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domenica 4 dicembre 2022

L'importanza della prima ordinazione diaconale

 

Mons. Agostino Gonon

Vescovo di Moulins

Verso le vette della Santità Sacerdotale

* * *

RITIRO DEL MESE DI DICEMBRE

IL SACERDOTE E IL DIACONATO

***

Considerate ergo, Fratres, viros vobis boni testimonii septem, plenos Spiritu Sancto et sapientia.

(Act. 6, 3). Ecco le parole che iniziano la prima ordinazione dei Diaconi, narrata dagli Atti degli Apostoli. Esse rivelano la importanza del passo che stava per compiere la Chiesa nascente; richiamano l’attenzione sul valore del nuovo Ordine che si voleva istituire, per il fatto che ammettevano soltanto uomini meravigliosamente favoriti di buona testimonianza, di pienezza di Spirito Santo, di abbondante Sapienza. Solo un dono regale può giustificare simili esigenze e il Diaconato è davvero tale: Diaconus quasi propinquus ordini sacerdotali aliquid participat de ejus officio 65). Quest’affermazione di S. Tommaso ci mostra nel Diacono qualche cosa del sacerdote, ci si avvicina alla vetta luminosa. Non ancora il sacerdozio, ma una parte notevole del suo ministero viene conferita agli eletti.

Quasi eco di quel preludio antico, la cerimonia del nostro Diaconato incominciò con un rito fino allora inusitato per noi, e che dovette incuterci sacro timore, se l’animo nostro era compreso, come avrebbe dovuto esserlo, del sentimento del nostro nulla, della cognizione della nostra miseria. Ricordiamo!

L’Arcidiacono, nel presentarci al Pontefice consacrante lo pregò di ordinarci.

Gli fu risposto: — Scis illos dignos esse?

Egli riprese: — Quantum humana fragilitas nosse sinit, et scio, et testificor, ipsos dignos esse ad hujus onus offici.

E non paventammo, benché il Vescovo, continuando l’inchiesta, lanciasse agli astanti l’intimazione: Si quis habet aliquid contra illos… exeat et dicat.

Nessuno si mosse, neppure la nostra coscienza, dominata com’era dalla fede nell’Amore che ci aveva chiamati: Non vos me elegistis, sed ego elegi vos! (Ioan. 15. 16). Ma allora dovette avvivarsi in noi il bisogno di essere grandi, di nobili sensi, per ricevere degnamente la grazia preziosissima che stava per esserci conferita; si dovette raffermare in noi la volontà d’adottare un metodo di vita che favorisse tutta la possibile fecondità.

Siccome non v’è dubbio riguardo alla natura sacramentale del Diaconato 66) perché fu l’inizio del Sacramento dell’Ordine sacro, così è certo che esso ha infuso nelle nostre anime una grazia abbondante, concessa per tutta la vita in una volta sola, con possibilità d’essere accresciuta in seguito con gli atti che ne dovevano promanare; una grazia permanente, che ci comunicava il diritto assoluto a grazie attuali, le quali dovevano aiutarci a compiere con frutto le funzioni proprie del Diacono.

Facciamo rivivere tanta grazia riconoscendone ancor meglio l’alto valore alla luce della fede. Meditiamo quindi la dignità e gli uffici del Diacono.

1. – DIGNITÀ

Nell’istruzione e nel prefazio con cui incomincia il rito solenne del conferimento del Diaconato, quest’Ordine è assimilato al Levitico e additato come un privilegio singolare; Adeo ut grandi quodam privilegio haereditatis, et tribus Domini esse mereretur et dici. I Leviti erano separati dal popolo di Dio, resi superiori ai loro fratelli con prerogative immense.

I misteriosi disegni della Provvidenza distinguono in tal modo quanti essa destina a una più larga partecipazione all’opera della santificazione delle anime, ai benefici che irradiano dai due grandi misteri dell’Incarnazione e della Redenzione, ossia all’opera di Cristo.

Bisognava anzitutto venisse il Cristo adorabile, Verbum caro factum est et habitavit in nobis, (Ioan. 1, 14,) e poi si perpetuasse nel tempo e nello spazio fino alla fine dei secoli. Nell’uno e nell’altro mistero il concorso della SS. Vergine fu intimo e profondo. Ella compì la sua mirabile funzione di Mater Christi a Bethlehem, e nel Cenacolo il giorno della Pentecoste, assistendo agli inizi della Chiesa docente, benedicendo lo zelo degli Apostoli, acceso dal soffio rinnovatore dello Spirito Santo. Essa cominciò la sua missione di Madre delle anime: Ecce Mater tua (Ioan. 19, 26).

A questi due ministeri che le conferivano una dignità eccelsa, Ella fu preparata da tutta l’eternità; ma in modo manifesto e più immediato nel tempo con il suo ritiro di preghiera e di meditazione nel Tempio, e con il mistero complesso che in lei si compì il giorno dell’Annunciazione.

