6 MARZO
SANTA PERPETUA E FELICITA, MARTIRI
Gloria di questo
giorno.
La festa
di queste due sante eroine della fede cristiana veniva celebrata, nelle chiese
loro dedicate, domani 7 marzo, giorno anniversario del loro trionfo; ma la
memoria di san Tommaso d'Aquino sembrava eclissare quella delle sue due grandi
Martiri africane. Avendo perciò la Santa Sede elevato la loro memoria, per la
Chiesa universale, al rito doppio, prescrisse d'anticipare d'un giorno la loro
solennità; così la Liturgia presenta fin da oggi all'ammirazione del lettore
cristiano lo spettacolo di cui fu testimone la città di Cartagine nell'anno 202
o 203. Niente ci fa meglio comprendere il vero spirito del Vangelo secondo il
quale in questi giorni dobbiamo riformare i nostri sentimenti e la nostra vita.
Queste due donne, queste due madri affrontarono i più grandi sacrifici; Dio
chiese loro non soltanto la vita, ma più che la vita; ed esse vi si
assoggettarono con quella semplicità e magnanimità che fece d'Abramo il Padre
dei credenti.
La forza nella
debolezza.
I loro
nomi, come osserva sant'Agostino, erano un presagio della sorte che il cielo
riservava loro: una perpetua felicità. L'esempio che diedero della forza
cristiana è di per se stesso una vittoria che assicura il trionfo della fede di
Gesù Cristo in terra d'Africa. Ancora pochi anni, e san Cipriano farà sentire la
sua voce eloquente che chiama i cristiani al martirio. Dove trovare accenti più
commoventi che nelle pagine scritte dalla mano della giovane donna di ventidue
anni, Perpetua, la quale ci narra con una calma celestiale le prove che doveva
passare prima d'arrivare a Dio, e che, sul punto d'andare all'anfiteatro,
trasmise ad un altro perché completasse la sua sanguinosa tragedia?
Leggendo
queste gesta, di cui i secoli non hanno potuto alterare né fascino, né
grandezza, sentiamo quasi la presenza dei nostri antenati nella fede e ammiriamo
la potenza della grazia divina, che suscitò un tale coraggio dal seno stesso
d'una società idolatra e corrotta; e considerando qual genere di eroi Dio usò
per infrangere la formidabile resistenza del mondo pagano, non si può fare a
meno di ripetere con san Giovanni Crisostomo: "A me piace tanto leggere gli Atti
dei Martiri; ma ho un'attrattiva particolare per quelli che ritraggono le lotte
sostenute dalle donne cristiane. Più debole è l'atleta e più gloriosa è la
vittoria; infatti il nemico vede l'avvicinarsi della disfatta proprio dal lato
dove aveva sempre trionfato. Per la donna egli ci vinse; ora per la donna viene
abbattuto. Nelle sue mani ella fu una arma contro di noi; ora ne diviene la
spada che lo trapassa. In principio la donna peccò, e quale compenso del suo
peccato ebbe in eredità la morte; ora la martire muore, ma muore per non peccare
più. Sedotta da promesse menzognere, la donna violò il precetto divino; ora per
non violare la fedeltà al divino benefattore, la martire preferisce sacrificare
la vita. Quale scusa ora avrà l'uomo per farsi perdonare la sua codardia, quando
delle semplici donne mostrano un sì virile coraggio? quando, così deboli e
delicate, si sono viste trionfare dell'inferiorità del loro sesso, e,
fortificate dalla grazia, riportare sì gloriose vittorie"? (Omelia Su vari
passi del N. T.).
Le Lezioni
di queste due Martiri narrano i tratti più salienti del loro combattimento. Vi
sono inseriti frammenti del vero racconto scritto da santa Perpetua. Esso
ispirerà senza dubbio a più di un lettore il desiderio di leggere per intero
negli Atti dei Martiri [1] il resto del magnifico testamento di questa eroina.
