Visualizzazione post con etichetta sofferenza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sofferenza. Mostra tutti i post

giovedì 16 febbraio 2017

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Benedetto XVI: Ogni Africano e ogni sofferente aiutano Cristo a portare la sua Croce (YouTube)



LINK DIRETTO SU YOUTUBE

Buona domenica carissimi amici!!!
Grazie al lavoro della nostra Gemma riascoltiamo e rileggiamo un importantissimo discorso di Benedetto XVI sulla sofferenza e sulle risposte che il Cristianesimo dà di fronte alle tante tragedie che avvengono nel mondo.
Il 19 marzo 2009, Solennità di San Giuseppe, in occasione del suo Viaggio Apostolico in Camerun, Benedetto XVI si recò al Centro Card. Paul Emile Léger di Yaoundé dove incontrò il mondo della sofferenza. Tenne un discorso fondamentale su questo tema richiamandosi alle Scritture e portando conforto ai malati.



INCONTRO CON IL MONDO DELLA SOFFERENZA

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Centro Card. Paul Emile Léger - CNRH di Yaoundé
Giovedì, 19 marzo 2009

Signori Cardinali,
Signora Ministro per gli Affari Sociali,
Signor Ministro della Sanità,
Cari fratelli nell’Episcopato e caro Monsignor Giuseppe Djida,
Signor Direttore del Centro Cardinal Léger,
Gentile personale assistenziale, cari malati,

ho vivamente desiderato trascorrere questi momenti con voi, e sono felice di potervi salutare. Un saluto particolare rivolgo a voi, fratelli e sorelle che portate il peso della malattia e della sofferenza. 
Voi sapete di non essere soli nella vostra sofferenza, perché Cristo stesso è solidale con coloro che soffrono. Egli rivela ai malati e agli infermi il posto che essi hanno nel cuore di Dio e nella società. 
L’evangelista Marco ci offre come esempio la guarigione della suocera di Pietro: “Senza attendere oltre – sta scritto - si parla a Gesù della malata. Gesù si avvicina a lei, la prende per mano e la fa alzare” (Mc 1,30-31). In questo passo del Vangelo noi vediamo Gesù vivere una giornata tra i malati per sollevarli. Egli ci rivela anche, con gesti concreti, la sua tenerezza e la sua benevola attenzione verso tutti quelli che hanno il cuore spezzato e il corpo ferito.

Da questo Centro, che porta il nome del Cardinale Paolo Emilio Léger, figlio del Canada, che venne tra voi per curare i corpi e le anime, io non dimentico coloro che, nelle loro case, negli ospedali, negli ambienti specializzati o nei dispensari, sono portatori di un handicap, sia motorio che mentale, né coloro che nella loro carne portano i segni delle violenze e delle guerre. 
Penso anche a tutti i malati, e specialmente qui, in Africa, a quelli che sono vittime di malattie come l’Aids, la malaria e la tubercolosi. 
So bene come presso di voi la Chiesa cattolica sia fortemente impegnata in una lotta efficace contro questi terribili flagelli, e la incoraggio a proseguire con determinazione questa opera urgente. A voi che siete provati dalla malattia e dalla sofferenza, a tutte le vostre famiglie, desidero portare da parte del Signore un pò di conforto, rinnovarvi il mio sostegno ed invitarvi a rivolgervi a Cristo e a Maria che egli ci ha dato come Madre. Ella ha conosciuto la sofferenza, ed ha seguito suo Figlio sul cammino del Calvario, conservando nel suo cuore l’amore medesimo che Gesù è venuto a portare a tutti gli uomini.

Davanti alla sofferenza, la malattia e la morte, l’uomo è tentato di gridare sotto l’effetto del dolore, come ha fatto Giobbe, il cui nome significa ‘sofferente’ (cfr Gregorio Magno, Moralia in Job, I, 1, 15). Gesù stesso ha gridato poco prima di morire (cfr Mc 15,37; Eb 5,7). Quando la nostra condizione si degrada, l’angoscia aumenta; alcuni sono tentati di dubitare della presenza di Dio nella loro esistenza. Giobbe, al contrario, è consapevole della presenza di Dio nella sua vita; il suo grido non si fa ribellione, ma, dal profondo della sua sventura, egli fa emergere la sua fiducia (cfr Gb 19;42,2-6). 
I suoi amici, come ognuno di noi davanti alla sofferenza di una persona cara, si sforzano di consolarlo, ma usano delle parole vuote.

