domenica 13 settembre 2015

LA TAZZINA DI SAN GIUSEPPE

SANTA CATERINA DA BOLOGNA
E LA TAZZA DI SAN GIUSEPPE


Santa Caterina da‘ Vigri (1413-1463) nacque da una famiglia di universitari, il che spiega la sua perfetta conoscenza del latino. A Ferrara si unì a una pia istituzione che, dopo il suo ingresso, optò per la regola delle Clarisse. Diventata maestra delle novizie, venne poi chiamata a presiedere al convento fondato a Bologna dalla  sua Congregazione. Nel 1456 fece ritorno alla sua città natale, accolta fra gli altri dal  cardinale Bessarione. 

Sotto la sua amministrazione le vocazioni si moltiplicarono e la casa, posta sotto il patronato del Corpus Domini, conobbe una notevole espansione. Ammalatasi, affidò al suo confessore il manoscritto del trattato  Le armi necessarie alla battaglia spirituale, opera che aveva redatto da tempo ma che aveva preferito non rendere pubblica. E‘ stata canonizzata da Clemente XI il 22 maggio 1712. Quando era monaca nel convento di Ferrara  le furono affidate le mansioni di portinaia. ... 

... Mentr’era addetta a quest’ufficio, si presentò un giorno a chiedere l’elemosina alla porta del monastero (che a quell’epoca non era stato ancora sottoposto a clausura) un venerabile vecchio in veste di pellegrino, che disse di venire di Palestina. E‘ facile immaginare quante domande dovette rivolgere Caterina all’anziano visitatore sulla terra santificata dalla nascita, dall’insegnamento e dalla passione  e morte di Gesù Redentore; e con quanta avidità stesse ad ascoltarne le risposte, che denotavano una effettiva e profonda conoscenza dei Santi Luoghi.

Prima di accomiatarsi il vecchio pellegrino estrasse dalla bisaccia una scodellina, che non era di porcellana nè di maiolica ma di un materiale trasparente sconosciuto tra noi, e gliela mostrò assicurandola ch’era quella in cui la Beata Vergine Maria dava a bere al suo Divino Figliuolo, quand’era pargoletto. E come Caterina osservava incantata quell’oggetto, con una curiosità mista di rispetto e venerazione, il buon vecchio disse che gliel’avrebbe lasciata in custodia per qualche giorno, e sarebbe tornato a ritirarla prima di proseguire il viaggio.

Immaginiamo la gioia di Caterina nel ricevere quel caro deposito, e come dovette ringraziare la Provvidenza che aveva fatto capitare nelle sulle mani una così preziosa reliquia. Fatto sta che il pellegrino non si presentò nè il giorno dopo né mai più a ritirare quella scodellina, ch’essa conservò sempre con venerazione, convinta ch’era un regalo che il suo Sposo Divino le aveva inviato a mezzo di San Giuseppe, in cui credette d’identificare il misterioso pellegrino.


Non sappiamo se ebbe qualche rivelazione in proposito; ma è certo che da quel momento manifestò una speciale devozione per il Santo Patriarca. Quando dovette lasciare Ferrara per andare ad assumere come Abbadessa il governo del nuovo monastero del Corpus Domini di Bologna, consegnò quella reliquia alle sue consorelle, a condizione che la restituissero al pellegrino, nel caso che si fosse presentato per ritirarla; in caso contrario, fosse custodita con grande venerazione e l’esponessero al pubblico il 19 marzo, festa del Santo.


 Le cronache affermano che molte guarigioni miracolose avvennero in Ferrara al semplice contatto di quella reliquia; e anzi aggiungono questo curioso particolare; che, quando l’infermo doveva guarire, la scodellina emanava un soave profumo; invece, se doveva morire, non rendeva nessun odore. Come di tutte le manifestazioni  miracolose, la Chiesa ci lascia liberi di prestarvi credito o meno, giacché non sono articoli di fede. E Sant’Agostino dice:  E‘ più importante meditare il significato di certi fatti che discuterne l’autenticità.


