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sabato 27 giugno 2015

Divina conversazione


Divina conversazione
Le nostre difese di natura dottrinale o canonica, esaminate nell’ultimo articolo, sono il bastione di cui Dio ha cinto la Sua città e che è nostro precipuo interesse conoscere bene: «Osservate i suoi baluardi, passate in rassegna le sue fortezze, per narrare alla generazione futura: “Questo è il Signore, nostro Dio, in eterno, sempre”» (Sal 48 [47], 14-15). 
Dato però che il nemico è riuscito a penetrare nella santa Città con il cavallo di Troia delle false opinioni, Colui che è lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13, 8) ha messo a nostra disposizione anche armi di natura spirituale per quel quotidiano combattimento che è sempre stato necessario, ma che oggi lo è più che mai, visto che i sacri Pastori fuggono davanti ai lupi o, peggio, spalancano loro le porte dell’ovile. «Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove» (Ef 6, 13).
Cominciamo allora con quell’arma che non ricorre per prima nella lista approntata da san Paolo, ma riveste una priorità dal punto di vista teologico. 
L’Apostolo segue effettivamente – si direbbe oggi – un ordine di tipo “pastorale”: bisogna anzitutto cingersi i fianchi con la verità e rivestirsi della corazza della giustizia (cf. Ef 6, 14), in altre parole assicurarsi che la propria fede personale aderisca strettamente alla sana dottrina e fare in modo che la propria condotta sia inattaccabile dal punto di vista morale. 
Tutto questo suppone però che si sia afferrata la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio (Ef 6, 17): la divina Rivelazione fissata nella Sacra Scrittura, fedelmente trasmessa dalla Chiesa nella Tradizione e autenticamente interpretata dall’autorità competente nel Magistero. Al di fuori della Tradizione e del Magistero, guidati dallo Spirito Santo (cf. Gv 14, 26; 16, 13), è impossibile comprendere correttamente i testi biblici, ispirati da quel medesimo Spirito.
Non si può dunque leggere la Bibbia come se si fosse i primi a farlo, ma occorre porsi nell’alveo di quel grande fiume che è rappresentato dai Concili, dai Padri, dai Papi e dai Santi, sotto la scorta di Colei che, nella Sua vita terrena, conosceva perfettamente le sacre Scritture ed era ricolma dello Spirito di verità più di tutti i cristiani di ogni tempo messi insieme. 
Questo è l’unico modo cattolico di ascoltare la divina Parola; gli svariati commenti in circolazione, compresi quelli al lezionario festivo e feriale, anche se di autori di grido che vanno per la maggiore, sono il più delle volte vere e proprie contraffazioni del messaggio biblico ed evangelico, basandosi su travisamenti e forzature che lo riducono a pretesto di puerili illusioni e di banale moralismo del tutto sganciati dalla sana dottrina come dall’effettiva realtà umana, che essi pretendono di illuminare. 
I commenti che hanno pretese scientifiche, invece, quand’anche non riducano l’annuncio cristiano ad una variante del Giudaismo, hanno in genere il difetto di limitarsi ad un’analisi del testo certo accurata e obiettiva, che esclude però, per speciose ragioni di metodo, il doveroso ricorso alla dimensione dogmatica dell’analogia fidei (cf. Dei Verbum, 12), lasciando così aperta la via a qualsiasi conclusione teologica, anche erronea.
Non intendo certo proporre un nuovo metodo di meditazione della Sacra Scrittura: ci sono già tanti maestri incomparabilmente più autorevoli, dai commenti patristici di singoli libri della Bibbia alla monastica lectio divina (illustrata nella Lettera di Guigo II il Certosino), al metodo che sant’Ignazio di Loyola descrive nei suoi Esercizi spiritualisenza disprezzare, per quanto riguarda i Vangeli, quelle rivelazioni private che ce ne rappresentano i fatti in modo vivido e coinvolgente. 
Un utile sussidio sono le sintesi di storia biblica e le vite di Cristo di autori riconosciuti, quali Ratzinger e Ricciotti. Le ricostruzioni contemporanee della Sua figura storica, come osserva Benedetto XVI nell’introduzione al suo Gesù di Nazareth, non fanno altro, di solito, che descrivere l’idea che l’autore ne aveva in partenza, in base alla quale seleziona e interpreta i dati con “scientifica” acribia. 

In realtà il Gesù storico – ribadisce il Papa – è il Cristo della fede; ammettere una distinzione tra i due – aggiungiamo discretamente – significa rinnegare la fede cattolica e porsi fuori della Chiesa, con evidente e grave pericolo di dannazione eterna. [Mi permetto segnalare quale utile sussidio anche tutta l'opera di Maria Valtorta (sopratutto "L'Evangelo come mi è stato rivelato") quale cammino sicuro per conoscere la nostra fede cattolica. NdR]