In presenza di sofferenze atroci, noi ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste. Davanti ad un fratello o una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso e compassionevole, la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto, uno sguardo, un sorriso, possono fare più che tanti discorsi. Questa esperienza è stata vissuta da un piccolo gruppo di uomini e donne tra i quali la Vergine Maria e l’Apostolo Giovanni, che hanno seguito 
Gesù al culmine della sua sofferenza nella sua passione e morte sulla Croce. Tra costoro, ci ricorda il Vangelo, c’era un africano, Simone di Cirene. 
Egli venne incaricato di aiutare Gesù a portare la Sua Croce sul cammino verso il Golgota. Quest’uomo, anche se involontariamente, è venuto in aiuto all’Uomo dei dolori, abbandonato da tutti i suoi e consegnato ad una violenza cieca. La storia ricorda dunque che un africano, un figlio del vostro continente, ha partecipato, con la sua stessa sofferenza, alla pena infinita di Colui che ha redento tutti gli uomini compresi i suoi persecutori. Simone di Cirene non poteva sapere che egli aveva il suo Salvatore davanti agli occhi. Egli è stato “requisito” per aiutarlo (cfr Mc 15,21); egli fu costretto, forzato a farlo. 

E’ difficile accettare di portare la croce di un altro. E’ solo dopo la risurrezione che egli ha potuto comprendere quello che aveva fatto. Così è per ciascuno di noi, fratelli e sorelle: al cuore della disperazione, della rivolta, il Cristo ci propone la Sua presenza amabile anche se noi fatichiamo a comprendere che egli ci è accanto. Solo la vittoria finale del Signore ci svelerà il senso definitivo delle nostre prove.

Non si può forse dire che ogni Africano è in qualche modo membro della famiglia di Simone di Cirene? Ogni Africano e ogni sofferente aiutano Cristo a portare la sua Croce e salgono con Lui al Golgota per risuscitare un giorno con Lui. Vedendo l’infamia di cui è oggetto Gesù, contemplando il suo volto sulla Croce, e riconoscendo l’atrocità del suo dolore, possiamo intravvedere, con la fede, il volto luminoso del Risorto che ci dice che la sofferenza e la malattia non avranno l’ultima parola nelle nostre vite umane. 

Io prego, cari fratelli e sorelle, perché vi sappiate riconoscere in questo ‘ Simone di Cirene’. Prego, cari fratelli e sorelle malati, perché molti ‘Simone di Cirene’ vengano anche al vostro capezzale.

Dopo la risurrezione e fino ad oggi, molti sono i testimoni che si sono rivolti, con fede e speranza, al Salvatore degli uomini, riconoscendo la Sua presenza al centro della loro prova. Il Padre di tutte le misericordie accoglie sempre con benevolenza la preghiera di chi si rivolge a Lui. Egli risponde alla nostra invocazione e alla nostra preghiera come Egli vuole e quando vuole, per il nostro bene e non secondo i nostri desideri. Sta a noi discernere la sua risposta e accogliere i doni che Egli ci offre come una grazia. Fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, con fede e coraggio, perché da Lui provengono la Vita, il conforto, le guarigioni. Sappiamo guardare Colui che vuole il nostro bene e sa asciugare le lacrime dei nostri occhi; sappiamo abbandonarci nelle sue braccia come un bambino nelle braccia della mamma.

I santi ce ne hanno dato un bell’esempio con la loro vita interamente affidata a Dio, nostro Padre. Santa Teresa d’Avila, che aveva messo il suo monastero sotto il patrocinio di san Giuseppe, è stata guarita da una sofferenza nel giorno stesso della sua festa. Ella ripeteva che non lo aveva mai pregato inutilmente e lo raccomandava a tutti quelli che pensavano di non saper pregare: “ Non comprendo, scriveva, come si possa pensare alla Regina degli Angeli e a tutto quello che ella ha dovuto affrontare durante l’infanzia del Bambino Gesù, senza ringraziare san Giuseppe della dedizione così perfetta con la quale egli è venuto in aiuto dell’uno e dell’altra. Colui che non trova nessuno che gli insegni a pregare scelga questo ammirabile santo per maestro e non avrà più a temere di smarrirsi sotto la sua guida” (Vita, 6). Da intercessore per la salute del corpo, la santa vedeva in san Giuseppe un intercessore per la salute dell’anima, un maestro di orazione, di preghiera.

