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lunedì 4 gennaio 2021

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE * OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI * Basilica Vaticana Domenica, 6 gennaio 2013

 Benedetto XVI Omelie 2013

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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Domenica, 6 gennaio 2013

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Cari fratelli e sorelle!

Per la Chiesa credente ed orante, i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia. Per questo, la liturgia legge il Vangelo che parla del cammino dei Magi insieme con le splendide visioni profetiche di Isaia 60 e del Salmo 72, che illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme. Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui. La Chiesa chiama questa festa “Epifania” – l’apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt 3,4).

Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, celebriamo la festa dell’Epifania anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per quattro sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni diverse, collaboreranno al Ministero del Papa per l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella pluralità delle Chiese particolari. Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è evidente. Il Vescovo ha il compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri, ma di precedere e di indicare la strada. Vorrei, però, in questa liturgia, riflettere con voi ancora su una domanda più concreta. In base alla storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci una certa idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità. Che tipo di uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravedere qualcosa su che cosa sia il Vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito.

Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica. Ma non volevano soltanto sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.

Ma con ciò giungiamo alla domanda: come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo. Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae. L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore.

Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri. Il Vescovo, come pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev’essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.

Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.

Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri. Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli dev’essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti. Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!

In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo. E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.

I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr Gv 1,9). Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15).

Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento, allora anche voi diventerete sapienti. Allora diventerete astri che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della vita. In quest’ora noi tutti qui preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore. Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino la sua vicinanza e ricevano il dono della sua gioia. Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato ai Magi il nuovo Re del mondo ( Mt 2,11), affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori della strada che porta a Lui. Amen.


 







lunedì 6 gennaio 2020

Cantico Espiritual


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Canciones entre el Alma y el Esposo 

ESPOSA 1. ¿Adónde te escondiste, Amado, y me dejaste con gemido? Como el ciervo huiste, Habiéndome herido; Salí tras ti clamando, y ya eras ido.
2. Pastores, los que fuerdes Allá por las majadas al otero, Si por ventura vierdes Aquel que yo más quiero, Decidle que adolezco, peno y muero.
3. Buscando mis amores, Iré por esos montes y riberas, Ni cogeré las flores, Ni temeré las fieras, Y pasaré los fuertes y fronteras.
 4. Oh bosques y espesuras, Plantadas por mano del Amado, Oh prado de verduras, De flores esmaltado, Decid si por vosotros ha pasado.

RESPUESTA DE LAS CRIATURAS 5. Mil gracias derramando, Pasó por estos sotos con presura, Y yéndolos mirando, Con sola su figura Vestidos los dejó de su hermosura.

ESPOSA 6. ¡Ay, quién podrá sanarme! Acaba de entregarte ya de vero; No quieras enviarme De hoy más ya mensajero, Que no saben decirme lo que quiero.
7. Y todos cuantos vagan, De ti me van mil gracias refiriendo, Y todos más me llagan, Y déjame muriendo Un no sé qué que quedan balbuciendo.
8. Mas ¿cómo perseveras, Oh vida, no viviendo donde vives, Y haciendo porque mueras, Las flechas que recibes, De lo que del Amado en ti concibes?
 9. ¿Por qué, pues has llagado Aqueste corazón, no le sanaste? Y pues me le has robado, ¿Por qué así le dejaste, Y no tomas el robo que robaste?
10. Apaga mis enojos, Pues que ninguno basta a deshacellos, Y véante mis ojos, Pues eres lumbre de ellos, Y sólo para ti quiero tenellos,
11. Descubre tu presencia, Y máteme la vista y hermosura; Mira que la dolencia De amor, que no se cura Sino con la presencia y la figura.
12. ¡Oh cristalina fuente, Si en esos tus semblantes plateados, Formases de repente Los ojos deseados, Que tengo en mis entrañas dibujados!
13. Apártalos, Amado, Que voy de vuelo, ESPOSO Vuélvete, paloma, Que el ciervo vulnerado Por el otero asoma, Al aire de tu vuelo, y fresco toma. ESPOSA
14. Mi Amado, las montañas, Los valles solitarios nemorosos, Las ínsulas extrañas, Los ríos sonorosos, El silbo de los aires amorosos.
15. La noche sosegada En par de los levantes de la aurora, La música callada, La soledad sonora, La cena, que recrea y enamora.
16. Cazadnos las raposas, Que está ya florecida nuestra viña, En tanto que de rosas Hacemos una piña, Y no parezca nadie en la montiña.
17. Detente, cierzo muerto, Ven, austro, que recuerdas los amores, Aspira por mi huerto, Y corran tus olores, Y pacerá el Amado entre las flores.
18. Oh, ninfas de Judea, En tanto que en las flores y rosales El ámbar perfumea, Morá en los arrabales, Y no queráis tocar nuestros umbrales.
19. Escóndete, Carillo, Y mira con tu haz a las montañas, Y no quieras decillo; Mas mira las campañas De la que va por ínsulas extrañas.

