuole acattoliche, o neutrali, o miste, quelle cioè aperte indifferentemente ai cattolici e agli acattolici, senza distinzione, è vietata ai fanciulli cattolici, e può essere solo tollerata, unicamente a giudizio dell'Ordinario, in determinate circostanze di luogo e di tempo e sotto speciali cautele (Cod. I C. c. 1374). E non può neanche ammettersi per i cattolici quella scuola mista (peggio, se unica a tutti obbligatoria), dove, pur provvedendosi loro a parte l'istruzione religiosa, essi ricevono il restante insegnamento da maestri non cattolici in comune con gli alunni acattolici.
Giacché non per il solo fatto che vi si impartisce l'istruzione religiosa (spesso con troppa parsimonia) una scuola diventa conforme ai diritti della Chiesa e della famiglia cristiana e degna di essere frequentata dagli alunni cattolici. A questo effetto è necessario che tutto l'insegnamento e tutto l'ordinamento della scuola: insegnanti, programmi e libri, in ogni disciplina, siano governati dallo spirito cristiano sotto la direzione e vigilanza materna della Chiesa, per modo che la religione sia veramente fondamento e coronamento di tutta l'istruzione, in tutti i gradi, non solo elementare, ma anche media e superiore. "E’ necessario - per adoperare. le parole di Leone XIII - che non soltanto in determinate ore si insegni ai giovani la religione, ma che tutta la restante formazione olezzi di cristiana pietà. Se ciò manca, se questo alito sacro non pervade e non riscalda gli animi dei maestri e dei discepoli, ben poca utilità potrà aversi da qualsiasi dottrina: spesso anzi ne verranno danni non lievi " (Ep. Militantis Ecclesiae, del 1-8-1897).
Né si dica essere impossibile allo Stato, in una nazione divisa in varie credenze, provvedere alla pubblica istruzione altrimenti che con la scuola neutra o con la scuola mista, dovendo lo Stato più ragionevolmente e, potendo, anche più facilmente provvedere con il lasciar libera e favorire con giusti sussidi l'iniziativa e l'opera della Chiesa e delle famiglie. E che ciò sia attuabile, con soddisfazione delle famiglie e con giovamento dell'istruzione e della pace e tranquillità pubblica, lo dimostra il fatto di nazioni divise in varie confessioni religiose, dove l'ordinamento scolastico corrisponde al diritto educativo delle famiglie, non solo quanto a tutto l'insegnamento - particolarmente con la scuola interamente cattolica e per i cattolici - ma anche quanto alla giustizia distributiva, con l'aiuto finanziario, da parte dello Stato, alle singole scuole volute dalle famiglie.
In altri paesi di religione mista accade altrimenti, con non lieve carico dei cattolici, i quali, auspice e guida l'Episcopato e con l'opera indefessa del Clero secolare e regolare, sostengono a tutta loro spesa la scuola cattolica per i loro figli, quale è richiesta dal loro gravissimo obbligo di coscienza, e con generosità e costanza encomiabile perseverando nel proposito di assicurare interamente, come essi a maniera di tessera proclamano, " l'educazione cattolica, per tutta la gioventù cattolica, in scuole cattoliche ". Il che se non viene aiutato dal pubblico erario, come per sé richiede la giustizia distributiva, non può essere impedito dalla potestà civile che abbia coscienza dei diritti della famiglia, e delle condizioni indispensabili della legittima libertà.
Dove poi anche questa libertà elementare viene impedita e in vari modi ostacolata, i cattolici non si adopereranno mai abbastanza, anche a prezzo di grandi sacrifizi, nel sostenere e difendere le loro scuole e nel procurare che si sanciscano leggi scolastiche giuste.
Tutto quanto si fa dai fedeli per promuovere e difendere la scuola cattolica per i loro figli è opera genuinamente religiosa, e perciò compito principalissimo dell'Azione Cattolica; onde sono particolarmente care al Nostro cuore paterno e degne di alta lode tutte quelle associazioni speciali che in varie nazioni attendono con tanto zelo ad opera così necessaria.
Col procurare la scuola cattolica per i loro figli - sia proclamato altamente, e sia bene inteso e riconosciuto da tutti - i cattolici di qualsiasi nazione al mondo non fanno opera politica di partito, ma opera religiosa indispensabile alla loro coscienza; e non intendono già di separare i loro figli dal corpo e dallo spirito nazionale, ma anzi di educarveli nel modo più perfetto e meglio ordinato alla prosperità della nazione, poiché il buon cittadino cattolico, appunto in virtù della dottrina cattolica, è perciò stesso il miglior cittadino, amante della sua patria e lealmente sottomesso all'autorità civile e costituita, in qualsiasi legittima forma di governo.
