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sabato 20 giugno 2015

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Basilica Vaticana Domenica, 20 giugno 2010



Radio Vaticana, 20.06.2010
Il Papa ordina 14 diaconi: conformatevi alla volontà di Dio, senza ricercare il potere personale. All’Angelus, appello per la pace in Kirghizistan
Il vero sacerdote non aspira ad accrescere il proprio prestigio personale, ma cerca di conformarsi alla volontà di Dio: è uno dei passaggi forti dell’omelia di Benedetto XVI, che stamani in una solenne Messa nella Basilica di San Pietro ha conferito l’ordinazione sacerdotale a 14 diaconi della diocesi di Roma. La Messa è stata concelebrata dal cardinale vicario Agostino Vallini, assieme ai vescovi ausiliari, i rettori dei seminari romani e numerosi sacerdoti. All’Angelus, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha rivolto un pressante appello per la pace in Kirghizistan. Quindi, nella Giornata Mondiale del Rifugiato, ha chiesto che vengano riconosciuti i diritti di quanti sono costretti a fuggire dalla propria terra d’origine. Il servizio di Alessandro Gisotti   Canti 

Conformatevi alla volontà di Dio, testimoniando il Vangelo con coraggio, senza cedere alle mode e alle opinioni del momento: è la viva esortazione di Benedetto XVI ai 14 nuovi sacerdoti della diocesi di Roma, ordinati in una Basilica Vaticana gremita di fedeli. Il Papa ha subito sottolineato che l’intera Chiesa di Roma rende grazie a Dio per questi nuovi presbiteri e ripone fiducia e speranza nel loro domani: 

“Sì, la Chiesa conta su di voi, conta moltissimo su di voi! La Chiesa ha bisogno di ciascuno di voi, consapevole come è dei doni che Dio vi offre e, insieme, dell’assoluta necessità del cuore di ogni uomo di incontrarsi con Cristo, unico e universale salvatore del mondo, per ricevere da lui la vita nuova ed eterna, la vera libertà e la gioia piena”.

 Si è così soffermato sulla liturgia della Domenica, che presenta il passo del Vangelo in cui Pietro, differenziandosi dall’opinione della gente, riconosce in Gesù il Cristo di Dio. Benedetto XVI ha indicato nella preghiera la sorgente di questo atto di fede. Dallo stare con il Signore, spiega, “deriva una conoscenza che va al di là delle opinioni della gente per giungere all’identità profonda di Gesù”. Un’indicazione, questa, “ben precisa per la vita e la missione del sacerdote”:

 “Nella preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si tratta di un «rimanere con Lui» che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili, quando sembra che le «cose da fare» debbano avere la priorità”.

Ha così rammentato che il discepolo è chiamato a seguire Gesù sulla strada della Croce, a “perdere se stesso” per ritrovare pienamente se stesso in Cristo. Ecco allora, è stato il suo monito, che “il sacerdozio non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale”:

“Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica”.

 “Per essere considerato – ha proseguito - dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi”. Un uomo che imposti così la sua vita, ha detto ancora, “un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso”:

“Il sacerdozio - ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero”.

 Benedetto XVI non ha poi mancato di mettere l’accento sul legame tra l’Eucaristia e il Sacramento dell’Ordine, ricordando che al sacerdote “è affidato il sacrificio redentore di Cristo, il suo corpo dato e il suo sangue versato”. Quando celebriamo la Santa Messa, ha soggiunto, “teniamo nelle nostre mani il pane del Cielo, il pane di Dio che è Cristo”:

 “È qualcosa che non vi può non riempire di intimo stupore, di viva gioia e di immensa gratitudine: ormai l’amore e il dono di Cristo crocifisso e glorioso passano attraverso le vostre mani, la vostra voce, il vostro cuore!”.

 Il Papa ha quindi invocato il Signore affinché dia ai nuovi sacerdoti “una coscienza sempre vigile ed entusiasta” del dono dell’Eucaristia, centro del loro essere preti. Ed ha auspicato che possano “vivere questo ministero con coerenza e generosità, ogni giorno”. Alla cura per la celebrazione eucaristica, ha detto ancora, si accompagni “sempre l’impegno per una vita eucaristica”, vissuta cioè nell’obbedienza alla grande legge dell’amore. Cari sacerdoti, ha concluso il Papa, “la strada che ci indica il Vangelo di oggi è la strada della vostra spiritualità e della vostra azione pastorale, della sua efficacia e incisività, anche nelle situazioni più faticose ed aride”. E’ questa “la strada sicura per trovare la vera gioia”.

Canti

Dopo la Messa, il Papa si è affacciato dalla finestra del suo studio per la recita dell’Angelus. Benedetto XVI ha rivolto un pressante appello affinché “la pace e la sicurezza siano ristabilite nel Kirghizistan meridionale” dopo “i gravi scontri verificatisi nei giorni scorsi”. Alle vittime di questa tragedia, il Pontefice ha espresso la sua “commossa vicinanza”:

“Invito, inoltre, tutte le comunità etniche del Paese a rinunziare a qualsiasi provocazione o violenza e chiedo alla comunità internazionale di adoperarsi perché gli aiuti umanitari possano raggiungere prontamente le popolazioni colpite”. 

 Il Papa ha poi ricordato la celebrazione della Giornata Mondiale del Rifugiato. Una ricorrenza, ha detto, che deve “richiamare l’attenzione ai problemi di quanti hanno lasciato forzatamente la propria terra”, “giungendo in ambienti che, spesso, sono profondamente diversi”:  
“I rifugiati desiderano trovare accoglienza ed essere riconosciuti nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali; in pari tempo, intendono offrire il loro contributo alla società che li accoglie. Preghiamo perché, in una giusta reciprocità, si risponda in modo adeguato a tale aspettativa ed essi mostrino il rispetto che nutrono per l’identità delle comunità che li ricevono”. 

