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giovedì 22 ottobre 2020

PARLIAMOCI CHIARO! SACRALITA' DEL MATRIMONIO




Matrimonio
    Dai Quaderni

  • Adultero e maledetto è quel vivente che scinde un’unione, prima voluta, per capriccio di carne o per insofferenza morale, perché se egli o ella dicono che il coniuge è ormai per essi cagione di peso e ripugnanza, Io dico che Dio ha dato all’uomo riflessione e intelletto perché lo usi e tanto più lo usi in casi di così grave importanza come la formazione di una nuova famiglia; Io dico ancora che se si è in un primo tempo errato per leggerezza o per calcolo, occorre poi sopportare le conseguenze per non creare maggiori sciagure che ricadono specialmente sul coniuge più buono e sugli innocenti, portati a soffrire  più che la vita non comporti e a giudicare coloro che Io ho fatto ingiudicabili per precetto: il padre e la madre. Io dico infine, che la virtù del sacramento, se foste cristiani, veri e non quei bastardi che siete,  dovrebbe agire in voi coniugi, per fare di voi un’anima sola che si ama in una carne sola e non due belve che si odiano legate ad una stessa catena. (…)
    Nulla vi rende lecito l’essere adulteri. Nulla. Non l’abbandono o la malattia del coniuge e molto meno il suo carattere più o meno odioso. (…)
    Io ho detto e non muto il mio dire, che è adultero non solo chi consuma adulterio, ma chi desidera consumarlo nel suo cuore perché guarda con fame di sensi la donna o l’uomo non suo. (…)  Il mondo si frantuma in rovine perché per prime si sono rovinate le famiglie. (…) La libidine estingue la Luce dello spirito e uccide la Grazia. Senza Grazia e senza Luce voi non differite dai bruti e compite perciò azioni da bruti. 25.9.43
  • Doppiamente male è per la donna presentarsi a Dio, all’altare di Dio per un giuramento ad un uomo, con la macchia più brutta che possa macchiare una donna. Mentitrice a Dio, all’uomo suo compagno, al mondo, carpisce una benedizione, una protezione e un rispetto di cui non è degna. 5.11.43
  • Il coniuge onesto e santamente amoroso cerca divenire simile all’altro coniuge, poiché chi ama tende a prendere somiglianza della creatura amata, onde il matrimonio bene inteso, è elevazione reciproca, perché non vi è alcuno completamente perfido e basta migliorare ognuno un punto prendendo ad esempio il buono dell’altro per salire in mutua gara la scala della santità. 28.11.43
  • Condizioni prime, nei vostri matrimoni di ora, sono queste di volgersi a Dio chiedendo dalle sue mani compagno conforme al vostro carattere e alla vostra posizione e soprattutto il compagno giusto agli occhi suoi. 11.1.44
  • Nulla di più sano e di più santo di due che si amano onestamente e si uniscono per perpetuare la razza umana e dare anime al Cielo. La dignità dell’uomo e della donna divenuti genitori, è la seconda dopo quella di Dio. Neppure la dignità regale è simile a questa perché il re, anche il più saggio, non fa che amministrare dei sudditi. I genitori, invece, attirano su loro lo sguardo di Dio e rapiscono a quello sguardo una nuova anima che chiudono nell’involucro della carne nata da loro. (…)

  • Quanti coniugi dopo l’inevitabile consuetudine  della cerimonia religiosa, consuetudine ho detto e lo ripeto, perché per la maggioranza non è altro che consuetudine e non aspirazione dell’anima ad avere Dio con sé in tal momento, non hanno più un pensiero a Dio e fanno del Sacramento che non finisce con la cerimonia religiosa, ma si inizia allora e dura quanto dura la vita dei coniugi (…) fanno del Sacramento un festino e del festino uno sfogo di bestialità.L’angelo insegna a Tobia che, facendo precedere con la preghiera l’atto, l’atto diviene santo e benedetto e fecondo di gioie vere e di prole.22.3.44
  • Ciò che Dio ha congiunto non può essere separato dall’uomo per nessun motivo. Poiché separare vuol dire spingere all’adulterio e il peccato di adulterio lo commette non solo chi pecca nella materia, ma chi produce le cause del peccato, mettendo una creatura nelle condizioni di peccare. 21.6.44
  • Se uno dei due ha mancato, doppio dovere del secondo d’esser fedele per non privare la prole dell’affetto e del rispetto. Affetto dei genitori alla prole, rispetto della prole ai genitori. (…) Non è lecito all’uomo, per nessun motivo, non è lecito al cristiano separare ciò che un sacramento ha congiunto nel nome di Cristo.21.6.44

  • Quando la sposa lascia la casa paterna e diviene moglie di colui che l'ama, sale ad un grado di amore più grande. Non sono più due che si amano. Sono UNO che si ama nel suo doppio. L'uno ama sè riflesso nell'altro, poichè l'amore li stringe in un nodo così stertto che la gioia annulla la personalità e i due singoli in un'unica gioia. 21.6.44
  • Benedetta qualla casa dove la santità del Sacramento vive nel vero senso della parola e produce una inesausta fioritora d'atti d'amore. Amore non di carne soltato, ma più di spirito. Amore che dura e anzi cresce quanto più gli anni e gli affanni crescono. Amore che è vero amore, perchè non si limita ad amare per il godimento, ma abbraccia la pena del coniuge e la porta con lui per sollevarlo del peso. 21.6.44
  • L'uomo mostra di stimare molto la sua donna se ad essa confida tutto di se stesso per averne consiglio e conforto.
    La donna mostra di amare molto il suo uomo se sa comprenderlo nei suoi pensieri e se volonterosa lo aiuta a portare i suoi affanni. Non vi saranno più baci di fuoco e parole di poesia. Ma vi saranno carezze d'anima ad anima e segrete parole che si mormorano gli spiriti, dandosi, l'un l'altro la pace del vero amore del vero matrimonio. 21.6.44
  • Il matrimonio è elevazione reciproca, dev'essere tale. Il coniuge migliore deve essere fonte di elevazione, né limitarsi ad essere buono, ma adoperarsi perché alla bontà giunga l’altro. 23.7.44