Ora, se è indispensabile una retta conoscenza del Signore e della Sua salvifica Parola, è altresì necessario interiorizzarla, sempre con il Catechismo a portata di mano, mediante un’assimilazione vitale che plasmi la coscienza individuale e diventi impulso a comportamenti conformi alla volontà di Dio, riconosciuta e amata quale via di salvezza: «Porrò la mia legge nel loro intimo, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31, 33). 
«Conservo nel cuore le tue parole per non offenderti con il peccato. […] Se la tua legge non fosse la mia gioia, sarei perito nella mia miseria. […] La tua parola nel rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici» (Sal 119 [118], 11.92.130). Qui si attua quella sinergia tra l’azione dello Spirito Santo e la collaborazione dell’uomo che si ritrova in tutto l’operare della grazia, conducendo la natura ad una conversione sempre più completa. Una lettura autenticamente spirituale della Bibbia è una lettura amorosa che la bagna di lacrime, lacrime di compunzione per i propri peccati e di gratitudine per la misericordia divina.
Dopo aver posto, esteriormente e interiormente, uno spazio libero tra sé e i propri pensieri, occupazioni e preoccupazioni; dopo aver raccolto tutte le facoltà nel centro del cuore per invocarvi la luce dello Spirito Santo; dopo aver letto lentamente e più volte il testo, meditandolo secondo il metodo prescelto e con l’eventuale aiuto di validi sussidi… piuttosto che trarne arbitrariamente norme di comportamento, del resto già fissate da chi di dovere, o dedurne affrettati propositi irrealistici, per quanto generosi, chiediamo umilmente quella grazia che la Parola stessa ci ha suggerito come la più urgente e necessaria, attivamente disposti a cooperare con essa mediante l’esercizio della virtù corrispondente. 
Se il Signore vorrà, la sincerità e l’intensità della nostra preghiera ci innalzeranno alla Sua santa presenza facendocene gustare l’inesprimibile dolcezza: «… e li disseti al torrente delle tue delizie» (Sal 36 [35], 9).
Simile frequentazione della Sacra Scrittura, per quanto possibile regolare, ci formerà gradualmente ad un dialogo intimo e costante con il Salvatore. 
Non quell’apparente dialogo rivendicato da chi non Lo conosce e che non è altro, in realtà, che un monologo di auto-conferma, ma quel dialogo effettivo, impregnato di timore e riverenza, di chi sa di non essere autore, da solo, se non della propria miseria, essendo debitore di ogni cosa buona all’infinito Amore che non è amato… 
Sì, piangi, anima mia, piangi senza sosta per averlo amato troppo tardi e troppo poco; 
piangi per chi non l’ama, per chi lo offende e lo calpesta, per chi in tal modo si danna già in questa vita; 
piangi per l’insondabile tenerezza che non trova chi la accolga… Questo pianto ti lavi, ti purifichi, ti rigeneri; ti spalanchi le porte dell’abisso, di quell’abisso di misericordia in cui non cade se non chi vuole e non vuol cadere se non chi lo conosce. Tùffati e sprofòndaci senza voler sapere, senza voler capire; quando tornerai in superficie – alla superficie di questo mondo tenebroso che respinge Dio – rivedrai ogni persona portata in grembo dalla divina compassione, ogni cosa abitata dalla divina presenza, ogni fatto disposto dalla divina provvidenza.
 AVE MARIA PURISSIMA!

sabato 21 dicembre 2013

Domenica 22 dicembre 2013, IV Domenica di Avvento - Anno A : San Matteo 1,18-24.

"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 22 dicembre 2013, IV Domenica di Avvento - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 1,18-24.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 
Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 
Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. 
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Traduzione liturgica della Bibbia 


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 26 pagina 152.
Dopo cinquantatre giorni riprende la Mamma a mostrarsi con questa visione che mi dice di segnare in questo libro. La gioia si rinnova in me. Perché vedere Maria è possedere la Gioia.
Vedo dunque l’orticello di Nazareth. Maria fila all’ombra di un foltissimo melo stracarico di frutta, che cominciano ad arrossare e sembrano tante guance di bambino nel loro roseo e tondo aspetto. 
Ma Maria non è per nulla rosea. Il bel colore, che le avvivava le guance a Ebron, è scomparso. Il viso è di un pallore di avorio, in cui soltanto le labbra segnano una curva di pallido corallo. Sotto le palpebre calate stanno due ombre scure e i bordi dell’occhio sono gonfi come chi ha pianto. Non vedo gli occhi, perché Ella sta col capo piuttosto chino, intenta al suo lavoro e più ancora ad un suo pensiero che la deve affliggere, perché l’odo sospirare come chi ha un dolore nel cuore. 
E’ tutta vestita di bianco, di lino bianco, perché fa molto caldo nonostante che la freschezza ancora intatta dei fiori mi dica che è mattina. E’ a capo scoperto e il sole, che scherza con le fronde del melo mosse da un lievissimo vento e filtra con aghi di luce fin sulla terra bruna delle aiuole, le mette dei cerchiolini di luce sul capo biondo, e là i capelli sembrano di un oro zecchino. 
Dalla casa non viene nessun rumore, né dai luoghi vicini. Si sente solo il mormorio del filo d’acqua che scende in una vasca in fondo all’orto. 
Maria sobbalza per un picchio dato risolutamente all’uscio di casa. Posa conocchia e fuso e si alza per andare ad aprire. Per quanto l’abito sia sciolto ed ampio, non riesce a nascondere completamente la rotondità del suo bacino. 