 Riprendendo la riflessione sviluppata nella Messa in San Pietro, il Papa ha ribadito che tutti i fedeli sono chiamati a seguire Gesù “sulla strada impegnativa dell’amore fino alla Croce”. Prendere la Croce, ha aggiunto, significa “impegnarsi per sconfiggere il peccato che intralcia il cammino verso Dio”, accrescere la fede “soprattutto dinnanzi ai problemi, alle difficoltà, alla sofferenza”. Ed ha citato l’esempio di Edith Stein, che ha testimoniato la fede in un tempo di persecuzione:

  “Anche nell’epoca attuale molti sono i cristiani nel mondo che, animati dall’amore per Dio, assumono ogni giorno la croce, sia quella delle prove quotidiane, sia quella procurata dalla barbarie umana, che talvolta richiede il coraggio dell’estremo sacrificio”.


OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Domenica, 20 giugno 2010

Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Ordinandi,
Cari Fratelli e Sorelle!

come Vescovo di questa Diocesi sono particolarmente lieto di accogliere nel «presbyterium» romano quattordici nuovi Sacerdoti. Insieme col Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari e tutti i Presbiteri ringrazio il Signore per il dono di questi nuovi Pastori del Popolo di Dio. Vorrei rivolgere un particolare saluto a voi, carissimi ordinandi: oggi voi state al centro dell’attenzione del Popolo di Dio, un popolo simbolicamente rappresentato dalla gente che riempie questa Basilica Vaticana: la riempie di preghiera e di canti, di affetto sincero e profondo, di commozione autentica, di gioia umana e spirituale. In questo Popolo di Dio, hanno un posto particolare i vostri genitori e familiari, gli amici e i compagni, i superiori ed educatori del Seminario, le varie comunità parrocchiali e le diverse realtà di Chiesa da cui provenite e che vi hanno accompagnato nel vostro cammino e quelle che voi stessi avete già servito pastoralmente. Senza dimenticare la singolare vicinanza, in questo momento, di tantissime persone, umili e semplici ma grandi davanti a Dio, come, ad esempio, le claustrali, i bambini, i malati e gli infermi. Esse vi accompagnano con il dono preziosissimo della loro preghiera, della loro innocenza e della loro sofferenza.

È, dunque, l’intera Chiesa di Roma che oggi rende grazie a Dio e prega per voi, che ripone tanta fiducia e speranza nel vostro domani, che aspetta frutti abbondanti di santità e di bene dal vostro ministero sacerdotale. Sì, la Chiesa conta su di voi, conta moltissimo su di voi! La Chiesa ha bisogno di ciascuno di voi, consapevole come è dei doni che Dio vi offre e, insieme, dell’assoluta necessità del cuore di ogni uomo di incontrarsi con Cristo, unico e universale salvatore del mondo, per ricevere da lui la vita nuova ed eterna, la vera libertà e la gioia piena. Ci sentiamo, allora, tutti invitati ad entrare nel «mistero», nell’evento di grazia che si sta realizzando nei vostri cuori con l’Ordinazione presbiterale, lasciandoci illuminare dalla Parola di Dio che è stata proclamata.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta un momento significativo del cammino di Gesù, nel quale egli chiede ai discepoli che cosa la gente pensi di lui e come lo giudichino essi stessi. Pietro risponde a nome dei Dodici con una confessione di fede, che si differenzia in modo sostanziale dall’opinione che la gente ha su Gesù; egli infatti afferma: Tu sei il Cristo di Dio (cfr Lc 9,20). Da dove nasce questo atto di fede? Se andiamo all’inizio del brano evangelico, costatiamo che la confessione di Pietro è legata ad un momento di preghiera: «Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui», dice san Luca (9,18). I discepoli, cioè, vengono coinvolti nell’essere e parlare assolutamente unico di Gesù con il Padre. E in tal modo viene loro concesso di vedere il Maestro nell’intimo della sua condizione di Figlio, viene loro concesso di vedere ciò che gli altri non vedono; dall’«essere con Lui», dallo «stare con Lui» in preghiera, deriva una conoscenza che va al di là delle opinioni della gente per giungere all’identità profonda di Gesù, alla verità. Qui ci viene fornita un’indicazione ben precisa per la vita e la missione del sacerdote: nella preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si tratta di un «rimanere con Lui» che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili, quando sembra che le «cose da fare» debbano avere la priorità. Ovunque siamo, qualunque cosa facciamo, dobbiamo sempre «rimanere con Lui».

Un secondo elemento vorrei sottolineare del Vangelo di oggi. Subito dopo la confessione di Pietro, Gesù annuncia la sua passione e risurrezione e fa seguire a questo annuncio un insegnamento riguardante il cammino dei discepoli, che è un seguire Lui, il Crocifisso, seguirlo sulla strada della croce. Ed aggiunge poi – con un’espressione paradossale – che l’essere discepolo significa «perdere se stesso», ma per ritrovare pienamente se stesso (cfr Lc 9,22-24). Cosa significa questo per ogni cristiano, ma soprattutto cosa significa per un sacerdote? 

La sequela, ma potremmo tranquillamente dire: il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. 
Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso. 

Il sacerdozio - ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero.

Carissimi ordinandi, vorrei proporre alla vostra riflessione un terzo pensiero, strettamente legato a quello appena esposto: l’invito di Gesù a «perdere se stesso», a prendere la croce, richiama il mistero che stiamo celebrando: l’Eucaristia. A voi oggi, con il sacramento dell’Ordine, viene donato di presiedere l’Eucaristia! A voi è affidato il sacrificio redentore di Cristo, a voi è affidato il suo corpo dato e il suo sangue versato. Certo, Gesù offre il suo sacrificio, la sua donazione d’amore umile e totale alla Chiesa sua Sposa, sulla Croce. E’ su quel legno che il chicco di frumento lasciato cadere dal Padre sul campo del mondo muore per diventare frutto maturo, datore di vita. Ma, nel disegno di Dio, questa donazione di Cristo viene resa presente nell’Eucaristia grazie a quella potestas sacra che il sacramento dell’Ordine conferisce a voi presbiteri. 