Il decreto della sua Concezione Immacolata costituì la preparazione eterna; la preparazione nel Tempio si ebbe con lo studio delle sacre Lettere in cui Ella apprese anticipatamente la storia di Colui che doveva poi essere suo Figlio! Con S. Paolo, ma con più ragione, avrebbe potuto esclamare: Non enim indicavi me scire aliquid inter vos, nisi Jesum Christum (1 Cor. 2, 2). Ma in che consistette la preparazione nel giorno dell’Annunciazione? L’Angelo ce lo rivela come qualche cosa di meraviglioso: Et respondens angelus dixit ei: Spiritus Sanctus superveniet in te, et virtus Altissimi obumbrabit Ubi. Ideoque et quod nascetur ex te sanctum vocabitur Filius Dei (Luc. 1, 35-36).

Maria per poter divenire Madre del Figlio di Dio, Gesù, e dei figli di Dio, i cristiani, ricevette nuova effusione dello Spirito Santo, benché già lo possedesse in tutta pienezza nell’anima sua idealmente pura. Il celeste Messaggero infatti non le dice: veniet, ma superveniet insinuando così un accrescimento di grazia incommensurabile.

Quindi fu investita di una forza sovrumana, della virtù stessa dell’Altissimo. Non doveva Ella concorrere ad un’opera infinitamente superiore alla creazione del mondo? Essere collaboratrice di Dio per la generazione del Verbo nella natura umana, è, senza confronto, dignità più grande che non esserlo, come Adamo, per la generazione dell’umanità intera.

Oh, inaccessibile sublimità di misteri che ci presentano Maria in un nembo di luce, più alta che le creature dotate di ragione e delle stesse creature angeliche: Regina angelorum!

Generationem ejus quis enarrabit?… (Isai. 53, 8). Ma queste linee rapidamente abbozzate descrivono la storia della Vergine Santa o la nostra?

Oh, sì, come Lei avemmo la nostra preparazione eterna nel decreto misericordioso che ci contrassegnò del luminoso segno della vocazione: In caritate perpetua dilexi te, ideo attraxi te… (Jerem. 31, 3). Electus ex minibus! (Cant. 5, 10).

Come Lei avemmo la preparazione al Tempio nella nostra vita raccolta fra le mura del Seminario, dove imparammo a conoscere meglio Gesù iniziandoci alle scienze sacre.

Come Lei infine ci deliziammo di quel Natale che fu il giorno del nostro sacerdozio; ma prima, come Lei ancora, esultammo della nostra Annunciazione nel giorno del Diaconato.

Nel giorno del mistico nostro Natale ricevemmo il potere di generare il Figlio dì Dio e i figli di Dio. Dopo d’allora, ogni mattino, proni all’altare su cui lo facciamo discendere con le parole della consacrazione, alle quali Egli obbedisce irresistibilmente, non possiamo ripetere a Gesù: Filius meus es tu, ego hodie genui te? (Ps. 2, 7). Ogni giorno, prodigandoci generosi in un apostolato fatto più intenso per nostro volere: Ego autem libentissime impendan: et superimpendar ipse pro animabus vestris (2 Cor. 12, 5), non moltiplichiamo forse il numero di coloro cui possiamo dire con intima gioia e un’immensa gratitudine verso Dio: Per Evangelium ego vos genui? (1 Cor 4, 5).

No, non v’è opera che uguagli la nostra; essa è superiore allo stesso Fiat lux che produsse soltanto cose temporali, mentre noi produciamo cose eterne… et fructus vester maneat! (Ioan. 15, 16).

Prima d’essere investiti del potere di consacrare e di santificare, come Maria ricevemmo una sovrabbondanza dello Spirito Santo e della forza che ne è la manifestazione: Accipe Spiritum Sanctum ad robur, ci fu detto dal Vescovo consacrante nel momento in cui imprimeva in noi il carattere sacro del Diaconato. E continuava: Emitte in eos, quaesumus, Domine, Spiritum Sanctum, quo in opus minuterii tui fideliter exsequendi, septiformis gratiae tuae munere roborentur. Abundet in eis totius forma virtutis. E’ commovente e stupenda l’armonia coll’annunzio angelico: Spiritus sanctus superveniet… Virtus Altissimi obumbrabit… (Luc. 1, 35). L’Annunciazione prepara il Natale, il Diaconato prepara il Presbiterato: le due aurore preparano meriggi di meravigliosa luminosità.

Oh, la grandezza nostra! Quando lasciammo il Tempio, rivestiti delle nostre bianche dalmatiche, gli angeli potevano leggere sulla nostra fronte: Amictus lumine sicut vestimento (Ps. 103, 2); con un accento suggestivo dovette ripercuotersi l’eco della parola del Maestro: Ut filii lucis sitis (Ioan. 12, 36).