Si trova di fronte Giuseppe. Maria impallidisce anche nelle labbra. Ora il suo viso pare un’ostia, tanto è esangue. Maria guarda con occhio che interroga mestamente. Giuseppe guarda con occhio che pare supplichi. Tacciono, guardandosi. Poi Maria apre la bocca: “A quest’ora, Giuseppe? Hai bisogno di qualche cosa? Che vuoi dirmi? Vieni.” 
Giuseppe entra e chiude la porta. Non parla ancora. 
“Parla, Giuseppe. Che cosa vuoi da me?” 
“Il tuo perdono.” Giuseppe si curva come volesse inginocchiarsi. Ma Maria, sempre così riservata nel toccarlo, lo afferra per le spalle risolutamente e glielo impedisce. 
Il colore va e viene dal volto di Maria, che ora è tutta rossa e ora di neve come prima. “Il mio perdono? Non ho nulla da perdonarti, Giuseppe. Non devo che ringraziarti ancora per tutto quanto hai fatto qui dentro in mia assenza e per l’amore che mi porti.” 
Giuseppe la guarda, e vedo due grossi goccioloni formarsi nell’incavo del suo occhio profondo, stare lì come sull’orlo di un vaso e poi rotolare giù sulle guance e sulla barba. “Perdono, Maria. Ho diffidato di te. Ora so. Sono indegno di avere tanto tesoro. Ho mancato di carità, ti ho accusata nel mio cuore, ti ho accusata senza giustizia perché non ti avevo chiesto la verità. Ho mancato verso la legge di Dio non amandoti come mi sarei amato...” 
“Oh! no! Non hai mancato!” 
“Sì, Maria. Se fossi stato accusato di un tal delitto, mi sarei difeso. Tu... Non concedevo a te di difenderti, perché stavo per prendere delle decisioni senza interrogarti. Ho mancato verso te recandoti l’offesa di un sospetto. Anche se solo un sospetto è offesa, Maria. Chi sospetta non conosce. Io non ti ho conosciuta come dovevo. Ma per il dolore che ho patito... tre giorni di supplizio, perdonami, Maria.” 
“Non ho nulla da perdonarti. Ma anzi, io ti chiedo perdono per il dolore che ti ho dato.” 
“Oh! sì, che fu dolore! Che dolore! Guarda, stamane mi hanno detto che sulle tempie sono canuto e sul viso ho rughe. Più di dieci anni di vita sono stati questi giorni! Ma perché, Maria, sei stata tanto umile da tacere, a me, tuo sposo, la tua gloria, e permettere che io sospettassi di te?” 
Giuseppe non è in ginocchio, ma sta così curvo che è come lo fosse, e Maria gli posa la manina sul capo e sorride. Pare lo assolva. E dice: “Se non lo fossi stata in maniera perfetta, non avrei meritato di concepire l’Atteso, che viene ad annullare la colpa di superbia che ha rovinato l’uomo. E poi ho ubbidito... Dio mi ha chiesto questa ubbidienza. Mi è costata tanto.... per te, per il dolore che te ne sarebbe venuto. Ma non dovevo che ubbidire. Sono l’Ancella di Dio, e i servi non discutono gli ordini che ricevono. Li eseguiscono, Giuseppe, anche se fanno piangere sangue.” 

Maria piange quietamente mentre dice questo. Tanto quietamente che Giuseppe, curvo come è, non se ne avvede sinché una lacrima non cade al suolo. Allora alza il capo e -è la prima volta che gli vedo fare questo- stringe le manine di Maria nelle sue brune e forti e bacia la punta di quelle rosee dita sottili che spuntano come tanti bocci di pesco dall’anello delle mani di Giuseppe. 
“Ora bisognerà provvedere perché...” Giuseppe non dice di più, ma guarda il corpo di Maria, e Lei diviene di porpora e si siede di colpo per non rimanere così esposta, nelle sue forme, allo sguardo che l’osserva. “Bisognerà fare presto. Io verrò qui... Compiremo il matrimonio.... Nell’entrante settimana. Va bene?” 
“Tutto quanto tu fai va bene, Giuseppe. Tu sei il capo di casa, io la tua serva.” 
“No. Io sono il tuo servo. Io sono il beato servo del mio Signore che ti cresce in seno. Tu benedetta fra tutte le donne d’Israele. Questa sera avviserò i parenti. E dopo... quando sarò qui lavoreremo per preparare tutto a ricevere.... Oh! come potrò ricevere nella mia casa Dio? Nelle mie braccia Dio? Io ne morrò di gioia!... Io non potrò mai osare di toccarlo.!...” 
“Tu lo potrai, come io lo potrò, per grazia di Dio!... ”. 
“Ma tu sei tu. Io sono un povero uomo, il più povero dei figli di Dio!...” 

“Gesù viene per noi, poveri, per farci ricchi in Dio, viene a noi due perché siamo i più poveri e riconosciamo di esserlo. Giubila, Giuseppe. La stirpe di Davide ha il Re atteso e la nostra casa diviene più fastosa della reggia di Salomone, perché qui sarà il Cielo e noi divideremo con Dio il segreto di pace che più tardi gli uomini sapranno. Crescerà fra noi, e le nostre braccia saranno cuna al Redentore che cresce, e le nostre fatiche gli daranno un pane... Oh! Giuseppe! Sentiremo la voce di Dio chiamarci ‘padre e Madre’ Oh!”. 
Maria piange di gioia. Un pianto così felice! E Giuseppe inginocchiato, ora, ai suoi piedi, piange col capo quasi nascosto nell’ampia veste di Maria, che le fa una caduta di pieghe sui poveri mattoni della stanzetta.
La visione cessa qui. 


Dice Maria SS.ma
“Nessuno interpreti in modo errato il mio pallore. Non era dato da paura umana. Umanamente mi sarei dovuta attendere la lapidazione. Ma non temevo per questo. Soffrivo per il dolore di Giuseppe. Anche il pensiero che egli mi accusasse, non mi turbava per me stessa. Soltanto mi spiaceva che egli potesse, insistendo nell’accusa, mancare alla carità. Quando lo vidi, il sangue mi andò tutto al cuore per questo. Era il momento in cui un giusto avrebbe potuto offendere la Giustizia, offendendo la Carità. E che un giusto mancasse, egli che non mancava mai, mi avrebbe dato dolore sommo. 
Se io non fossi stata umile sino al limite estremo, come ho detto a Giuseppe, non avrei meritato di portare in me Colui che, per cancellare la superbia nella razza, annichiliva Sé, Dio, all’umiliazione d’esser uomo. 
Ti ho mostrato questa scena, che nessun Vangelo riporta, perché voglio richiamare l’attenzione troppo sviata degli uomini sulle condizioni essenziali per piacere a Dio e ricevere la sua continua venuta in cuore. 
Fede: Giuseppe ha creduto ciecamente alle parole del messo celeste. Non chiedeva che di credere, perché era in lui convinzione sincera che Dio è buono e che a lui, che aveva sperato nel Signore, il Signore non avrebbe serbato il dolore d’esser un tradito, un deluso, uno schernito dal suo prossimo. Non chiedeva che di credere in me perché, onesto come era, non poteva pensare che con dolore che altri non lo fosse. Egli viveva la Legge e la Legge dice: ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’. Noi ci amiamo tanto che ci crediamo perfetti anche quando non lo siamo. Perché allora disamare il prossimo pensandolo imperfetto? 
Carità assoluta. Carità che sa perdonare, che vuole perdonare. Perdonare in anticipo, scusando in cuor proprio le manchevolezze del prossimo. Perdonare al momento, concedendo tutte le attenuanti al colpevole. 
Umiltà assoluta come la carità. Sapere riconoscere che si è mancato anche col semplice pensiero, e non aver l’orgoglio, più nocivo ancora della colpa antecedente, di non voler dire: ‘Ho errato’. Meno Dio, tutti errano. Chi è colui che può dire: ‘Io non sbaglio mai’? E l’ancor più difficile umiltà: quella che sa tacere le meraviglie di Dio in noi, quando non è necessario proclamarle per dargliene lode, per non avvilire il prossimo che non ha tali doni speciali da Dio. Se vuole, oh! se vuole, Dio disvela Se stesso nel suo servo! Elisabetta mi ‘vide’ quale ero, lo sposo mio mi conobbe per quel che ero quando fu l’ora di conoscerlo per lui. 
Lasciate al Signore la cura di proclamarvi suoi servi. Egli ne ha un’amorosa fretta, perché ogni creatura che assurga a particolare missione è una nuova gloria aggiunta all’infinita sua, perché è testimonianza di quanto è l’uomo così come Dio lo voleva: una minore perfezione che rispecchia il suo Autore. Rimanete nell’ombra e nel silenzio, o prediletti della Grazia, per poter udire le uniche parole che sono di ‘vita’, per potere meritare di avere su voi e in voi il Sole che eterno splende. 
Oh! Luce Beatissima che sei Dio, che sei la gioia dei tuoi servi, splendi su questi servi tuoi e ne esultino nella loro umiltà, lodando Te, Te solo, che sperdi i superbi ma elevi gli umili, che ti amano, agli splendori del tuo Regno.”
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/ 