    Dal Vangelo come mi è stato rivelato
  • "Non fornicate”.  (…) Quale fra voi non ha messo i denti in questo pane di cenere e sterco che è la soddisfazione sessuale? Ed è lussuria solo quella che vi spinge per un’ora fra braccia meretrici? Non è lussuria anche il profanato connubio con la sposa, profanato perché è vizio legalizzato essendo reciproca soddisfazione del senso, evadendo alle conseguenze dello stesso?
    Matrimonio vuole dire procreazione e l’atto vuol dire e deve essere fecondazione. Senza ciò è immoralità. Non si deve del talamo fare un lupanare. E tale diventa se si sporca di libidine e non si consacra con delle maternità. (…)
    L’uomo è il seme, la donna è la terra, la spiga è il figlio. Rifiutarsi a far la spiga e sperdere la forza  in vizio, è colpa. 123.3

  • La donna: il capolavoro della bontà presso il capolavoro della creazione che è l’uomo.157.4

  • Le donne: mute sacerdotesse che predicheranno Dio col loro modo di vivere e che, senza altra consacrazione che quella avuta dal Dio-Amore, saranno, oh! saranno consacrate e degne d'esserlo. 157.5

  • Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L’amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento anche nel caso d'una morte del coniuge. (…) Se sapeste voi  vedovi, e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione a una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser due anime in una (…)  174.19

  • Amare non vuol dire godere di una carne e per la carne. Quello non è amore, è sensualità. Amore è l’affetto da animo ad animo, da parte superiore a parte superiore, per cui nella compagna non si vede la schiava ma la generatrice dei figli, solo quello, ossia la metà che forma con l’uomo un tutto che è capace di creare una vita, più vite; ossia la compagna che è madre e sorella e figlia dell’uomo, che è debole più di un neonato o più forte di un leone a seconda dei casi e come madre, sorella, figlia, va amata con rispetto confidente e protettore. Ciò che non è quanto Io dico, non è amore: E’ vizio. Non conduce all’alto ma al basso. Non alla Luce ma alle Tenebre. Non alle stelle ma al fango. Amare la donna per sapere amare il prossimo. Amare il prossimo per sapere amare Dio. 242.8

  • "Sia fatta la Tua volontà Padre, in Cielo, in Terra e nel cuore delle madri”.
    Fare la volontà di Dio attraverso la sorte dei figli è il martirio redentivo delle madri (…) il tormento delle madri è di essere separate dai figli. 253.4 
  • Il sacramento dà tutti gli aiuti per una santa convivenza secondo le leggi e i desideri di Dio.
    Lo sposo e la sposa divengo ministri di un rito: quello procreativo. Anche il marito e la moglie divengono sacerdoti di una piccola Chiesa: la famiglia. Devono perciò essere consacrati per procreare con benedizione di Dio e per allevare una discendenza nella quale si benedica il Nome Santissimo di Dio. 259.6

  • La mamma va ubbidita e amata, perché tutto quello che fa, lo fa per nostro bene. 445.12
  • La mamma è il più grande amore della terra, ma Dio è il più grande ed eterno amore della Terra e del Cielo e va ubbidito e amato perché tutto quello che fa, lo fa per nostro bene. 445.12
  • La mamma è per l’anima e per il corpo ciò che per gli stessi è Dio. Essa ti veglia, ti cura, t'insegna, ti ama, guarda che tu non ti faccia del male, ti tiene sotto le ali del suo amore. 445.12
  • La mamma è quella che compatisce il figlio ostinato, malato, sviato e lo ammansisce con la bontà e lo porta a Dio con la preghiera e la pazienza.445.12

  • Alle madri è macigno che schiaccia il disamore dei figli, il loro essere imperfetti agli occhi di Dio e degli uomini. 445.15

  • L’uomo deve essere il capo della casa ma non despota, né della sposa né dei figli e nello stesso tempo deve essere il re nel senso biblico della parola.Guai a quei padri che mancano al loro ufficio. 451.3
  • Il matrimonio è unione voluta per elevazione e conforto dell’uomo e della donna, oltre che per procreazione; è dovere, è ministero, non è mercato, non è dolore, non è avvilimento, di uno o dell’ altro coniuge. E’ amore e non odio. Giusto  dunque sia il capo senza eccessive durezze o pretese e senza eccessive condiscendenze e debolezze. (…) E giusta sia la donna nella casa verso lo sposo, i figli, i servi. Allo sposo dia ubbidienza e rispetto, conforto e aiuto.
    Ubbidienza finché questa non assuma sostanza di consentimento al peccato. La moglie deve essere sommessa ma non degradata. Guardate, o spose, che il primo che vi giudica, dopo Dio, per certe colpevoli condiscendenze, è lo stesso vostro marito che vi induce ad esse. 451.3
  • La moglie virtuosa, direi la moglie che anche dopo il coniugio conserva quel “che” di verginale negli atti, nelle parole, negli abbandoni d’amore, può portare il marito a una elevazione dal senso al sentimento, onde lo sposo si spoglia da lussuria e diviene veramente un unico “che”  con la sposa che tratta col riguardo con cui uno tratta una parte di sé stesso e giusto è che ciò sia, perché la donna è “osso delle sue ossa e carne della sua carne”. 451.4
  • La moglie sia paziente, materna con il marito. Lo consideri come il primo dei suoi figli, perché la donna è sempre madre e l’uomo è sempre bisognoso d'una madre che sia paziente, prudente, affettuosa, confortatrice. Beata quella donna che del proprio coniuge sa essere la compagna e insieme la madre per sorreggerlo, e la figlia per essere guidata. 451.4
  • Vegliare sui figli e sulle figlie, amorosamente, correggere, sorreggere, far meditare e tutto senza preferenze. 451.5
  • E tornando a come devono essere i componenti di una famiglia e gli abitanti d'una casa perché in essa si mantenga fruttuosamente la mia benedizione, vi dico, o figli, che voi siate sottomessi ai genitori, rispettosi, ubbidienti, per poterlo essere anche con il Signore Iddio vostro. Perché se non imparate ad ubbidire ai piccoli comandi del padre e della madre, che vedete, come potete ubbidire ai comandi di Dio che vi vengono detti in suo nome, ma che non vedete e non udite? 451.7

  • Siate dunque buoni, rispettosi, docili, amate il padre che vi corregge, perché lo fa per il vostro bene, e la madre se vi trattiene da azioni che la sua esperienza giudica non buone. Onorateli non facendoli arrossire con le vostre azioni malvagie. 451.8 