ESPOSO 20. A las aves ligeras, Leones, ciervos, gamos saltadores, Montes, valles, riberas, Aguas, aires, ardores, Y miedos de las noches veladores.
21. Por las amenas liras Y cantos de Sirenas os conjuro Que cesen vuestras iras, Y no toquéis al muro, Porque la Esposa duerma más seguro.
22. Entrádose ha la Esposa En el ameno huerto deseado, Y a su sabor reposa, El cuello reclinado Sobre los dulces brazos del Amado.
23. Debajo del manzano Allí conmigo fuiste desposada, Allí te di la mano, Y fuiste reparada Donde tu madre fuera violada.

ESPOSA 24. Nuestro lecho florido, De cuevas de leones enlazado, En púrpura tendido, De paz edificado, De mil escudos de oro coronado.
25. A zaga de tu huella Los jóvenes discurren al camino Al toque de centella, Al adobado vino, Emisiones de bálsamo divino.
26. En la interior bodega De mi Amado bebí, y cuando salía Por toda aquesta vega, Ya cosa no sabía, Y el ganado perdí que antes seguía.
27. Allí me dio su pecho, Allí me enseñó ciencia muy sabrosa, Y yo le dí de hecho A mí, sin dejar cosa; Allí le prometí de ser su esposa.
 28. Mi alma se ha empleado, Y todo mi caudal, en su servicio, Ya no guardo ganado Ni ya tengo otro oficio; Que ya sólo en amar es mi ejercicio.
29. Pues ya si en el ejido De hoy más no fuere vista ni hallada, Diréis que me he perdido, Que, andando enamorada, Me hice perdidiza y fui ganada.
30. De flores y esmeraldas En las frescas mañanas escogidas, Haremos las guirnaldas, En tu amor florecidas, Y en un cabello mío entretejidas.
31. En solo aquel cabello Que en mi cuello volar consideraste, Mirástele en mi cuello, Y en él preso quedaste, Y en uno de mis ojos te llagaste.
 32. Cuando tú me mirabas, Su gracia en mí tus ojos imprimían; Por eso me adamabas, Y en eso merecían Los míos adorar lo que en ti vían.
 33. No quieras despreciarme, Que si color moreno en mí hallaste, Ya bien puedes mirarme, Después que me miraste; Que gracia y hermosura en mí dejaste.

 ESPOSO 34. La blanca palomica Al arca con el ramo se ha tornado, Y ya la tortolica Al socio deseado En las riberas verdes ha hallado.
35. En soledad vivía, Y en soledad ha puesto ya su nido, Y en soledad la guía A solas su querido, También en soledad de amor herido.

 ESPOSA 36. Gocémonos, Amado, Y vámonos a ver en tu hermosura Al monte y al collado, Do mana el agua pura; Entremos más adentro en la espesura.
37. Y luego a las subidas Cavernas de las piedras nos iremos, Que están bien escondidas, Y allí nos entraremos, Y el mosto de granadas gustaremos.
38. Allí me mostrarías Aquello que mi alma pretendía, Y luego me darías Allí tú, vida mía, Aquello que me diste el otro día.
39. El aspirar del aire, El canto de la dulce Filomena, El soto y su donaire, En la noche serena Con llama que consume y no da pena.
 40. Que nadie lo miraba, Aminadab tampoco parecía, Y el cerco sosegaba, Y la caballería A vista de las aguas descendía.



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 AMDG et DVM

domenica 6 gennaio 2019

DIO E' LUCE. DIO E' AMORE.

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CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DELLA EPIFANIA DEL SIGNORE
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Venerdì, 6 gennaio 2006
    
Cari fratelli e sorelle!
La luce che a Natale è brillata nella notte illuminando la grotta di Betlemme, dove restano in silenziosa adorazione Maria, Giuseppe ed i pastori, oggi risplende e si manifesta a tutti. L'Epifania è mistero di luce, simbolicamente indicata dalla stella che guidò il viaggio dei Magi. La vera sorgente luminosa, il "sole che sorge dall'alto" (Lc 1, 78), è però Cristo. Nel mistero del Natale, la luce di Cristo si irradia sulla terra, diffondendosi come a cerchi concentrici. 

Anzitutto sulla santa Famiglia di Nazaret: la Vergine Maria e Giuseppe sono illuminati dalla divina presenza del Bambino Gesù. La luce del Redentore si manifesta poi ai pastori di Betlemme, i quali, avvertiti dall'angelo, accorrono subito alla grotta e vi trovano il "segno" loro preannunciato: un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia (cfr Lc 2, 12). I pastori, insieme con Maria e Giuseppe, rappresentano quel "resto d'Israele", i poveri, gli anawim, ai quali è annunciata la Buona Novella. 