lunedì 9 settembre 2013

Geniale






*Geniale commento al Vangelo del 1° settembre 2013 //  Vangelo di Luca (14, 1.7-14) Gesù dice: “Va’ a metterti all’ultimo posto… perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”, e: “Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti”.
*

Ognuno nella vita vuole trovare il suo posto buono. Ma qual è veramente il posto giusto? L’omelia di Benedetto XVI nella messa celebrata in occasione dell’incontro dei suoi ex-allievi è, in fondo, una risposta a questa domanda e parte dal Vangelo di oggi, nel quale Gesù invita a prendere l’ultimo posto.
“Un posto che può sembrare molto buono può rivelarsi per essere un posto molto brutto”, nota il papa emerito facendo riferimento a quanto accaduto già in questo mondo, anche negli ultimi decenni, dove vediamo come “i primi” sono stati rovesciati e improvvisamente sono diventati “ultimi” e quel posto che sembrava buono era invece “sbagliato”. 
Anche nei discorsi che si tennero durante l’Ultima Cena, i discepoli si litigano i posti migliori. Gesù si presenta invece come Colui che serve. Lui “nato nella stalla” e “morto sulla Croce” ci dice – afferma Benedetto XVI – che il posto giusto è quello vicino a Lui, “il posto secondo la sua misura”. E l’apostolo, in quanto inviato di Cristo “è l’ultimo nell’opinione del mondo”, e proprio per questo è vicino a Gesù:
“Chi, in questo mondo e in questa Storia forse viene spinto in avanti e arriva ai primi posti, deve sapere di essere in pericolo; deve guardare ancora di più al Signore, misurarsi a Lui, misurarsi alla responsabilità per l’altro, deve diventare colui che serve, quello che nella realtà è seduto ai piedi dell’altro, e così benedice e a sua volta diventa benedetto”.

E, dunque, qualunque sia il posto che la Storia vorrà assegnarci, quello che è determinante – sottolinea il papa emerito – è “la responsabilità davanti a Lui, e la responsabilità per l’amore, per la giustizia e per la verità”. Nel Vangelo di oggi il Signore ricorda che chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. E Benedetto XVI fa notare che “Cristo, il Figlio di Dio, scende per servire noi e questo fa l’essenza di Dio” che “consiste nel piegarsi verso di noi: l’amore, il ‘sì’ ai sofferenti, l’elevazione dall’umiliazione”:
“Noi ci troviamo sulla via di Cristo, sulla giusta via se in Sua vece e come Lui proviamo a diventare persone che ’scendono’ per entrare nella vera grandezza, nella grandezza di Dio che è la grandezza dell’amore”.

*

Benedetto XVI fa dunque nell’omelia una catechesi sul senso dell’abbassamento di Cristo e sull’essenza dell’amore di Dio. “La Croce, nella Storia, è l’ultimo posto” e il “Crocifisso non ha nessun posto, è un ‘non-posto’”, è stato spogliato, “è un nessuno” eppure – nota Benedetto XVI – Giovanni nel Vangelo vede “questa umiliazione estrema” come “la vera esaltazione”:
“Così, Gesù è più alto; sì, è all’altezza di Dio perché l’altezza della Croce è l’altezza dell’amore di Dio, l’altezza della rinuncia di se stesso e la dedizione agli altri. Così, questo è il posto divino, e noi vogliamo pregare Dio che ci doni di comprendere questo sempre di più e di accettare con umiltà, ciascuno a modo proprio, questo mistero dell’esaltazione e dell’umiliazione”.