Scegliamolo anche noi come maestro di preghiera. Non solamente noi che siamo in buona salute, ma anche voi, cari malati e tutte le famiglie. Penso particolarmente a voi che fate parte del personale ospedaliero e a tutti coloro che lavorano nel mondo della sanità. Accompagnando coloro che soffrono con la vostra attenzione e con le cure che date loro, voi adempite un atto di carità e di amore che Dio riconosce: “ Ero malato e mi avete visitato” ( Mt 25,36). A voi, ricercatori e medici, spetta mettere in opera tutto quello che è legittimo per sollevare il dolore; spetta a voi in primo luogo proteggere la vita umana, essere i difensori della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale. Per ogni uomo, il rispetto della vita è un diritto e nello stesso tempo un dovere, perché ogni vita è un dono di Dio. Voglio, assieme a voi, rendere grazie al Signore per tutti coloro che, in una maniera o in un’altra, operano a servizio delle persone che soffrono. Incoraggio i sacerdoti e i visitatori degli ammalati a impegnarsi con la loro presenza attiva ed amichevole nella pastorale sanitaria negli ospedali o per assicurare una presenza ecclesiale a domicilio, per il conforto e il sostegno spirituale dei malati. Secondo la sua promessa, Dio vi darà il giusto salario e vi ricompenserà in cielo.

Prima di salutarvi personalmente e congedarmi da voi, vorrei assicurare a ciascuno la mia vicinanza affettuosa e la mia preghiera. Desidero anche esprimere il mio desiderio che ognuno di voi non si senta mai solo. Spetta in effetti ad ogni uomo, creato ad immagine del Cristo, farsi prossimo del suo vicino. Affido tutti e tutte all’intercessione della Vergine Maria, nostra Madre, e a quella di san Giuseppe. Che Dio ci conceda di essere gli uni per gli altri, portatori della misericordia, della tenerezza e dell’amore del nostro Dio e che Egli vi benedica!


© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

giovedì 16 giugno 2016

La corona del Rosario diventa l'arma più potente // non solo per i cristiani

Ora dovete prepararvi.

«Da ogni parte del mondo, figli prediletti, oggi vi raccolgo nel mio Cuore Immacolato. Con
umiltà avete accolto l'invito ad affidare a Me la vostra vita, e ora Io stessa sarò in ogni
momento la vostra difesa.

Mi avete anche consacrato il vostro Sacerdozio: Io mi assumo il compito di renderlo ogni
giorno più conforme al disegno d'amore del Cuore Eucaristico di Gesù.

Mi avete donato il cuore. Io metterò al posto dei vostri cuori ripieni di peccati il mio Cuore
Immacolato, e così attirerò su di voi la Potenza di Dio che formerà in ciascuno mio Figlio Gesù
fino alla sua pienezza.

Per questo rispondete a quanto la vostra Mamma Immacolata oggi vi domanda.

Vi chiedo docilità, preghiera e sofferenza.

Siate anzitutto sempre più docili. Solo così Io vi posso nutrire, vestire, condurre e formare.
Sono questi i momenti in cui opero i più grandi prodigi nel nascondimento e nel silenzio. 
Compio i miei più grandi miracoli nel cuore e nell'anima dei miei figli prediletti. Senza che voi o altri se ne accorgano, vi conduco a grande santità.
Dono a voi il mio stesso spirito e così lo Spirito del Padre e del Figlio sarà attirato
irresistibilmente a scendere su di voi come è sceso su di Me e Lui vi trasformerà
completamente.
Diventerete grandi nell'amore, nella virtù, nel sacrificio, nell'eroismo.
Così sarete pronti per il mio disegno.

Pregate di più, figli prediletti.
Non tralasciate mai la preghiera della Liturgia delle Ore, la vostra meditazione quotidiana, le
visite frequenti a Gesù presente nell'Eucaristia.
Il sacrificio della santa Messa sia da voi interiormente vissuto nella vita e nel momento della sua celebrazione. È soprattutto all'altare ove ciascuno di voi viene assimilato a Gesù
Crocifisso. 
Non tralasciate mai la recita del santo Rosario, questa preghiera che Io prediligo e
che dal Cielo sono venuta a domandarvi. Io vi ho insegnato a recitarlo bene, facendo scorrere
fra le mie dita i grani della corona, mentre mi associavo alla preghiera della mia piccola figlia,
a cui apparivo nella Grotta di Massabielle.
Quando recitate il Rosario voi mi invitate a pregare con voi ed Io veramente, ogni volta, mi
associo alla vostra preghiera. Così voi siete i bimbi che pregano assieme alla Mamma Celeste.
Ed è per questo che la corona del Rosario diventa l'arma più potente da usare nella terribile
battaglia che siete chiamati a combattere contro Satana e il suo esercito del male.

