giovedì 31 ottobre 2019

Solennità di Tutti i Santi

Tutti i Santi
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Festeggiare tutti i santi è guardare coloro che già posseggono l’eredità della gloria eterna. Quelli che hanno voluto vivere della loro grazia di figli adottivi, che hanno lasciato che la misericordia del Padre vivificasse ogni istante della loro vita, ogni fibra del loro cuore. I santi contemplano il volto di Dio e gioiscono appieno di questa visione. Sono i fratelli maggiori che la Chiesa ci propone come modelli perché, peccatori come ognuno di noi, tutti hanno accettato di lasciarsi incontrare da Gesù, attraverso i loro desideri, le loro debolezze, le loro sofferenze, e anche le loro tristezze.

Questa beatitudine che dà loro il condividere in questo momento la vita stessa della Santa Trinità è un frutto di sovrabbondanza che il sangue di Cristo ha loro acquistato. Nonostante le notti, attraverso le purificazioni costanti che l’amore esige per essere vero amore, e a volte al di là di ogni speranza umana, tutti hanno voluto lasciarsi bruciare dall’amore e scomparire affinché Gesù fosse progressivamente tutto in loro. E' Maria, la Regina di tutti i Santi, che li ha instancabilmente riportati a questa via di povertà, è al suo seguito che essi hanno imparato a ricevere tutto come un dono gratuito del Figlio; è con lei che essi vivono attualmente, nascosti nel segreto del Padre.


Martirologio Romano: Solennità di tutti i Santi uniti con Cristo nella gloria: oggi, in un unico giubilo di festa la Chiesa ancora pellegrina sulla terra venera la memoria di coloro della cui compagnia esulta il cielo, per essere incitata dal loro esempio, allietata dalla loro protezione e coronata dalla loro vittoria davanti alla maestà divina nei secoli eterni.

«Oggi, o Padre, ci dai la gioia di contemplare la città del cielo, la santa Gerusalemme che è nostra madre» canta la  Santa  Chiesa  nel  Prefazio  della Messa  di questa luminosa solennità, “Pasqua dell’autunno”, nella quale «in un unico giubilo di festa – dice il Martirologio Romano  –  la  Chiesa  ancora  pellegrina  sulla  terra  venera  la  memoria  di  coloro  della  cui compagnia esulta il cielo».
La Chiesa non contempla se stessa. Può capitare che lo facciano singoli credenti, o anche intere comunità, ma la Chiesa, Sposa di Cristo, è il suo Sposo che contempla!

Mentre si rallegra di tanta parte di sé già nella gloria eterna, è Lui che la Chiesa contempla e, se vede se stessa, vede ciò che veramente essa è: opera del Salvatore; redenta dal Sangue dell’Agnello; consapevole che il bene che è in lei, e di cui ringrazia e gioisce, viene dalla Grazia di Dio ed il male presente, di cui soffre ed invita all’umile pentimento, è frutto della fragilità degli uomini.

La Chiesa guarda con gioia gli innumerevoli suoi figli che hanno raggiunto la meta, ma sa che essi, come ha detto san Giovanni (Ap.7,2-4.9-14), «sono quelli che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» e sostenuti dalla Grazia hanno testimoniato la fede: alcuni come martiri in persecuzioni cruente, poiché coraggiosamente hanno assunto come criterio di valutazione la Parola del Signore, non l’opinione propria o di altri; alcuni come discepoli di Cristo nel cammino quotidiano della vita: alcuni “grandi”, che hanno impegnato doti elevate in opere straordinarie, altri “piccoli” che hanno vissuto senza grandi imprese; una schiera di uomini e donne che «hanno cercano il volto di Dio», (cfr. Sal. 23) rivelatosi nel volto di Gesù che proclama «beati», felici – (Mt 5,1-12) – «i poveri in spirito», coloro che sono «nel pianto», i «miti»,   «quelli che hanno fame e sete della giustizia», i «misericordiosi», i «puri di cuore», gli «operatori di pace», i «perseguitati per la giustizia» e per «causa Sua»; uomini e donne, giovani e adulti, che hanno conosciuto il peccato e i limiti della creatura umana, ma hanno lottato in un cammino di conversione a Cristo dentro le situazioni e le circostanze del viaggio terreno ed hanno fatto esperienza della misericordia di Dio, della pace che Dio dona e di cui quel martellante “Beati ” nel discorso della Montagna rivela le condizioni.

Incamminati anche noi verso «la città del cielo», destino, meta del nostro vivere sulla terra, la contempliamo, ripetendo una stupenda preghiera con la gioia e la fiducia con cui la compose Giovanni da Fécamp, nipote di san Guglielmo di Volpiano che fondò l’abbazia di S. Benigno Canavese e morì anch’egli nel monastero di Fécamp in Normandia; la facciamo nostra, consapevoli che il cammino di fede consiste nel dare a Dio, ma prima ancora nell’accogliere da Lui i Suoi doni, poiché è il Suo amore accolto ed assaporato che ci mette in movimento, e la santità che ci è proposta è consegnarci al Suo Amore, come fu per i discepoli chiamati a Sé da Gesù e che «si avvicinarono a lui», come abbiamo ascoltato nel Vangelo.

«O Casa luminosa e bellissima, io ho sempre amato il tuo splendore, il luogo dove abita la gloria del mio Signore, Colui che ti ha costruita e ti possiede. Sospiri a te il mio cammino quaggiù: io grido a Colui che ti ha fatta perché dentro le tue mura Egli possiede anche me. Io sono andato errando come una pecora smarrita, ma sulle spalle del mio Pastore, che è il tuo architetto, io spero di essere ricondotto a te.
Gerusalemme, città eterna di Dio, non si scordi di te l’anima mia. Dopo l’amore per Cristo sii tu la mia gioia ed il dolce ricordo del tuo nome beato mi sollevi da ogni triste zza e da tutto ciò che mi opprime».
     La «casa luminosa e bellissima», meta del nostro pellegrinaggio sulla terra – ci fa comprendere il monaco Giovanni – è opera di Cristo che con la Sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione ci ha aperto la strada per il cielo, Lui che ha detto: Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo, e che con la Sua presenza misteriosa e reale ci sostiene nel cammino verso il traguardo.
Raggiungere questa meta è l’essenziale della vita, di questa vita che è bella non perché sia sempre piacevole, ma perché è iscritta in un Mistero d’Amore e destinata a costituire la Città eterna della quale, già ora, io sono pietra che il divino Architetto prepara lavorandola con lo scalpello del Suo amore misericordioso.