  • Il  Signore Iddio vostro ha creato il coniugio perché l’uomo e la donna non fossero soli e si amassero formando una carne sola e indissolubile, posto che fu insieme congiunta e vi ha dato il Sacramento perché sulle nozze scendesse la benedizione sua e per i meriti miei voi aveste quanto vi è necessario nella nuova  vita di coniugi e di procreatori. E per volgervi a Lui con volto e animo sicuri siate oneste, buone, rispettose, fedeli, vere compagne dello sposo, non semplici ospiti della sua casa, o peggio ancora: estranee che un caso riunisce sotto un tetto come due che il caso riunisce in un albergo di pellegrini.473.9
  • "Coloro che non amano in anima, mente e carne il loro compagno, lo spingono all’adulterio e se a costui Io chiederò il perché del suo peccato, non farò da meno per colei che non ne è l’esecutrice, ma la creatrice”. La Legge di Dio occorre saperla comprendere in tutta la sua estensione e profondità e occorre saperla vivere in piena verità. 473.9
  • La moglie sia sottomessa al marito, umile, fedele,casta. Si, egli, l’uomo, è il capo della famiglia. Ma capo non vuol dire despota. Capo non vuol dire capriccioso padrone al quale è lecito ogni capriccio non solo sulla carne ma sulla parte migliore della sposa. 531.10


  • Il divorzio (mosaico) è venuto come malvagio frutto della lussuria umana, del peccato d'origine e della corruzione degli uomini. Ma non è venuto spontaneamente da Dio. Dio non muta la sua parola. E Dio aveva detto, ispirando ad Adamo innocente ancora e parlante perciò con intelligenza non offuscata dalla colpa, le parole:  che gli sposi, una volta uniti, dovevano essere una carne sola. La carne non si separa dalla carne altro che per sciagura di morte o di malattia.  (…)
    Non è lecito all’uomo separare ciò che Dio ha unito, ed è adultero sempre, colui, o colei che avendo il coniuge vivente passa ad altre nozze.
    Il divorzio è prostituzione legale, mettendo in condizione uomo e donna di commettere peccati di lussuria.
    La donna divorziata difficilmente resta vedova d'un vivo, e vedova fedele. L’uomo divorziato non resta mai fedele al primo coniugio. Tanto l’uno che l’altra, passando ad altre unioni, scendono dal livello di uomini a quello di bruti, ai quali è concesso di cambiare femmina ad ogni appello di senso.
    La fornicazione legale, pericolosa alla famiglia e alla Patria, è delittuosa verso gli innocenti. I figli dei divorziati devono giudicare i genitori. Severo giudizio quello dei figli!  (…) 531.13

  • Parlare di nozze, di matrimonio in caso di novella unione d'un divorziato o d'una divorziata, è profanare il significato e la cosa che è il matrimonio. Solo la morte d'uno dei coniugi e la vedovanza consecutiva dell’altro, può giustificare le seconde nozze. 531.13

  • E adultero e peccatore sarà colui che contrarrà divorzio civile per contrarre nuova unione. La legge umana non muterà il mio decreto. 531.14

  • Il matrimonio sia un atto sacro e indissolubile sul quale scende la grazia del Signore a fare dei coniugi due suoi ministri nella propagazione della specie umana. (…)
    Per nessuna ragione si sciolga ciò che Dio ha unito. 635.9
  • Il matrimonio s'elevi a contratto spirituale per il quale le anime di due che si amano giurano di servire il Signore nell’ amore reciproco offerto a Lui in ubbidienza al suo comando di procreazione per dare figli al Signore. 635.9


AMDG et DVM

domenica 17 marzo 2019

Catechesi-Perla sul ruolo dei Sacramenti: Battesimo-Eucarestia- e Matrimonio

Benedetto XVI Udienze 2008
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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 10 dicembre 2008



San Paolo (16)

Il ruolo dei Sacramenti

Cari fratelli e sorelle,

seguendo san Paolo abbiamo visto nella catechesi di mercoledì scorso due cose. La prima è che la nostra storia umana dagli inizi è inquinata dall'abuso della libertà creata, che intende emanciparsi dalla Volontà divina. E così non trova la vera libertà, ma si oppone alla verità e falsifica, di conseguenza, le nostre realtà umane. Falsifica soprattutto le relazioni fondamentali: quella con Dio, quella tra uomo e donna, quella tra l'uomo e la terra. Abbiamo detto che questo inquinamento della nostra storia si diffonde sull’intero suo tessuto e che questo difetto ereditato è andato aumentando ed è ora visibile dappertutto. Questa era la prima cosa. La seconda è questa: da san Paolo abbiamo imparato che esiste un nuovo inizio nella storia e della storia in Gesù Cristo, Colui che è uomo e Dio. Con Gesù, che viene da Dio, comincia una nuova storia formata dal suo sì al Padre, fondata perciò non sulla superbia di una falsa emancipazione, ma sull'amore e sulla verità.

Ma adesso si pone la questione: come possiamo entrare noi in questo nuovo inizio, in questa nuova storia? Come questa nuova storia arriva a me? Con la prima storia inquinata siamo inevitabilmente collegati per la nostra discendenza biologica, appartenendo noi tutti all'unico corpo dell'umanità. Ma la comunione con Gesù, la nuova nascita per entrare a far parte della nuova umanità, come si realizza? Come arriva Gesù nella mia vita, nel mio essere? La risposta fondamentale di san Paolo, di tutto il Nuovo Testamento è: arriva per opera dello Spirito Santo. Se la prima storia si avvia, per così dire, con la biologia, la seconda si avvia nello Spirito Santo, lo Spirito del Cristo risorto. Questo Spirito ha creato a Pentecoste l'inizio della nuova umanità, della nuova comunità, la Chiesa, il Corpo di Cristo.