In questa scuola, in armonia con la Chiesa e con la famiglia cristiana, non avverrà che nei vari insegnamenti si contraddica, con evidente danno dell'educazione, a quello che gli alunni apprendono nell'istruzione religiosa; e se sarà necessario far loro conoscere, per scrupolosa coscienza di magistero, le opere erronee da confutare, ciò verrà fatto con tale preparazione e con tale antidoto di sana dottrina, che non nocumento, ma giovamento ne abbia la formazione cristiana della gioventù.
In questa scuola, similmente, lo studio della patria lingua e delle classiche lettere non sarà mai a scapito della santità dei costumi; giacché il maestro cristiano seguirà l’esempio delle api, le quali prendono la parte più pura dei fiori e lasciano il resto, come insegna San Basilio nel suo discorso agli adolescenti sulla lettura dei classici (R G., t. 31-570). Questa necessaria cautela, suggerita anche dal pagano Quintiliano (Inst. Or. 1, 8), non impedisce per nulla che il maestro cristiano accolga e metta a profitto quanto di veramente buono, nelle discipline e nei metodi, portano i tempi nostri, memore di quel che dice l'Apostolo: "Provate tutto, tenete ciò che è buono" (I Thess. V, 21). E perciò, nell'accogliere il nuovo, egli si guarderà dall'abbandonare corrivamente l'antico, comprovato buono ed efficace dall'esperienza di più secoli, segnatamente nello studio della latinità, che vediamo sempre più decadere ai nostri giorni, appunto per l'ingiustificato abbandono dei metodi così fruttuosamente usati dal sano umanesimo, venuto in gran fiore particolarmente nelle scuole della Chiesa. Queste nobili tradizioni richiedono che la gioventù affidata alle scuole cattoliche venga bensì istruita nelle lettere e nelle scienze pienamente secondo le esigenze dei nostri tempi, ma insieme e solidamente e profondamente, in ispecie nella sana filosofia, lungi alla farraginosa superficialità di coloro, che "forse avrebbero trovato il necessario se non avessero cercato il superfluo" (Seneca, Epist. 45). Ogni maestro cristiano deve tener presente quanto dice Leone XIII in compendiosa sentenza: "Con maggiore alacrità bisogna sforzarsi a che non soltanto si applichi un metodo d'insegnamento adatto e solido, ma più ancora a che l'insegnamento stesso e nelle lettere e nelle scienze sia in tutto conforme alla fede cattolica, massime poi nella filosofia, dalla quale in gran parte dipende il retto indirizzo delle altre scienze" (Leone XIII, Enc. Inscrutabili, 21-4-1878).
Le buone scuole sono frutto, non tanto dei buoni ordinamenti, quanto principalmente dei buoni maestri, i quali, egregiamente preparati ed istruiti, ciascuno nella disciplina che deve insegnare, e adorni delle qualità intellettuali e morali richieste dal loro importantissimo ufficio, ardano di amore puro e divino per i giovani loro affidati, appunto perché amano Gesù Cristo e la Sua Chiesa, di cui quelli sono figli prediletti e per ciò stesso hanno sinceramente a cuore il vero bene delle famiglie e della loro patria. E però, Ci riempie l'animo di consolazione e di gratitudine verso la Bontà Divina, il vedere come insieme con i religiosi e le religiose insegnanti, così grande numero di tali buoni maestri e maestre - anche uniti in congregazioni di associazioni speciali per meglio coltivare il loro spirito, le quali perciò sono da lodare e promuovere come nobilissime e potenti ausiliarie dell'Azione Cattolica - lavorano con disinteresse, zelo e costanza in quella che San Gregorio Nazianzeno chiama "arte delle arti e scienza delle scienze" (Oratio II P. G., t. 35, 426) del reggere e formare la gioventù. E nondimeno anche per essi vale il detto del Divino Maestro: "La messe è veramente copiosa, ma gli operai sono pochi" (Matt. IX, 37). Supplichiamo pertanto il Signore della messe che mandi ancora molti di tali operai dell'educazione cristiana, la cui formazione deve essere sommamente a cuore dei Pastori delle anime e dei supremi moderatori degli Ordini religiosi.
E’ altresì necessario dirigere e vigilare l'educazione dell'adolescente, "molle come cera a piegarsi al vizio" (Horat., Ars poet., v. 163) in qualsiasi altro ambiente egli venga a trovarsi, rimovendo le cattive occasioni e procurandogli l'opportunità delle buone nelle ricreazioni e nelle compagnie giacché "i discorsi cattivi corrompono i buoni costumi" (I Cor. V, 33).