*

Infine il Papa emerito ricorda che Gesù esorta a “invitare” a prescindere dai vantaggi, cioè a invitare i paralitici, gli storpi, i poveri perché Lui stesso lo ha fatto invitando “noi alla mensa di Dio”, e in questo modo mostrandoci cosa sia la gratuità. Giustamente l’economia si poggia sulla “giustizia commutativa”, sul “do ut des”, ma perfino in questo ambito rimane qualcosa di gratuito, ricorda Benedetto XVI sottolineando che “senza la gratuità del perdono nessuna società può crescere”, tanto è vero che le più grandi cose della vita, cioè “l’amore, l’amicizia, la bontà, il perdono”, “non le possiamo pagare”, “sono gratis, nello stesso modo che in cui Dio ci dona a titolo gratuito”:
“Così, pur nella lotta per la giustizia nel mondo, non dobbiamo mai dimenticare la ‘gratuità’ di Dio, il continuo dare e ricevere, e dobbiamo costruire sul fatto che il Signore dona a noi, che ci sono persone buone che ci donano ‘gratis’ la loro bontà, che ci sopportano a titolo gratuito, ci amano e sono buone con noi ‘gratis’; e poi, a nostra volta, donare questa ‘gratuità’ per avvicinare così il mondo a Dio, per diventare simili a Lui, per aprirci a Lui”.
*
Quindi Benedetto XVI si sofferma sulla liturgia, sull’umiltà della liturgia cristiana che è insieme “incommensurabilmente grande” perché ci si unisce alle schiere degli angeli e dei santi nella festosa gioia di Dio. E il sangue di Cristo, che è al centro dell’Eucaristia, significa proprio “entrare nello splendore del raduno gioioso di Dio”. “Questo Sangue è il suo amore”, conclude Benedetto XVI. “È il Monte di Dio e ci apre alla gloria di Dio”.(Papa Benedetto XVI)

Beato Pier Giorgio Frassati p.p.n.

lunedì 8 luglio 2013

Parabola sulla distribuzione delle acque


Le parabole di Gesù
(041)

Parabola sulla distribuzione 
delle acque (da 467.2 a 467.5)


Un ricco signore aveva molti dipendenti sparsi in molti luoghi dei suoi possedimenti, i quali non erano tutti ricchi di acque e più dei luoghi pativano le persone, perchè se il terreno era coltivato con piante che resistevano all'asciuttore, la gente soffriva molto per le acque scarse. Il ricco signore aveva invece, proprio nel luogo dove lui abitava, un lago ricco d'acque che vi sgorgavano da sotterranee sorgenti.


Un giorno il signore volle fare un viaggio per tutti i suoi possedimenti e vide che alcuni, i più vicini al lago, erano ricchi di acque; gli altri, lontani, ne erano privi: solo quella poca che Dio mandava con le piogge. E vide anche che quelli che avevano acque abbondanti non erano buoni con i fratelli privi d'acque e lesinavano anche una secchia d'acqua con la scusa di temere di rimanere privi d'acque. Il signore pensò. E decise così: "Farò deviare le acque del mio lago a quelli più vicini, dando loro l'ordine di non rifiutare più l'acqua ai miei servi lontani e che sono sofferenti per la siccità del suolo".


E intraprese i lavori subito facendo scavare canali che portavano l'acqua buona del lago ai possessi più vicini dove fece scavare grandi cisterne, di modo che l'acqua si adunasse abbondante aumentando la ricchezza d'acque che già era nel luogo, e da queste fece partire canali minori per alimentare altre cisterne più lontane.
Poi chiamò coloro che vivevano in questi luoghi e disse: "Ricordatevi che ciò che ho fatto non l'ho fatto per dare a voi il superfluo ma per favorire attraverso voi quelli che mancano anche del necessario. Siate perciò misericordiosi come io lo sono" e li congedò.


Passò del tempo e il ricco signore volle fare un nuovo viaggio per tutti i suoi possessi. Vide che quelli più prossimi si erano abbelliti e non solo erano ricchi di piante utili, ma anche di piante ornamentali, di vasche, e piscine e fontane messe per ogni dove delle case e presso le case.
"Avete fatto di queste dimore delle case di ricchi" osservò il signore. "Neppure io ho tante bellezze superflue" e chiese ancora: " Ma gli altri vengono? Avete dato a loro con abbondanza? I canali minori sono nutriti?"

"Sì. Quanto hanno chiesto hanno avuto. E sono anche esigenti, non sono mai contenti, non hanno prudenza e misura, vengono a tutte le ore a chiedere, come se noi fossimo i loro servi, e ci dobbiamo difendere per tutelare le cose nostre. Non si contentavano più di canali e delle piccole cisterne. Vengono fino alle grandi."
"E' per questo che voi avete cintato i luoghi e messo in ognuno questi cani feroci?"
"Per questo, signore. Entravano senza riguardo e pretendevano levarci tutto e sciupavano...."
"Ma voi avete realmente dato? Lo sapete che per essi ho fatto questo e voi vi ho fatti intermediari fra il lago e le loro terre aride? Non capisco... Avevo fatto prendere dal lago tanto da averne per tutti senza sciupio".
"Eppure credi che noi non abbiamo mai negato l'acqua".
Il signore si diresse ai possessi più lontani. Le alte piante adatte al suolo arido erano verdi e fronzute. "Hanno detto il vero" disse il signore vedendole fremere al vento da lontano. Ma come si avvicinò ad esse e poi si inoltrò sotto di esse vide il terreno arso, morte quasi le erbe che brucavano a fatica le pecore anelanti, sabbiose le ortaglie presso le case e poi vide i primi coltivatori patiti, l'occhio febbrile e avviliti.... Lo guardavano e abbassavano il capo ritirandosi come per paura.

Egli, stupito di quel contegno, li chiamò a sè. Si accostarono tremanti. "Di che temete? Non sono più il vostro signore buono che ha avuto cura di voi e con provvidente lavoro vi ha sollevato dalla miseria delle acque? Perchè quei volti malati? Perchè queste terre aride? Perchè i greggi sono così sparuti? E voi perchè sempre paurosi di me? Parlate senza timore. Dite al vostro signore ciò che vi fa soffrire."