Però dobbiamo essere ancora più concreti: questo Spirito di Cristo, lo Spirito Santo, come può diventare Spirito mio? La risposta è che ciò avviene in tre modi, intimamente connessi l'uno con l'altro. Il primo è questo: lo Spirito di Cristo bussa alle porte del mio cuore, mi tocca interiormente. Ma poiché la nuova umanità deve essere un vero corpo, poiché lo Spirito deve riunirci e realmente creare una comunità, poiché è caratteristico del nuovo inizio il superare le divisioni e creare l’aggregazione dei dispersi, questo Spirito di Cristo si serve di due elementi di aggregazione visibile: della Parola dell'annuncio e dei Sacramenti, particolarmente del Battesimo e dell'Eucaristia. Nella Lettera ai Romani, dice san Paolo: «Se con la tua bocca proclamerai: ‘Gesù è il Signore’, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (10, 9), entrerai cioè nella nuova storia, storia di vita e non di morte. Poi san Paolo continua: «Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati?» (Rm 10, 14-15). In un successivo passo dice ancora: «La fede viene dall'ascolto» (Rm 10,17). La fede non è prodotto del nostro pensiero, della nostra riflessione, è qualcosa di nuovo che non possiamo inventare, ma solo ricevere come dono, come una novità prodotta da Dio. E la fede non viene dalla lettura, ma dall'ascolto. Non è una cosa soltanto interiore, ma una relazione con Qualcuno. Suppone un incontro con l'annuncio, suppone l'esistenza dell'altro che annuncia e crea comunione.

E finalmente l'annuncio: colui che annuncia non parla da sé, ma è inviato. Sta entro una struttura di missione che comincia con Gesù inviato dal Padre, passa agli apostoli - la parola apostoli significa «inviati» - e continua nel ministero, nelle missioni trasmesse dagli apostoli. Il nuovo tessuto della storia appare in questa struttura delle missioni, nella quale sentiamo ultimamente parlare Dio stesso, la sua Parola personale, il Figlio  parla con noi, arriva fino a noi. La Parola si è fatta carne, Gesù, per creare realmente una nuova umanità. Perciò la parola dell'annuncio diventa Sacramento nel Battesimo, che è rinascita dall'acqua e dallo Spirito, come dirà san Giovanni. Nel sesto capitolo della Lettera ai Romani san Paolo parla in modo molto profondo del Battesimo. Abbiamo sentito il testo. Ma forse è utile ripeterlo: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo battezzati nella sua morte? Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a Lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (6,3-4).

In questa catechesi, naturalmente, non posso entrare in una interpretazione dettagliata di questo testo non facile. Vorrei brevemente notare solo tre cose. La prima: «siamo stati battezzati» è un passivo. Nessun può battezzare se stesso, ha bisogno dell'altro. Nessuno può farsi cristiano da se stesso. Divenire cristiani è un processo passivo. Solo da un altro possiamo essere fatti cristiani. E questo “altro” che ci fa cristiani, ci dà il dono della fede, è in prima istanza la comunità dei credenti, la Chiesa. Dalla Chiesa riceviamo la fede, il Battesimo. Senza lasciarci formare da questa comunità non diventiamo cristiani. Un cristianesimo autonomo, autoprodotto, è una contraddizione in sé. In prima istanza, questo altro è la comunità dei credenti, la Chiesa, ma in seconda istanza anche questa comunità non agisce da sé, secondo le proprie idee e desideri. Anche la comunità vive nello stesso processo passivo: solo Cristo può costituire la Chiesa. Cristo è il vero donatore dei Sacramenti. Questo è il primo punto: nessuno battezza se stesso, nessuno fa se stesso cristiano. Cristiani lo diventiamo.

La seconda cosa è questa: il Battesimo è più che un lavaggio. È morte e risurrezione. Paolo stesso parlando nella Lettera ai Galati della svolta della sua vita realizzatasi nell'incontro con Cristo risorto, la descrive con la parola: sono morto. Comincia in quel momento realmente una nuova vita. Divenire cristiani è più che un’operazione cosmetica, che aggiungerebbe qualche cosa di bello a un’esistenza già più o meno completa. È un nuovo inizio, è rinascita: morte e risurrezione. Ovviamente nella risurrezione riemerge quanto era buono nell'esistenza precedente.

La terza cosa è: la materia fa parte del Sacramento. Il cristianesimo non è una realtà puramente spirituale. Implica il corpo. Implica il cosmo. Si estende verso la nuova terra e i nuovi cieli. Ritorniamo all'ultima parola del testo di san Paolo: così - dice - possiamo “camminare in una nuova vita”. Elemento di un esame di coscienza per noi tutti: camminare in una nuova vita. Questo per il Battesimo.

Veniamo adesso al Sacramento dell'Eucaristia. Ho già mostrato in altre catechesi con quale profondo rispetto san Paolo trasmetta verbalmente la tradizione sull'Eucaristia che ha ricevuto dagli stessi testimoni dell'ultima notte. Trasmette queste parole come un prezioso tesoro affidato alla sua fedeltà. E così sentiamo in queste parole realmente i testimoni dell'ultima notte. Sentiamo le parole dell'Apostolo: «Io infatti ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso. Il Signore Gesù nella notte in cui veniva tradito prese del pane e dopo aver reso grazie lo spezzò e disse: questo è il mio Corpo che è per voi, fate questo in memoria di me. Allo stesso modo dopo aver cenato prese anche il calice dicendo: questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, fate questo ogni volta che ne bevete in memoria di me» (1 Cor 11,23-25). È un testo inesauribile. Anche qui, in questa catechesi, solo due brevi osservazioni. Paolo trasmette le parole del Signore sul calice così: questo calice è «la nuova alleanza nel mio sangue». In queste parole si nasconde un accenno a due testi fondamentali dell'Antico Testamento. Il primo accenno è alla promessa di una nuova alleanza nel Libro del profeta Geremia. Gesù dice ai discepoli e dice a noi: adesso, in questa ora, con me e con la mia morte si realizza la nuova alleanza; dal mio sangue comincia nel mondo questa nuova storia dell'umanità. Ma è presente, in queste parole, anche un accenno al momento dell'alleanza del Sinai, dove Mosè aveva detto: “Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di queste parole” (Es 24,8). Là si trattava di sangue di animali. Il sangue degli animali poteva essere solo espressione di un desiderio, attesa del vero sacrificio, del vero culto. Col dono del calice il Signore ci dona il vero sacrificio. L'unico vero sacrificio è l'amore del Figlio. Col dono di questo amore, amore eterno, il mondo entra nella nuova alleanza. Celebrare l'Eucaristia significa che Cristo ci dà se stesso, il suo amore, per conformarci a se stesso e per creare così il mondo nuovo.