Il fulgore di Cristo raggiunge infine i Magi, che costituiscono le primizie dei popoli pagani. Restano in ombra i palazzi del potere di Gerusalemme, dove la notizia della nascita del Messia viene recata paradossalmente proprio dai Magi, e suscita non gioia, ma timore e reazioni ostili. Misterioso disegno divino: "la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie" (Gv 3, 19).

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Ma che cos'è questa luce? È solo una suggestiva metafora, oppure all'immagine corrisponde una realtà? L'apostolo Giovanni scrive nella sua Prima Lettera: "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre" (1 Gv 1, 5); e più avanti aggiunge: "Dio è amore". Queste due affermazioni, unite insieme, ci aiutano a meglio comprendere: la luce, spuntata a Natale, che oggi si manifesta alle genti, è l'amore di Dio, rivelato nella Persona del Verbo incarnato. Attratti da questa luce, giungono i Magi dall'Oriente. 
   Nel mistero dell'Epifania, dunque, accanto ad un movimento di irradiazione verso l'esterno, si manifesta un movimento di attrazione verso il centro, che porta a compimento il movimento già inscritto nell'Antica Alleanza. La sorgente di tale dinamismo è Dio, Uno nella sostanza e Trino nelle Persone, che tutto e tutti attira a sé. La Persona incarnata del Verbo si presenta così come principio di riconciliazione e di ricapitolazione universale (cfr Ef 1, 9-10). Egli è la meta finale della storia, il punto di arrivo di un "esodo", di un provvidenziale cammino di redenzione, che culmina nella sua morte e risurrezione. Per questo, nella solennità dell'Epifania, la liturgia prevede il cosiddetto "Annuncio della Pasqua": l'anno liturgico, infatti, riassume l'intera parabola della storia della salvezza, al cui centro sta "il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto".


Nella liturgia del Tempo di Natale ricorre spesso, come ritornello, questo versetto del Salmo 97: "Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia" (v. 2). Sono parole che la Chiesa utilizza per sottolineare la dimensione "epifanica" dell'Incarnazione: il farsi uomo del Figlio di Dio, il suo entrare nella storia è il momento culminante dell'autorivelazione di Dio a Israele e a tutte le genti. Nel Bambino di Betlemme Dio si è rivelato nell'umiltà della "forma umana", nella "condizione di servo", anzi di crocifisso (cfr Fil 2, 6-8). 
È il paradosso cristiano. Proprio questo nascondimento costituisce la più eloquente "manifestazione" di Dio: l'umiltà, la povertà, la stessa ignominia della Passione ci fanno conoscere come Dio è veramente. Il volto del Figlio rivela fedelmente quello del Padre. Ecco perché il mistero del Natale è, per così dire, tutto una "epifania". La manifestazione ai Magi non aggiunge qualcosa di estraneo al disegno di Dio, ma ne svela una dimensione perenne e costitutiva, che cioè "i Gentili sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo" (Ef 3, 6).


Ad uno sguardo superficiale la fedeltà di Dio a Israele e la sua manifestazione alle genti potrebbero apparire aspetti fra loro divergenti; in realtà, sono le due facce della stessa medaglia. Infatti, secondo le Scritture, è proprio rimanendo fedele al patto di amore con il popolo d'Israele che Dio rivela la sua gloria anche agli altri popoli. "Grazia e fedeltà" (Sal 88, 2), "misericordia e verità" (Sal 84, 11) sono il contenuto della gloria di Dio, sono il suo "nome", destinato ad essere conosciuto e santificato dagli uomini di ogni lingua e nazione. Ma questo "contenuto" è inseparabile dal "metodo" che Dio ha scelto per rivelarsi, quello cioè della fedeltà assoluta all'alleanza, che raggiunge il suo culmine in Cristo. Il Signore Gesù è, nello stesso tempo e inseparabilmente, "luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele" (Lc 2, 32), come, ispirato da Dio, esclamerà l'anziano Simeone prendendo il Bambino tra le braccia, quando i genitori lo presenteranno al tempio. La luce che illumina le genti - la luce dell'Epifania - promana dalla gloria d'Israele - la gloria del Messia nato, secondo le Scritture, a Betlemme, "città di Davide" (Lc 2, 4). I Magi adorarono un semplice Bambino in braccio alla Madre Maria, perché in Lui riconobbero la sorgente della duplice luce che li aveva guidati: la luce della stella e la luce delle Scritture. Riconobbero in Lui il Re dei Giudei, gloria d'Israele, ma anche il Re di tutte le genti.