VITA. - Sotto l'imperatore Severo, furono arrestati a Cartagine,
in Africa, alcuni giovani catecumeni: Revocato e Felicita, tutti e due schiavi,
e con loro Saturnino e Secondolo, e da ultimo, Vibia Perpetua, di famiglia
distinta, educata con molta cura e sposata a un uomo di alta condizione. All'età
di ventidue anni ella aveva ancora il padre e la madre, due fratelli, uno dei
quali era, come lei, catecumeno, e un bambino al quale essa dava ancora il
latte. Vibia Perpetua scrisse interamente di suo pugno la storia del suo
martirio.
"Richiamata dagli arenai, si accorse che la sua capigliatura era
sciolta: e allora raccolse e rannodò la chioma, pensando che una martire non
deve avere, morendo, i capelli scarmigliati, affinchè nessuno avesse a credere
che si affliggeva nel momento della sua gloria. Così ricomposta, Perpetua si
rialzò, e, vedendo Felicita che giaceva al suolo quasi morta (gettata anch'essa
a terra dalla vacca), le si accostò, le diede la mano, la sollevò dal suolo. Si
fermarono là in piedi ambedue. Il popolo, mosso a compassione, gridò che si
facessero uscire dalla porta Sanavivaria. Ivi Perpetua accolta da un catecumeno
a lei molto affezionato, di nome Rustico, sembrava una persona che esce da un
profondo sonno, ma era in estasi, e, guardandosi intorno chiese con stupore di
tutti: "Quando dunque saremo esposte a questa mucca?". E siccome le si rispose
che ciò era già stato fatto, essa non se ne convinse, finché non vide sopra le
sue vestimenta e sopra il suo stesso corpo le tracce di quanto aveva sofferto.
Dopo di che fece chiamare suo fratello e Rustico, e disse loro: "State saldi
nella fede, amatevi gli uni e gli altri, e non rendetevi scandalo dei nostri
patimenti".
Nota sulla composizione degli Atti.
"Nel leggere questo celebre brano - d'un sì ardente e puro
entusiasmo e d'una semplicità così bella e commovente, solo qua e là gravata di
un tantino di retorica - ci si rende conto della sua intessitura. Il primo
capitolo è un prologo da attribuirsi al redattore, che ha messo insieme le
diverse parti narrate. Nel secondo capitolo il redattore narra sommariamente la
simultanea cattura di Vibia Perpetua, giovane donna di ventidue anni, istruita e
di famiglia ragguardevole; di due giovani, Saturnino e Secondolo; da ultimo di
due schiavi, Revocato e Felicita, tutti catecumeni. (Un po' più tardi, un certo
Saturo, loro istruttore, si sarebbe spontaneamente consegnato: paragrafo iv).
Quindi dichiara che cede la parola a Perpetua che ha redatto di proprio pugno il
racconto delle sue sofferenze...
Bisogna perciò immaginarsi che le cose siano andate press'a poco
così: Perpetua e Saturo nell'oscura prigione ebbero l'agio di stendere una breve
relazione dei patimenti che soffrirono, e prima di tutto dei "carismi" con cui
Dio li visitò. Tali annotazioni cadono fra le mani d'un testimone oculare del
loro supplizio, il quale indaga su particolari che non ha potuto vedere coi
propri occhi, completa la narrazione dei martiri e, dai diversi elementi, ne
ricava un insieme che inquadra in un'esortazione morale e religiosa. Bisogna
dunque distinguere due parti negli Atti
quella del compilatore e quella degli stessi martiri...
Io
credo che, con tutta franchezza, si possa identificare nel redattore
Tertulliano... Sono il suo stile, la sua lingua, le sue parole... Il testo poi
fu redatto poco dopo il 202-303, data del supplizio dei
martiri".
(Pietro di Labriolle, Histoire de la
litterature latine chrétienne, 3a ediz., 1947, p.
156).
Santa
Perpetua.