Lo siamo stati finora? Lo spirito del Diaconato trasporta in alto: Video coelos apertos et Filium hominis stantem a dextris Dei (Act. 7, 55). Viviamo a simili altezze? Noi apparteniamo all’Ordine dei Leviti, alla porzione eletta delle anime, alla famiglia di Stefano presentato dagli Atti plenum fide et Spiritu Sancto, alla stirpe di quel Lorenzo di cui è scritto: Bonum opus operatus est. Non dimentichiamo che tanta nobiltà ci impone obblighi immensi. Se abbiamo a rimpiangere qualche deviazione dalla via che ci deve far salire sempre più alto, o una diminuzione di luce; per risalire sulle vette e avvivare il focolare di luci inestinguibili, attingiamo vigore nuovo dalla grazia già ricevuta, la quale permane in noi come un capitale inesausto, fino all’eternità.

2. – UFFICI

Diaconum oportet ministrare ad altare, baptizare et praedicare 67).
Ecco la parte di ministero sacerdotale che ci fu allora commessa. Benchè limitata in parte nel suo esercizio, ci imponeva nondimeno e subito, virtù eminenti, sulle quali il Vescovo consacrante insisteva. Rileggiamo queste linee così suggestive del Pontificale: Levi quippe interpretatur additus, sive assumptus. Et vos, filii dilectissimi… estote assumpti a carnalibus desideriis, a terrenis concupiscentiis, quae militant adversus animam; estote nitidi, mundi, puri, casti, sicut decet ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei. Leggiamo ancora: Quia comministri et cooperatores estis corporis et sanguinis Domini, estote ab omni illecebra carnis alieni.

Tutto si compendia nella purezza, che nel diacono deve essere illibatissima. Sappiamo poi che questa virtù è progressiva, poichè essa parte bensì dall’esenzione del vizio proibito dal sesto comandamento ed esenzione tale e così delicata, che, in più della castità ordinaria, anche perfetta, esige angelica verginità; ma va ben oltre. La purezza infatti non è soltanto una virtù negativa che esclude il male, ma anche una virtù positiva che produce il bene.

Dio è purezza infinita. Il puro si riveste di Lui progressivamente: Qui sanctus est sanctificetur adhuc (Apoc. 22, 71). Questo deciso progresso verso il bene è richiesto al ministro dell’altare che, secondo l’Apostolo, non solo dev’essere segregatus a peccatoribus, ma inoltre, excelsior coelis factus (Hebr. 7, 26).

Ecco il magnifico stadio su cui noi diaconi abbiamo fatto qualche passo, invitati a non mai retrocedere, bensì a percorrerlo senza mai fermarci.

a) Mundamini qui fertis vasa Domini (Isai, 52, 11); ci era consentito di elevare al cielo il calice dell’oblazione dopo aver mescolato al vino le gocce d’acqua, santificata dalla benedizione del sacerdote.

Questa particolarità ci permette di scorgere un’armonia nuova fra il Diacono e la Vergine Santissima.

Il suo sangue verginale fornì gli elementi necessari alla formazione del Sangue di Gesù; una parte di Lei è diventata Gesù. Perciò quanto fu santa Maria!

Il vino del calice offerto dal Diacono, fornisce gli elementi del Sangue di Gesù chiamato dalle parole della Consacrazione: le gocce d’acqua depostevi simboleggiano l’unione della Chiesa con Cristo, ossia le anime ch’Egli unisce a Sé mediante il suo amore redentore e che integrano il suo essere morale, come parte di Lui stesso: Qui autem adhaeret Domino, unus spiritus est (1 Cor. 6, 17). Ora, il ministro rappresenta il popolo; il Diacono rappresenta quindi coloro che devono divenire una cosa sola con Gesù. Come bisogna essere santi per divenire idonei a tanto ministero!

b) Dopo il ministero dell’imitare, il ministero del Battesimo.

Giovanni il Precursore lo compiva nel deserto, ma nello scorgere Gesù esclama: Quia vidi Spiritum descendentem quasi columbam de coelo, et mansit super eum… hic est qui baptizat in Spiritu Sancto (Ioan. 1, 32). S. Agostino commentando questo passo così si esprime: «Quegli solo battezza sul quale è discesa la colomba e di cui fu detto: E’ colui che battezza nello Spirito Santo. Lui battezza se Pietro battezza; Lui battezza quando Paolo battezza; Lui battezza se Giuda battezza. E tutti coloro che sono battezzati ricevono una grazia che è simile ed eguale in tutto, perché Egli solo battezza» 68).

Anche con questa seconda funzione il Diacono è identificato a Cristo, ed ha un argomento nuovo e profondo dell’obbligo che lo astringe ad essere santo. Altrimenti come obbedirebbe alla raccomandazione di S. Pietro, che enuncia una legge, la quale non ammette eccezioni? Si quis ministrai, tanquam ex tirtute, quam administrat Deus, ut in omnibus honorificetur Deus per Jesum Christum (1 Petr. 4, 11).

c) Infine il ministero della predicazione.