Nel contesto liturgico dell'Epifania si manifesta anche il mistero della Chiesa e la sua dimensione missionaria. Essa è chiamata a far risplendere nel mondo la luce di Cristo, riflettendola in se stessa come la luna riflette la luce del sole. Nella Chiesa hanno trovato compimento le antiche profezie riferite alla città santa Gerusalemme, come quella stupenda di Isaia che abbiamo ascoltato poc'anzi: "Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce... Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere" (Is 60, 1-3). Questo dovranno realizzare i discepoli di Cristo: ammaestrati da Lui a vivere nello stile delle Beatitudini, dovranno attrarre, mediante la testimonianza dell'amore, tutti gli uomini a Dio: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5, 16). Ascoltando queste parole di Gesù, noi, membri della Chiesa, non possiamo non avvertire tutta l'insufficienza della nostra condizione umana, segnata dal peccato. La Chiesa è santa, ma formata da uomini e donne con i loro limiti e i loro errori. È Cristo, Lui solo, che donandoci lo Spirito Santo può trasformare la nostra miseria e rinnovarci costantemente. È Lui la luce delle genti, lumen gentium, che ha scelto di illuminare il mondo mediante la sua Chiesa (cfr Conc. Vat. II, Cost. Lumen gentium, 1).

"Come potrà avvenire questo?", ci chiediamo anche noi con le parole che la Vergine rivolse all'arcangelo Gabriele. E proprio lei, la Madre di Cristo e della Chiesa, ci offre la risposta: con il suo esempio di totale disponibilità alla volontà di Dio - "fiat mihi secundum verbum tuum" (Lc 1, 38) - Ella ci insegna ad essere "epifania" del Signore, nell'apertura del cuore alla forza della grazia e nell'adesione fedele alla parola del suo Figlio, luce del mondo e traguardo finale della storia.
Così sia!
    
© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana

venerdì 5 gennaio 2018

Le invenzioni delle donne !!!! Impariamo a valorarle, le donne: sia pure per la loro sensibilità femminile che è un privilegio che Dio ha loro donato. Se la donna continuasse a essere schiava del modernismo mortificando la sua naturale sensibilità, la vita per l'uomo diverrebbe molto ma molto più dura.


Ecco cosa fa santa Gertrude un giorno dell’Epifania
CAPITOLO VI: Le rivelazioni - volume quarto

TRIPLICE OFFERTA NEL GIORNO DELL'EPIFANIA

Nel giorno dell'Epifania, Geltrude avrebbe voluto offrire a Gesù dei regali di lusso, come quelli dei Magi, per soddisfare a tutti i peccati del mondo, da Adamo fino all'ultimo de' suoi figli. 

Ella offrì, come mirra il Corpo di Cristo, con tutte le sofferenze, che lo dilaniarono, specialmente durante la Passione. 


Presentò quale incenso l'Anima santissima del Cristo, perchè le ardenti suppliche che si elevarono da quel divino incensiere, supplissero alle negligenze di tutte le creature. 


Infine offerse come oro, per riparare le imperfezioni di tutti gli esseri creati, la perfettissima Divinità e le delizie di cui è la sorgente. 


Le apparve allora il Signore Gesù portando quella stessa offerta, come un tesoro infinitamente prezioso, in atto di presentarla alla SS. Trinità. Mentre si avanzava in mezzo al cielo, tutta la Corte celeste, penetrata di rispetto, piegava il ginocchio e si chinava profondamente, come fanno le persone devote quando il Corpo di Cristo passa davanti a loro.


Geltrude si ricordò allora di parecchie persone le quali, con profondo senso d'umiltà, l'avevano supplicata di offrire a Dio per loro, in memoria dei doni dei Magi, alcune preghiere che aveva recitate in preparazione alla festa. Mentre faceva tale offerta con tutto il cuore, il Signore Gesù le apparve, attraversando il cielo con quel secondo dono della sua Sposa, per presentarlo a Dio Padre. Tutta la Corte celeste accorreva a Lui d'intorno, magnificando quello splendido regalo. Ella ben comprese allora che, se un'anima offre a Dio le sue preghiere ed azioni, tutta la Corte celeste esalta quel dono, come offerta preziosa all'occhio del Signore. Quando poi l'anima, non contenta di offrire i suoi beni, vi aggiunge le opere perfettissime dei Figlio di Dio, i Santi, come già dicemmo, mostrano tanta riverenza a quel dono come la cosa più preziosa, al di sopra della quale non sta che l'Unica e adorabile Trinità.

Un'altra volta, mentre al S. Vangelo si leggevano, nella stessa solennità quelle parole « Et procidentes adoraverunt eum prostrati lo adorarono » ella, con sentimento di grande fervore, si prostrò ai piedi di Gesù divotamente, per adorarlo in nome di tutto ciò che esiste, in cielo, in terra e nei luoghi inferiori.

Non trovando Geltrude però alcuna offerta degna di Dio, si mise a percorrere tutto il mondo, con la brama ansiosa di cercare qualche cosa che potesse essere presentata al suo Diletto. Mentre, ardente del più puro amore, correva con l'immaginazione tutta la terra, trovò in grande quantità cose disprezzabili che chiunque avrebbe rifiutato, perchè scorie che non potevano contribuire alla gloria ed alla lode di Dio. Invece con geniale pensiero le fece sue avidamente, per trasformarle in cose degne di Colui che tutte le creature devono servire.