«Sospiri a te il mio cammino quaggiù» Gli diciamo con il monaco Giovanni. Questo sospiro è la voce più vera del nostro essere che manifesta l’insopprimibile desiderio di felicità posto da Dio nel cuore umano: un cuore che chiede l’Eternità, poiché è fatto così dal Creatore: per una totalità, per una pienezza: poiché per meno di tutto non vale la pena!

«Io grido a Colui che ti ha fatta, perché dentro le tue mura Egli possiede anche me ». E’ la preghiera che dalla Chiesa oggi sale al Signore con intensità speciale. La facciamo nostra perché sappiamo che anche noi «siamo andati errando come pecora smarrita», ma  «sulle spalle del Pastore, speriamo di essere ricondotti a Lui» e ci «protendiamo» perciò «nella corsa per afferrarlo noi che già siamo stati afferrati da Cristo» (cfr. Fil.3,12).

I nostri Santi, tutti i fratelli e le sorelle che abbiamo nella Gerusalemme del cielo, come amici e modelli di vita ci accompagnano nel viaggio. Noi li guardiamo commossi e con il monaco Giovanni diciamo: «Gerusalemme, città eterna di Dio, non si scordi di te l’anima mia. Il dolce ricordo del tuo nome beato mi sollevi da ogni tristezza e da tutto ciò che mi opprime».
Autore: Mons. Edoardo Aldo Cerrato CO

AMDG et DVM

Per nascondere bufala

ULTIME NOTIZIE: Dead Men Don't Talk: sigilli della US Navy distrutti per nascondere la bufala dell'esecuzione di Bin Laden di Washington?


L'eliminazione di 30 forze speciali statunitensi nello schianto di un elicottero Chinook in Afghanistan arriva in un momento in cui la versione ufficiale di Washington di come ha effettuato l'assassinio di Osama bin Laden stava cadendo a pezzi dall'incredulità.
Tra i 38 morti nel disastro dell'elicottero - la più grande singola perdita di vite americane nella decennale guerra di occupazione in Afghanistan - si ritiene che siano stati 17 sigilli della Marina americana. I morti includono anche altri membri delle forze speciali statunitensi e commando afghani.
I primi resoconti dei media occidentali indicano che il Chinook potrebbe essere stato coinvolto in una significativa operazione militare contro i militanti afgani quando è caduto nella provincia di Wardak, non lontano a ovest della capitale, Kabul, all'inizio di sabato.
È stato riferito che fonti talebane hanno affermato che i suoi militanti hanno abbattuto il Chinook con un razzo.
Funzionari militari statunitensi affermano che stanno indagando sulla causa dell'incidente.
Tuttavia, significativamente, fonti statunitensi senza nome hanno detto ai media che credono che l'elicottero sia stato abbattuto. Questo briefing non ufficiale degli Stati Uniti sembra un po 'strano. Perché fonti militari statunitensi vorrebbero consegnare ai combattenti nemici uno straordinario colpo di propaganda?
Forse, serve agli interessi degli Stati Uniti deviare dal vero motivo e dalla causa dell'incidente dell'elicottero, sia che sia stato colpito da un razzo o meno.
Funzionari statunitensi hanno ammesso che i morti Navy Seals facevano parte dell'unità Team Six che avrebbe effettuato l'assassinio a maggio della presunta mente dell'11 settembre Osama bin Laden.
Fin dall'inizio, il racconto di Washington su come le sue forze speciali hanno ucciso Bin Laden nel suo complesso residenziale ad Abbottabad, nel nord del Pakistan, è stato segnato da contraddizioni. Perché il Bin Laden liquidato fu seppellito in fretta in mare? In che modo il "n. 1 terrorista" al mondo potrebbe risiedere in modo evidente solo a miglia di distanza dal quartier generale militare pakistano a Rawalpindi?
Più evidentemente, diverse fonti informate sono convinte che Bin Laden sia morto per cause naturali anni fa. L'autore Ralph Schoenman ha respinto la presunta esecuzione del Navy Seal come "una grande bugia". Schoenman ha citato prove su questo argomento dell'ex primo ministro pakistano Benazir Bhutto, tra gli altri, per la loro conferma che Bin Laden era morto per insufficienza renale anni prima.
Più recentemente, come riporta Paul Craig Roberts [1], i locali pakistani hanno affermato che l'operazione Navy Seal ad Abbottabad si è conclusa in un disastro, con uno dei tre elicotteri statunitensi che esplode mentre decollava da terra vicino al complesso. Gli altri due elicotteri non erano atterrati e, secondo i testimoni, sono volati dalla scena immediatamente dopo l'esplosione. Come sottolinea Roberts, ciò significa che non c'era nessun cadavere di Bin Laden da sbarazzare in mare, come sostiene Washington.
Le persone chiave che saprebbero la verità sull'incredibile assassinio di Bin Laden a Washington non sono ora disponibili per un commento. Custodia sigillata.
Finian Cunningham è un corrispondente di ricerca globale con sede a Belfast, in Irlanda.
Correzione:
in una versione precedente di questo articolo, Ralph Schoenman era stato citato per errore affermando: “Ho intervistato diversi membri del servizio di intelligence pakistano e militanti e tutti hanno confermato che Bin Laden è morto per insufficienza renale oltre 10 anni [fa ].”
Gli incontri di Schoenman con i servizi segreti pakistani hanno preceduto il presunto assassinio di Osama Bin Laden. Questi incontri hanno riguardato il ruolo dell'intelligence statunitense negli eventi dell'11 settembre e la falsa affermazione che gli Stati Uniti hanno catturato e che ora detiene in custodia Khalid Sheikh Mohammed.
APPUNTI

mercoledì 30 ottobre 2019

Bernardo Tolomei: ce ne parla Papa Benedetto XVI

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Bernardo Tolomei (1272-1348)  