Offritemi anche le vostre sofferenze:
- quelle interiori che tanto vi umiliano, perché provengono dalla esperienza dei vostri limiti, dei
vostri difetti, dei vostri numerosi attaccamenti. Quanto più piccole e nascoste sono le
sofferenze che mi offrite, tanto più grande è la gioia che prova il mio Cuore Immacolato;
- le sofferenze esteriori, che spesso il mio Avversario vi procura, mentre con rabbia e furore si scatena maggiormente contro di voi, perché prevede che sarete da Me usati per la sua
definitiva sconfitta.
Alcuni egli li tormenta con tentazioni di ogni genere, altri con il dubbio e la sfiducia, altri con
l'aridità e la stanchezza, altri con la critica e la derisione, altri persino con le calunnie più
gravi.
Rispondete in una sola maniera: offrendomi il dolore che provate e abbiate fiducia, fiducia,
fiducia nella vostra Mamma Celeste.
Se fui sempre accanto a voi, in questi momenti lo sono in maniera particolare, con tutta la
tenerezza del mio amore di Mamma. Non temete. Vi ripeto: siete miei e Satana non vi
toccherà. Siete nel mio giardino e nessuno potrà strapparvi dal mio Cuore Immacolato.
È giunta l'ora però in cui sarete chiamati a sofferenze molto più grandi: la persecuzione, la
prigionia, per alcuni l'offerta della vostra vita. Presto dovrete vivere momenti che non
potreste sopportare se accanto a voi non vi fosse la vostra Mamma.
Ora dovete prepararvi.
Per questo, oggi, con sollecitudine vi domando solo docilità, preghiera e sofferenza».
(dal Libro del Mov.Sac.Mar. 11 febbraio 1978. Festa della Madonna di Lourdes)
AMDG et BVM

martedì 9 febbraio 2016

San Paolo ai Romani: cap VIII, 12-19.

Lettera ai Romani


[12Così dunque, fratelli, noi non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne. 13Se quindi vivrete secondo la carne, morrete; se invece collo spirito darete morte alle azioni della carne, vivrete, 14essendo, tutti quelli che son mossi dallo spirito di Dio, figli di Dio. 15Difatti, voi non avete ricevuto lo spirito di servitù per nuovo timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione in figli, pel quale gridiamo: Abba (Padre). 16Questo stesso Spirito attesta allo spirito nostro che noi siamo figli di Dio. [17E se figlioli, siamo anche eredi: eredi di Dio e coeredi di Cristo, se però soffriamo con lui da essere con lui glorificati.

18Io tengo per certo che i patimenti del tempo presente non sono da paragonarsi alla futura gloria che sarà manifestata in noi. 19Difatti, la creazione sta ansiosamente aspettando la rivelazione dei figli di Dio.


AMDG et BVM

venerdì 1 gennaio 2016

GESU' PREFERI' MORIRE PER TE CHE VIVERE SENZA DI TE

AVE MARIA, gratia plena, Dominus Tecum...

Gesù Cristo ha preferito morire per noi 
che vivere senza di noi
AUGURI!
ANNO DOMINI 2016

«Guardate oggi la sofferenza come benedizione, come passaggio necessario per la vostra Salvezza e conversione!» (23.2.1997)


< Vieni, Spirito Santo, vieni
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria ,
tua amatissima Sposa >
LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!
AMDG et BVM

giovedì 18 settembre 2014

Col patire si distingue la paglia dal grano


Caritas patiens est.
L'anima che ama Gesù Cristo ama il patire.

1. Questa terra è luogo di meriti, e perciò è luogo di patimenti. La patria nostra, ove Dio ci ha preparato il riposo in un gaudio eterno, è il paradiso. In questo mondo poco tempo abbiamo da starvi; ma in questo poco tempo molti sono i travagli che abbiamo da soffrire. Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis (Iob. XIV, 1). 

Si ha da patire, e tutti han da patire: siano giusti, siano peccatori, ognuno ha da portar la sua croce. Chi la porta con pazienza si salva, chi la porta con impazienza si perde. Le stesse miserie, dice S. Agostino, mandano altri al paradiso, altri all'inferno: Una eademque tunsio bonos perducit ad gloriam, malos reducit in favillam. Colla pruova del patire, dice lo stesso santo, si distingue la paglia dal grano nella chiesa di Dio: chi nelle tribolazioni si umilia e si rassegna al divino volere è grano per lo paradiso; chi s'insuperbisce e si adira, e perciò lascia Dio, è paglia per l'inferno.


2. Nel giorno in cui avrà da giudicarsi la causa della nostra salute, per aver la sentenza felice de' predestinati, la nostra vita dovrà trovarsi uniforme alla vita di Gesù Cristo: Nam quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui (Rom. VIII, 29). Questo fu il fine per cui l'Eterno Verbo discese in terra, per insegnarci col suo esempio a portare con pazienza le croci che Dio ci manda: Christus passus est pro vobis, scrisse S. Pietro, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia eius (I Petr. II, 21). Sicchè Gesù Cristo volle patire per animarci a patire. 