Raccolse dunque in cuore tutti i dolori, le pene, le ansietà, i timori sofferti senza rassegnazione, con senso di umana fragilità; s'impossessò di tutta la falsa santità, delle preghiere recitate senza divozione dagli ipocriti, dai farisei, dagli eretici e gente consimile; infine raccolse l'affezione naturale, l'amore morboso, falso ed impuro dispensato da tante creature; trasformando quel cumulo di miserie con l'ardore di desideri infuocati, quasi in mistico crogiolo, le presentò al Salvatore, ridotte a mirra squisita, a fragrantissimo incenso, all'oro più puro.

Gesù, seguendo con immensa gioia questo lavoro, tanto ingegnoso della sua Sposa, s'affrettò a gradirlo. Pose quelle offerte come fulgide gemme, nel suo stesso diadema reale, dicendo con ineffabile sorriso: « Sono le perle del tuo amore! Le porterò sempre come ricordo della tua straordinaria tenerezza verso di me, le porterò sulla corona che cinge la mia fronte, dinanzi a tutta la Corte celeste, glorificandomi di averle ricevute da te, o mia diletta Sposa; così appunto fanno gli imperatori della terra, fissando sulla loro corona quella gemma, chiamata volgarmente ein Besant, unica in tutto l'universo ».

In quel punto Geltrude si ricordò di una persona che parecchie volte, l'aveva supplicata d'offrire al Signore, in quel solenne giorno, qualche cosa a nome suo. 
Ella chiese a Gesù cosa gli sarebbe gradito ed Egli rispose: « Offrimi i suoi piedi, le sue mani, il suo cuore. I piedi rappresentano i desideri: poichè quella persona vorrebbe riparare i dolori della mia morte, è bene che si applichi a sopportare pazientemente le sue sofferenze fisiche e morali: essa deve unirle alla mia Passione, e offrirle per la lode e gloria del mio nome, e per l'utilità della Chiesa, mia Sposa. Accetterò tale dono come sceltissima mirra. Le mani simboleggiano l'azione: essa s'impegnerà di unire le sue opere corporali e spirituali a quelle che io ho compiute nella mia santa Umanità; tale intenzione nobiliterà e santificherà tutti i suoi atti, che mi saranno graditi come profumatissimo incenso. Infine il cuore è simbolo della volontà: essa, per conoscere i miei voleri, deve interrogare umilmente un direttore esperto e star sicura che la sua parola è l'eco fedele della mia. Se seguirà tali consigli accetterò tutti i suoi atti come perfetta oblazione di oro purissimo. Per premiare poi l'umile confidenza che l'ha indotta a cercare la tua mediazione, farò sì che la sua volontà sia unita alla mia così strettamente, come l'oro e l'argento che, posti al fuoco, si fondono in un solo metallo ».


Geltrude offerse poi al Signore le preghiere che alcune persone le avevano confidate divotamente. Vide allora Gesù porre in una borsa, che aveva al lato sinistro, quegli spirituali tesori che distribuiva indi a' suoi particolari amici. Quando poi ella stessa offerse le sue stesse preghiere, esse presero forma di gioielli che il Salvatore dava alle anime meno adorne e preparate: comprese che il Signore accettava le preghiere delle persone che le si erano raccomandate sotto un duplice aspetto, cioè per ricompensare la confidenza che avevano posto nella sua mediazione, e il disinteresse col quale avevano lasciato libertà di offrire tali suppliche, o come sue, o da parte loro, essendo paghe che Gesù fosse onorato e contento.
AMDG et DVM