Se non che, ai nostri tempi, si fa necessaria più estesa ed accurata vigilanza, quanto più sono accresciute le occasioni di naufragio morale e religioso per la gioventù inesperta, segnatamente nei libri empi o licenziosi, molti dei quali diabolicamente diffusi a vil prezzo, negli spettacoli del cinematografo, ed ora anche nelle audizioni radiofoniche, le quali moltiplicano e facilitano per così dire ogni sorta di letture, come il cinematografo ogni sorta di spettacoli. Questi potentissimi mezzi di divulgazione, che possono riuscire, se ben governati dai sani principi, di grande utilità all'istruzione ed educazione, vengono purtroppo spesso subordinati all'incentivo delle male passioni ed all'avidità del guadagno. Sant'Agostino gemeva della passione ond'erano trascinati anche dei cristiani del suo tempo agli spettacoli del circo, e racconta con vivezza drammatica il pervertimento, per buona ventura temporaneo, del suo alunno e amico Alipio (Conf. VI, 8). Quanti traviamenti giovanili, a causa degli spettacoli odierni, oltre che delle malvagie letture, non debbono ora piangere i genitori e gli educatori!
Sono perciò da lodare e da promuovere tutte quelle opere educative le quali con spirito sinceramente cristiano di zelo per le anime dei giovani, attendono, con appositi libri e pubblicazioni periodiche, a far noti, segnatamente ai genitori ed agli educatori, i pericoli morali e religiosi spesso subdolamente insinuati nei libri e negli spettacoli, e si adoperano a diffondere le buone letture e a promuovere spettacoli veramente educativi, creando anche con grandi sacrifici teatri e cinematografi, nei quali la virtù non solo non abbia nulla da perdere, ma bensì molto da guadagnare.
Da questa necessaria vigilanza non segue tuttavia che la gioventù debba essere segregata dalla società, nella quale pur deve vivere e salvare l'anima; ma oggi più che mai deve essere premunita e fortificata cristianamente contro le seduzioni e gli errori del mondo, il quale, come ammonisce una parola divina, è tutto "concupiscenza degli occhi e superbia della vita" (I Ioan. 11, 16); per maniera che, come diceva Tertulliano dei primi cristiani, siano quali debbono essere i veri cristiani di tutti i tempi "compossessori del mondo, non dell'errore" (De Idolatria, 14).
Con questa sentenza di Tertulliano siamo già venuti a toccare quello che Ci siamo proposti di trattare in ultimo luogo, ma di massima importanza, e cioè la vera sostanza dell'educazione cristiana, quale si raccoglie dal suo fine proprio e nella cui considerazione si fa sempre più chiara, con meridiana luce, la sovraeminente missione educativa della Chiesa.
Fine proprio e immediato dell'educazione cristiana è cooperare con la Grazia divina nel formare il vero e perfetto cristiano: cioè Cristo stesso nei rigenerati col Battesimo, secondo la viva espressione dell'Apostolo: "Figliuolini miei, che io nuovamente porto in seno fino a tanto che sia formato in voi Cristo" (Gal. IV, 19). Il vero cristiano deve vivere la vita soprannaturale in Cristo: "Cristo che è la vita vostra" (Coloss. 111, 4), e manifestarla in tutte le sue operazioni: "affinché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale" (II Cor. IV, 11).
Perciò appunto l'educazione cristiana comprende tutto l'ambito della vita umana, sensibile, spirituale, intellettuale e morale, individuale, domestica e sociale, non per menomarla in alcun modo, ma per elevarla, regolarla e perfezionarla secondo gli esempi e la dottrina di Cristo.
Il vero cristiano, frutto dell'educazione cristiana, è l'uomo soprannaturale, che pensa, giudica ed opera costantemente e coerentemente, secondo la retta ragione illuminata dalla luce soprannaturale degli esempi e della dottrina di Cristo; ovvero, per dirla con il linguaggio ora in uso, il vero e compìto uomo di carattere. Non qualsiasi coerenza e tenacia di condotta, secondo principi soggettivi, costituisce il vero carattere, ma soltanto la costanza nel seguire i principi eterni della giustizia, come riconosce anche il poeta pagano, quando loda, inseparabilmente: "l'uomo giusto e ben fermo nel suo proposito" (Horat., Od. l. III, od. 3, v. l); e, d'altra parte, non può darsi compiuta giustizia, se non nel dare a Dio quel che si deve a Dio, come fa il vero cristiano.