Quando celebriamo la Santa Messa teniamo nelle nostre mani il pane del Cielo, il pane di Dio, che è Cristo, chicco spezzato per moltiplicarsi e diventare il vero cibo della vita per il mondo. È qualcosa che non vi può non riempire di intimo stupore, di viva gioia e di immensa gratitudine: ormai l’amore e il dono di Cristo crocifisso e glorioso passano attraverso le vostre mani, la vostra voce, il vostro cuore! E’ un’esperienza sempre nuova di stupore vedere che nelle mie mani, nella mia voce il Signore realizza questo mistero della Sua presenza!

Come allora non pregare il Signore, perché vi dia una coscienza sempre vigile ed entusiasta di questo dono, che è posto al centro del vostro essere preti! Perché vi dia la grazia di saper sperimentare in profondità tutta la bellezza e la forza di questo vostro servizio presbiterale e, nello stesso tempo, la grazia di poter vivere questo ministero con coerenza e generosità, ogni giorno. La grazia del presbiterato, che tra poco vi verrà donata, vi collegherà intimamente, anzi strutturalmente, all’Eucaristia. Per questo, vi collegherà nel profondo del vostro cuore ai sentimenti di Gesù che ama sino alla fine, sino al dono totale di sé, al suo essere pane moltiplicato per il santo convito dell’unità e della comunione. È questa l’effusione pentecostale dello Spirito Santo, destinata a infiammare il vostro animo con l’amore stesso del Signore Gesù. È un’effusione che, mentre dice l’assoluta gratuità del dono, scolpisce dentro il vostro essere una legge indelebile – la legge nuova, una legge che vi spinge ad inserire e a far rifiorire nel tessuto concreto degli atteggiamenti e dei gesti della vostra vita d’ogni giorno l’amore stesso di donazione di Cristo crocifisso. 

Riascoltiamo la voce dell’apostolo Paolo, anzi in questa voce riconosciamo quella potente dello Spirito Santo: «Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27). Già con il Battesimo, e ora in virtù del Sacramento dell’Ordine, voi vi rivestite di Cristo. Alla cura per la celebrazione eucaristica si accompagni sempre l’impegno per una vita eucaristica, vissuta cioè nell’obbedienza ad un’unica grande legge, quella dell’amore che si dona in totalità e serve con umiltà, una vita che la grazia dello Spirito Santo rende sempre più somigliante a quella di Cristo Gesù, Sommo ed eterno Sacerdote, servo di Dio e degli uomini.

Carissimi, la strada che ci indica il Vangelo di oggi è la strada della vostra spiritualità e della vostra azione pastorale, della sua efficacia e incisività, anche nelle situazioni più faticose ed aride. Di più, questa è la strada sicura per trovare la vera gioia. Maria, la serva del Signore, che ha conformato la sua volontà a quella di Dio, che ha generato Cristo donandolo al mondo, che ha seguito il Figlio fino ai piedi della croce nel supremo atto di amore, vi accompagni ogni giorno della vostra vita e del vostro ministero. Grazie all’affetto di questa Madre tenera e forte, potrete essere gioiosamente fedeli alla consegna che come presbiteri oggi vi viene data: quella di conformarvi a Cristo Sacerdote, che ha saputo obbedire alla volontà del Padre e amare l’uomo sino alla fine.

Amen!

venerdì 19 dicembre 2014

Il sacerdote



Il sacerdote assolve 
dai peccati con la potestà da Cristo a lui trasmessa


III. Se alcuno ben consideri che gran cosa è poter avvicinarsi a quella beata e intatta natura, pur essendo uomo e ancora plasmato di carne e sangue, vedrà allora bene di quanto onore la grazia dello Spirito abbia degnato i sacerdoti. 

Per loro mezzo infatti queste cose si compiono, ed altre ancora per nulla inferiori a queste, sia per dignità, sia in rapporto con la nostra salvezza; quelli che dimorano in terra e sono posti in questa condizione, vengono ordinati ad amministrare le cose celesti e hanno ricevuto una potestà che Dio non ha conferito né agli angeli né agli arcangeli; poiché non fu detto a questi: "Ogni cosa che legherete sulla terra sarà legata anche nel cielo; e ogni cosa che scioglierete, sarà sciolta" (Mt. 18,18). 

Anche i dominatori sulla terra hanno il potere di legare, ma soltanto i corpi; invece questo legame si applica all’anima stessa e trascende i cieli; onde, checché i sacerdoti compiano quaggiù, questo conferma Dio in alto, e la deliberazione dei servi viene sancita dal padrone. E che vuol dire ciò, se non che ha loro conferito ogni potestà celeste? Dice infatti: "I peccati di coloro ai quali li rimetterete, saranno rimessi; quelli di coloro a cui li riterrete, saranno ritenuti" (Gv. 2,23). Qual potere maggiore di questo? 

Il Padre ha dato al Figlio ogni giudizio; or io vedo che essi ne furono fatti dal Figlio pienamente depositari. Come se già fossero assunti nei cieli, trascesa l’umana natura e sciolti dalle nostre miserie, così furono elevati a questa dignità. Inoltre, se un re partecipasse a qualcuno dei suoi sudditi quest’onore di poter gettare in prigione chiunque gli piacesse e nuovamente liberarlo, sarebbe costui invidiato e celebrato da tutti; colui poi che da Dio ha ricevuto una potestà tanto più grande quanto il cielo è più augusto della terra, e le anime dei corpi, parrà mai ad alcuno aver egli ricevuto sì piccolo onore, da poter anche solo pensare che altri abbia a mostrare disprezzo verso i depositari di sì eccelse cose? Lungi tale insania! 