Primo araldo della parola di Dio fu Maria: mundo effudit Jesum! Col suo consenso a divenir Madre del Verbo Incarnato, Ella apporta la «Parola» gradita al Padre, perciò onnipotente sopra di Lui e. deliziosa per le anime, e vincitrice della loro ignoranza, come delle loro viltà: Verbo, mea spiritus et vita sunt (Ioan. 6, 64). La Vergine benedetta non avrebbe potuto essere canale di questa «Parola» se prima non le si fosse sottomessa docile, se non fosse stata santa. Solo quand’ebbe detto: Fiat mihi secundum verbum tuum (Luc. 1, 38), (l’Angelo non era che il tramite del Verbo di Dio), Verbum caro factum est!… (Ioan. 1, 14). Il Diacono, messaggero del Verbo, sull’esempio di Maria deve essere santo. Invero, bisogna ricordare che la predicazione fa vivere Cristo in noi. Ascoltiamo S. Ambrogio: «V’è una sola parola fra quanti insegnano; uno s’esprime con accenti che sembrano tolti al linguaggio degli Angeli; altri predicano la giustizia o la castità, o la prudenza o la pietà o altra virtù. Ma in questa moltitudine di parole risuona una sola parola: il Verbo di Dio, della pienezza del quale tutti riceviamo, il Verbo, nostro Maestro, nostro solo Maestro, alla scuola del quale tutti siamo condiscepoli; e nel quale tutti siamo ricondotti all’unità. Esteriormente un suono di parole colpisce l’orecchio; nell’interno l’unico Maestro è Cristo» 69).

Tosi perché diaconi, eravamo obbligati a una virtù trascendente a motivo delle funzioni che

tuttavia non potevamo esercitare in pieno. Che nella virtù cui siamo obbligati restiamo, ora che i poteri, limitati nel Diacono, liberi nel sacerdote!

In realtà, ah, quale divario fra ciò che dovremmo essere e ciò che siamo!

Nonostante le deficienze dolorose che si possono constatare, ricordiamo che, dal giorno del nostro Diaconato, siamo dello Spirito Santo. Sappiamo per fede ch’Egli è sanctus… et munificans; corroboriamo la nostra fede con la fiducia, e rinnoviamo a Dio la preghiera che il Vescovo gli porgeva per noi nell’atto di consacrarci:

Domine sancte, Pater fidei, spei et gratiae, et profectuum remunerator qui in coelestibus et terrenis angelorum ministeriis ubique disvositis per omnia elementa voluntatis tuae diffundis

effectum, hos quoque famulos tuos spirituali dignare illustrare affectu; ut tuis obsequiis expediti, sanctis altaribus tuis ministri puri accrescant. — II Signore ci ascolti ed esaudisca!

Spiritum sanctum ad robur…

Siamo forti, e progrediamo continuamente in virtù e santità.

https://www.haerentanimo.org/il-sacerdote-e-il-diaconato/#more-227


AMDG et DVM

lunedì 31 ottobre 2016

IL DIACONATO: importante ministero nella Chiesa universale


Dalle risposte di Benedetto XVI nell’incontro con i parroci ed il clero della diocesi di Roma del 7/2/2008

Vorrei anch'io esprimere la mia gioia e la mia gratitudine al Concilio, perché ha restaurato questo importante ministero nella Chiesa universale. Devo dire che quando ero arcivescovo di Monaco non ho trovato forse più di tre o quattro diaconi e ho favorito molto questo ministero, perché mi sembra che appartenga alla ricchezza del ministero sacramentale nella ChiesaNello stesso tempo, può essere anche un collegamento tra il mondo laico, il mondo professionale, e il mondo del ministero sacerdotale. Perché molti diaconi continuano a svolgere le loro professioni e mantengono le loro posizioni, importanti o anche di vita semplice, mentre il sabato e la domenica lavorano nella Chiesa. Così testimoniano nel mondo di oggi, anche nel mondo del lavoro, la presenza della fede, il ministero sacramentale e la dimensione diaconale del sacramento dell'Ordine. Questo mi sembra molto importante: la visibilità della dimensione diaconale.

Naturalmente anche ogni sacerdote rimane diacono e deve sempre pensare a questa dimensione, perché il Signore stesso si è fatto nostro ministro, nostro diacono. Pensiamo al gesto della lavanda dei piedi, con cui esplicitamente si mostra che il Maestro, il Signore, fa il diacono e vuole che quanti lo seguono siano diaconi, svolgano questo ministero per l'umanità, fino al punto di aiutare anche a lavare i piedi sporchi degli uomini a noi affidati. Questa dimensione mi sembra di grande importanza.