— Oh Dio! qual fu la vita di Gesù Cristo? Vita d'ignominie e di pene. Il Profeta chiamò il nostro Redentore: Despectum, novissimum virorum, virum dolorum (Is. LIII, 3): l'uomo disprezzato e trattato come l'ultimo, il più vile di tutti gli uomini, l'uomo de' dolori; sì, perchè la vita di Gesù Cristo fu tutta piena di travagli e di dolori...


mercoledì 7 maggio 2014

Portate la mia Croce.



Il senso della sofferenza in questa vita.
....Quando voi soffrite in questa vita, voi portate la mia Croce. 

Avete due scelte. 

Se respingete la mia Croce, vi lamentate di essa e siete rattristarti a causa sua, la sofferenza aumenterà allo stesso ritmo. 

Se invece accettate la Croce e offrite le vostre sofferenze per salvare le anime, allora Mi fate un dono meraviglioso. 

Se poi accettate questa sofferenza, le prove e le tribolazioni con gioia, il vostro carico diventerà più leggero. Io vi aiuterò a portarlo. Il dolore sarà allora alleviato e la pace, l’amore, la gioia e la felicità pura regneranno in voi.

AMDG et BVM

giovedì 24 ottobre 2013

Il testimone della nostra coscienza


UTILITÀ DELLA TRIBOLAZIONE

È bene per noi avere qualche volta pene e contrarietà, poiché spesso fanno rientrare l'uomo in se stesso, gli fanno riconoscere che quaggiù si trova in esilio e che non deve riporre la sua speranza in alcuna cosa del mondo. 

Riesce anche vantaggioso che talvolta soffriamo, perché veniamo contraddetti; che gli altri abbiano di noi un concetto falso ed inadeguato, anche se le nostre opere e le nostre intenzioni sono rette. Queste cose spesso giovano a renderci umili e ci premuniscono dalla vanagloria. 

Quando all'esterno siamo disprezzati dagli uomini e non ci si presta fede, allora più facilmente noi cerchiamo Dio, perch'Egli è il testimonio della nostra coscienza. Per questo l'uomo dovrebbe ancorarsi in Dio così saldamente, da non avere alcun bisogno di cercare tante consolazioni umane. 

Quando un uomo di buona volontà è tribolato o tentato oppure è afflitto da cattivi pensieri, allora comprende d'avere maggiormente bisogno di Dio, senza del quale scopre che non può fare nulla di buono. 
Allora, anche, si rattrista, piange e prega a causa del male che patisce. 
Allora, gli rincresce di vivere più a lungo e desidera che venga la morte, per potersi sciogliere dal corpo ed essere con Cristo. 
Allora avverte anche, chiaramente, che la sicurezza perfetta e la pace piena non hanno dimora in questo mondo.


domenica 20 ottobre 2013

Pioggia di rose sul mondo.


IL ROSARIO DI MARIA SS.


8 maggio 1947.

Dice Maria Ss. di Fatima apparendomi come Ella mi appare...:

«Ti ho dato il 5 la vista intellettiva di ciò che è un Rosario ben det­to: pioggia di rose sul mondo. 

Ad ogni Ave che un'anima amante dice con amore e con fede io lascio cadere una grazia. Dove? Da per tutto: sui giusti a farli più giusti, sui peccatori per ravvederli. Quan­te! Quante grazie piovono per le Ave del Rosario!

  

Rose bianche, rosse, oro. 
Rose bianche dei misteri gaudiosi, rosse dei dolorosi, d'oro dei gloriosi. 
Tutte rose potenti di grazie per i meriti del mio Gesù. Perché sono i suoi meriti infiniti che danno valore a ogni orazione. Tutto è e avviene, di ciò che è buono e santo, per Lui. Io spargo, ma Egli avvalora. Oh! Benedetto mio Bambino e Si­gnore!


Vi do le rose candide dei meriti grandissimi della perfetta, perché divina, e perfetta perché volontariamente voluta conservare tale dall'Uomo, Innocenza di mio Figlio. 

Vi do le rose porpuree degli infiniti meriti della Sofferenza di mio Figlio, così volonterosamente consumata per voi.


Vi do le rose d'oro della sua perfettissima Cari­

Tutto di Mio Figlio vi do, e tutto di Mio Figlio vi santifica e salva. Oh! io sono nulla, io scompaio nel Suo fulgore, io compio solo il ge­sto di dare, ma Egli, Egli solo è l'inesauribile fonte di tutte le gra­zie!

E voi, mie dilette anime, ascoltate questa Mia parola: Fate con spirito ilare la Volontà del Signore. 