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Figlia di uno stimato giurista bolognese, Caterina Vigri (8 settembre 1413-9 marzo 1463) sui  9 anni deve trasferirsi con la famiglia a Ferrara: suo padre va al servizio di Niccolò III d’Este, che sta costruendo il ducato di Ferrara, Modena e Reggio. E lei è nominata damina d’onore di Margherita figlia di Niccolò. 

La città di Ferrara sta diventando in quegli anni una meraviglia, richiama artisti da ogni parte, vengono illustri pittori e architetti italiani (e uomo addirittura vi è nato: Cosmè Tura) , così come letterati francesi e artisti fiamminghi dell’arazzo. Caterina va agli studi, si appassiona alla musica, alla pittura e alla poesia (anche latina,m presto). Ma d’un tratto tutto finisce, verso i suoi 14 anni: le muore il padre, la madre si risposa, e riecco lei a Bologna, sola, abbattuta, in cerca di pace nella comunità fondata dalla gentildonna Lucia Mascheroni. Ma presto il rifugio diventa luogo di sofferenza e travaglio, per una sua gravissima cristi interiore: una “notte dello spirito” che dura cinque anni. ...

... Allora torna a Ferrara, ma non più a corte: nel monastero detto del Corpus Domini. Qui la damina si fa lavandaia, cucitrice, fornaia. Preghiera e lavoro, mai perdere tempo, dice la Regola delle clarisse che qui si osserva. E a lei va bene: lava i piatti, dipinge, fa le pulizie, scrive versi in italiano e in latino, insegna preghiere nuove, canti nuovi. Con lei il monastero è un mondo di preghiera e di gioia, silenzio e gioia, fatica e gioia. 
Diventa famoso, tanto che ne vogliono uno così anche a Bologna, dove va a fondarlo appunto Caterina, come badessa. Porta con sé la madre, rimasta ancora vedova. Siamo nel 1456: anche questo monastero s’intitola al Corpus Domini. Caterina compone testi di formazione e di devozione, e poi un racconto in latino della Passione (cinquemila versi), un breviario bilingue. Si dice che abbia apparizioni e rivelazioni, e intorno a lei comincia a formarsi un clima di continuo miracolo. 

Ma anche restando con i piedi per terra, è straordinario quel suo dono di trasformare la penitenza in gioia, l’obbedienza in scelta. C’è in lei una capacità di convincimento enorme. Garantisce lei che la perfezione è per tutti: alla portata di chiunque la voglia davvero.  Già in vita l’hanno chiamata santa. E questa voce si diffonde sempre più dopo la sua morte, tra moltissimi che non l’hanno mai vista, e la conoscono solo dai racconti di prodigi in vita e in morte. A quattro mesi dal decesso, dice una relazione dell’epoca, durante un’esumazione, sul suo viso riapparvero un po’ i colori naturali. Santa da subito per tutti, dunque, anche se la canonizzazione avverrà solo nel 1712, con Clemente XI. 

Il suo corpo non è sepolto. Si trova collocato tuttora sopra un seggio, come quello di una persona viva, in una cella accanto alla chiesa che a Bologna è chiamata ancora oggi “della santa”. Sul seggio della santa vi è un cartello con la scritta in latino:  “Et gloria eius in te videbitur” (In te Caterina si vedrà la gloria di Dio”). Tale frase era stata cantata da un angelo a testimonianza dalla santità di questa monaca clarissa.  

Un’altra volta in chiesa ode il canto degli angeli, infatti al momento in cui il Sacerdote letto il Prefazio diceva:  Sanctus, Sanctus…, in quello stesso istante essa udì cantare la stessa parola dall’angelica “baronia”, che precedeva innanzi a tanto divino ed eccellentissimo Sacramento. La melodia del canto angelico era così stupendamente dolce e soave, che subito, al primo suono, la sua anima sembrava uscirle dal corpo; se non le mancò del tutto, fu solo perché non giunse a udire la fine del canto.
Don Marcello Stanzione

AMDG et BVM

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