Il secondo importante aspetto della dottrina sull'Eucaristia appare nella stessa prima Lettera ai Corinzi dove san Paolo dice: «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un corpo solo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane» (10, 16-17). In queste parole appare ugualmente il carattere personale e il carattere sociale del Sacramento dell'Eucaristia. Cristo si unisce personalmente ad ognuno di noi, ma lo stesso Cristo si unisce anche con l'uomo e con la donna accanto a me. E il pane è per me e anche per l'altro. Così Cristo ci unisce tutti a sé e unisce tutti noi, l’uno con l'altro. Riceviamo nella comunione Cristo. Ma Cristo si unisce ugualmente con il mio prossimo: Cristo e il prossimo sono inseparabili nell'Eucaristia. E così noi tutti siamo un solo pane, un solo corpo. Un’Eucaristia senza solidarietà con gli altri è un’Eucaristia abusata. E qui siamo anche alla radice e nello stesso tempo al centro della dottrina sulla Chiesa come Corpo di Cristo, del Cristo risorto.

Vediamo anche tutto il realismo di questa dottrina. Cristo ci dà nell'Eucaristia il suo corpo, dà se stesso nel suo corpo e così ci fa suo corpo, ci unisce al suo corpo risorto. Se l'uomo mangia pane normale, questo pane nel processo della digestione diventa parte del suo corpo, trasformato in sostanza di vita umana. Ma nella santa Comunione si realizza il processo inverso. Cristo, il Signore, ci assimila a sé, ci introduce nel suo Corpo glorioso e così noi tutti insieme diventiamo Corpo suo. Chi legge solo il cap. 12 della prima Lettera ai Corinzi e il cap. 12 della Lettera ai Romani potrebbe pensare che la parola sul Corpo di Cristo come organismo dei carismi sia solo una specie di parabola sociologico-teologica. Realmente nella politologia romana questa parabola del corpo con diverse membra che formano una unità era usata per lo Stato stesso, per dire che lo Stato è un organismo nel quale ognuno ha la sua funzione, la molteplicità e diversità delle funzioni formano un corpo e ognuno ha il suo posto. Leggendo solo il cap. 12 della prima Lettera ai Corinzi si potrebbe pensare che Paolo si limiti a trasferire soltanto questo alla Chiesa, che anche qui si tratti solo di una sociologia della Chiesa. Ma tenendo presente questo capitolo decimo vediamo che il realismo della Chiesa è ben altro, molto più profondo e vero di quello di uno Stato-organismo. Perché realmente Cristo dà il suo corpo e ci fa suo corpo. Diventiamo realmente uniti col corpo risorto di Cristo, e così uniti l'uno con l'altro. La Chiesa non è solo una corporazione come lo Stato, è un corpo. Non è semplicemente un’organizzazione, ma un vero organismo.

Alla fine, solo una brevissima parola sul Sacramento del matrimonio. Nella Lettera ai Corinzi si trovano solo alcuni accenni, mentre la Lettera agli Efesini ha realmente sviluppato una profonda teologia del Matrimonio. Paolo definisce qui il  Matrimonio «mistero grande». Lo dice «in riferimento a Cristo e alla sua Chiesa» (5, 32). Va rilevata in questo passo una reciprocità che si configura in una dimensione verticale. La sottomissione vicendevole deve adottare il linguaggio dell'amore, che ha il suo modello nell'amore di Cristo verso la Chiesa. Questo rapporto Cristo-Chiesa rende primario l'aspetto teologale dell'amore matrimoniale, esalta la relazione affettiva tra gli sposi. Un autentico matrimonio sarà ben vissuto se nella costante crescita umana e affettiva si sforzerà di restare sempre legato all'efficacia della Parola e al significato del Battesimo. Cristo ha santificato la Chiesa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua, accompagnato dalla Parola. La partecipazione al corpo e sangue del Signore non fa altro che cementare, oltre che visibilizzare, una unione resa per grazia indissolubile.

E alla fine sentiamo la parola di san Paolo ai Filippesi: “Il Signore è vicino” (Fil 4,5). Mi sembra che abbiamo capito che, mediante la Parola e mediante i Sacramenti, in tutta la nostra vita il Signore è vicino. Preghiamolo affinché possiamo sempre più essere toccati nell'intimo del nostro essere da questa sua vicinanza, affinché nasca la gioia – quella gioia che nasce quando Gesù è realmente vicino.

Saluti:

Je suis heureux d’accueillir les pèlerins francophones, en particulier les religieuses du cours de formation de formatrices à la vie consacrée et le groupe de la République du Congo. Que l’enseignement de saint Paul vous aide à approfondir votre communion au Christ et à l’Église, notamment par la vie sacramentelle. Avec ma Bénédiction apostolique!

I am pleased to welcome the English-speaking pilgrims and visitors here today, including groups from Australia and the United States. I greet especially the newly professed Missionaries of Charity from various countries. Upon all of you, and upon your families and loved ones, I invoke God’s blessings of joy and peace.

Gerne grüße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher. Gottes Wort ist wirkmächtig. Wir wollen seine Botschaft in unsere Herzen aufnehmen und als Kinder Gottes mitwirken, daß sein Heil zu den Menschen gelangt. Gottes Segen begleite euch durch diese Zeit des Advents.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de la Parroquia de San Benito, de Gondomar, Pontevedra, y a los demás grupos venidos de España, México y otros países latinoamericanos. Que la doctrina del Apóstol Pablo renueve en vosotros la gracia recibida en los sacramentos y os ayude a tomar conciencia de vuestra condición de discípulos de Cristo y miembros vivos de la Iglesia. Muchas gracias.

Amados peregrinos de língua portuguesa, as minhas boas-vindas a todos, com uma saudação deferente e amiga aos Presidentes das Câmaras e respectivos munícipes do Alto Tâmega. Imploro as bênçãos de Deus sobre os respectivos compromissos institucionais para que, inspirados pela solidariedade cristã, possam servir e promover o bem comum da sociedade. Com estes votos e a certeza da minha oração pelas intenções que vos trouxeram a Roma, vos abençoo a vós, aos vossos familiares e comunidades cristãs.