Fare la Sua Ss. Volontà con tri­stezza è dimezzare il grande merito del farla. La rassegnazione è già cosa che Dio premia. Ma la gioia del fare la Volontà di Dio centuplica il merito, e perciò il premio, del fare questa divina Volontà, sem­pre, sempre, sempre giusta, anche se forse all'uomo non pare tale. Fate dunque con spirito ilare ciò che Dio vuole. E sarete a Lui gradite e a me, Madre vostra, dilettissime. State in pace sotto lo sguardo mio che non vi abbandona.»
 (Fonte: Maria Valtorta, I Quaderni del 45-50,  8 maggio 1947, ed. CEV)


martedì 12 febbraio 2013

L'offerta della sofferenza e della preghiera: una risposta a tre domande




L'offerta della sofferenza e della preghiera: una risposta a tre domande

di Vittorio Messori


Ci sarà tutto il tempo per analisi, bilanci, previsioni. Oggi, ancora sconcertati, cercheremo solo di dare una possibile risposta a tre domande che ci sono subito sorte.

Innanzitutto: perché, un simile annuncio, proprio in questo giorno di febbraio? Poi: perché in una riunione di cardinali annunciata come di routine? Infine: perché il luogo scelto per il ritiro da papa emerito?
Riflettendoci, dopo la sorpresa quasi brutale tanto è stata imprevista (e per tutti, nella Gerarchia stessa), mi pare si possano azzardare delle possibili spiegazioni.

L’11 febbraio, ricorrenza della prima apparizione della Vergine a Lourdes, è stata dichiarata dall’<<amato e venerato predecessore>>, come sempre lo ha chiamato, Giornata mondiale del malato. Ha detto Ratzinger, nel latino della breve e sconvolgente dichiarazione: <<Sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino>>.
Terenzio, e poi Seneca, Cicerone e tanti altri avevano ricordato mestamente: senectus ipsa estmorbus, la vecchiaia stessa è una malattia. Dunque, è infermo comunque chi, come lui, il prossimo 16 aprile compirà 86 anni. Ha aggiunto, infatti: <<Il vigore del corpo e dell’animo negli ultimi mesi in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato>>. Quale giorno più adeguato, dunque, per prendere atto davanti al mondo della propriainfirmitas di vegliardo di quello dedicato alla Madonna di Lourdes, protettrice dei malati? In fondo, anche in questo vi è un segno di solidarietà fraterna per tutti coloro che, per morbi o per anni, non possono più contare sulle proprie forze.

Ma perché (è la seconda domanda) dare l’annuncio, ex abrupto, proprio in un concistoro di cardinali per decidere la glorificazione dei martiri di Otranto, massacrati dalla furia dei turchi musulmani? Non crediamo che vi sia qui un qualche richiamo alla violenza di un certo islamismo, attuale ora come nel XV secolo della strage in Puglia. Crediamo, piuttosto, che in questi mesi Benedetto XVI abbia meditato sul primo e solo caso di abdicazione formale di un pontefice nella storia della Chiesa, quello del 13 dicembre 1294, da parte di Celestino V. Vi erano stati, nei “secoli bui“ dell’Alto Medio Evo alcuni casi di rinuncia papale, ma in circostanze oscure e sotto la pressione di minacce e di violenze. Ma solo Pietro da Morrone, l’eremita strappato a forza alla sua cella ed elevato al soglio pontificio, abdicò liberamente ed ufficialmente, adducendo anch’egli soprattutto l’età più che ottuagenaria e la debolezza che ne conseguiva. Prima di compiere l’inedito passo, aveva consultato discretamente i maggiori canonisti che gli confermarono che la rinuncia era possibile, ma andava fatta “davanti ad alcuni cardinali“. E’ proprio quanto ha deciso di fare Benedetto XVI, che non aveva che quel precedente cui rifarsi: precedente del resto, spiritualmente sicuro, in quanto il buon Pietro fu dichiarato santo dalla Chiesa e non meritava davvero l’accusa di “viltade“ lanciatagli contro dal ghibellino Dante per sue ragioni politiche. Insomma, in mancanza di altre regole, papa Ratzinger, sempre rispettoso della Tradizione, si è rifatto a quelle stabilite otto secoli fa dal confratello di cui voleva condividere il destino. Probabilmente, non è casuale anche il fatto che l’imprevisto annuncio sia stato letto solo in latino, quasi per richiamarsi anche in questo a quel precedente lontano.