martedì 5 gennaio 2016

EPIFANIA CON SANT'ANTONIO. 1

III. l’offerta dei tre magi

5. “Ed ecco, la stella che avevano visto in oriente...” (Mt 2,9). O misericordia di Dio, che mai dimentica di aver pietà! Infatti è subito vicino a chi ritorna a lui. Dice Isaia: “Tu invocherai, e il Signore ti esaudirà; chiamerai, ed egli dirà: èccomi!” (Is 58,9), “perché io, il Signore Dio tuo, sono misericordioso” (Dt 4,31).
“Ed ecco la stella”. I Magi erano andati da Erode, e avevano perduto di vista la stella. E questo sta ad indicare i recidivi che, ritornando al diavolo, ossia al peccato mortale, perdono la grazia; quando invece se ne liberano, allora la riacquistano. Dice infatti Geremia: “Si dice comunemente: Se un uomo ripudia la moglie ed essa, allontanatasi da lui, si sposa con un altro uomo, forse che ritornerà ancora da lui? Quella donna non è forse immonda e contaminata? Tu invece, che pure hai fornicato con molti amanti”, cioè con i demoni e i peccati, “tuttavia ritorna da me, dice il Signore?” (Ger 3,1).
“Ed ecco che la stella li precedeva” (Mt 2,9). Troviamo la concordanza nell’Esodo: “Il Signore li precedeva per indicare loro la strada: di giorno con una colonna di nubi, di notte con una colonna di fuoco, per essere loro di guida nel cammino in entrambi i tempi” (Es 13,21). Di giorno la colona di nubi era contro l’ardore del sole, di notte la colonna di fuoco era contro le tenebre, perché potessero difendersi dai serpenti. Osserva che l’illuminazione della grazia divina è detta “colonna” perché sostiene, “di nubi”, perché raffredda il calore del sole, cioè il calore della prosperità terrena, “di fuoco”, contro il freddo dell’infedeltà, contro le tenebre delle avversità e contro il veleno della suggestione diabolica.
“Finché giunse e si fermò sopra la casa dov’era il bambino” (Mt 2,9). Ecco la fine della fatica, la meta del viaggio, la gioia di chi cerca, il premio di chi trova. “Gioisca il cuore di coloro che ti cercano” (Sal 104,3, o Gesù; e se gioiscono quelli che ti cercano, quanto più gioiranno quelli che ti trovano? La stella procede, la colonna precede. Quella indica la strada alla culla del Salvatore, questa alla Terra Promessa: e nella culla c’è la Terra Promessa dove scorre il miele della divinità e il latte dell’umanità. Corri dunque dietro alla stella, affrettati dietro alla colonna, perché ti guidano alla vita. Faticherai poco, arriverai presto, e troverai il desiderio dei santi, il gaudio degli angeli.

6. “Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia” (Mt 2,10). Fa’ attenzione, perché in queste parole è indicata una triplice gioia, quella che deve provare colui che riacquista la grazia perduta. Deve gioire perché non è morto mentre era in peccato mortale e si sarebbe dannato eternamente; perché è stato riportato alla grazia, che non ha meritato; perché, se persevererà, sarà condotto alla gloria. Di questa triplice gioia dice Isaia: “Esultando gioirò nel Signore, e l’anima mia si allieterà nel mio Dio” (Is 61,10).
“Ed entrando nella casa” (Mt 2,11). Racconta Luca che “il figlio maggiore, indignato, non voleva entrare in casa” (Lc 15,25.28); invece il figlio prodigo vi era già entrato, perché era già rientrato in se stesso (cf. Lc 15,17). È stato detto agli apostoli: “Per via non salutate nessuno” (Lc 10,4). Chi è sulla via, è fuori, e chi è fuori, è fuori di casa, e quindi è indegno di essere salutato. Anzi, come dice Amos: “In tutte le piazze ci sarà pianto, e a tutti coloro che sono fuori si dirà: Guai, guai!” (Am 5,16).
“Trovarono il fanciullo con Maria, sua Madre, e prostratisi lo adorarono” (Mt 2,11). Poiché entrano, trovano; e perché trovano, si prostrano e adorano. Nel fanciullo e in Maria sono indicate l’innocenza e la purezza; nel fatto che si prostrano il disprezzo di sé; e nel fatto che adorano l’ossequio della fede. Ecco dunque che i penitenti entrano nella casa della propria coscienza e trovano l’innocenza (l’innocuità) nei riguardi del prossimo, la purezza nei riguardi di se stessi; e di ciò non si insuperbiscono, ma si prostrano con la faccia a terra e adorano devotamente e fedelmente colui che ha dato loro tutte queste grazie.
“Ed entrati nella casa” – forse era quel diversorio, albergo, di cui parla Luca –, “trovarono il bambino con Maria, sua madre”. Osserva la Glossa: Perché, insieme con Maria, non fu trovato dai Magi anche Giuseppe? Perché da quel fatto non fosse dato motivo di ingiusto sospetto a quei popoli che sùbito, appena nato il Salvatore, gli avevano mandato sùbito “le loro primizie”, i loro primi rappresentanti, ad adorarlo.
“Aprirono i loro scrigni” (i loro tesori) (Mt 2,11). La Glossa: Guardiamoci bene dallo scoprire i nostri tesori lungo la via; aspettiamo che siano passati i nemici, per poterli offrire solo a Dio dal segreto del cuore. Il re Ezechia, che mostrò agli stranieri i tesori [del tempio], venne punito nei suoi discendenti (cf. 4Re 20,12-19). Desidera essere derubato, colui che porta un tesoro pubblicamente per la via (Gregorio).

7. “Gli offrirono i doni: oro, incenso e mirra” (Mt 2,11)

L’oro si richiama al tributo (che si pagava al re), l’incenso ai sacrifici, e la mirra alla sepoltura dei morti. 

Per mezzo di questi tre doni vengono proclamate in Cristo la potestà regale, la maestà divina e la mortalità umana. 