È per vero insania palese, il guardar dall’alto in basso una dignità senza la quale non è dato di ottenere né la salvezza né i beni che ci furono annunziati. Ché se "nessuno può entrare nel regno de’ cieli, se non venga rigenerato per acqua e Spirito, e colui che non mangia la carne del Signore e non beve il suo sangue, viene escluso dalla vita eterna" (Gv. 3,5), e tutte queste cose si compiono da nessun altro fuorché da quelle sacre mani, dico del sacerdote, come potrà alcuno indipendentemente da loro, sia fuggire il fuoco della geenna, sia ottenere le corone riservate? 

A loro infatti, a loro fu affidata la generazione spirituale, e il partorire per mezzo del battesimo; per mezzo loro rivestiamo il Cristo, siamo consepolti col Figlio di Dio, e fatti membri di quel beato capo. Pertanto dovrebbero essere per noi giustamente più temibili che dominatori e re, non solo, ma anche più venerandi che padri; questi invero ci hanno generati "dal sangue e dalla volontà della carne" (Gv. 1,13), quelli invece ci sono strumento della generazione di Dio, di quella beata rigenerazione, della verace libertà e dell’adozione secondo la grazia.

Sacerdozio: San Giovanni Crisostomo

giovedì 25 settembre 2014

2. - UN REGALO ECCEZIONALE di EMMANUEL ANDRÈ


LIBRO SECONDO

Come il ministero può essere snaturato


CAPITOLO I
IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO

Il ministero ecclesiastico è una creazione di Nostro Signore; ma perché è affidato agli uomini può avvenire che a causa della loro natura soggetta a tante debolezze, non sia conservato nella completa integrità della sua natura.
Nostro Signore è Dio e insieme uomo ed ecco che ci sono stati degli uomini che hanno disgiunto in lui la divinità e l'umanità per poi negare l'una o l'altra e, conseguentemente distruggere questo grande mistero per quanto era in loro potere, e inaridire il fiume di grazie di cui è la sorgente. San Giovanni dice che questa è un'opera dell'Anticristo: "Ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio" (1 Gv. 4,3). Poiché gli uomini cercano di scindere il mistero dell'Incarnazione e annientarne le conseguenze, non c'è da stupire che la stessa cosa avvenga per il ministero che è una conseguenza e un'imitazione del mistero della divina Incarnazione.

CAPITOLO II
COME IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO

Dal momento che il ministero consiste essenzialmente in tre cose: la preghiera, la predicazione e i sacramenti, evidentemente la sua natura sarebbe mutata, alterata, annientata se accadesse che una di queste tre cose fosse soppressa o alterata. Chi non vede, infatti, che l'opera della salvezza degli uomini sarebbe necessariamente arrestata se cessasse la preghiera, se la predicazione divenisse muta e se i sacramenti non fossero più amministrati? Lo stesso accadrebbe se non solamente le tre cose sparissero insieme, ma anche se solo una di esse venisse a mancare. Andiamo più lontano e affermiamo che, pur sussistendo le tre parti essenziali del ministero, il ministero sarebbe infruttuoso se queste non avessero il posto voluto da Dio, cioè se l'ordine stabilito dal Signore non fosse esattamente conservato e osservato. A chi si daranno i sacramenti e a quale scopo si daranno se non precede la predicazione onde far nascere la fede nelle anime che è il principio delle opere necessarie alla salvezza? E la predicazione avrebbe la potenza che Dio le vuol dare a questo scopo se non fosse preceduta dalla preghiera che attira la grazia dall'alto e sopra il predicatore e sopra l'uditorio?

CAPITOLO III
SEGUITO DEL PRECEDENTE

Nel ministero c'è il corpo e l'anima, per cui mancando d'una delle due cose è snaturato in se stesso.
Il corpo del ministero è cosa abbastanza conosciuta; ma l'anima, lo spirito interiore che deve dargli vita è cosa troppo poco conosciuta. Vi sono molti che credono d'aver compiuto il ministero quando ne hanno compiuto tutte le opere esterne: ma la parte del ministero che si chiama "la preghiera" spesso è considerata l'opera della persona del sacerdote, mentre non è l'opera della persona, ma dello stesso ministero, come abbiamo già osservato (Libro I, Capo IV).
Ciò è importantissimo. Il sacerdote che si persuade che potrà adempiere il suo ministero, compiendo riguardo ai fedeli tutto ciò che possono cristianamente desiderare da lui e chiedergli; e dice a se stesso: Se non sono uomo interiore, uomo di preghiera, ciò riguarda me soltanto, e le conseguenze che ne derivano sono soltanto mie; grandemente si sbaglia e questo errore ci sembra essere oggi assai comune.
Il ministero, in questo caso, è un ministero senz'anima, un ministero senza vita e, troppo sovente un ministero di morte: "Ministratio mortis" (II Cor. 3,7).