BERNARDO TOLOMEI  nacque a Siena  il 10 maggio 1272. Ricevette al battesimo il nome di Giovanni. Fu educato dai Frati Predicatori, nel Collegio di S. Domenico di Camporeggio, in Siena; fu promosso cavaliere (miles) dall’imperatore Rodolfo I d’Asburgo († 1291). Studiò materie giuridiche nella sua città di origine, dove fece anche parte della Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Notte, attivi nell’ospedale della Scala al servizio dei ricoverati. Una progressiva quasi totale cecità provocò la rinuncia ad una carriera pubblica.

In un’epoca di lotte fra le fazioni cittadine, per realizzare in modo più assoluto il proprio ideale cristiano ed ascetico, nel 1313, ormai quarantenne, insieme a due concittadini impegnati nella mercatura e nel commercio (il Beato Patrizio Patrizi † 1347 e il Beato Ambrogio Piccolomini † 1338), nobili senesi anch’essi appartenenti alla predetta Confraternita, allontanandosi da Siena, si ritirò nella solitudine di Accona, a circa 30 km. a sud-est della città. In quella regione Giovanni (che nel frattempo aveva assunto il nome di Bernardo, per venerazione nei confronti del santo abate cistercense), insieme con i suoi compagni condusse vita eremitica in alcune grotte scavate nel tufo. 

La vita penitente di questi laici eremiti era caratterizzata dalla preghiera, dalla lectio divina, dal lavoro manuale e dal silenzio. Altri compagni venuti da Siena, da Firenze e dalle regioni circostanti, si unirono presto a loro; il loro modello era la forma di vita degli Apostoli e dei primi monaci della Tebaide.

Verso la fine del 1318 o all’inizio del 1319, mentre un giorno era immerso nella preghiera, egli ebbe la percezione oculare di una scala sulla quale vide salire, aiutato dagli angeli, monaci vestiti di bianco, attesi da Gesù e Maria. Questa reminiscenza biblica costituisce un tema noto nella tradizione monastica, ma il cronista olivetano Antonio da Barga (nel 1450 ca.) assicura che Bernardo chiamò gli altri fratelli ed essi pure videro il segno della volontà divina nei loro riguardi, nella visione della “scala di Giacobbe”. Non erano sacerdoti, tuttavia, in base alla testimonianza di Antonio da Barga, “essi facevano celebrare i divini misteri da presbiteri devoti da loro conosciuti”.

Il cardinale Bertrando di Poyet, legato di Giovanni XXII allora residente in Avignone, venne a controllare l’osservanza del gruppo (tra il 1316 e il 1319). In ottemperanza alla Costituzione 13 del IV Concilio Lateranense (1315) che proibiva la fondazione di nuovi Ordini religiosi fino ad allora non approvati, per consolidare la posizione giuridica del nuovo gruppo, Bernardo, con Patrizio Patrizi, si recò dal vescovo di Arezzo Guido Tarlati di Pietramala, nella cui giurisdizione si trovava in quel tempo Accona. Ne ottenne un decreto di erezione per il futuro monastero di S. Maria di Monte Oliveto, da istituire “sub regula sancti Benedicti” (26 marzo 1319), con alcuni privilegi ed esenzioni; il vescovo accolse, tramite un legato (il presbitero Restauro, affiliato alla Confraternita dei Fustigati presso la chiesa della SS. Trinità in Arezzo), la loro professione monastica. Scegliendo la Regola di S. Benedetto, Bernardo dovette temperare la primitiva scelta eremitica, con l’adozione del cenobitismo benedettino; per il desiderio di onorare la Madonna, i fondatori indossarono un abito bianco: questa devozione mariana rimase in eredità alla spiritualità della Congregazione.

Il 1 aprile 1319 nacque dunque il monastero di Santa Maria di Monte Oliveto Maggiore, con la posa della prima pietra della chiesa, evento registrato da regolare documento steso dal notaio senese Giovanni del fu Ventura: il deserto di Accona era diventato “Monte Oliveto”, a ricordo del Monte degli Ulivi, su cui il Signore amava ritirarsi con i suoi discepoli e dove pregò prima della sua passione, e sito tradizionale dell’Ascensione. 
Gli eremiti divennero monaci secondo lo spirito della Regola di S. Benedetto, pur con alcuni mutamenti istituzionali, in un’epoca di relativa decadenza dell’Ordine monastico. L’elemento più caratteristico dell’evoluzione istituzionale fu la temporaneità della carica di abate: all’abate che doveva durare per sempre (semel abbas, semper abbas), il Capitolo Generale deliberò che il governo dell’abate dovesse durare solo un anno; inoltre l’eletto doveva essere confermato dal vescovo di Arezzo (documento del vescovo, 28 marzo 1324). Quando fu necessario eleggere un abate, Bernardo riuscì ad allontanare da sé la scelta dei monaci a causa della propria infermità visiva; pertanto fu eletto Patrizio Patrizi il 1° settembre 1319. Per altre due volte una scelta analoga fu ripetuta con l’elezione di Ambrogio Piccolomini, il 1° settembre 1320, e il 1° settembre 1321 con quella di Simone di Tura, da Siena († 1348). Il 1° settembre 1322, Bernardo non poté opporsi al desiderio dei suoi confratelli e divenne abate del monastero di cui era fondatore, funzione di governo che ricoprì fino alla morte. Un atto del 24 dicembre 1326 attesta che il Cardinale Giovanni Caetani Orsini († 1339), legato della Sede Apostolica, dispensò dal difetto visivo l’abate Bernardo, eletto nel 1322 a succedere a Simone di Tura.