Un uomo parlò per tutti. "Signore, noi abbiamo avuto una grande delusione e molta pena. Tu ci avevi promesso soccorso e noi abbiamo perduto anche quello che avevamo prima e abbiamo perduto la speranza in te."
"Come ? Perchè? Non ho fatto venire l'acqua abbondante ai più vicini dando l'ordine che l'abbondanza fosse per voi?"
"Così hai detto? Proprio?"
"Così. Certamente. Non potevo, per ragioni di suolo, far giungere fin qui l'acqua direttamente. Ma con buona volontà potevate andare ai piccoli canali delle cisterne, andarvi con otri e asini a prenderne quanta volevate. Non vi bastavano gli asini e gli otri? E io non c'ero per darveli?"
"Ecco! Io l'avevo detto! Ho detto: <Non può essere il signore che ha dato l'ordine di negarci l'acqua> se eravamo andati!" "Abbiamo avuto paura. Ci dicevano che l'acqua era un premio per loro e noi eravamo castigati". E raccontarono al buon padrone che i conduttopri dei possessi beneficati avevano detto loro che il signore, per punire i servi delle terre aride che non sapevano produrre di più, aveva dato l'ordine di misurare non solo l'acqua delle cisterne ma quella dei primitivi pozzi, di modo che se prima ne avevano anche duecento bati al giorno per loro e le terre, presi con gran fatica di strada e di peso, ora più neppur cinquanta ne avevano, e per averne tanto per gli uomini e gli animali dovevano andare nei rigagnoli di confine ai luoghi benedetti, là dove traboccavano le acque dei giardini e dei bagni, e prendere quell'acqua motosa, e morivano. Morivano di malattia e di sete, e morivano gli ortaggi e le pecore....

"Oh! questo è troppo! E deve finire. Prendete le vostre masserizie e i vostri animali e seguitemi. Faticherete un poco, esausti come siete, ma poi sarà la pace. Io andrò piano per permettere alla vostra debolezza di seguirmi. Io sono un padrone buono, un padre per voi, e ai miei figli provvedo". E si pose in cammino lentamente, seguito dalla triste turba dei suoi servi e degli animali che però già giubilavano per il ristoro dell'amore del buon padrone.


Giunsero alle terre ricchissime d'acque. Ai confini di esse. Il padrone prese qualcuno fra i più forti e disse: "Andate in mio nome a chiedere ristoro."
"E se ci lanciano contro cani?"
"Io sono dietro voi. Non temete. Andate dicendo che io vi mando e che non chiudano il cuore alla giustizia, perchè le acque sono di Dio e tutti gli uomini sono fratelli. Che aprano subito i canali".

Andarono. E il padrone dietro. Si presentarono ad un cancello. E il padrone rimase nascosto dietro il muro di cinta. Chiamarono. Accorsero i conduttori.
"Che volete?"
"Abbiate misericordia di noi. Moriamo. Ci manda il padrone con l'ordine di prendere le acque che ha fatto venire per noi. Dice che le acque a lui le ha date Dio ed egli a voi per noi perchè siamo fratelli, e di aprire subito i canali".

"Ah! Ah!" risero i crudeli. "Fratelli questa turba di cenciosi? Morite? Tanto meglio. Prenderemo i vostri luoghi, vi porteremo là le acque. Allora sì che le porteremo! E faremo quei luoghi buoni. Le acque per voi? Stolti siete! Le acque sono nostre".
"Pietà. Moriamo. Aprite. Lo ordina il padrone".

I cattivi conduttori si consultarono fra loro, poi dissero: "Attendete un momento" e corsero via. Poi tornarono ed aprirono. Ma avevano i cani e pesanti randelli.... I poveri ebbero paura. " Entrate, entrate... Non entrate ora che vi abbiamo aperto? Poi direte che non fummo generosi...." Un incauto entrò e una grandine di bastonate gli piovve addosso mentre i cani, levati di catena, si avventavano sugli altri.

Il padrone uscì da dietro il muro. "Cosa fate, crudeli? Ora vi conosco, voi e i vostri animali, e vi colpisco" e con le frecce frecciò i cani ed entrò poi, severo e irato. "Così è che eseguite i miei ordini? Per questo vi ho dato queste ricchezze? Chiamate tutti i vostri. Vi voglio parlare. E voi" disse rivolto ai servi assetati, " entrate con le vostre donne e bambini, pecore e asini, colombi e ogni animale, e bevete, e rinfrescatevi, e cogliete queste frutta succose, e voi, piccoli innocenti, correte fra i fiori. Godete. Giustizia è nel cuore del buon padrone e giustizia sarà per tutti".


E mentre gli assetati correvano alle cisterne, si tuffavano nelle piscine, e il bestiame alle vasche, e tutto era tripudio per essi, gli altri accorrevano da ogni parte paurosi.


Il padrone salì sull'orlo di una cisterna e disse: "Avevo fatto questi lavori e vi avevo fatto depositari del mio comando e di questo tesoro perchè vi avevo eletti a miei ministri. Nella prova avete fallito. Parevate buoni. Dovevate esserlo perchè il benessere dovrebbe rendere buoni, riconoscenti verso il benefattore, ed io vi avevo sempre benificato dandovi la conduzione di queste terre irrigue. L'abbondanza e l'elezione vi ha fatti duri di cuore, aridi più delle terre che avete reso del tutto aride, malati più di questi arsi di sete. Perchè essi con l'acqua possono guarire mentre voi, con l'egoismo, avete arso il vostro spirito e difficilmente guarirà e con molta fatica tornerà in voi l'acqua della carità. Ora io vi punisco. Andate nelle terre di questi e soffrite ciò che essi soffrirono."
"Pietà, signore! Pietà di noi! Ci vuoi dunque far perire? Meno pietoso tu per noi uomini che noi per gli animali?"

"E questi che sono? Non sono uomini vostri fratelli? Che pietà aveste? Vi chiedevano acqua, deste colpi di bastone e sarcasmo. Vi chiedevano ciò che è mio e che io avevo dato, e voi lo negaste dicendolo vostro. Di chi le acque? Neppur io dico che l'acqua del lago è mia se anche mio è il lago. L'acqua è di Dio. Chi di voi ha creato una sola goccia di rugiada? Andate!.... E a voi dico, a voi che avete sofferto: siate buoni. Fate loro ciò che avreste voluto fatto a voi fatto. Aprite i canali che essi hanno chiusi e fate defluire le acque ad essi, non appena potrete. Vi faccio i miei distributori a questi colpevoli fratelli ai quali lascio il modo e il tempo di redimersi. E il Signore Altissimo più di me vi affida la ricchezza delle sue acque perchè voi diveniate la provvidenza di chi ne è privo. Se saprete far questo con amore e giustizia accontentandovi del necessario, dando il superfluo ai miseri, essendo giusti, non dicendo vostro ciò che è dono avuto e più che dono deposito, grande sarà la vostra pace, e l'amore di Dio e il mio saranno sempre con voi."



sabato 29 giugno 2013

Io sono Maria...