CAPITOLO IV
COME IL MINISTERO È SNATURATO IN QUANTO ALLA SUA PRIMA PARTE: LA PREGHIERA

Abbiamo detto come il sacerdote mancherebbe al suo ministero se considerasse la preghiera un obbligo non del ministero della Chiesa, ma del cristiano che è in lui.
Il sacerdote non può né deve separare in sé stesso il cristiano dal sacerdote, né il sacerdote dal cristiano. Benché sia vero dire ch'egli è cristiano per sé e sacerdote per gli altri, nella realtà non è meno vero che in lui è il cristiano che è sacerdote.
I doveri del cristiano e i doveri del sacerdote sono una cosa sola, come il cristiano e il sacerdote sono in lui una sola persona.
Sarebbe perciò un grande errore il non pensare la preghiera come il massimo, più importante e più indispensabile obbligo del sacerdote. Egli deve la preghiera a Dio, alla Chiesa, alle anime, a sé stesso: a Dio del quale è una creatura; alla Chiesa della quale è ministro; alle anime delle quali è servo; alla sua anima della quale dev'essere, dopo Dio, il salvatore.
Egli la deve perpetua: "Bisogna pregare sempre" (Lc. 18,1).
La deve nelle ore canoniche e nella forma canonica.
Nella forma canonica. Questa generalmente si accetta perché c'è un obbligo formidabile e si sa che si commetterebbe peccato mortale, lasciando una sola ora canonica. Ma che bisogna recitare le ore canoniche nelle ore canoniche generalmente non si sa. Tuttavia che cosa significano le parole del breviario: Ad Matutinum, ad Primam, ad Tertiam, ad Sextam, ad Nonam, ad Vesperas, ad Completorium?
Si dirà che in altri tempi era così. Certamente, ma perché e come mai oggi non è più così?
Attualmente si recita Mattutino alla vigilia, cioè si fa della preghiera della notte e del mattino una preghiera della sera, o meglio, una preghiera del "fra poco".
Perché forse non s'è trovato più facile alzarsi più tardi che di buon mattino?
Si dice: è per avere tempo per la meditazione. Ma forse che i nostri padri non conoscevano la meditazione?
Forse non vi dedicavano del tempo? Siamo perciò più dediti alla meditazione di quanto lo erano i nostri antichi?.
Oh! Un fatto è certo: noi meditiamo meno dei nostri padri e abbiamo addosso una dose di pigrizia e d'immortificazione che certamente i nostri padri non conoscevano.
Le preghiere del giorno che i nostri padri avevano così saggiamente distanziato da tre a tre ore per richiamarci senza posa all'adorazione della SS. Trinità, oggi si recitano in una sola volta; e ciò, si afferma, per essere più liberi.
Più libero! Ma che cos'è questa libertà che si affranca dalla puntualità nella preghiera? E per che cosa si impiegherà questa libertà? A correre e a discorrere? A giocare e a ridere? Ah! La libertà! I nostri padri ne avevano un altro concetto. Essi venivano meno, ammirando la definizione che ne aveva dato Sant'Agostino: "Libertas est Charitas" (De Natura et gratia, Lib. I, Cap. LXV).
La carità! Amare Dio e il prossimo, amare Dio e pregarlo: amare il prossimo e lavorare alla sua salvezza, questa era la carità secondo i nostri padri.
È dunque vero che oggi s'intende in altro modo la libertà e così il dovere della preghiera. Quasi dappertutto non si fa più la preghiera canonica nelle ore canoniche e ciò non è una delle cause per le quali il ministero produce pochi frutti press'a poco dappertutto?
E se il ministero è così importante a salvare chi per la cui salvezza è stato istituito, non bisogna forse concludere che dal momento in cui non attinge il suo scopo dev'essere considerato come un'istituzione malauguratamente viziata, diciamo la parola, snaturata?

CAPITOLO V
COME IL MINISTERO È SNATURATO NELLA SUA SECONDA PARTE: LA PREDICAZIONE

Ci sono più modi per snaturare il ministero in ciò che concerne la parola di Dio. Innanzitutto non predicando affatto e meritando in questo modo il nome che lo Spirito Santo in passato diede a certi pastori negligenti quando li chiamo "cani muti, incapaci di abbaiare" (Is. 56,10).
Il Signore chiamava con questo nome le sentinelle d'Israele, uomini ciechi e ignoranti, cani che non sapevano abbaiare.
Uomini dagli occhi aperti soltanto alla vanità, uomini sempre addormentati, amanti dei loro sogni: "I suoi guardiani sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi" (Is. 56,10).
Nulla da aggiungere a queste parole dello Spirito Santo.
Si snatura il ministero, predicando come parola di Dio ciò che non è parola di Dio. Dice il Signore a Geremia: "I profeti hanno predetto menzogne in mio nome; io non li ho inviati, non ho dato ordini, né ho parlato loro. Vi annunziano visioni false, oracoli vani e suggestioni della loro mente" (14,14).
Infine, anche predicando la parola di Dio, le si potrebbe far subire certe alterazioni che l'Apostolo San Paolo aveva dinanzi agli occhi quando chiamava corruttori, falsificatori e alteratori della parola di Dio certi predicatori: "che mercanteggiano la parola di Dio" (2 Cor. 2,17 e 4,2). Spiegando queste parole dell'Apostolo, G. Estio dice: "Mercanteggiano, ossia trattano con inganno la parola di Dio coloro che non la dispensano illibata e pura, come è stata trasmessa, ma la guastano e la falsificano mescolandovi la sapienza del mondo o la dottrina giudaica; sicuramente servendo ad essa cercano non la gloria di Dio, ma il compiacimento dei propri comodi; mentre ingannano gli uomini cercano di piacere loro e, per piacergli, adattano la parola di Dio ai loro sentimenti" (in Cor. IV, 2).
Per concludere questo capitolo, diciamo che la parola di Dio dev'essere predicata con lo Spirito di Dio, e lo Spirito di Dio non sarà con noi se noi non siamo uomini di preghiera. ciò ancora una volta dimostra come il ministero dipende tutto intero dalla preghiera che San Pietro pose prima di tutto: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4).

CAPITOLO VI
COME IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO NELL'AMMINISTRAZIONE DEI SACRAMENTI

Abbiamo detto (Libro I, cap. VII) qual è il compito dei sacramenti nell'economia della religione e, conseguentemente nel ministero ecclesiastico. I sacramenti non danno le disposizioni necessarie per riceverli, è evidente perciò che il ministero sarebbe snaturato se chi dà i sacramenti non avesse tutta la sollecitudine necessaria per far nascere queste disposizioni, tutta l'attenzione indispensabile per riconoscerle là dove sono e tutta la fermezza voluta per non dare i sacramenti dove non vi sono le disposizioni richieste da Dio stesso.
Con quanta facilità ci si immagina ai nostri giorni di avere le disposizioni a un sacramento poiché si ha la volontà di riceverlo e la bontà di accettarlo! Non so se questo modo di pensare sia proprio di un gran numero di anime, ma è cosa certa che dove esiste è completamente fuori delle condizioni perché il sacramento possa portare qualche frutto.