Saluto in lingua croata:

Srdačno pozdravljam hrvatske hodočasnike, a osobito djelatnike Ministarstva prosvjete, znanosti, kulture i športa Zapadnohercegovačke županije iz Bosne i Hercegovine. Iščekujući u nadi slavni Kristov dolazak, živimo dostojno sakramenta krštenja po kojem smo postali njegovi učenici. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:

Saluto di cuore i pellegrini croati, particolarmente gli impiegati del Ministero dell’educazione, scienza, cultura e sport della Contea di Nord-Erzegovina della Bosnia ed Erzegovina. Aspettando nella speranza la gloriosa venuta di Cristo, viviamo in conformità al Sacramento del Battesimo per mezzo del quale siamo divenuti i suoi discepoli. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Pozdrawiam serdecznie obecnych tu Polaków. Zachęceni nauczaniem świętego Pawła korzystajmy często z sakramentów świętych. Ich owocem jest nasza szczególna więź z Chrystusem, duch wzajemnej miłości i odwaga w dawaniu świadectwa. Czas Adwentu niech będzie dla nas okazją do pogłębienia życia sakramentalnego. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente tutti i Polacchi qui presenti. Incoraggiati dell’insegnamento di San Paolo, accostiamoci spesso ai Sacramenti della Chiesa. I loro frutti sono il nostro particolare legame con Cristo, lo spirito d’amore vicendevole e il coraggio nel rendere testimonianza. Il tempo d’Avvento sia un’occasione concreta per l’approfondimento della nostra vita sacramentale. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

S láskou pozdravujem slovenských pútnikov z Bratislavy ako aj študentov Grécko-katolíckeho gymnázia svätého Jána Krstiteľa z Trebišova. Bratia a sestry, milí mladí, prajem vám, aby ste prežívali tento Advent podľa vzoru Panny Márie v radostnom očakávaní Spasiteľa. Zo srdca vás žehnám. Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi provenienti da Bratislava come pure gli studenti del Ginnasio greco-cattolico San Giovanni Battista di Trebišov. Fratelli e sorelle, cari giovani, vi auguro di vivere questo tempo di Avvento come la Vergine Maria nella gioiosa attesa del Salvatore. Di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

Lepo pozdravljam člane skupnosti Barka iz Slovenije! Naj vam to romanje ob deseti obletnici vašega druženja pomaga, da boste imeli vedno bolj radi drug drugega pa tudi Jezusa, našega Brata in Gospoda. Naj bo z vami moj blagoslov!

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale saluto ai membri della Comunità dell’Arca provenienti dalla Slovenia! Questo pellegrinaggio in occasione del 10° Anniversario del vostro stare insieme vi sia d’aiuto affinché possiate sempre di più volervi bene gli uni gli altri, ed amare anche Gesù, nostro Fratello e Signore. Vi accompagni la mia Benedizione!

* * *

Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i rappresentanti della Federazione Italiana Gioco Calcio dell’Umbria e i fedeli della Cappellania Beato Giovanni XXIII e Beato Andrea Ferrari di Milano. Saluto inoltre la Delegazione del Comune di Mazzarrone, che ringrazio per il generoso dono dell’uva destinata ai poveri di Roma.

Il mio pensiero va, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La Beata Vergine di Loreto, di cui oggi facciamo memoria, aiuti voi, cari giovani, a disporre i vostri cuori ad accogliere Gesù, che ci salva con la potenza del suo amore; conforti voi, cari malati, che nella vostra esperienza di malattia condividete con Cristo il peso della Croce, e incoraggi voi, cari sposi novelli che da poco tempo avete fondato la vostra famiglia, a crescere sempre più in quell'amore che Gesù ci ha donato nel suo Natale.



© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana
AMDG et DVM

venerdì 30 novembre 2018

Non è lecito all’uomo, per nessun motivo, non è lecito al cristiano separare ciò che un sacramento ha congiunto nel nome di Cristo. 21.6.44