Siffatto scopo e termine dell'educazione cristiana sembra ai profani un'astrazione, o piuttosto sembra inattuabile senza soppressione o menomamento delle facoltà naturali e senza rinunzia alle opere della vita terrena, quindi alieno dal vivere sociale e dalla prosperità temporale, contrario ad ogni progresso nelle lettere, nelle scienze, nelle arti, in ogni altra opera di civiltà. A simile obiezione, mossa dall'ignoranza e dal pregiudizio dei pagani, anche colti, d'un tempo - ripetuta purtroppo con più frequenza ed insistenza nei tempi moderni - aveva risposto Tertulliano: "Non siamo estranei alla vita. Ci ricordiamo bene di dover riconoscenza a Dio Signore Creatore; nessun frutto delle opere Sue noi ripudiamo; soltanto ci moderiamo, per non usarne smodatamente e malamente. E così non senza il foro, non senza il macello, non senza i bagni, le case, le botteghe, le stalle, i mercati vostri e tutti gli altri traffici, noi abitiamo in questo mondo. Noi pure con voi navighiamo e militiamo, coltiviamo i campi e negoziamo, e per ciò scambiamo i lavori e mettiamo a vostra disposizione le opere nostre. Come mai possiamo sembrare inutili ai vostri affari coi quali e dei quali viviamo davvero non vedo" (Apol. 42).
Pertanto il vero cristiano, nonché rinunziare alle opere della vita terrena o menomare le sue facoltà naturali, le svolge anzi e le perfeziona coordinandole alla vita soprannaturale, per modo da nobilitare la vita stessa naturale e da procurarle più efficace giovamento, non solo di ordine spirituale ed eterno, ma anche materiale e temporale.
Ciò è dimostrato da tutta la storia del Cristianesimo e delle sue istituzioni, che si identifica con la storia della vera civiltà e del genuino progresso sino ai nostri giorni; e particolarmente dai Santi, ond'è fecondissima la Chiesa, e soltanto essa, i quali hanno raggiunto, in grado perfettissimo, lo scopo dell'educazione cristiana, ed hanno nobilitato e avvantaggiato l'umana convivenza in ogni genere di beni. Infatti i Santi sono stati, sono e saranno sempre i più grandi benefattori dell'umana società, come anche i modelli più perfetti in ogni classe e professione, in ogni stato e condizione di vita: dal campagnuolo, semplice e rusticano, allo scienziato e letterato, dall'umile artigiano al condottiero di eserciti, dal privato padre di famiglia al monarca reggitore di popoli e nazioni, dalle semplici fanciulle e donne del recinto domestico alle regine e imperatrici. E che dire dell'immensa opera, anche a pro del benessere temporale, dei missionari evangelici, che insieme con la luce della Fede hanno portato e portano ai popoli barbari i beni della civiltà; degli istitutori di molteplici opere di carità e di assistenza sociale e della interminabile schiera di santi educatori e sante educatrici, che hanno perpetuato e moltiplicato la loro opera nelle loro feconde istituzioni di educazione cristiana in aiuto delle famiglie e a beneficio inestimabile delle nazioni?
Questi sono i frutti, benefici in ogni materia, dell'educazione cristiana, appunto per via e virtù soprannaturale in Cristo, che essa svolge e forma nell'uomo; giacché Cristo Signor nostro, Maestro Divino, è altresì fonte e datore di tale vita e virtù, ed insieme modello universale ed accessibile a tutte le condizioni dell'umana progenie, con il Suo esempio, particolarmente alla gioventù, nel periodo della Sua vita nascosta, laboriosa, ubbidiente, adorna di tutte le virtù individuali, domestiche e sociali, dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.
E però il grande e geniale Sant'Agostino - della cui beata morte siamo per celebrare la quindicesima centenaria ricorrenza - prorompeva, pieno di santo affetto per tal Madre, in questi accenti: "O Chiesa cattolica, verissima Madre dei Cristiani, tu meritamente predichi non soltanto doversi onorare purissimamente e castissimamente Iddio stesso, conseguire il quale è giocondissima vita, ma ancora talmente fai tua la dilezione e la carità del prossimo che presso te si trova potentemente efficace ogni medicina ai molti mali per i quali, a cagione dei peccati, soffrono le anime. Tu puerilmente i fanciulli, con fortezza i giovani, con delicatezza i vecchi, a seconda dei bisogni e del corpo e dello spirito, addestri ed ammaestri. Tu per, direi quasi, libera servitù, i figli sottometti ai genitori, i genitori con dominio di pietà preponi ai figli. Tu con vincolo di religione, più forte e più stretto di quello del sangue, unisci i fratelli ai fratelli... Tu non soltanto con vincolo di società ma anche di una certa fraternità, leghi i cittadini ai cittadini, le genti alle genti, in una parola tutti gli uomini col ricordo dei primi comuni genitori. Insegni ai re a ben attendere ai popoli; ammonisci i popoli di ubbidire ai re. Con solerzia insegni a chi si debba onore, a chi affetto, a chi rispetto, a chi timore, a chi conforto, a chi ammonimento, a chi esortazione, a chi correzione, a chi il rimprovero, a chi il supplizio; mostrando in qual modo e non a tutti tutto si debba, a tutti però la carità, a nessuno l'offesa" (De morìbus Ecclesìae catholicae, lib. 1, c. 30, P. L. 32, 1336).