Da Avignone, Clemente VI approvò la Congregazione allora formata da 10 monasteri, con due bolle (Vacantibus sub religionis: approvazione formale e canonica del nuovo Istituto; Sollicitudinis pastoralis officium: facoltà di erigere nuovi monasteri in Italia) del 21 gennaio 1344; per quella necessità, Bernardo non si era recato personalmente in Avignone, ma vi aveva inviato i monaci Simone Tendi e Michele Tani. Le direttive pontificie, emanate dalla bolla Summi magistri (20 giugno 1336) dal papa cistercense Benedetto XII, per riformare i monasteri benedettini, furono pienamente recepite dai Capitoli Generali olivetani.

Una prova significativa della eccezionale personalità spirituale di Bernardo consiste nel fatto che i monaci, pur avendo stabilito di non rieleggere l’abate al termine del suo mandato annuale, misero da parte tale disposizione, e per ventisette anni consecutivi fino alla morte, lo vollero nell’ufficio abbaziale, rieleggendolo alla scadenza di ogni anno: anzi, un atto estremo di fiducia nella paternità abbaziale si ebbe nel Capitolo Generale del 4 maggio 1347, quando i monaci gli concessero ampia facoltà di disporre di tutto senza dover previamente consultare il Capitolo e i fratelli, confidando nella sua santità che avrebbe disposto tutto in conformità alla volontà di Dio e per la salvezza di tutti. Ormai il cenobio di S. Maria di Monte Oliveto era diventato il centro di una Congregazione monastica guidata da un solo abate, mentre i singoli monasteri stavano sotto l’autorità di un prior. Bernardo tentò almeno due volte di lasciare l’ufficio abbaziale, nel 1326 e nel 1342, dichiarando al legato pontificio e ad esperti di diritto (Giovanni di Andrea e Arnoldo da Siena, poi Paolo de Hazariis, Andrea de Guarnariis e l’arcivescovo di Pisa, Dino da Radicofani) di non essere sacerdote per aver ricevuto soltanto gli Ordini minori, e adducendo inoltre l’avvenuta dispensa - per svolgere la funzione abbaziale - motivata da una persistente infermità visiva; ma il suo governo fu dichiarato pienamente legittimo anche secondo le norme canoniche di allora. Il suo misticismo ci è raccontato dalla tradizione dei suoi colloqui con il Crocifisso e da apparizioni di santi (per esempio San Michele).

Durante il suo abbaziato molti accorsero nel nuovo monastero da varie città. Il numero crescente dei monaci permise di accogliere le richieste di vescovi e di laici che volevano questi monaci bianchi nelle loro città e contadi, per cui Bernardo poté fondare altri dieci monasteri, strettamente legati all’abbazia principale, dalla quale ripetevano il nome, e retti da un priore. Per assicurare l’avvenire alla sua opera, Bernardo ottenne dal papa Clemente VI, il 21 gennaio 1344, l’approvazione pontificia di una nuova Congregazione benedettina, detta “S. Maria di Monte Oliveto”. In questo modo, Bernardo è l’iniziatore di un movimento monastico benedettino.

Bernardo lasciò ai suoi monaci un esempio di vita santa, di pratica delle virtù in grado eroico e un’esistenza dedita al servizio degli altri e alla contemplazione. Durante la Grande Peste del 1348, Bernardo lasciò la solitudine di Monte Oliveto per recarsi nel monastero di S. Benedetto a Porta Tufi, in Siena. Qui, assistendo i suoi concittadini e i monaci colpiti dall’infezione altamente contagiosa, morì egli stesso vittima della peste, con 82 monaci, in una data che la tradizione fissò al 20 agosto 1348. 
Questo eroe di penitenza e martire di carità non passò inosservato, come constatò Pio XII in una Lettera inviata all’Abate Generale D. Romualdo M. Zilianti l’11 aprile 1948, in occasione dell’imminente sesto centenario della morte del Beato. Da giovane, Bernardo aveva servito gli infermi in un ospedale di Siena; da anziano, a 76 anni, aiutò gli appestati senza temere un contagio che si rivelò fatale: una tale generosità non si improvvisa. Il venerato abate fu sepolto nelle vicinanze della chiesa del monastero senese. Tutti i cadaveri degli appestati furono deposti in fosse comuni, nella calce viva, fuori della chiesa; gli scavi successivi non hanno consentito di identificare le reliquie di Bernardo.

Di Bernardo rimangono frammenti di 48 lettere e una omelia. Le lettere emanano la fragranza di una sapienza letteraria e spirituale, rivelano il suo temperamento e lo definiscono implicitamente un uomo che della regola di S. Benedetto si era fatto seguace sincero; consentono di percepire la sua umiltà, la sua sensibilità, il suo spirito ecclesiale e comunitario, e di valutare la sua conoscenza della Sacra Scrittura.

Della sua devozione mariana sono segno la dedicazione alla Natività di Maria Vergine della chiesa di Monte Oliveto Maggiore e l’abito bianco.

Le soppressioni degli Ordini religiosi, nella Repubblica veneta nel 1771, poi nel Granducato di Toscana e nel regno di Napoli, e in seguito nella nuova Repubblica cisalpina nel 1808 e nel Regno d’Italia (periodo napoleonico, 1797-1814), e altrove nel secolo XIX, non consentirono di condurre a termine il Processo di canonizzazione. La restaurazione della Congregazione olivetana, dalla seconda metà del secolo XIX, culminò in un nuovo sviluppo e nella ripresa della Causa nel secolo XX.  




AMDG et DVM

Quanto bisogno di luce avete voi che governate la Terra. La luce viene da Dio. Egli solo è il Padre e generatore della Luce. Rimanete dunque sotto al suo raggio santo, seguite la Luce, nonripudiatela per le Tenebre.

QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 161

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

30 ottobre 1943

   1Dice Gesù: 
   «Leggiamo insieme la Sapienza. Ha inizio con la esortazione, tante volte da Me dettata, a tutti i
potenti della terra perché siano potenti più in giustizia che in forza. 
   La forza non è un attributo di santità. Non mette l’uomo ad un livello superumano. Una sola è la forza che vi eleva: quella dello spirito. Ma quella è l’antitesi della forza che voi amate e ammirate come fosse una grande cosa.
   Voi amate la "violenza", la "prepotenza", la "ferocia", e questo trinomio lo chiamate "forza" e la venerate con temenza come la belva alla catena teme l’imperio2 del domatore. Ma badate che quella forza è comune ai bruti. Forza unicamente di carne e sangue, vi fa commettere azioni di carne e sangue. E perciò ben raramente è giustizia.

   L’ho detto3 e lo ripeto: "Voi, potenti, siete tali finché io lo permetto e non oltre". Cosa è dunque questo agitare la frusta sopra coloro che non hanno una autorità specifica? Spogliàti di quella veste che vi è venuta per eredità, se siete dei re, o per fortuna e astuzia, se siete dei dignitari, dei ministri, dei capi di provincia dei capi-paese, dei direttori di un istituto, di una fabbrica, di un ufficio, di un convento, cosa siete voi di diverso dagli altri? Nulla.
   Molte volte i vostri inferiori sono più meritevoli di voi di quel posto. Meritevoli umanamente e soprattutto spiritualmente. Pensatelo sempre che se anche per paura essi tacciono, vi giudicano e vi giudica iddio, che meglio di tutti vede le vostre azioni e il vostro essere delle dorate e incoronate statue di fango, e fango nero del più corrotto stagno. i bugiardi e obbligati ossequi con cui volete essere incensati, fanno ribrezzo a Dio, il quale perdona a quelli, fra le folle, che ve li fanno perché forzati a farlo, e maledice voi e gli altri: idolatri di voi al punto da credervi dèi a di darvi quel culto di onore e rispetto che a Me non dànno.

   Uno solo è Dio. Colui che ha fatto la terra su cui voi imperate nel vostro breve giorno e col vostro stolto o crudele orgoglio. Se volete esser veramente dei "grandi", dei "forti", attingete questa grandezza e questa fortezza dal Grande e Potente: da Dio, seguendo la sua Parola, restando in Lui come figli. Non siete da più dell’ultimo fra i nati di donna, rispetto a Dio che è il Padre Creatore di tutti e che può tenere sul cuore come perla preziosa il povero che voi sprezzate, a Lui diletto per la sua santità, mentre guarda con rimprovero voi che lo sfidate dall’alto del vostro seggio precario.

   Quanto bisogno di luce avete voi che governate la Terra. La luce viene da Dio. Egli solo è il Padre e generatore della Luce. Rimanete dunque sotto al suo raggio santo, seguite la Luce, nonripudiatela per le Tenebre. 
 Cercate il Signore per vostro consigliere. Egli non è uno di quegli stolti, bugiardi, interessati consiglieri, che vi stanno intorno, adulandovi e eccitando i vostri istinti peggiori o per spirito servile o per interessato piano di trarvi in errore per creare la vostra caduta e sostituirsi a voi4 sul seggio da cui siete caduti.
  Ma non pensate di cercarlo, questo Signore santo e onniveggente, con menzogna di intenti. Maledetti coloro che sempre mi nominano, e con Me la Provvidenza mia, per illudere le folle fingendosi agnelli mentre sono lupi. Quel Nome grande e potente, che tuona e splende come sole benedetto sui buoni e come folgore sui malvagi di questa terra e della dimora di Satana, diviene sulle loro labbra blasfeme carbone che scende ad ardere il cuore.
   Io sono dove un figlio mi chiama. Ma non convalido del mio aiuto le opere dei malvagi. Pensate, o uomini, che i loro trionfi effimeri, che vi fanno credere che io sia con loro e dubitare della Giustizia mia, non sono venuti da Me. È il loro duce e padre: è Satana, che glie li concede come a suoi figli e militi devoti, per creare ad essi un sempre più grande tormento dopo la morte.
   Io sono dove è un fedele che crede in Me. Ma costoro non sono fedeli.
Se lo fossero, osserverebbero la mia Parola e la Volontà di Chi mi ha mandato. Invece essi calpestano la prima, disubbidiscono alla seconda e offendono lo Spirito Santo uccidendo il loro spirito con l’odio contrario all’amore, con la lussuria profanatrice, con la superbia corruttrice di anime.Sono barche senza timone prese da vento e da corrente malvagia. Vanno sempre più lontano dalla mèta che è Dio e finiscono a perire nel pozzo d’abisso.
   Quando un cuore è pieno di pensieri di carne o di pensieri d’inferno, quintessenza dei pensieri di carne, come può entrarvi Iddio con le sue luci? Quando un cuore, già di Dio, se ne separa male operando, come può continuare il mio Spirito ad essergli maestro?
   Sono il Misericorde. Compatisco e perdono. Tanto perdono. Perdono quello che vi vedo fare per debolezza umana, non quello fatto con freddo calcolo umano. E non sarò mai tanto severo giudice come con chi, col suo pensiero venduto a Satana, compie più delitti di un bandito, induce altri a compierne, e soprattutto compie il delitto dei delitti: quello di indurre gli animi a dubitare di Dio.
   Oggi questo delitto di omicidio e di deicidio è privativa di non pochi. Uccidono corpi ed anime e uccidono l’idea di Dio nelle anime rendendole cieche come orbite vuote.
   Troppo tardi le folle distinguono. Ma io vedo nel momento che pensate ed agite, e voi tutti, empi della carne e dello spirito, sarete giudicati con severissimo giudizio.»