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Matrimonio


    Dai Quaderni
  • Adultero e maledetto è quel vivente che scinde un’unione, prima voluta, per capriccio di carne o per insofferenza morale, perché se egli o ella dicono che il coniuge e ormai per essi cagione di peso e ripugnanza, Io dico che Dio ha dato all’uomo riflessione e intelletto perché lo usi e tanto più lo usi in casi di così grave importanza come la formazione di una nuova famiglia; Io dico ancora che se si è in un primo tempo errato per leggerezza o per calcolo, occorre poi sopportare le conseguenze per non creare maggiori sciagure che ricadono specialmente sul coniuge più buono e sugli innocenti, portati a soffrire  più che la vita non comporti e a giudicare coloro che Io ho fatto ingiudicabili per precetto: il padre e la madre. Io dico infine, che la virtù del sacramento, se foste cristiani, veri e non quei bastardi che siete,  dovrebbe agire in voi coniugi, per fare di voi un’anima sola che si ama in una carne sola e non due belve che si odiano legate ad una stessa catena. (…)
    Nulla vi rende lecito l’essere adulteri. Nulla. Non l’abbandono o la malattia del coniuge e molto meno il suo carattere più o meno odioso. (…)
    Io ho detto e non muto il mio dire, che è adultero non solo chi consuma adulterio, ma chi desidera consumarlo nel suo cuore perché guarda con fame di sensi la donna o l’uomo non suo. (…)  Il mondo si frantuma in rovine perché per prime si sono rovinate le famiglie. (…) La libidine estingue la Luce dello spirito e uccide la Grazia. Senza Grazia e senza Luce voi non differite dai bruti e compite perciò azioni da bruti. 25.9.43
  • Doppiamente male è per la donna presentarsi a Dio, all’altare di Dio per un giuramento ad un uomo, con la macchia più brutta che possa macchiare una donna. Mentitrice a Dio, all’uomo suo compagno, al mondo, carpisce una benedizione, una protezione e un rispetto di cui non è degna. 5.11.43
  • Il coniuge onesto e santamente amoroso cerca divenire simile all’altro coniuge, poiché chi ama tende a prendere somiglianza della creatura amata, onde il matrimonio bene inteso, è elevazione reciproca, perché non vi è alcuno completamente perfido e basta migliorare ognuno un punto prendendo ad esempio il buono dell’altro per salire in mutua gara la scala della santità. 28.11.43
  • Condizioni prime, nei vostri matrimoni di ora, sono queste di volgersi a Dio chiedendo dalle sue mani compagno conforme al vostro carattere e alla vostra posizione e soprattutto il compagno giusto agli occhi suoi. 11.1.44
  • Nulla di più sano e di più santo di due che si amano onestamente e si uniscono per perpetuare la razza umana e dare anime al Cielo. La dignità dell’uomo e della donna divenuti genitori, è la seconda dopo quella di Dio. Neppure la dignità regale è simile a questa perché il re, anche il più saggio, non fa che amministrare dei sudditi. I genitori, invece, attirano su loro lo sguardo di Dio e rapiscono a quello sguardo una nuova anima che chiudono nell’involucro della carne nata da loro. (…) 
    Quanti coniugi dopo l’inevitabile consuetudine  della cerimonia religiosa, consuetudine ho detto e lo ripeto, perché per la maggioranza non è altro che consuetudine e non aspirazione dell’anima ad avere Dio con sé in tal momento, non hanno più un pensiero a Dio e fanno del Sacramento che non finisce con la cerimonia religiosa, ma si inizia allora e dura quanto dura la vita dei coniugi (…) fanno del Sacramento un festino e del festino uno sfogo di bestialità. L’angelo insegna a Tobia che, facendo precedere con la preghiera l’atto, l’atto diviene santo e benedetto e fecondo di gioie vere e di prole.22.3.44
  • Ciò che Dio ha congiunto non può essere separato dall’uomo per nessun motivo. Poiché separare vuol dire spingere all’adulterio e il peccato di adulterio lo commette non solo chi pecca nella materia, ma chi produce le cause del peccato, mettendo una creatura nelle condizioni di peccare. 21.6.44
  • Se uno dei due ha mancato, doppio dovere del secondo d’esser fedele per non privare la prole dell’affetto e del rispetto. Affetto dei genitori alla prole, rispetto della prole ai genitori. (…) Non è lecito all’uomo, per nessun motivo, non è lecito al cristiano separare ciò che un sacramento ha congiunto nel nome di Cristo. 21.6.44
  • Quando la sposa lascia la casa paterna e diviene moglie di colui che l'ama, sale ad un grado di amore più grande. Non sono più due che si amano. Sono UNO che si ama nel suo doppio. L'uno ama sè riflesso nell'altro, poichè l'amore li stringe in un nodo così stertto che la gioia annulla la personalità e i due singoli in un'unica gioia. 21.6.44
  • Benedetta quella casa dove la santità del Sacramento vive nel vero senso della parola e produce una inesausta fioritura d'atti d'amore. Amore non di carne soltanto, ma più di spirito. Amore che dura e anzi cresce quanto più gli anni e gli affanni crescono. Amore che è vero amore, perchè non si limita ad amare per il godimento, ma abbraccia la pena del coniuge e la porta con lui per sollevarlo del peso. 21.6.44
  • L'uomo mostra di stimare molto la sua donna se ad essa confida tutto di se stesso per averne consiglio e conforto.
    La donna mostra di amare molto il suo uomo se sa comprenderlo nei suoi pensieri e se volonterosa lo aiuta a portare i suoi affanni. Non vi saranno più baci di fuoco e parole di poesia. Ma vi saranno carezze d'anima ad anima e segrete parole che si mormorano gli spiriti, dandosi, l'un l'altro la pace del vero amore del vero matrimonio. 21.6.44
  • Il matrimonio deve essere scuola non di corruzione ma di elevazione. Non siate inferiori ai bruti, i quali non corrompono con inutili lussurie l’azione del generare. Il matrimonio è un sacramento, come tale è e deve rimanere santo per non divenire sacrilego; ma anche non fosse sacramento, è sempre l’atto più solenne della vita umana i cui frutti vi equiparano quasi al Creatore delle vite e come tale va almeno contenuto in una sana morale umana. Se così non è, diviene delitto e lussuria.
    Due che si amino santamente, dall’inizio sono rari, perché troppo corrotta è la società, ma        il matrimonio è elevazione reciproca, deve essere tale. Il coniuge migliore deve essere fonte di elevazione, né limitarsi, a essere buono, ma adoperarsi perché alla bontà giunga l’altro. 23.7.44