Ma, per venire alla terza domanda, per quale ragione, dopo un breve soggiorno a Castelgandolfo (deserto, e dunque disponibile, durante la sede vacante) il già Benedetto XVI si ritirerà in quello che è stato un monastero di clausura, all’interno delle Mura Vaticane? Questo, almeno, il programma annunciato dal portavoce, padre Lombardi. Non sappiamo se quella sistemazione sarà definitiva ma, in ogni caso, neppure questa è una scelta casuale. Dicono le ultime parole dell’annuncio di ieri: <<Anche in futuro vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio>>. Negli anni di pontificato ha ripetuto spesso: <<Il cuore della Chiesa non è dove si progetta, si amministra, si governa, ma è dove si prega>>.

Dunque, il suo servizio alla Catholica non solo continua ma, nella prospettiva di fede, diventa ancor più rilevante: se non ha scelto un eremo lontano -magari nella sua Baviera o in quella Montecassino cui aveva pensato papa Wojtyla come estremo rifugio- è forse per testimoniare, anche con la vicinanza fisica alla tomba di Pietro, quanto voglia restare accanto a quella Chiesa cui vuole donarsi sino all’ultimo. Né è casuale, ovviamente, l’aver privilegiato mura impregnate di preghiera come quelle di un monastero di clausura. Comunque, se la sistemazione in Vaticano sarà stabile, la discrezione proverbiale di Joseph Ratzinger assicura che non vi sarà alcuna interferenza col governo del successore. Siamo del tutto certi che rifiuterà pure il ruolo di un “consigliere“ carico di anni ma anche di esperienza e di sapienza, pure se ci dovessero essere richieste esplicite del nuovo papa regnante. Nella sua prospettiva di fede, il solo vero “consigliere“ del pontefice è quello Spirito Santo che, sotto le volte della Sistina, ha puntato su di lui il dito.
Ed è proprio in questa prospettiva religiosa che vi è, forse, risposta a un altro interrogativo: non era più “cristiano“ seguire l’esempio del beato Wojtyla, cioè la resistenza eroica sino alla fine, piuttosto che quello del pur santo Celestino V? Grazie a Dio, molte sono le storie personali, molti i temperamenti, i destini, i carismi, i modi per interpretare e vivere il vangelo. Grande, checché ne pensi chi non la conosce dall’interno, grande è la libertà cattolica. Molte volte, l’allora cardinale mi ripeté, nei colloqui che avemmo negli anni, che chi si preoccupa troppo della situazione difficile della Chiesa (e quando mai non lo è stata?) mostra di non avere capito che essa è di Cristo, è il corpo stesso di Cristo. A Lui, dunque, tocca dirigerla e, se necessario, salvarla. <<Noi>> mi diceva <<siamo soltanto, parola di Vangelo, dei servi, per giunta inutili. Non prendiamoci troppo sul serio, siamo unicamente strumenti e, in più, spesso inefficaci. Non arrovelliamoci, dunque, per le sorti della Chiesa: facciamo fino in fondo il nostro dovere, al resto deve pensare Lui>>.

C’è anche, forse soprattutto, questa umiltà, nella decisione di passare la mano: lo strumento sta per esaurirsi, il Padrone della messe (come ama chiamarlo, con termine evangelico) ha bisogno di nuovi operai, che vengano dunque, purché consapevoli essi pure di essere solo dei sottoposti. Quanto ai vecchi ormai estenuati, diano il lavoro più prezioso: l’offerta della sofferenza e l’impegno più efficace. Quello della preghiera inesausta, attendendo la chiamata alla Casa definitiva.
Corriere della Sera   12 febbraio 2013