Tutta la
cristianità s'inchina davanti a te, o Perpetua! Ma c'è di più: ogni giorno, il
celebrante pronuncia il tuo nome fra i nomi privilegiati ch'egli ripete al
cospetto della vittima divina; così la tua memoria è perpetuamente associata a
quella di Cristo, cui il tuo amore rese testimonianza col sangue. Ma quale
beneficio egli s'è degnato d'accordarci, permettendoci di penetrare i sentimenti
della tua anima generosa nelle pagine vergate dalle tue mani e pervenute fino a
noi attraverso i secoli! Là noi apprendiamo il tuo amore "più forte della morte"
(Ct 8,6), che ti fece vittoriosa in tutti i combattimenti. L'acqua battesimale
non aveva ancora bagnata la tua fronte, che già eri annoverata fra i martiri.
Ben presto dovesti sostenere gli assalti di un padre, e superare la tenerezza
filiale di quaggiù per preservare quella che dovevi all'altro Padre che sta nei
cieli. Non tardò il tuo cuore materno ad essere sottoposto alla più terribile
prova, quando il bambino che prendeva vita dal tuo seno ti fu portato via come
un novello Isacco, e rimanesti sola nella veglia dell'ultimo
combattimento.
"Dov'eri
tu, diremo con sant'Agostino, quando neppure vedevi la bestia furibonda cui ti
avevano esposta? Di quali delizie godevi, al punto d'essere divenuta insensibile
a sì gravi dolori? Quale amore t'inebriava? Quale bellezza celeste ti cattivava?
Quale bevanda ti aveva tolto il senso delle cose di quaggiù, tu, ch'eri ancora,
nei vincoli della vita mortale?" (Per il giorno natalizio di santa Perpetua e
Felicita).
Il Signore
ti aveva predisposta al sacrificio. E allora comprendiamo come la tua vita sia
divenuta affatto celeste, e come la tua anima, dimorante già per l'amore, in
Gesù che ti aveva tutto chiesto e al quale nulla negasti, fosse sin d'allora
estranea a quel corpo che doveva ben presto abbandonare. Ti tratteneva ancora un
legame, quello che la spada doveva troncare; ma affinché la tua immolazione
fosse volontaria sino alla fine, fu necessario che con la tua stessa mano
vibrassi il colpo che schiudeva all'anima il passaggio al Sommo Bene. Tu fosti
donna veramente forte, nemica del serpente infernale! Oggetto di tutto il suo
odio, tu lo vincesti! Ed ecco che dopo secoli il tuo nome ha il privilegio di
far palpitare ogni cuore cristiano.
Santa
Felicita.
Ricevi
anche tu i nostri omaggi, o Felicita! Tu fosti degna compagna di Perpetua. Nel
secolo essa brillò nel novero delle matrone di Cartagine; ma, nonostante la tua
condizione servile, il battesimo l'aveva resa tua sorella, e ambedue camminaste
di pari passo nell'arena del martirio. Appena si rialzava dalle violente cadute,
essa correva a te, e tu le tendevi la mano; la nobile donna e la schiava si
confondevano nell'abbraccio del martirio. In tal modo gli spettatori
dell'anfiteatro erano già in grado di capire come la nuova religione avesse
insita in sé una virtù, destinata a far soccombere la schiavitù.
O
Perpetua! o Felicita! fate che i vostri esempi non vadano perduti, e che il
pensiero delle vostre virtù ed immolazioni eroiche ci sostengano nei sacrifici
più piccoli che il Signore esige da noi. Pregate anche per le nuove Chiese che
sorgono sulle sponde africane; esse si raccomandano a voi; beneditele, e fate
che rifioriscano, per la vostra potente intercessione, la fede e i costumi
cristiani.
[1] PG t. 3, c. 13-58 e H. Leclerq.
XX: I Martiri, t. I, p. 122-139. Questi Atti costituiscono uno
del brani più completi della letteratura cristiana, e la loro autenticità è al
di sopra d'ogni sospetto.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento -
Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p.
831-837