Alziamo, o Venerabili Fratelli, i cuori e le mani supplici al Cielo, "al Pastore e Vescovo delle anime nostre" (I Petr. 11, 25), al Re Divino "che dà legge ai governanti" affinché Egli con la Sua virtù onnipotente faccia sì che questi splendidi frutti dell’educazione cristiana si raccolgano "in tutto il mondo" sempre più a vantaggio degli individui e delle nazioni.
Auspice di queste grazie Celesti, con paterno affetto, a voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e al vostro popolo impartiamo l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 31 dicembre 1929, anno VIII del Nostro Pontificato.
PIO PP. XI
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"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
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giovedì 6 giugno 2013
SULLA EDUCAZIONE CRISTIANA DELLA GIOVENTÙ : tre sono le società necessarie, distinte e pur armonicamente congiunte da Dio, in seno alle quali nasce l'uomo; due società di ordine naturale, quali sono la famiglia e la società civile; la terza, la Chiesa, di ordine soprannaturale. ...
domenica 23 settembre 2012
L’educazione è la tradizione che diventa presenza dentro alla testimonianza che i padri ne fanno ai figli. Queste tre categorie, tradizione-presenza-testimonianza, costituiscono l’atto educativo.
come educare nella società contemporanea"
Durante la cena pasquale ebraica, ad un certo punto il figlio doveva rivolgersi al padre dicendo: "perché diversa è questa notte da tutte le notti? Infatti tutte le notti noi mangiamo lievitato e azzimo; questa notte tutto quanto azzimo…". Il padre rispondeva: "schiavi fummo in Egitto del Faraone, e il Signore Dio nostro ci fece uscire di là con mano forte e con braccio disteso" [cit. da C. Girando, Eucaristia per la Chiesa, Gregorian University Press-Morcelliana, Roma-Brescia 1989, 134-135].
Questo testo ci aiuta a capire profondamente che senso ha parlare oggi di "emergenza educativa": e questo sarà il primo punto della mia riflessione. E ci aiuterà ad individuare alcuni fondamentali orientamenti pratici per uscire da essa e dare origine ad una grande stagione educativa nella nostra Chiesa e nella società civile: e questo sarà il secondo punto della mia riflessione.
1. L’emergenza educativa.
Ritorniamo al testo ebraico. Esso ci mostra come si può stringere un legame buono fra le generazioni: la generazione dei padri e la generazione dei figli.
La prima costatazione. Il legame è istituito dalla narrazione del fatto che ha fondato l’identità e quindi la libertà del popolo a cui il bambino appartiene. È stata la liberazione dalla schiavitù egiziana a dare origine ad Israele; è stato l’evento fondatore della sua identità.
La narrazione viene ripetuta ogni anno – ogni anno la Pasqua deve essere celebrata – perché si custodisca la memoria dell’evento fondatore "di generazione in generazione". La memoria deve essere custodita, perché quando si perde la memoria si perde la consapevolezza della propria identità; si è sradicati, spaesati, esiliati da se stessi. Dunque la narrazione che il padre fa al figlio impedisce a questi di ignorare la sua origine, di ignorare la sua dignità di uomo libero, e gli consente di sentire la propria libertà come un bene condiviso con gli altri.
In questo modo, mediante quella narrazione, il rapporto fra le generazioni non era solo biologico ma diventava pienamente umano. La generazione dei figli, già legata biologicamente a quella dei padri, entrava nello stesso universo dei padri: la stessa religione, la stessa legislazione, gli stessi valori. Si costituiva un popolo non solo in senso etnico, ma anche culturale. Israele è l’Israele di Dio e Dio è il "Santo di Israele".
Ma c’è un altro aspetto ancora più importante; anzi è il più importante di tutti. La risposta del padre al figlio si conclude nel modo seguente: "in ogni generazione e generazione ognuno è obbligato a vedere se stesso come essendo proprio lui uscito dall’Egitto" [ibid. pag. 111].