   1 La scrittrice aggiunge a matita: Cap. 1° e (due parole illeggibili) 11 
   2 imperio è nostra correzione da impeio 
   3 Nel dettato del 23 ottobre, pag. 328.
   4 a voi è nostra correzione da ad essi

Natuzza Evolo: nel racconto di Fortunata la nipote








Fortunata e la nonna

La grande aurora boreale del 1938 in Friuli


La grande aurora boreale del 1938 in Friuli

Tra i molti racconti di vita e di Storia ascoltati dalla voce dei nonni materni c’è n’è uno che mi è rimasto particolarmente impresso, relativo a ciò che essi videro nel cielo del Friuli nella tarda serata di Martedì 25 Gennaio 1938: la più grande aurora boreale che si sia manifestata in epoca moderna alle nostre latitudini.
“Dopo cena, a Ponente e sopra di noi il cielo si fece di un rosso molto intenso, come se alle spalle del Monte di Ragogna si fosse sviluppato un enorme incendio. Lo fendevano ampi fasci di luce, dai colori simili a quelli dell’arcobaleno e così potenti da illuminare la notte, come al chiaro di Luna. Le stelle brillavano in modo straordinario e ci sembravano molto più vicine. Il fenomeno si protrasse a lungo, suscitando in noi profonda ammirazione ed altrettanto turbamento. In strada, nei cortili e nelle case era opinione diffusa che quell’improvviso, misterioso e grandioso evento celeste fosse il presagio di una prossima sventura”.
La diretta testimonianza dei nonni è fedelmente confermata da quanto scrive il “Corriere della Sera” nelle sue “ultimissime” di quel giorno. Dopo aver riferito di come l’aurora boreale sia stata variamente osservata in tutta Italia, da Torino a Roma, da Domodossola a Como e Venezia, il celebre quotidiano milanese si sofferma su come essa sia apparsa nella nostra Regione ed in particolare sul Carso:
Gli abitanti di parte dell’altopiano carsico hanno visto, invece, verso le 22, tutta la volta del cielo verso Occidente improvvisamente accesa di un rosso vivo, come per riflesso di un gigantesco incendio. Subito dopo, sempre da Occidente, sono spuntati all’orizzonte, disponendosi a ventaglio in alto, lunghi fasci di luce multicolori, quasi che il cielo fosse tagliato dalle lame lucenti di migliaia di riflettori. Il fenomeno, verificatosi con un’atmosfera perfettamente limpida e serena, si è esteso in breve da Occidente a Nord e verso Oriente, invadendo quasi tutta la linea dell’orizzonte e lasciando sgombro soltanto il settore marino del sottostante Golfo di Trieste, sul quale pareva quell’ora una leggera nebbia.
L’altrettanto noto quotidiano torinese “La Stampa”, nella sua edizione del 26 Gennaio, riporta:
Il Comm. Malignani di Udine, appassionato di astronomia e meteorologia, il quale lo ha ammirato in tutte le sue fasi dal suo osservatorio, ha definito il fenomeno un riverbero di aurora boreale, della stessa natura di quello che circa sessant’anni fa fu osservato a Udine.
La conferma viene dallo stesso “Popolo del Friuli”:
Un fenomeno interessantissimo e molto raro si è verificato ieri sera, destando non poca curiosità. (…) È apparso verso le ore 21, con un bagliore rossastro in direzione nord, che in breve si è dileguato gradatamente. Mezz’ora dopo si ripeteva più alto e più vasto, formando un’estesa fascia rossa sulla linea est-ovest centrata verso il nord. Questa immensa nube folgorante tendeva a spostarsi verso nord-ovest ed agli occhi dell’attento e stupito osservatore (il Cavaliere del Lavoro Comm. Malignani) lentamente e progressivamente cambiava colore per assumere verso le 22 una tinta verde. È stato un fenomeno non solo rarissimo ma anche particolarmente rimarchevole per le sue proporzioni. Infatti questa aurora boreale si spingeva fino alle Alpi, che per il riflesso luminoso si profilavano suggestivamente nonostante la serata senza Luna.
Arturo Malignani
Arturo Malignani.
In effetti, in Italia analoghi fenomeni, sebbene di intensità inferiore, risalivano al 1848, al 1859, al 1870 ed appunto al 4 Febbraio 18724. Intervistando i massimi esperti dell’epoca, ovvero i direttori degli Osservatori astronomici sparsi nella penisola, tra i quali quello di Torino, di Monte Mario in Roma e dello Ximeniano di Firenze, la stampa attribuì l’evento di “eccezionale luminosità”, “di un’ estensione ed intensità senza pari”, alla “grande agitazione solare” rilevata in quel periodo ed alle “vaste macchie visibili sulla superficie del sole”.