CAPITOLO VII
CIÒ CHE PUÒ ESSERE IL MINISTERO QUANDO È SNATURATO

Il ministero può fallire al suo scopo per una moltitudine di cause diverse, come l'abbiamo dimostrato con quanto precede; che può essere allora il ministero se non abitudine, empirismo, o una specie di industria?
Ci spieghiamo. L'abitudine è una specie di ministero ecclesiastico che consiste nel rispondere a ciò che è domandato e a fare di volta in volta ciò che si presenta. Ossia, si fa quanto si deve fare, in virtù di un certo ordine materiale, di un'usanza e di un'abitudine che non merita biasimo in se stessa. Ad un ministero così fatto manca poco meno di quanto manca ad un cadavere: l'anima, lo spirito.
L'empirismo... Ahimè quale parola in una materia tanto grave! La parola infelicemente richiama alla memoria quegli uomini che con un solo rimedio s'impuntano a guarire tutti i mali e son detti ciarlatani. Quando nel ministero si segue un metodo analogo a quello dei ciarlatani, vi si mette del buon volere (non diciamo della buona volontà nel senso teologico della parola): si vuole il bene, ci si dà da fare per il bene, ma è un da fare mosso da una volontà poco e male illuminata. Si possono fare dei grandi passi con la speranza che finalmente si imboccherà la buona strada; ma non si sa chiaramente che cos'è la buona strada e quali sono le condizioni per camminarvi con sicurezza.
Noi chiamiamo una specie d'industria un certo ministero ecclesiastico nel quale si fa un grande spreco dello spirito: s'inventano mille modi, si mettono in movimento mille espedienti, s'impiegano mille e mille arti, ma vi è un male in tutto lo spirito che si esplica: la mancanza dello spirito di Dio.
Abbiamo tra le mani un libro scritto recentemente, assai lodato ed anche coronato di un certo successo. Un libro che è un vero metodo dell'industrialismo in fatto di ministero. Contiene espedienti di cento maniere, per il sindaco e per il suo vice, per il castellano e la castellana, per il notaio e per il medico, per il maestro e per la guardia campestre, ecc. ecc.
Dopo aver letto questo libro ci siamo detti: ecco delle cose che San Pietro e San Paolo non sapevano. Poi ci venne alla mente questa riflessione: è meglio sapere soltanto ciò che sapevano San Pietro e San Paolo!

CAPITOLO VIII
LE CONSEGUENZE DEL MINISTERO SNATURATO

Quando il ministero è snaturato, il sacerdote che non riesce a convertire le anime è portato ad affermarsi piuttosto al ministero che a sé stesso. Lontano dal dirsi: non sono un uomo di preghiera; non tratto la parola di Dio come di Dio; non vigilo perché i sacramenti che sono santi siano santamente ricevuti. Ma dirà molto facilmente a sé stesso che i mezzi che gli sono stati affidati sono impotenti, e che, logicamente non può nulla e che non c'è nulla da fare. Dopo ciò egli potrà cadere in una specie di pigrizia spirituale, che gli impedirà di vedere e il male che sta di fronte ai suoi occhi, e il bene da farsi, né i mezzi da prendere per far sì che il suo ministero sia utile al prossimo e a sé stesso.
Se il male aumenterà potranno sorgere nell'anima del sacerdote dei dubbi intorno all'opera di nostro Signore nel creare il ministero; e il ministero divenuto impotente tra le sue mani, potrà essere considerato da lui impotente a causa di nostro Signore.
Ancora un passo: il sacerdote dapprima avvilito, poi esitante nella fede, cadrà nello scoraggiamento, potrà perdere la fede e precipitare in colpe che non hanno più nome, quando sono le colpe di un sacerdote: "Non peccata, sed monstra", dice Tertulliano.
Certamente in tutti questi scalini di discesa c'è una logica, beninteso senza fatalità: che Dio voglia allontanare una si fatta caduta dal sacerdote!

1. Omni die dic Mariae 
Mea laudes anima: 
Ejus festa, ejus gesta 
Cole devotissima.


giovedì 18 settembre 2014

Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce?


NONA STAZIONE
Gesù cade per la terza volta



V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.


Dal libro delle Lamentazioni. 3, 27-32
È bene per l’uomo portare il giogo fin dalla giovinezza. Sieda costui solitario e resti in silenzio, poiché egli glielo ha imposto; cacci nella polvere la bocca, forse c’è ancora speranza;porga a chi lo percuote la sua guancia, si sazi di umiliazioni. Poiché il Signore non rigetta mai. . . Ma, se affligge, avrà anche pietà secondo la sua grande misericordia.





Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce? Forse ci fa pensare alla caduta dell’uomo in generale, all’allontanamento di molti da Cristo, alla deriva verso un secolarismo senza Dio. 

Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? 

A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! 

Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! 

Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! 

Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! 

Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! 

Quanta superbia, quanta autosufficienza! 

Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! 

Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (cfr. Mt 8, 25).


PREGHIERA

Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. 

Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo. Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi.

Tutti:
Pater noster...