La narrazione del padre racconta l’evento fondatore non semplicemente come un fatto che definitivamente appartiene al passato, ma come un avvenimento che continua anche ora ad esercitare il suo influsso. Anche ora, ogni generazione di figli ha bisogno di sapere la sua origine, di accedere alla dignità di uomini liberi, di condividerla dentro una comunità di persone. La tradizione che si trasmette di generazione in generazione è una dimensione essenziale del presente, dal cui riconoscimento o negazione dipende la costituzione del proprio io. Ed è la generazione dei padri a testimoniare questa presenza, ed introdurre così il figlio nella vita.
Si potrebbero dire molte altre cose, ma mi fermo nella considerazione del rito ebraico. Vorrei farvi vedere come esso sia come il paradigma educativo di ogni vero rapporto educativo. Quando nelle vostre famiglie il rapporto padre-figli "funziona", anche in esse accade tutto ciò che accadeva la sera di Pasqua in ogni famiglia ebraica.
Parto da un episodio realmente accaduto in una famiglia. Essa fu colpita da un gravissimo lutto. La bambina di pochi mesi fu colpita da un tumore che la portò alla morte. Il fratellino di qualche anno di vita, dopo qualche giorno dal funerale, chiese a sua madre: "mamma, ma quando torna a casa Lucia?".
La risposta a questa domanda, una delle più radicali che l’uomo possa compiere, ha dato inizio in senso forte alla grande narrazione della vita che i genitori fecero al loro bambino.
Essi non partivano dal niente: dentro al niente si può cadere, ma dal niente non si può partire. Sono due sposi: il matrimonio è condivisione amorosa dello stesso destino. Sono due sposi radicati e fondati dentro l’avvenimento cristiano. Essi hanno risposto narrando quell’incontro che avevano fatto con Cristo risorto dai morti. Un incontro che in quel momento, mediante la testimonianza dei suoi genitori, accadeva anche per il bambino, rispondendo al bisogno di una presenza: la presenza della persona amata. La Tradizione cristiana mediante la testimonianza dei padri diveniva risposta adeguata al bisogno del cuore dei figli: questa è l’educazione.
Possiamo ora tentare come una definizione. L’educazione è la tradizione che diventa presenza dentro alla testimonianza che i padri ne fanno ai figli. Queste tre categorie, tradizione-presenza-testimonianza, costituiscono l’atto educativo. Ho chiamato questa presenza-testimonianza anche la narrazione della vita fatta di generazione in generazione.
A questo punto della nostra riflessione siamo in grado di capire che cosa significa emergenza educativa e perché noi ci troviamo dentro ad una vera e propria "emergenza educativa".
Proviamo a fare una serie di ipotesi, sempre considerando il rapporto fra le generazioni.
Se colui che deve trasmettere una visione della vita ed introdurre dunque il nuovo arrivato nell’universo di senso – diciamo: la generazione dei padri – si sradica dalla tradizione, non possono non succedere che una delle seguenti due conseguenze. O si instaura un rapporto di permissivismo, caratterizzato da una sorta di scetticismo e di indifferentismo: non esiste una verità circa il bene della persona [scetticismo], e quindi tutto alla fine è permesso [indifferentismo], purché non ci si faccia del male. O si instaura un rapporto di egemonia e di autoritarismo: non si fa più nessuna proposta; si impone.
Prima di procedere oltre vorrei solo accennare al fatto che sia l’uno che l’altro esito è accompagnato da una mancanza di vera condivisione del destino dell’altro. Ma non abbiamo ora il tempo di approfondire questo aspetto della questione.
Che cosa significa "se la generazione dei padri si sradica dalla tradizione"? quando e come accade questo sradicamento? Richiamiamo alla memoria ancora una volta il rito ebraico e la domanda del bambino rimasto privo della sorellina.
Alla richiesta del figlio il padre non riuscirebbe a rispondere se avesse perso la memoria dell’evento fondatore oppure se non lo avesse ritenuto vero, realmente accaduto cioè. Smemoratezza e/o incredulità sradicano la generazione dei padri dalla tradizione. Non a caso il Signore attraverso i suoi profeti metteva in guardia Israele soprattutto contro due rischi: la perdita di memoria ["ricordati, Israele…", non dimenticare, Israele…"] e la sfiducia o incredulità ["se non crederete, non avrete stabilità"].
Alla richiesta del bambino la madre non avrebbe saputo rispondere se non in maniera inadeguata ["non può ritornare, perché è morta"], se non avesse in quel momento fatto memoria dell’evento fondatore di senso, la risurrezione di Gesù, e non lo avesse ritenuto un fatto vero.
In un caso e nell’altro la generazione dei padri o diventa una generazione di testimoni ["è accaduto un fatto, e questo fatto ti riguarda ora, poiché esso è il fatto che illumina la tua ragione, dona consistenza al tuo io, rende la tua libertà capace di grande rischi"] o diventa la generazione che apre la porta di casa della generazione dei figli all’ospite più inquietante, il nichilismo.