<<Io sono Maria, che ho partorito il vero Dio e vero Uomo, il Figlio di Dio. Io sono la Regina degli Angeli. Il Figlio mio ti ama con tutto il cuore. Tu devi essere adornata di onestissime vesti. Ti mostrerò come e quali devono essere. 

Come dunque vesti prima la camicia, poi la tunica, le scarpe, il mantello e la collana sul petto, così devi vestire spiritualmente. 

La camicia è la contrizione. Come infatti la camicia è più vicina alla carne, così la contrizione e la confessione sono la prima via della conversione a Dio. Con esse è purificata la mente, che prima godeva nel peccato ed è frenata la carne immonda. 

Le due scarpe sono due sentimenti: la volontà cioè di emendare i difetti e la volontà di fare il bene e astenersi dal male. 

La tua tunica è la speranza in Dio, perché, come la tunica ha due maniche, così nella speranza vi sia la giustizia e la misericordia. Sicché, come speri dalla misericordia di Dio, così non dimentichi la sua giustizia. E così ricorda la sua giustizia e il giudizio in modo da non dimenticare la misericordia. Perché nessuna giustizia Egli fa senza misericordia, né misericordia senza giustizia. 

Il mantello è la fede: come infatti il mantello tutto copre e tutto tiene racchiuso, così con la fede l'uomo può tutto comprendere e ottenere. Questo mantello dev'essere immerso nei segni della carità del tuo Sposo; e cioè deve significare come ti ha creata, come ti ha redenta, come ti ha nutrita, come ti ha attratta nel suo spirito e ti ha aperto gli occhi spirituali. 

La collana è la considerazione della sua Passione. Essa sia sempre fissa sul tuo petto. Come fu deriso, flagellato, insanguinato e confitto vivo in croce con tutti i nervi spezzati. Come alla morte, ne tremò tutto il corpo per l'acutissimo dolore. Come nelle mani del Padre raccomandava lo spirito. Questa collana sia sempre sul tuo petto. 

La corona sul tuo capo significa la castità negli affetti, in modo tale da voler essere piuttosto percossa che macchiata. Sii dunque costumata e casta. Non pensare, non desiderar altro che il tuo Dio, avuto il quale tutto avrai. E così adornata, aspetterai il tuo Sposo>>.

Libro I, Capitolo Settimo, Le Rivelazioni di santa Brigida. 


AVE MARIA PURISSIMA!

mercoledì 5 giugno 2013

L'uomo giusto e l'uomo ingrato.


IV
«Un giovane mi mostrò l'uomo giusto e l'uomo ingrato

L'anima dell'uomo giu­sto è bellissima, ma il suo corpo sempre soffre. Lavora e vive nella pena e nell'an­goscia; ha da sopportare ogni specie di mali e di persecuzioni; e, in mezzo a tutto ciò, non pensa a sé, ma pensa a Dio che vive in lui. 
Tutto quello che fa, lo fa per Dio e non per sé; si dimentica interamente. Dimentica il suo corpo, la sua salute, il suo benessere, per non pensare che a Dio. 

Giunge alla fine della sua vita, muore ed è portato in Dio; ma quando egli è in Dio, non sembra più un uomo, ma un Dio. Ed allora la sua carne, che ha maltrattato, gli rende omaggio e lo ringrazia di averla trattata in quel modo. I suoi capelli, le sue ossa, i suoi occhi, le sue orecchie, i suoi piedi, le sue mani sono fieri di appartenergli, di essere stati a suo servizio, e ven­gono a rendergli omaggio e lo ringraziano di averli trattati così come ha fatto. Tut­tavia tutte queste lodi, sebbene rivolte all'uomo, ritornano a Dio.

 La terra si com­piace di averlo portato, di essere stata calpestata da lui quando camminava; gli animali si reputano felici di essere stati immolati per lui e di essere diventati sua carne. Gli alberi si rallegrano di aver portato dei frutti da assimilare alla sua carne; le case, di averlo alloggiato; il sole, la luna e le stelle, di averlo illuminato. Le nu­vole, la pioggia, le sorgenti, il mare, i pesci rendono omaggio a quest'uomo ed es­si sono felici di averlo servito.


L'uomo ingrato, durante la sua vita, pensa a ben trattare il suo corpo, accor­dandogli tutto ciò che è buono, dolce, delicato. E, in mezzo a tutto ciò, que­st'uomo non pensa a Dio, non pensa che a se stesso, alle soddisfazioni, alle gran­dezze, alle ricchezze, ai godimenti. 
Se egli potesse essere re del cielo e della terra, se potesse detronizzare Dio per farsi Dio lui stesso, lo farebbe. Non pensa che riceve tutto da Dio, che è Dio che gli ha dato tutto. 

E quest'uomo che sem­bra voler assorbire il mondo intero, vede arrivare la sua fine. E muore. Mi è par­so che i suoi capelli lo detestassero e che i suoi occhi, le sue orecchie, i suoi pie­di, le sue mani, le sue unghie, tutto il suo corpo lo detestasse, e che fossero vergognosi e furiosi di averlo servito, di essergli appartenuti; se avessero potuto maledire il tempo in cui sono stati con lui, lo avrebbero fatto. 