Eia mater, fons amoris,
me sentire vim doloris
fac, ut tecum lugeam.


mercoledì 13 agosto 2014

Gli effetti del cambiamento del sacerdozio

Gli effetti del cambiamento del sacerdozio


1. La fede minacciata
Il nuovo “Credo” del sacerdote
Il sacerdote, non dichiarando più la sua fede pubblicamente con l’abito, col suo atteggiamento verso il Santissimo Sacramento e le cose sacre, trascurando tutti i sacramentali, a poco a poco perde la fede nel soprannaturale, nella grazia, e presto, spinto dalla nuova teologia, dubiterà della divinità di Nostro Signore e forse della Santissima Trinità. Poco a poco si fa strada un nuovo Credo nella sua mente, il Credo del progresso e della giustizia sociale, dell’azione sindacale e politica.
Davanti a questo pericolo, i vescovi hanno pensato ad una formazione permanente. Sessioni, aggiornamenti, seminari, convegni andranno a rianimare la fede dei loro sacerdoti, ma tutti quelli che sono chiamati a dirigere queste riunioni sono quelli che dubitano della propria fede ed insegnano sistematicamente la nuova religione. Invece di consolidare i sacerdoti, li disorientano di più.
Ora, questo degrado della fede è tragico in un sacerdote per cui tutta la vita, anche professionale, se così si può dire, poggia sulla fede e deve essere un’espressione della sua fede.
Il catechismo messo a dura prova
L’insegnamento delle verità della fede cattolica normalmente si fa con il catechismo. Ora questo compito sacerdotale è reso difficile all’indomani del concilio Vaticano II, visti i catechismi messi tra le mani dei sacerdoti. Infatti sono impregnati dello spirito di novità. L’insegnamento del catechismo talvolta è perfino affidato a dei non-cattolici.
Il male della crisi si trova anche a livello dell’insegnamento del catechismo. Lì, siete capaci di giudicare anche da voi stessi a che punto siano i catechismi che vi vengono consegnati. In realtà si può dire che tutti i nuovi catechismi dipendono più o meno in linea diretta dal catechismo olandese. E’ il medesimo spirito modernista, il medesimo spirito di novità, che regna nei catechismi fatti recentemente. Ora questo catechismo olandese è stato esaminato da una commissione di cardinali, che ha condannato formalmente dieci punti importanti, fondamentali, che toccano la fede ed ha chiesto ai vescovi olandesi di cambiare, di modificare i paragrafi in questione. Quei paragrafi non sono stati modificati. E’ stata pubblicata un’edizione con un inserto che forniva i diversi punti condannati alla fine del libro, ma il testo non è stato modificato. Ed è da quel catechismo che sono usciti i nostri! Le nuove edizioni tuttavia non hanno più ciò che è stato condannato dal Papa.
Tutti [i catechismi] risentono della dottrina che ci è stata sottoposta nel primo schema de “la Chiesa nel mondo”, che, occorre dirlo, non è cattolico. La fede, la parola di Dio, lo Spirito, il popolo di Dio sono spiegati alla maniera modernista e protestante, cioè razionalista. La Rivelazione è sostituita dalla coscienza che, col soffio dello Spirito, si esprime con il profetismo. Questo profetismo che appartiene a tutto il popolo di Dio si esprime specialmente nella liturgia della parola. Il battesimo ed i sacramenti sono più delle espressioni della fede che le cause della grazia e delle virtù. Ma non finiremmo qui se volessimo segnalare tutti i pericoli che hanno in sé tutti questi catechismi, che si riferiscono tutti al Vaticano II. E certamente, si possono trovare nel concilio ed in particolare nel documento Gaudium et spes delle frasi equivoche e tutto uno spirito che è scaturito dal primo schema. [...]
Quindi è evidente che un siffatto catechismo, impastato di idee moderniste, deve essere respinto ad ogni costo. Mettere questi nuovi catechismi tra le mani dei bambini è un vero crimine ed un attacco alla loro fede.[...]
Attacchi al celibato sacerdotale
Se si perde la fede nel sacerdozio, se si perde la nozione che il sacerdote è fatto per quell’unico Sacrificio che è il Sacrificio dell’altare, che è la continuazione del Sacrificio di Nostro Signore, si perde anche il senso del celibato. Per il sacerdote non c’è più ragione, allora, di essere celibe.
I protestanti ne hanno dato la prova. Appena hanno negato il Sacrificio della Messa, la presenza divina della Vittima, per sostituirlo con una cena, un semplice memoriale, hanno abolito anche il celibato.
Questa visione desacralizzante del ministero sacerdotale porta naturalmente ad interrogarsi sul celibato dei sacerdoti. Rumorosi gruppi di pressione reclamano la sua abolizione, nonostante i ripetuti richiami del magistero romano. Nei Paesi Bassi, si sono visti dei seminaristi fare lo sciopero delle ordinazioni per ottenere delle garanzie in questo senso. Ometterò le voci episcopali che si sono levate per fare pressione sulla Santa Sede perché aprisse questo dossier.
Vista l’uguaglianza che ai nostri giorni si vuole stabilire tra i laici ed i sacerdoti, di modo tale che i laici diventino sacerdoti ed i sacerdoti dei laici, gli stessi sacerdoti dicono: “Se siamo uomini come gli altri, se non siamo distinti da loro, perché non sposarci?” Quindi, c’è tutto un movimento contro il celibato.
Ancora oggi, la lotta non è finita, ci sono ancora dei falsi teologi che militano a favore del matrimonio dei sacerdoti. Ci sono senza dubbio perfino dei vescovi felici di vedere che non ci sono più vocazioni nel loro seminario, per costringere Roma ad ordinare delle persone sposate e finirla col celibato sacerdotale. Queste sono intenzioni diaboliche. Noi sappiamo bene che le campagne della stampa e della televisione sono fatte per distruggere questa testimonianza della santità della Chiesa. 
La questione non si porrebbe neppure, se il clero avesse conservato il senso della Messa e del sacerdozio. No, perché la sua ragione profonda si presenta da sola quando si comprendono bene queste due realtà. E’ lo stesso motivo per cui la santissima Vergine Maria è rimasta vergine: siccome aveva portato Nostro Signore nel suo seno, era giusto e conveniente che fosse tale. Così anche il sacerdote, il quale mediante le parole che pronuncia nella Consacrazione, fa discendere Dio sulla terra. E’ talmente vicino a Dio, Essere spirituale, Spirito per antonomasia, da far risultare buono, giusto ed eminentemente conveniente che anche lui sia vergine e rimanga celibe. Si obietterà che in Oriente esistono dei sacerdoti sposati. Non facciamo confusione, sono solamente tollerati. I vescovi orientali non possono essere sposati e neppure coloro che esercitano funzioni di qualche importanza. Quel clero venera il celibato sacerdotale che fa parte della più antica Tradizione della Chiesa e che gli apostoli hanno cominciato ad osservare dalla Pentecoste in poi; quelli che, come Pietro, erano sposati, pur continuando a vivere con le loro spose non le conobbero più. 
E’ caratteristico che i sacerdoti soccombenti al miraggio di una pretesa missione sociale o politica contraggano quasi automaticamente matrimonio. Le due cose vanno di pari passo. Ci vorrebbero far credere che i tempi presenti giustifichino qualsiasi tipo di abbandono, che sia impossibile nelle condizioni attuali di vita essere casti, che il voto di verginità per i religiosi e le religiose sia un anacronismo. L’esperienza di questi venti anni dimostra che gli attentati portati al sacerdozio col pretesto di adattarlo all’epoca attuale sono mortali per il sacerdozio.
2. Constatazione di un fallimento: una chiesa fortemente indebolita
Verso la fine dei seminari?
La negazione dei veri principi teologici del sacerdozio ha come conseguenza il desiderio dell’abolizione della legge del celibato, l’abbandono dei compiti sacerdotali, fino all’abbandono del sacerdozio, la rarefazione delle vocazioni, una concezione nuova e falsa della formazione sacerdotale fino all’abolizione per principio dei seminari, la sostituzione dei laici ai sacerdoti professori delle cattedre di teologia e di filosofia, nelle università cattoliche, perfino nei compiti pastorali.
La falsa concezione del sacerdozio ha distrutto i seminari e modificato radicalmente i principi della formazione sacerdotale. L’evangelizzazione ha preso il posto del Sacrificio, mentre essa non si può capire né giustificare che in funzione del Sacrificio. Un’evangelizzazione che non raggiunga più il suo scopo devia rapidamente verso fini diversi dalla Redenzione e dalla gloria di Dio. Si trasforma in apertura al mondo ed al suo spirito corrotto. 
Quanti seminari, sia piccoli che grandi, ne sono stati deplorevoli esempi, e hanno finito col vuoto completo! Quanti sono in vendita o sono già stati venduti! Si può dire in tutta verità che i seminari si sono suicidati il giorno in cui, spezzando l’altare del Sacrificio, lo hanno sostituito con la tavola della cena. [...]
Verso una Chiesa senza sacerdoti?
Spiegano che clero e laici sono membri uguali del “popolo di Dio” a tal punto che i laici designati a funzioni particolari assumono ruoli clericali, mentre il clero prende le parti dei laici, si veste come loro, si iscrive ai sindacati, fa politica. Il nuovo diritto canonico rafforza questa concezione. Conferisce prerogative inedite ai fedeli, riducendo la differenza fra questi e i sacerdoti, istituendo una serie di concessioni che chiama “diritti”: dei teologi laici possono accedere alle cattedre di teologia nelle università cattoliche, i fedeli partecipano al culto divino in settori prima riservati ad alcuni ordini minori nonché all’amministrazione di alcuni sacramenti: distribuiscono la comunione, condividono l’attestazione ministeriale nelle celebrazioni di matrimonio. [...]
[…] Un sacerdote che è come i laici nel vestito, nel modo di comportarsi, nel modo di agire, a poco a poco assume esattamente il modo di pensare profano e perde il senso sacerdotale. E’ così che dopo un certo lasso di tempo si chiede chi sia e per cosa sia fatto. 
Insomma, ci chiediamo se stiamo sognando quando constatiamo che si è giunti al punto di non sapere più cosa sia il sacerdote, né per cosa sia fatto. 
(Mons. ML)