In questa occasione mi viene in mente — anche se forse non è immediatamente inerente al tema — una piccola esperienza che ha annotato Paolo VI. Ogni giorno del Concilio è stato intronizzato il Vangelo. E il Pontefice ha detto ai cerimonieri che una volta avrebbe voluto fare lui stesso questa intronizzazione del Vangelo. Gli hanno detto: no, questo è compito dei diaconi e non del Papa, del Sommo Pontefice, dei Vescovi. Lui ha annotato nel suo diario: ma io sono anche diacono, rimango diacono e vorrei anche esercitare questo ministero del diacono mettendo sul trono la Parola di Dio. Dunque questo concerne noi tutti. I sacerdoti rimangono diaconi e i diaconi esplicitano nella Chiesa e nel mondo questa dimensione diaconale del nostro ministero. 

Questa intronizzazione liturgica della Parola di Dio ogni giorno durante il Concilio era sempre per noi un gesto di grande importanza: ci diceva chi era il vero Signore di quell’assemblea, ci diceva che sul trono c'è la Parola di Dio e noi esercitiamo il ministero per ascoltare e per interpretare, per offrire agli altri questa Parola. È ampiamente significativo per tutto quanto facciamo: intronizzare nel mondo la parola di Dio, la Parola vivente, Cristo. Che sia realmente Lui a governare la nostra vita personale e la nostra vita nelle parrocchie.

Poi Lei mi fa una domanda che, devo dire, va un po' oltre le mie forze: quali sarebbero i compiti propri dei diaconi a Roma. So che il Cardinale Vicario conosce molto meglio di me le situazioni reali della città, della comunità diocesana di Roma. Io penso che una caratteristica del ministero dei diaconi è proprio la molteplicità delle applicazioni del diaconato. Nella Commissione Teologica Internazionale, alcuni anni fa, abbiamo studiato a lungo il diaconato nella storia e anche nel presente della Chiesa. E abbiamo scoperto proprio questo: non c'è un profilo unico. Quanto si deve fare, varia a seconda della preparazione delle persone, delle situazioni nelle quali si trovano. Ci possono essere applicazioni e concretizzazioni diversissime, sempre in comunione con il Vescovo e con la parrocchia, naturalmente. Nelle diverse situazioni si mostrano diverse possibilità, anche a seconda della preparazione professionale che eventualmente hanno questi diaconi: potrebbero essere impegnati nel settore culturale, oggi così importante, o potrebbero avere una voce e un posto significativo nel settore educativo. Pensiamo quest'anno proprio al problema dell'educazione come centrale per il nostro futuro, per il futuro dell'umanità.

Certo, il settore della carità era a Roma il settore originario, perché i titoli presbiterali e le diaconie erano centri della carità cristiana. Questo era fin dall'inizio nella città di Roma un settore fondamentale. Nella mia Enciclica Deus caritas est ho mostrato che non solo la predicazione e la liturgia sono essenziali per la Chiesa e per il ministero della Chiesa, ma lo è altrettanto l'essere per i poveri, per i bisognosi, il servizio della caritas nelle sue molteplici dimensioni. Quindi spero che in ogni tempo, in ogni diocesi, pur con situazioni diverse, questa rimarrà una dimensione fondamentale e anche prioritaria per l'impegno dei diaconi, sia pure non l'unica, come ci mostra anche la Chiesa primitiva, dove i sette diaconi erano stati eletti proprio per consentire agli apostoli di dedicarsi alla preghiera, alla liturgia, alla predicazione. 

Anche se poi Stefano si trova nella situazione di dover predicare agli ellenisti, agli ebrei di lingua greca, e così si allarga il campo della predicazione. Egli è condizionato, diciamo, dalle situazioni culturali, dove lui ha voce per rendere presente in questo settore la Parola di Dio e così anche rendere maggiormente possibile l'universalità della testimonianza cristiana, aprendo le porte a san Paolo, che fu testimone della sua lapidazione e poi, in un certo senso, suo successore nella universalizzazione della Parola di Dio.

sabato 20 giugno 2015

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Basilica Vaticana Domenica, 20 giugno 2010



Radio Vaticana, 20.06.2010
Il Papa ordina 14 diaconi: conformatevi alla volontà di Dio, senza ricercare il potere personale. All’Angelus, appello per la pace in Kirghizistan
Il vero sacerdote non aspira ad accrescere il proprio prestigio personale, ma cerca di conformarsi alla volontà di Dio: è uno dei passaggi forti dell’omelia di Benedetto XVI, che stamani in una solenne Messa nella Basilica di San Pietro ha conferito l’ordinazione sacerdotale a 14 diaconi della diocesi di Roma. La Messa è stata concelebrata dal cardinale vicario Agostino Vallini, assieme ai vescovi ausiliari, i rettori dei seminari romani e numerosi sacerdoti. All’Angelus, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha rivolto un pressante appello per la pace in Kirghizistan. Quindi, nella Giornata Mondiale del Rifugiato, ha chiesto che vengano riconosciuti i diritti di quanti sono costretti a fuggire dalla propria terra d’origine. Il servizio di Alessandro Gisotti   Canti 