Apparsa in Italia poco dopo le ore 19 del 25 gennaio e protrattasi in alcune zone fin dopo l’una del giorno 26, l’aurora boreale fu ampiamente visibile in tutto il Vecchio Continente, da Oslo a Londra, dalle coste della Normandia all’Olanda, in Belgio e Svizzera, in Baviera ed Austria, in tutta l’Europa centrale e sud-orientale, in Spagna, Gibilterra e Nord Africa, in Grecia e nella Crimea sovietica. I “fantastici splendori” di quella notte, comparsi anche negli Stati Uniti, in Canada ed alle Bermuda, furono preceduti e poi accompagnati da autentiche tempeste magnetiche con sensibili perturbazioni nelle comunicazioni telegrafiche e telefoniche, nonché nelle trasmissioni radio, specie quelle in onde corte. Violente oscillazioni colpirono anche gli aghi delle bussole di navi ed aerei. Lo attestano anche i giornali di bordo degli equipaggi della squadriglia dei “Sorci Verdi”, vanto dell’allora “Ala fascista”, impegnati proprio in quelle ore nella celebre trasvolata oceanica intercontinentale Roma – Dakar – Rio de Janeiro. Già a mezzogiorno del 25 Gennaio, in volo sull’Atlantico ai comandi del suo “Sparviero”, ovvero il “Savoia Marchetti S79T”, è lo stesso Bruno Mussolini, 19 anni, figlio del Duce, a segnalare la difficoltà di ascoltare la stazione radio di Guidonia (la base di partenza) e, complici le avverse condizioni meteo, di effettuare i rilevamenti radiogoniometrici con il sestante, “prima di perdere la visione del sole”.
Ovunque i testimoni furono convinti di trovarsi in presenza di un vastissimo incendio, tanto che quella notte le chiamate ai pompieri furono migliaia. Gli scienziati dell’Università di Grenoble affermarono che in Europa Occidentale non si vedeva nulla di simile dal 1709. L’altezza stimata dell’aurora da terra fu di 350 chilometri. Moltissimi i resoconti oculari:
Sulla Manica, per più di due ore una vasta luminescenza di color giallastro si è manifestata a settentrione mentre il sole allo zenith si colorava di un rosso violaceo, con zone verdognole e turchine. In certi momenti fasci di luce bianchissima si sprigionavano in linee parallele, rendendo ancor più pittoresco il fenomeno. Il cielo era terso e le stelle brillavano di vivo splendore. Da varie città della costa meridionale numerosi aeroplani si sono levati in volo, portando a bordo passeggeri desiderosi di godere in aria l’eccezionale spettacolo”. “A Vienna il fenomeno è durato dalle ore 20 alle 22: il cielo a settentrione aveva assunto l’aspetto di una grande parete drappeggiata di rosso e attraversata da strisce orizzontali bianche. Dal lato inferiore si dipartiva un arco verde.8
La grande aurora apparve anche nel cielo del Portogallo, destando profonda impressione. In molti gridarono “alla fine del mondo”. Come noto, Suor Lucia Dos Santos, veggente di Fatima, interpretò quell’evento celeste come il segno divino di cui la Madonna le avrebbe parlato nel messaggio del 13 luglio 1917:
Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta, sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per castigare il mondo per i suoi crimini, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre.(…)
Nei drammatici giorni dell’immediata vigilia dell’effettivo inizio della Seconda Guerra Mondiale la profezia parve avere ulteriori riscontri. Lo si evince da quanto accadde nel famoso chalet di Adolf Hitler, nell’Obersalzberg bavarese, a ridosso del Berchtesgaden, la notte del 22 agosto 1939. A raccontarlo, nelle sue “Memorie del Terzo Reich”, è nientemeno che Albert Speer, l’architetto del nazismo:
Quella notte ci intrattenemmo con Hitler sulla terrazza del Berghof ad ammirare un raro fenomeno celeste: per circa un’ ora, un’ intensa aurora boreale illuminò di luce rossa il leggendario Untersberg che ci stava di fronte, mentre la volta del cielo era una tavolozza di tutti i colori dell’ arcobaleno. L’ ultimo atto del «Crepuscolo degli dei» non avrebbe potuto essere messo in scena in modo più efficace. Anche i nostri volti e le nostre mani erano tinti di un rosso innaturale. Lo spettacolo produsse nelle nostre menti una profonda inquietudine.
Affascinato e rivolto a Nicolaus von Below, capitano della Luftwaffe ed uno dei suoi più fedeli consiglieri militari, il Führer disse: “Sembra una grande massa di sangue. Questa volta non raggiungeremo il successo senza usare la forza”.
Il giorno dopo, al Kremlino di Mosca venne solennemente firmato il famigerato “Patto di non aggressione” nazi-sovietico “Molotov – Ribbentrop”, al quale era allegato il protocollo segreto di spartizione dell’area baltica e dell’Europa centro-orientale. Una settimana più tardi, il 1º settembre 1939, le armate tedesche invasero la Polonia. La Seconda Guerra Mondiale ebbe ufficialmente inizio.
Jurij Cozianin
UIOGD