In altro senso: nell’oro, che è lucente e compatto, e quando è battuto non scricchiola, è indicata la vera povertà, che non viene oscurata dalla fuliggine dell’avari­zia, non si gonfia al vento delle cose temporali. Una virtù salda (in lat. res solida, una sostanza compatta, un monastero concorde) fa lo stesso: davanti agli scandali non si turba e non replica con mormorazioni.

In Arabia, nome che significa “sacra”, ci sono delle piante dalle quali si ricavano l’in­censo e la mirra. Coloro che ne sono proprietari vengono chiamati in arabo sacri. Quando incidono o vendemmiano queste piante, essi non partecipano a funerali e non si contaminano in rapporti con donne. 
L’incenso, una pianta grandissima e frondosa, con una corteccia leggerissima, produce un succo aromatico come quello del mandorlo. L’incenso è chiamato in lat. thus, da tùndere, pestare, o anche dal termine greco Theòs, Dio, in onore del quale viene bruciato. L’incenso viene spesso mescolato con resina e altre sostanze gommose, ma si distingue lo stesso per le sue proprietà. Infatti l’incen­so, posto sulla brace, arde, mentre la resina fuma e le sostanze gommose si liquefano.
L’albero dell’incenso raffigura la preghiera devota, che è grandissima per la contemplazione, frondosa per la carità fraterna, giacché intercede sia per l’amico che per il nemico; ha una scorza sottilissima, cioè si manifesta all’esterno con la benevolneza; ed emette il succo delle lacrime, profumatissimo e olezzante al cospetto di Dio.
È detto nel Cantico dei Cantici: “Sorgi, o aquilone!”, vale a dire: Allontànati, o diavolo!, “e vieni tu, o austro”, cioè Spirito Santo; “soffia nel mio giardino”, cioè nella mia mente, “e si effondano i suoi aromi”, cioè le lacrime! (Ct 4,16). Questo succo è il ristoro dei peccatori, come il latte di mandorlo è il ristoro degli ammalati. Colui che prega si batte il petto e la preghiera sale a Dio. Ma ahimè! Oggi l’orazione devota viene guastata con una mescolanza avariata, cioè con la resina della vanagloria, come negli ipocriti, e con la gomma del denaro come nei chierici sventurati che pregano e celebrano le messe per i soldi. La vera devozione si infiamma del fuoco dell’amore divino, mentre quella guastata dalla vanità manda fumo, e quella corrotta dalla cupidigia si squaglia.

L’albero della mirra si spinge fino a cinque cubiti di altezza. Il succo che da esso emana spontaneamente è ritenuto più pregiato, mentre lo è meno quello estratto tagliando la corteccia. 
La mirra, così chiamata da “amarezza”, simboleggia l’amara sofferenza del cuore o del corpo, il cui primo cùbito è il pensiero della morte, il secondo la presenza del giudice severo nel giudizio, il terzo la sua sentenza irrevocabile, il quarto la geen­na inestinguibile, il quinto la compagnia di tutti gli uomini perversi e la penitenza (lat. poena tenax), cioè i tormenti assolutamente inevitabili e continui inflitti dai demoni.
Se la sofferenza esce spontaneamente da quest’albero, è più preziosa, cioè più accètta a Dio; invece quella che è prodotta dalle ferite delle infermità o delle avversità, ha minor valore.


8. I Magi dunque “offrirono al Signore oro, incenso e mirra”. Così anche i veri penitenti gli offrono l’oro della totale povertà, l’incenso della devota orazione, la mirra della volontaria sofferenza
E fa’ attenzione che l’incenso della devota orazione e la mirra della salutare penitenza non si trovano se non in Arabia, cioè nella santa chiesa. 
Quelli che vogliono conservarle e coglierne i frutti, devono allontanare se stessi dal cadavere del denaro accumulato ingiustamente, sul quale gli avari si gettano come il corvo sulla carogna, e dai contatti lussuriosi.
Supplichiamo dunque il Signore che ci conceda di offrirgli questi tre doni, per poter poi regnare con lui, che è benedetto nei secoli. Amen.
AMDG et BVM

martedì 6 gennaio 2015

S.Leone Magno PRIMO DISCORSO TENUTO NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA

S.Leone Magno 
 

PRIMO DISCORSO TENUTO NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA
I - Cristo rivelato dalla stella
E' poco tempo che abbiamo celebrato il giorno nel quale la Vergine intemerata ha dato alla luce il Salvatore del genere umano. Ora, dilettissimi, la veneranda festività dell'Epifania ci fa prolungare le gioie, affinché tra i misteri, così vicini con solennità tra loro connesse, la nota di esultanza e il fervore della fede, non si affievoliscano. Rientra nel disegno di salvezza, rivolto a tutti gli uomini, il fatto che quel Pargoletto, Mediatore tra Dio e gli uomini, sia stato rivelato a tutto il mondo, quando ancora era nella ristretta cerchia di un minuscolo paesello. Infatti, nonostante che egli abbia eletta la gente d'Israele e tra tutti gli israeliti una sola famiglia da cui assumere la natura comune a tutti gli uomini, non ha voluto che la sua nascita rimanesse nascosta nell'ambito della materna abitazione. Colui che si è degnato nascere per tutti, ha voluto essere subito conosciuto da tutti.
Per questo ai tre Magi apparve in Oriente una stella di straordinaria luminosità, la quale, perché più fulgida e più bella delle altre stelle, facilmente attrasse la loro attenzione, mentre la rimiravano; così poterono rendersi conto che non avveniva a caso ciò che a loro sembrava tanto insolito. Infatti, colui che aveva dato il segno, diede a quelli che l'osservavano anche la grazia di comprenderlo. E poi fece ricercare ciò che aveva fatto comprendere e, ricercato, si fece trovare .
II - L'inganno di Erode e la fede dei Magi
I tre uomini assecondarono l'impulso della celeste illuminazione e mentre accompagnano con attenta contemplazione la scia di luce che li precede, sono guidati alla conoscenza della verità dallo splendore della grazia. Ed essi con buoni motivi pensano bene di ricercare nella città regale il luogo della nascita del Re, loro indicato. Ma chi aveva preso forma di servo ed era venuto non a giudicare ma a essere giudicato, scelse Betlemme per la nascita, Gerusalemme per la passione.
Intanto Erode, ascoltando che era nato il Re dei Giudei, temette di averlo come successore e macchinando la morte al portatore di salvezza, promise falsamente che gli avrebbe portato venerazione. Quanto sarebbe stato felice se avesse imitato la fede dei Magi e mutato in sincero culto ciò che architettava con intenzione fraudolenta! Oh cieca empietà e folle invidia che credi di rovesciare con il tuo furore il piano divino! Ma il Signore del mondo, che offre un regno eterno, non cerca un trono temporale. Perché tenti di rovesciare la serie degli avvenimenti, immutabilmente disposta, e cerchi di anticipare un delitto che commetteranno altri? La morte di Cristo non appartiene al tuo tempo. Bisogna che prima si dia principio al Vangelo; prima si deve predicare il regno di Dio, ridonare miracolosamente la salute e compiere molti altri prodigi. Perché vuoi far tuo il delitto che sarà opera di altri nel futuro? Tu non avrai altro risultato del tuo misfatto se non quello di caricarti con la tua intenzione di un tanto grande reato. Con tale macchinazione non fai un passo avanti; non combini nulla, perché egli, che è nato per spontanea volontà, per sua libera potestà morirà.
Dunque, i Magi realizzano il loro desiderio e sotto la guida della stella che li precede, giungono nel luogo ove è Gesù Cristo, il Signore bambino. Adorano il Verbo nella carne, la Sapienza nella infanzia, la Virtù nella debolezza e il Signore della maestà nella realtà dell'uomo. E perché manifestino il mistero che credono e comprendono, significano con i doni quello che credono con il cuore. Offrono l'incenso a Dio, la mirra all'uomo, l'oro al re, venerando consapevolmente l'unione della natura divina e di quella umana, perché Cristo, pure essendo nelle proprietà delle due nature, non era diviso nella potenza.
Ecco, i Magi tornano al loro paese; e Gesù per un avviso divino è trasportato in Egitto. E' adesso che la follia di Erode arde inutilmente fra i suoi disegni occulti; egli comanda che in Betlemme siano uccisi tutti i bambini. Con una sentenza generale va contro la tenera età, divenutagli sospetta, perché non conosce precisamente il bimbo che egli teme. Ma quei che l'empio re toglie dal mondo, Cristo trapianta nel cielo; e concede l'onore del martirio a coloro per i quali non ha ancora versato il suo sangue redentore.
III - Le virtù del cristiano
Pertanto, dilettissimi, elevate gli animi fedeli alla fulgida grazia della luce eterna e venerando i misteri, compiuti per la salvezza degli uomini, volgete la vostra assidua attenzione alle opere per voi fatte. Amate la casta purità, perché Cristo è il figlio della verginità. «Astenetevi dalle passioni della carne che lottano contro l'anima», come l'Apostolo stesso presente in mezzo a noi, ci esorta nella sua lettera. «Nella malizia fatevi bambini», perché il Signore della gloria si è abbassato alla infanzia dei mortali. Praticate l'umiltà che il Figlio di Dio si è degnato insegnare ai suoi discepoli. Rivestitevi della virtù della pazienza, al fine di poter essere padroni delle vostre anime; Egli che è la redenzione di tutti, è pure di tutti la fortezza. «Aspirate alle cose di lassù e non a quelle che sono sulla terra». Camminate costantemente per la via della verità e della vita. Non vi lasciate ostacolare da cose terrene, voi per cui sono preparate le cose celesti. Per Gesù Cristo, nostro Signore, il quale vive e regna con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.