Conformatevi alla volontà di Dio, testimoniando il Vangelo con coraggio, senza cedere alle mode e alle opinioni del momento: è la viva esortazione di Benedetto XVI ai 14 nuovi sacerdoti della diocesi di Roma, ordinati in una Basilica Vaticana gremita di fedeli. Il Papa ha subito sottolineato che l’intera Chiesa di Roma rende grazie a Dio per questi nuovi presbiteri e ripone fiducia e speranza nel loro domani: 

“Sì, la Chiesa conta su di voi, conta moltissimo su di voi! La Chiesa ha bisogno di ciascuno di voi, consapevole come è dei doni che Dio vi offre e, insieme, dell’assoluta necessità del cuore di ogni uomo di incontrarsi con Cristo, unico e universale salvatore del mondo, per ricevere da lui la vita nuova ed eterna, la vera libertà e la gioia piena”.

 Si è così soffermato sulla liturgia della Domenica, che presenta il passo del Vangelo in cui Pietro, differenziandosi dall’opinione della gente, riconosce in Gesù il Cristo di Dio. Benedetto XVI ha indicato nella preghiera la sorgente di questo atto di fede. Dallo stare con il Signore, spiega, “deriva una conoscenza che va al di là delle opinioni della gente per giungere all’identità profonda di Gesù”. Un’indicazione, questa, “ben precisa per la vita e la missione del sacerdote”:

 “Nella preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si tratta di un «rimanere con Lui» che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili, quando sembra che le «cose da fare» debbano avere la priorità”.

Ha così rammentato che il discepolo è chiamato a seguire Gesù sulla strada della Croce, a “perdere se stesso” per ritrovare pienamente se stesso in Cristo. Ecco allora, è stato il suo monito, che “il sacerdozio non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale”:

“Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica”.

 “Per essere considerato – ha proseguito - dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi”. Un uomo che imposti così la sua vita, ha detto ancora, “un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso”:

“Il sacerdozio - ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero”.

 Benedetto XVI non ha poi mancato di mettere l’accento sul legame tra l’Eucaristia e il Sacramento dell’Ordine, ricordando che al sacerdote “è affidato il sacrificio redentore di Cristo, il suo corpo dato e il suo sangue versato”. Quando celebriamo la Santa Messa, ha soggiunto, “teniamo nelle nostre mani il pane del Cielo, il pane di Dio che è Cristo”:

 “È qualcosa che non vi può non riempire di intimo stupore, di viva gioia e di immensa gratitudine: ormai l’amore e il dono di Cristo crocifisso e glorioso passano attraverso le vostre mani, la vostra voce, il vostro cuore!”.

 Il Papa ha quindi invocato il Signore affinché dia ai nuovi sacerdoti “una coscienza sempre vigile ed entusiasta” del dono dell’Eucaristia, centro del loro essere preti. Ed ha auspicato che possano “vivere questo ministero con coerenza e generosità, ogni giorno”. Alla cura per la celebrazione eucaristica, ha detto ancora, si accompagni “sempre l’impegno per una vita eucaristica”, vissuta cioè nell’obbedienza alla grande legge dell’amore. Cari sacerdoti, ha concluso il Papa, “la strada che ci indica il Vangelo di oggi è la strada della vostra spiritualità e della vostra azione pastorale, della sua efficacia e incisività, anche nelle situazioni più faticose ed aride”. E’ questa “la strada sicura per trovare la vera gioia”.

Canti

Dopo la Messa, il Papa si è affacciato dalla finestra del suo studio per la recita dell’Angelus. Benedetto XVI ha rivolto un pressante appello affinché “la pace e la sicurezza siano ristabilite nel Kirghizistan meridionale” dopo “i gravi scontri verificatisi nei giorni scorsi”. Alle vittime di questa tragedia, il Pontefice ha espresso la sua “commossa vicinanza”:

“Invito, inoltre, tutte le comunità etniche del Paese a rinunziare a qualsiasi provocazione o violenza e chiedo alla comunità internazionale di adoperarsi perché gli aiuti umanitari possano raggiungere prontamente le popolazioni colpite”. 

 Il Papa ha poi ricordato la celebrazione della Giornata Mondiale del Rifugiato. Una ricorrenza, ha detto, che deve “richiamare l’attenzione ai problemi di quanti hanno lasciato forzatamente la propria terra”, “giungendo in ambienti che, spesso, sono profondamente diversi”:  
“I rifugiati desiderano trovare accoglienza ed essere riconosciuti nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali; in pari tempo, intendono offrire il loro contributo alla società che li accoglie. Preghiamo perché, in una giusta reciprocità, si risponda in modo adeguato a tale aspettativa ed essi mostrino il rispetto che nutrono per l’identità delle comunità che li ricevono”. 