lunedì 6 gennaio 2014

La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.

Santi Re Magi. Bassorilievo.
Chiesa di Sant'Eustorgio, Milano. Dove si conservano
le Reliquie dei Santi Gasparre Melchiorre e Baldassarre 

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Domenica, 6 gennaio 2013


Cari fratelli e sorelle!
Per la Chiesa credente ed orante, i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia. Per questo, la liturgia legge il Vangelo che parla del cammino dei Magi insieme con le splendide visioni profetiche di Isaia 60 e del Salmo 72, che illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme. Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui. La Chiesa chiama questa festa “Epifania” – l’apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt 3,4).




Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, celebriamo la festa dell’Epifania anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per quattro sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni diverse, collaboreranno al Ministero del Papa per l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella pluralità delle Chiese particolari. Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è evidente. Il Vescovo ha il compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri, ma di precedere e di indicare la strada. Vorrei, però, in questa liturgia, riflettere con voi ancora su una domanda più concreta. In base alla storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci una certa idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità. Che tipo di uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravedere qualcosa su che cosa sia il Vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito.



Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica. Ma non volevano soltanto sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.



Ma con ciò giungiamo alla domanda: come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo. Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae. L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore.



Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri. Il Vescovo, come pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev’essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.



Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.



Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri. 
Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli dev’essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti. Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!

In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo. E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.



I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr Gv 1,9). Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15).



Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento, allora anche voi diventerete sapienti. Allora diventerete astri che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della vita. In quest’ora noi tutti qui preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore. Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino la sua vicinanza e ricevano il dono della sua gioia. Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato ai Magi il nuovo Re del mondo (Mt 2,11), affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori della strada che porta a Lui. Amen.





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