Educazione? Certo! Ma diobolica

  • INFANZIA E ABUSI

Original play, il gioco che spaventa i genitori tedeschi


Si chiama Original play ed è un'attività diffusa nelle scuole tedesche e austriache che consiste in una specie di lotta corpo a corpo tra bambini e educatori adulti. Per il suo ideatore serve per imparare modalità di rapporto prive di aggressività. Ma sull'iniziativa pendono le accuse gravi di veri e propri abusi dopo la segnalazione di alcuni bambini traumatizzati. La Procura di Baviera sospetta un potenziale rischio pedofilia. E gli psicologi mettono in guardia: la lotta libera coi bambini fa bene, ma devono farla solo i genitori. 

Non capita tutti i giorni, a un sacerdote, di ritrovarsi davanti un politico dell’importanza di Biden.

  • IL CANDIDATO È ABORTISTA

Niente comunione a Biden: l'esempio di padre Morey

Un sacerdote della Carolina del Sud si è trovato davanti per la comunione nientemeno che il candidato presidente Biden. Riconosciuto, gliel'ha rifiutata perché pubblicamete favorevole alla legge sull'aborto. Ha sfidato così un possibile inquilino della Casa Bianca, ma anche il clerically correct. E ha ricordato che sul diritto alla vita la Chiesa non scherza. E, soprattutto, non transige.
C’è un sacerdote nella Carolina del Sud. Si potrebbe commentare così, un po’ alla Bertolt Brecht, il coraggioso gesto di padre Robert E. Morey, sacerdote della chiesa di Saint Anthony, Florence, il quale domenica scorsa si è reso responsabile di una decisione che si è subito guadagnata risonanza mondiale. Già, perché Morey ha di certo avuto coraggio quando, riconosciutolo tra i fedeli durante la messa, ha negato la comunione nientemeno che a Joe Biden, candidato per la nomination democratica nelle elezioni presidenziali del 2020 e che era da quelle parti per la sua campagna elettorale. Un signore, insomma, che potrebbe diventare Presidente degli Stati Uniti e che, sotto l’amministrazione Obama, dal 2009 al 2017, è già stato il primo vicepresidente cattolico della storia americana.
Come mai allora il sacerdote ha agito così? Semplice: perché Biden, rivedendo la sua posizione storicamente più conservatrice sui temi etici rispetto agli altri esponenti del suo partito, pochi mesi or sono ha cambiato idea sull’emendamento Hyde, che da 40 anni vieta di utilizzare i soldi dei contribuenti per gli aborti, eccetto che in caso di stupro, incesto o se la vita della madre è in pericolo. «I diritti delle donne e l’assistenza sanitaria sono sotto attacco in un modo che cerca di riportare indietro ogni progresso che abbiamo fatto negli ultimi 50 anni» sono state, su Twitter, le parole del senatore democratico. Non solo.
Sempre Biden, in Carolina del Sud, ha manifestato netta contrarietà all’Heartbeat bill, letteralmente la «legge del battito del cuore», così chiamata perché volta a vietare l’aborto quando è possibile rilevare il battito cardiaco del nascituro. Per questo motivo domenica, padre Morey a Biden la comunione non l’ha data. «Qualunque personaggio pubblico che sostiene l'aborto», ha spiegato il sacerdote a seguito del suo gesto, «si pone da sé al di fuori della Chiesa cattolica. Ricorderò comunque il signor Biden nelle mie preghiere».
Un rifiuto, quello del sacerdote – il quale di legge se ne intende, dato che prima della vocazione è stato avvocato per 14 anni -, dalle solide basi giuridiche dato che il Codice di Diritto Canonico stabilisce che non devono essere ammessi «alla sacra Comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» (can. 915).
Ebbene, in questa categoria di persone «che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» rientrano pure i politici abortisti. Più che una convinzione interpreativa è un fatto, tanto che anche il vescovo di Spokane, monsignor Thomas Daly, in una lettera alla sua comunità del 1° febbraio di quest’anno ha scritto espressamente che «i politici che risiedono nella diocesi cattolica di Spokane e che ostinatamente perseverano nel loro sostegno pubblico all’aborto non dovrebbero ricevere la comunione senza prima riconciliarsi con Cristo e la Chiesa». Certo, un conto solo le regole ed un altro – specie ultimamente – la loro rigorosa applicazione.
Soprattutto, non capita tutti i giorni, a un sacerdote, di ritrovarsi davanti un politico dell’importanza di Biden. Quindi – per quanto, a ben vedere, un po’ tutti i democratici siano su posizioni abortiste – padre Morey ha davvero avuto coraggio. Per questo va ringraziato, anche perché c’è da scommettere che con il suo gesto non si sarà certo attirato le simpatie, per usare un eufemismo, di certo mondo cattolico che ormai bolla l’applicazione delle norme come fissazione rigorista, dimostrando un’allergia alla dottrina che sembra essere, quella sì, l’unica regola ammessa. Ma fortunatamente, nel mondo capita ancora di imbattersi in qualche padre Morey pronto a ricordare, con il suo esempio, che sul diritto alla vita la Chiesa non scherza. E, soprattutto, non transige.

AMDG et DVM

martedì 29 ottobre 2019

La simpatia di un uomo

Massimo Troisi – Ricomincio da te 2

Venticinque anni senza un artista che ho amato e amo molto. Massimo Troisi. Vado fiero di questa Italia, soprattutto del Sud, che partorisce l’intelligenza, la creatività, l’umorismo, l’Italia che Massimo Troisi continua a rappresentare nel mondo. Non vado fiero dell’Italia dei furbetti, dei mediocri che si rintanano nei loro giochetti, nei loro clan, nelle loro ghenghe e che, da destra a sinistra, fingono di fare qualcosa e di occuparsi di questo paese. Fingono, per l’appunto, senza essere artisti. Al massimo sono dei guitti, dei gigioni, delle soubrettes mancate, miserevoli creature che recitano male la propria parte, spesso dettata, male, da altri “registi”. L’onestà, il genio, la generosità inventiva, la serietà dell’artista, questi dovrebbero essere gli esempi da seguire. Ma una Repubblica di artisti non può esistere, è un’altra utopia, sognata da menti pulite, non corrotte e puntualmente sloggiate.
   Venticinque anni dopo, vado fiero di Massimo Troisi, e mi manca da morire. Se ne andò nell’anno della vittoria di Berlusconi, pare non volesse più restare in un paese che stava conoscendo sempre più il degrado, la decadenza, la scostumatezza. Berlusconi ha fatto scuola. Da lui sono partiti tutti gli altri, anche quelli che, a parole, lo avversavano. Gli scostumati si sono sentiti legittimati e hanno ottenuto consensi.
   Mi manca Massimo Troisi, e chissà come avrebbe commentato la situazione attuale, come avrebbe disegnato la nostra società nei suoi film. Sarebbe stato importante un suo contributo, una sua parola. Purtroppo siamo orfani, in mezzo a vivi che non valgono la metà di quanto valeva lui.
   Ci si sente più soli senza Massimo Troisi…
GaetanoIo dimane parto. Cioè dimane me ne vaco a Firenze, addu…addu zia Antonia…
LelloE ‘n’ata vota Firenze, e ‘n’ata vota zia Antonia, e poi nun parte maje.
GaetanoCioè, se ti sto dicendo che parto, parto… e po’ me ne vaco, Rafe’, nun ‘nce ‘a faccio cchiù! Cioè, chello che è stato è stato, basta! Ricomincio da tre!
LelloDa zero!
GaetanoEh?
LelloDa zero! Ricominci da zero!
GaetanoNossignore, ricomincio da… cioè, tre cose me so’ riuscite dint’ ‘a vita, pecché aggia perdere pure chelle? Che aggia ricomincia’ da zero?! Da tre!… Me ne vaco, nun ‘nce ‘a faccio cchiù…
LelloGaeta’, chi parte sa da che cosa fugge, ma non sa che cosa cerca.
GaetanoCioè comm’è ‘sta cosa? Chi parte…
Gaetano e Lello…sa da che cosa fugge ma non sa che cosa cerca.
GaetanoAzz, è bella, ‘o ssaje? L’hê fatta tu? Pare scemo tu eh, e invece…

continua…