La terra è vergo­gnosa e furiosa di essere stata da lui calpestata, e lo maledice. 
Gli alberi sono fu­riosi contro di lui e fremono di rabbia per aver portato dei frutti da convertirsi in suo nutrimento.
 Le bestie, il sole, la luna, le stelle, le fontane, il mare, i pesci so­no furiosi per essere stati a suo servizio e d'accordo lo maledicono. 

E tutte que­ste maledizioni seguono quelle di Dio, perché Dio maledice l'ingrato, ed è per­ché Dio lo maledice che tutta la creazione lo maledice a sua volta.

 È per la stessa ragione che la benedizione di Dio sul giusto gli attira le benedizioni di tutte le creature. E il giovane mi ha detto: Hai visto, hai sentito, mettiti dalla parte del giusto. Ed è sparito».

Ave giglio bianco della Trinità


mercoledì 10 aprile 2013

Misericordia e Giustizia



<<LA GIUSTIZIA SENZA MISERICORDIA
DIVENTA CRUDELTA’
E
LA MISERICORDIA SENZA GIUSTIZIA
DIVENTA CAUSA DI OGNI DISORDINE
PERCIO’
E’ BENE CHE SIANO SEMPRE COLLEGATE>>
San TOMMASO D'AQUINO

giovedì 13 dicembre 2012

Domenica 16 dicembre 2012, III DOMENICA DI AVVENTO - ANNO C




"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 16 dicembre 2012, III DOMENICA DI AVVENTO - ANNO C

Dal Santo Vangelo di Gesù Cristo secondo San Luca 3,10-18.

Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?».
Rispondeva: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: «Maestro, che dobbiamo fare?».
Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi che dobbiamo fare?». Rispose: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo,
Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.
Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 45, pagina 281.

[Stesso testo della settimana scorsa]

Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.

A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell’acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente acciò l’acqua non stagni in palude. L’acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l’Arno verso S.Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare. Pure è d’un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l’umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l’occhio, che rimane stanco dallo squallore petroso e renoso di quanto gli si stende avanti.

Quella voce intima che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare il posto dove scorre un fiume, ma qui è improprio di chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano e lo spazio desolato, che osservo alla mia destra, è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire un luogo dove non ci sono case e lavori dell’uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline.

Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. E’ un luogo che pare ricordarsi di voli d’angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.

Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni appaiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.

In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni ‘i figli del tuono’. Ma allora come chiamare questo veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire.

Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. E’ un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.

Mentre lo ascolto -e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli Evangelisti, ma amplificate con irruenza- vedo avanzarsi lungo una stradicciola , che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnata dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l’hanno percorsa per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall’altro lato del fiume e si perde fra il verde dell’altra sponda.(...)

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

AVE MARIA PURISSIMA!

lunedì 22 ottobre 2012

Domingo XXII p.Pentecostés, Rito Romano-Tridentino: 28.X.2012; S. Mateo, 22, 15-21: ¿ES LÍCITO PAGAR EL TRIBUTO AL CÉSAR, SÍ O NO? ¿QUÉ PIENSAS TÚ?









¿ES LÍCITO PAGAR EL TRIBUTO AL CÉSAR, SÍ O NO? 
¿QUÉ PIENSAS TÚ? 

 "¿DE QUIÉN ES ESTA IMAGEN Y QUÉ DICE ESTA INSCRIPCIÓN?"

 "DEVOLVED ENTONCES A CÉSAR LO QUE ES DE CÉSAR 
Y DAD A DIOS LO QUE ES DE DIOS."

Antes de que la gente acuda y la rodee, se acercan a Jesús los saforines, los doctores de Israel yalgunos herodianos. Con hipócritas inclinaciones le dicen: "Maestro, sabemos que eres sabio y veraz, que enseñas el camino de Dios sin tener en cuenta cosas o personas, que sólo tienes ante tus ojos la verdad y la justicia. Que te preocupas poco de lo que piensen los otros de Ti, que solo tienes puestas tus miras en llevar a los hombres al Bien. dinos, pues: ¿es lícito pagar el tributo al César, sí o no? ¿Qué piensas Tú?"
Jesús los taladra con una de esas miradas penetrantes y de suprema intuición. Responde: "¿Por qué queréis hacerme caer, hipócritas? ¡Aun entre vosotros hay alguien que sabe que no se me engaña con honores insinceros! Mostradme la moneda que empleáis para pagar el tributo."
Le muestran una moneda.
La observa en el anverso y reverso. Y, teniéndola en la palma de la mano izquierda, pone sobre ella el dedo índice de la derecha diciendo: "¿De quién es esta imagen y qué dice esta inscripción?"
"Es la imagen de César. La inscripción lleva su nombre, de Cayo Tiberio César, quien esactualmente el emperador de Roma."
"Devolved entonces a César lo que es de César y dad a Dios lo que es de Dios." Les vuelve lasespaldas después de haberles devuelto la moneda.
Escucha ya a éste, ya a aquel peregrino, que le preguntan, a los que consuela, absuelve y cura.
Pasan las horas.
Sale del Templo tal vez para ir a tomar los alimentos que los criados de Lázaro le han traído.
Vuelve a entrar. La tarde ya ha empezado. No muestra señal de cansancio. La gracia y la sabiduríamanan de sus manos que coloca sobre los enfermos, de sus labios en cada palabra que dedica a los que se le acercan. Parece como si quisiera consolar a todos, curar a todos, antes de que no lo pueda hacer más.
Pronto va a ponerse el sol. Los apóstoles, cansados, están sentados en el suelo bajo el pórtico,sorprendidos al ver el trajinar de la gente que hay en los patios del templo ahora que se acerca la pascua, cuando se aproximan al Incansable varios ricos, como puede notarse en sus vestiduras.
Mateo, que parece estar semidormido, se levanta advirtiendo a los demás: "Algunos saduceos seaproximan al Maestro. No lo dejamos solo, para que no lo insulten, ni le vayan a hacer mal alguno."
Se levantan todos. Lo rodean al punto. Me parece intuir que ha habido represalias entre el ir y volver al Templo a la hora de sexta.

<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>