***********************************
Ecco altre riflessioni  del Prof. Roberto De Mattei
.......

Non ci troviamo di fronte ad una grave inabilità, come era il caso di Giovanni Paolo II nel suo ultimo scorcio di pontificato. Le facoltà intellettuali di Benedetto XVI sono pienamente integre, come ha dimostrato in una delle sue ultime e più significative meditazioni al Seminario Romano, e la sua salute è «complessivamente buona», come ha precisato il portavoce dalla Santa Sede, padre Federico Lombardi, secondo cui però il Papa ha avvertito negli ultimi tempi «lo squilibrio tra i compiti, tra i problemi da affrontare e le forze di cui si sente di non disporre».
Eppure, fin dal momento dell’elezione, ogni pontefice prova un comprensibile sentimento di inadeguatezza, avvertendo la sproporzione tra le capacità personali e il peso dell’incarico a cui è chiamato. Chi può dire di essere in grado di poter sostenere con le sue sole forze il munus di Vicario di Cristo? Lo Spirito Santo assiste però il Papa non solo al momento dell’elezione, ma fino alla morte, in ogni momento, anche il più difficile, del suo pontificato. Oggi lo Spirito Santo viene spesso invocato a sproposito, come quando si pretende che esso copra ogni atto e ogni parola di un Papa o di un Concilio. In questi giorni però è il grande assente dai commenti sui mass-media che valutano il gesto di Benedetto XVI seguendo un criterio puramente umano, come se la Chiesa fosse una multinazionale, guidata in termini di pura efficienza, a prescindere da ogni influsso soprannaturale.
Ma c’è da chiedersi: in duemila anni di storia, quanti sono i Papi che hanno regnato in buona salute e non hanno avvertito il declino delle forze e non hanno sofferto per malattie e prove morali di ogni genere? Il benessere fisico non è mai stato un criterio di governo della Chiesa. Lo sarà a partire da Benedetto XVI? Un cattolico non può non porsi queste domande e se non se le pone, esse saranno poste dai fatti, come nel prossimo conclave, quando la scelta del successore di Benedetto si orienterà fatalmente verso un cardinale giovane e nel pieno delle forze perché possa essere ritenuto adeguato alla grave missione che lo attende. A meno che il cuore del problema non sia in quelle«questioni di grande rilevanza per la vita della fede», a cui ha fatto riferimento il Pontefice, e che potrebbero alludere alla situazione di ingovernabilità in cui sembra trovarsi oggi la Chiesa.
Sarebbe poco prudente, sotto questo aspetto, considerare già “chiuso” il pontificato di Benedetto XVI, dedicandosi a prematuri bilanci, prima di attendere la fatidica scadenza da lui annunciata: la sera del 28 febbraio 2013, una data che rimarrà impressa nella storia della Chiesa. Prima, ma anche dopo quella data, Benedetto XVI potrebbe essere ancora protagonista di nuovi e imprevisti scenari. Il Papa infatti ha annunciato le sue dimissioni, ma non il suo silenzio, e la sua scelta gli restituisce una libertà di cui forse si sentiva privato. Che cosa dirà e farà Benedetto XVI, o il cardinale Ratzinger, nei prossimi giorni, settimane e mesi? E soprattutto, chi guiderà, e in che maniera, la navicella di Pietro nelle nuove tempeste che inevitabilmente l’attendono? (Roberto de Mattei)


GESU' MARIA AMORE
VENITE INSIEME NEL MIO CUORE

domenica 25 marzo 2012

"Gesù solo è il mio re; preferisco essere povera con Gesù. Tieniti il tuo re­gno, le tue belle campagne, i tuoi polli, il tuo grande arrosto, preferisco il pane sec­co con Gesù...."


Una nuova lotta si ingaggiò tra il demonio e la novizia: 

Ti sei riposata, le disse Satana, invece di lavorare. 

«Sì, mi sono coricata, rispose lei, per obbedienza; pre­ferisco più di tutto obbedire». 

Tu ti sei pettinata. 

«Sì, mi sono pettinata per decoro. Gesù ama il decoro, io l'ho fatto per Gesù e non per te: tu sei sporco, vattene! Io offro tutto a Gesù. Se non avessi offerto tutto a Gesù, il resto sarebbe per te, ma io ho offerto tutto. Oh! quanto l'obbedienza è buona: è mio fratello; l'umiltà, è mia madre; la semplicità, è mio padre. L'obbedienza è Gesù; l'umiltà è Maria; la sem­plicità è Giuseppe, ecco i miei modelli. Satana, angelo decaduto, ti disprezzo!». 

Ec­co la mia grandezza, le mie ricchezze; io le do a quelli che mi seguono, sono re. 

«Tu, re! Gesù solo è il mio re; preferisco essere povera con Gesù. Tieniti il tuo re­gno, le tue belle campagne, i tuoi polli, il tuo grande arrosto, preferisco il pane sec­co con Gesù. Ti disprezzo come una carta straccia. Dici che mi dai delle noci? Vuoi conoscere le mie noci? Le mie noci è sospirare dietro Gesù. E ti sto per dire quale è il mio pane: è Gesù; è la sofferenza di ogni istante, è l'amore: ecco il mio pane, ecco la mia bevanda. Io disprezzo la tua bevanda, la tua acqua zuccherata, la tua ac­qua odorosa. Ho sete di anime, del calice della sofferenza: questa è la mia bevan­da. Tieni per te i tuoi piaceri, le tue ricchezze, i tuoi regni, preferisco la povertà. Tu dici che io diverrò cieca? Tanto meglio: la cecità mi farà andare da Gesù. Gesù sarà la mia luce; l'obbedienza sarà la mia luce. Felici gli occhi sempre chiusi! Gesù sarà la loro luce. Tutto passa sulla terra. Se quaggiù io fossi sempre nelle tenebre e nel­la sofferenza, nel cielo gioirò sempre con mio Padre».

È così che la novizia trionfava sempre sugli assalti di Satana.

LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!

SEMPER  LAUDENTUR!