 Riprendendo la riflessione sviluppata nella Messa in San Pietro, il Papa ha ribadito che tutti i fedeli sono chiamati a seguire Gesù “sulla strada impegnativa dell’amore fino alla Croce”. Prendere la Croce, ha aggiunto, significa “impegnarsi per sconfiggere il peccato che intralcia il cammino verso Dio”, accrescere la fede “soprattutto dinnanzi ai problemi, alle difficoltà, alla sofferenza”. Ed ha citato l’esempio di Edith Stein, che ha testimoniato la fede in un tempo di persecuzione:

  “Anche nell’epoca attuale molti sono i cristiani nel mondo che, animati dall’amore per Dio, assumono ogni giorno la croce, sia quella delle prove quotidiane, sia quella procurata dalla barbarie umana, che talvolta richiede il coraggio dell’estremo sacrificio”.


OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Domenica, 20 giugno 2010

Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Ordinandi,
Cari Fratelli e Sorelle!

come Vescovo di questa Diocesi sono particolarmente lieto di accogliere nel «presbyterium» romano quattordici nuovi Sacerdoti. Insieme col Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari e tutti i Presbiteri ringrazio il Signore per il dono di questi nuovi Pastori del Popolo di Dio. Vorrei rivolgere un particolare saluto a voi, carissimi ordinandi: oggi voi state al centro dell’attenzione del Popolo di Dio, un popolo simbolicamente rappresentato dalla gente che riempie questa Basilica Vaticana: la riempie di preghiera e di canti, di affetto sincero e profondo, di commozione autentica, di gioia umana e spirituale. In questo Popolo di Dio, hanno un posto particolare i vostri genitori e familiari, gli amici e i compagni, i superiori ed educatori del Seminario, le varie comunità parrocchiali e le diverse realtà di Chiesa da cui provenite e che vi hanno accompagnato nel vostro cammino e quelle che voi stessi avete già servito pastoralmente. Senza dimenticare la singolare vicinanza, in questo momento, di tantissime persone, umili e semplici ma grandi davanti a Dio, come, ad esempio, le claustrali, i bambini, i malati e gli infermi. Esse vi accompagnano con il dono preziosissimo della loro preghiera, della loro innocenza e della loro sofferenza.

È, dunque, l’intera Chiesa di Roma che oggi rende grazie a Dio e prega per voi, che ripone tanta fiducia e speranza nel vostro domani, che aspetta frutti abbondanti di santità e di bene dal vostro ministero sacerdotale. Sì, la Chiesa conta su di voi, conta moltissimo su di voi! La Chiesa ha bisogno di ciascuno di voi, consapevole come è dei doni che Dio vi offre e, insieme, dell’assoluta necessità del cuore di ogni uomo di incontrarsi con Cristo, unico e universale salvatore del mondo, per ricevere da lui la vita nuova ed eterna, la vera libertà e la gioia piena. Ci sentiamo, allora, tutti invitati ad entrare nel «mistero», nell’evento di grazia che si sta realizzando nei vostri cuori con l’Ordinazione presbiterale, lasciandoci illuminare dalla Parola di Dio che è stata proclamata.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta un momento significativo del cammino di Gesù, nel quale egli chiede ai discepoli che cosa la gente pensi di lui e come lo giudichino essi stessi. Pietro risponde a nome dei Dodici con una confessione di fede, che si differenzia in modo sostanziale dall’opinione che la gente ha su Gesù; egli infatti afferma: Tu sei il Cristo di Dio (cfr Lc 9,20). Da dove nasce questo atto di fede? Se andiamo all’inizio del brano evangelico, costatiamo che la confessione di Pietro è legata ad un momento di preghiera: «Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui», dice san Luca (9,18). I discepoli, cioè, vengono coinvolti nell’essere e parlare assolutamente unico di Gesù con il Padre. E in tal modo viene loro concesso di vedere il Maestro nell’intimo della sua condizione di Figlio, viene loro concesso di vedere ciò che gli altri non vedono; dall’«essere con Lui», dallo «stare con Lui» in preghiera, deriva una conoscenza che va al di là delle opinioni della gente per giungere all’identità profonda di Gesù, alla verità. Qui ci viene fornita un’indicazione ben precisa per la vita e la missione del sacerdote: nella preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si tratta di un «rimanere con Lui» che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili, quando sembra che le «cose da fare» debbano avere la priorità. Ovunque siamo, qualunque cosa facciamo, dobbiamo sempre «rimanere con Lui».