Possiamo finalmente dire in che cosa consiste l’emergenza educativa in cui ci troviamo. Essa è data da due fattori. Da una parte la generazione dei figli chiede – e non può non farlo – di entrare dentro ad un universo vero, buono, bello; dall’altra parte la generazione dei padri è divenuta straniera all’universo di senso: non sa più che cosa dire. L’emergenza educativa è l’interruzione della narrazione che una generazione fa all’altra: è l’afasia della generazione dei padri e l’incapacità della generazione dei figli di articolare perfino la domanda che urge dentro al loro cuore. I padri non rendono presente nessuna tradizione, perché ne hanno perso la memoria, e diventano testimoni del nulla e trasmettitori di regole. I figli si trovano a vagabondare in un deserto privo di strade, non sapendo più da dove vengono e dove sono diretti.
2. Come uscire dall’emergenza educativa.
Mi rendo conto che dovrei argomentare lungamente le affermazioni precedenti. Mi interessa però soprattutto indicare alcune vie, percorrendo le quali si può uscire dall’emergenza educativa.
Parto da una constatazione. Nonostante tutto, esiste la Chiesa. Esiste cioè una realtà, un popolo che custodisce la memoria del fatto che può dare consistenza invincibile alla nostra fragilità mortale; che compie questa custodia attraverso la testimonianza: la testimonianza dei misteri celebrati, l’opera della carità. È questo un fatto innegabile.
Non solo, ma questo fatto [custodia della memoria-testimonianza-carità] ha generato, e non poteva essere diversamente, una cultura, cioè un modo di essere nel mondo e di vivere [di sposarsi, di lavorare, di curare le malattie, di ragionare…] che è precisamente la modalità cristiana. È la grande tradizione cristiana, intesa almeno come forma di vita che ha plasmato un popolo.
A questo punto non posso procedere oltre senza dirvi però che ci sono due modi fondamentali di dimorare dentro a questa tradizione: quello proprio del credente e quello proprio del non credente. Presuppongo che cosa significa credere, e quindi non-credere.
2.1 Mi rivolgo ora ai credenti. Come uscire dall’emergenza educativa? Nessuno ha ricette preconfezionate. Tanto meno io. Voglio però indicarvi una via di uscita, facendo prima una necessaria breve premessa.
Il momento più forte in cui la memoria-testimonianza della Chiesa diventa eminentemente chiara è la celebrazione festiva dell’Eucaristia. Tutto quanto era il rito ebraico prefigurava il rito eucaristico; ciò che ho detto all’inizio è vero perfettamente nel rito eucaristico.
Il primo passo per uscire dall’emergenza educativa è il coinvolgimento pieno dei padri e dei figli dentro alla memoria eucaristica vissuta ogni domenica; è la partecipazione famigliare alla celebrazione eucaristica. Senza questo reale radicarsi dentro quell’evento che dona senso al tutto e alla vita di ciascuno, la narrazione dei padri ai figli rischia di essere vacua: priva di una trama vera. Cioè: incapace di generare un vita vera, buona, bella.
Questo incipit della narrazione della vita può incontrare subito due difficoltà: o il figlio, se piccolo, non capisce; o il figlio, se adolescente, si rifiuta. È la situazione analoga alla domanda da cui è partita tutta la nostra riflessione: "ma che cosa è tutto questo?".
È a questo punto che la costruzione della risposta deve essere condivisa fra la generazione dei padri e la madre Chiesa, la quale offre questa condivisione attraverso una vera e propria proposta educativa. Non si esce dall’emergenza educativa se non si costruisce questa condivisione, nei due sensi di marcia: della Chiesa da parte della famiglia, e della famiglia da parte della Chiesa.
Non voglio dilungarmi ulteriormente su tutta questa problematica. Ho già avuto varie occasioni per farlo, e cerco di non perderne neppure una fra quelle che mi si presentano. Vorrei solo aggiungere che la capacità educativa insita nel fatto cristiano rimane intatta, anche nella condizione di emergenza educativa in cui ci troviamo. Anzi, la storia dimostra che questa capacità si manifesta soprattutto nei momenti di maggior difficoltà e di crisi.
2.2. Mi rivolgo ora ai non-credenti o comunque a chi vive in una condizione di grave incertezza sui temi che stiamo affrontando. Lo faccio iniziando da alcune semplici osservazioni.
Il rapporto educativo istituisce una relazione fra due persone, alla fine. Ciò che è in questione e a rischio nell’atto educativo è una persona; è qualcuno, non qualcosa. Una realtà dunque di incomparabile preziosità.