Un secondo elemento vorrei sottolineare del Vangelo di oggi. Subito dopo la confessione di Pietro, Gesù annuncia la sua passione e risurrezione e fa seguire a questo annuncio un insegnamento riguardante il cammino dei discepoli, che è un seguire Lui, il Crocifisso, seguirlo sulla strada della croce. Ed aggiunge poi – con un’espressione paradossale – che l’essere discepolo significa «perdere se stesso», ma per ritrovare pienamente se stesso (cfr Lc 9,22-24). Cosa significa questo per ogni cristiano, ma soprattutto cosa significa per un sacerdote? 

La sequela, ma potremmo tranquillamente dire: il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. 
Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso. 

Il sacerdozio - ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero.

Carissimi ordinandi, vorrei proporre alla vostra riflessione un terzo pensiero, strettamente legato a quello appena esposto: l’invito di Gesù a «perdere se stesso», a prendere la croce, richiama il mistero che stiamo celebrando: l’Eucaristia. A voi oggi, con il sacramento dell’Ordine, viene donato di presiedere l’Eucaristia! A voi è affidato il sacrificio redentore di Cristo, a voi è affidato il suo corpo dato e il suo sangue versato. Certo, Gesù offre il suo sacrificio, la sua donazione d’amore umile e totale alla Chiesa sua Sposa, sulla Croce. E’ su quel legno che il chicco di frumento lasciato cadere dal Padre sul campo del mondo muore per diventare frutto maturo, datore di vita. Ma, nel disegno di Dio, questa donazione di Cristo viene resa presente nell’Eucaristia grazie a quella potestas sacra che il sacramento dell’Ordine conferisce a voi presbiteri. 

Quando celebriamo la Santa Messa teniamo nelle nostre mani il pane del Cielo, il pane di Dio, che è Cristo, chicco spezzato per moltiplicarsi e diventare il vero cibo della vita per il mondo. È qualcosa che non vi può non riempire di intimo stupore, di viva gioia e di immensa gratitudine: ormai l’amore e il dono di Cristo crocifisso e glorioso passano attraverso le vostre mani, la vostra voce, il vostro cuore! E’ un’esperienza sempre nuova di stupore vedere che nelle mie mani, nella mia voce il Signore realizza questo mistero della Sua presenza!

Come allora non pregare il Signore, perché vi dia una coscienza sempre vigile ed entusiasta di questo dono, che è posto al centro del vostro essere preti! Perché vi dia la grazia di saper sperimentare in profondità tutta la bellezza e la forza di questo vostro servizio presbiterale e, nello stesso tempo, la grazia di poter vivere questo ministero con coerenza e generosità, ogni giorno. La grazia del presbiterato, che tra poco vi verrà donata, vi collegherà intimamente, anzi strutturalmente, all’Eucaristia. Per questo, vi collegherà nel profondo del vostro cuore ai sentimenti di Gesù che ama sino alla fine, sino al dono totale di sé, al suo essere pane moltiplicato per il santo convito dell’unità e della comunione. È questa l’effusione pentecostale dello Spirito Santo, destinata a infiammare il vostro animo con l’amore stesso del Signore Gesù. È un’effusione che, mentre dice l’assoluta gratuità del dono, scolpisce dentro il vostro essere una legge indelebile – la legge nuova, una legge che vi spinge ad inserire e a far rifiorire nel tessuto concreto degli atteggiamenti e dei gesti della vostra vita d’ogni giorno l’amore stesso di donazione di Cristo crocifisso. 

Riascoltiamo la voce dell’apostolo Paolo, anzi in questa voce riconosciamo quella potente dello Spirito Santo: «Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27). Già con il Battesimo, e ora in virtù del Sacramento dell’Ordine, voi vi rivestite di Cristo. Alla cura per la celebrazione eucaristica si accompagni sempre l’impegno per una vita eucaristica, vissuta cioè nell’obbedienza ad un’unica grande legge, quella dell’amore che si dona in totalità e serve con umiltà, una vita che la grazia dello Spirito Santo rende sempre più somigliante a quella di Cristo Gesù, Sommo ed eterno Sacerdote, servo di Dio e degli uomini.

Carissimi, la strada che ci indica il Vangelo di oggi è la strada della vostra spiritualità e della vostra azione pastorale, della sua efficacia e incisività, anche nelle situazioni più faticose ed aride. Di più, questa è la strada sicura per trovare la vera gioia. Maria, la serva del Signore, che ha conformato la sua volontà a quella di Dio, che ha generato Cristo donandolo al mondo, che ha seguito il Figlio fino ai piedi della croce nel supremo atto di amore, vi accompagni ogni giorno della vostra vita e del vostro ministero. Grazie all’affetto di questa Madre tenera e forte, potrete essere gioiosamente fedeli alla consegna che come presbiteri oggi vi viene data: quella di conformarvi a Cristo Sacerdote, che ha saputo obbedire alla volontà del Padre e amare l’uomo sino alla fine.

Amen!