La tradizione cristiana si presenta come quel terreno nel quale è radicata la vita del nostro popolo, di cui si nutre la nostra cultura. È sapiente che si educhi la generazione dei figli partendo da una censura, da un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con la religione come tale? Poiché questo è ciò che oggi si va proponendo, in nome di una male intesa laicità e tolleranza. E qui si pone la seconda osservazione.
Voglio richiamare la vostra attenzione su un fatto. Immaginiamo che in una scuola si voglia celebrare il Natale. Può essere che ci sia qualche insegnante nelle scuole che … per rispetto a qualche bambino musulmano presente in aula parli e presenti il Natale come la festa del solstizio, con l’inevitabile presenza di Babbo Natale, e gli immancabili sermoni sulla pace e la solidarietà. Si trasforma cioè una narrazione storica in un "mito" che offre lo spunto per esortazioni moralistiche. Si compie in realtà un’operazione ideologica, che viene imposta al bambino, sradicandolo dalla tradizione in cui vive.
La seconda osservazione quindi è la seguente. L’oblio della tradizione o la sua trascuratezza ci fa ripartire dal niente, costringendoci a costruzioni ideologiche dettate dal momento. Il padre che nella cena ebraica rispondeva al figlio, la madre che rivela al bambino il senso ultimo della morte della sorellina, mostrano che siamo dentro ad una dimora; che non stiamo vagabondando in un deserto da cui ci si salva solo col nostro impegno. È un popolo, quello di Israele, voluto e protetto da una Potenza infinita; perfino la morte della persona amata non distrugge il senso dell’esistenza, poiché Cristo ci ha redenti.
Una terza osservazione. L’azione educativa è sempre a rischio. Generando una persona libera, è sempre possibile che prima o poi chi è stato educato faccia scelte contrarie alla proposta educativa che lo ha formato. È il rischio educativo. Esso non è solo presente in un rapporto educativo non riuscito, ma in ogni rapporto educativo.
Tutto quanto ho detto nelle due osservazioni precedenti va letto alla luce di questa terza. Radicarsi nella nostra tradizione cristiana non significa rinuncia ad educare alla libertà. Al contrario. Significa però rifiutare l’idea astratta di libertà secondo la quale è libero chi non appartiene a niente e a nessuno. Chi vive così finisce nella schiavitù.
Queste tre osservazioni si proponevano alla fine un solo scopo sul quale consentono credenti, dubbiosi e non-credenti. La vita del nostro popolo, la capacità dei padri di educare i figli; il legame più necessario nella vita di una nazione e più difficile da realizzare, quello cioè fra la generazione dei padri e la generazione dei figli, dipendono dalla custodia della nostra memoria cristiana; dalla testimonianza resa dai padri ai figli che essa è memoria di un fatto che ora dona consistenza e senso alla vita; dal confronto con le sfide inedite di oggi. Memoria, testimonianza, confronto: sono queste le cifre dell’impegno, della bellezza e della fatica di educare.
Conclusione Avrete notato che la mia riflessione ha sempre parlato di rapporto educativo che si istituisce fra la generazione dei padri e la generazione dei figli. C’è una ragione per cui ho compiuto questa scelta: quel rapporto è il rapporto educativo originario. Ho taciuto completamente – il tempo a disposizione me lo imponeva – sulla scuola, pur essendo tema fondamentale. Essa entra nel fatto educativo con un modo suo proprio, la modalità dell’insegnamento, che richiederebbe una riflessione molto accurata.
Qualche anno fa, è apparso un libro di U. Galimberti: L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani [Feltrinelli, Milano 2007]. Per molti aspetti ci siamo trovati concordi; per altri e ben più decisivi, all’opposto. Quale è una delle tesi fondamentali del libro? Che sradicati dalla grande tradizione che li ha generati, i giovani si sono trovati in casa l’ospite più inquietante: il nichilismo. Non illudiamoci: questa è la condizione di molti giovani oggi.
Ed allora?
Il profeta Malachia preannuncia che la venuta del Messia coinciderà colla "conversione del cuore dei padri verso i figli e del cuore dei figli verso i padri" e che sarà questa reciproca conversione a "risparmiare il paese dallo sterminio" [cfr. 3,24]. Quando l’angelo apparve a Zaccaria, gli preannuncia la missione del figlio Giovanni colle parole del profeta [cfr. Lc 1,17].
Il legame, anzi più profondamente la conversione intergenerazionale è già stata donata e rassodata: è un fatto già accaduto. È una grazia già donata nell’evento cristiano. Non dilapidiamola.
AMDG et BVM
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