    Dal Vangelo come mi è stato rivelato
  • "Non fornicate”.  (…) Quale fra voi non ha messo i denti in questo pane di cenere e sterco che è la soddisfazione sessuale? Ed è lussuria solo quella che vi spinge per un’ora fra braccia meretrici? Non è lussuria anche il profanato connubio con la sposa, profanato perché è vizio legalizzato essendo reciproca soddisfazione del senso, evadendo alle conseguenze dello stesso?
    Matrimonio vuole dire procreazione e l’atto vuol dire e deve essere fecondazione. Senza ciò è immoralità. Non si deve del talamo fare un lupanare. E tale diventa se si sporca di libidine e non si consacra con delle maternità. (…)
    L’uomo è il seme, la donna è la terra, la spiga è il figlio. Rifiutarsi a far la spiga e sperdere la forza  in vizio, è colpa. 123.3
  • La donna: il capolavoro della bontà presso il capolavoro della creazione che è l’uomo.157.4
  • Le donne: mute sacerdotesse che predicheranno Dio col loro modo di vivere e che, senza altra consacrazione che quella avuta dal Dio-Amore, saranno, oh! saranno consacrate e degne d'esserlo. 157.5
  • Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L’amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento anche nel caso d'una morte del coniuge. (…) Se sapeste voi  vedovi, e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione a una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser due anime in una (…)  174.19
  • "Sia fatta la Tua volontà Padre, in Cielo, in Terra e nel cuore delle madri”.
    Fare la volontà di Dio attraverso la sorte dei figli è il martirio redentivo delle madri (…) il tormento delle madri è di essere separate dai figli. 253.4 
  • Il sacramento dà tutti gli aiuti per una santa convivenza secondo le leggi e i desideri di Dio.
    Lo sposo e la sposa divengo ministri di un rito: quello procreativo. Anche il marito e la moglie divengono sacerdoti di una piccola Chiesa: la famiglia. Devono perciò essere consacrati per procreare con benedizione di Dio e per allevare una discendenza nella quale si benedica il Nome Santissimo di Dio. 259.6
  • Chi rimanda la propria moglie legittima perché di essa è sazio e ne prende un’altra, non c’è che una sentenza: costui è adultero. E adultero è chi prende la ripudiata, perché se l’uomo si
    è arrogato il diritto di separare ciò che Dio ha congiunto, l’unione matrimoniale continua agli occhi di Dio e maledetto è chi passa a seconda moglie senza essere vedovo. 357.11
  • La mamma va ubbidita e amata, perché tutto quello che fa, lo fa per nostro bene. 445.12
  • La mamma è il più grande amore della terra, ma Dio è il più grande ed eterno amore della Terra e del Cielo e va ubbidito e amato perché tutto quello che fa, lo fa per nostro bene. 445.12
  • La mamma è per l’anima e per il corpo ciò che per gli stessi è Dio. Essa ti veglia, ti cura, t'insegna, ti ama, guarda che tu non ti faccia del male, ti tiene sotto le ali del suo amore. 445.12
  • La mamma è quella che compatisce il figlio ostinato, malato, sviato e lo ammansisce con la bontà e lo porta a Dio con la preghiera e la pazienza.445.12
  • Alle madri è macigno che schiaccia il disamore dei figli, il loro essere imperfetti agli occhi di Dio e degli uomini. 445.15
  • L’uomo deve essere il capo della casa ma non despota, né della sposa né dei figli e nello stesso tempo deve essere il re nel senso biblico della parola. Guai a quei padri che mancano al loro ufficio. 451.3
  • Il matrimonio è unione voluta per elevazione e conforto dell’uomo e della donna, oltre che per procreazione; è dovere, è ministero, non è mercato, non è dolore, non è avvilimento, di uno o dell’ altro coniuge. E’ amore e non odio. Giusto  dunque sia il capo senza eccessive durezze o pretese e senza eccessive condiscendenze e debolezze. (…) E giusta sia la donna nella casa verso lo sposo, i figli, i servi. Allo sposo dia ubbidienza e rispetto, conforto e aiuto.
    Ubbidienza finché questa non assuma sostanza di consentimento al peccato. La moglie deve essere sommessa ma non degradata. Guardate, o spose, che il primo che vi giudica, dopo Dio, per certe colpevoli condiscendenze, è lo stesso vostro marito che vi induce ad esse. 451.3
  • La moglie virtuosa, direi la moglie che anche dopo il coniugio conserva quel “che” di verginale negli atti, nelle parole, negli abbandoni d’amore, può portare il marito a una elevazione dal senso al sentimento, onde lo sposo si spoglia da lussuria e diviene veramente un unico “che”  con la sposa che tratta col riguardo con cui uno tratta una parte di sé stesso e giusto è che ciò sia, perché la donna è “osso delle sue ossa e carne della sua carne”. 451.4
  • La moglie sia paziente, materna con il marito. Lo consideri come il primo dei suoi figli, perché la donna è sempre madre e l’uomo è sempre bisognoso d'una madre che sia paziente, prudente, affettuosa, confortatrice. Beata quella donna che del proprio coniuge sa essere la compagna e insieme la madre per sorreggerlo, e la figlia per essere guidata. 451.4
  • Vegliare sui figli e sulle figlie, amorosamente, correggere, sorreggere, far meditare e tutto senza preferenze. 451.5
  • E tornando a come devono essere i componenti di una famiglia e gli abitanti d'una casa perché in essa si mantenga fruttuosamente la mia benedizione, vi dico, o figli, che voi siate sottomessi ai genitori, rispettosi, ubbidienti, per poterlo essere anche con il Signore Iddio vostro. Perché se non imparate ad ubbidire ai piccoli comandi del padre e della madre, che vedete, come potete ubbidire ai comandi di Dio che vi vengono detti in suo nome, ma che non vedete e non udite? 451.7
  • Siate dunque buoni, rispettosi, docili, amate il padre che vi corregge, perché lo fa per il vostro bene, e la madre se vi trattiene da azioni che la sua esperienza giudica non buone. Onorateli non facendoli arrossire con le vostre azioni malvagie. 451.8 
  • Il  Signore Iddio vostro ha creato il coniugio perché l’uomo e la donna non fossero soli e si amassero formando una carne sola e indissolubile, posto che fu insieme congiunta e vi ha dato il Sacramento perché sulle nozze scendesse la benedizione sua e per i meriti miei voi aveste quanto vi è necessario nella nuova  vita di coniugi e di procreatori. E per volgervi a Lui con volto e animo sicuri siate oneste, buone, rispettose, fedeli, vere compagne dello sposo, non semplici ospiti della sua casa, o peggio ancora: estranee che un caso riunisce sotto un tetto come due che il caso riunisce in un albergo di pellegrini.473.9
  • "Coloro che non amano in anima, mente e carne il loro compagno, lo spingono all’adulterio e se a costui Io chiederò il perché del suo peccato, non farò da meno per colei che non ne è l’esecutrice, ma la creatrice”. La Legge di Dio occorre saperla comprendere in tutta la sua estensione e profondità e occorre saperla vivere in piena verità. 473.9
  • La moglie sia sottomessa al marito, umile, fedele,casta. Si, egli, l’uomo, è il capo della famiglia. Ma capo non vuol dire despota. Capo non vuol dire capriccioso padrone al quale è lecito ogni capriccio non solo sulla carne ma sulla parte migliore della sposa. 531.10
  • Il divorzio (mosaico) è venuto come malvagio frutto della lussuria umana, del peccato d'origine e della corruzione degli uomini. Ma non è venuto spontaneamente da Dio. Dio non muta la sua parola. E Dio aveva detto, ispirando ad Adamo innocente ancora e parlante perciò con intelligenza non offuscata dalla colpa, le parole:  che gli sposi, una volta uniti, dovevano essere una carne sola. La carne non si separa dalla carne altro che per sciagura di morte o di malattia.  (…)
    Non è lecito all’uomo separare ciò che Dio ha unito, ed è adultero sempre, colui, o colei che avendo il coniuge vivente passa ad altre nozze.
    Il divorzio è prostituzione legale, mettendo in condizione uomo e donna di commettere peccati di lussuria.
    La donna divorziata difficilmente resta vedova d'un vivo, e vedova fedele. L’uomo divorziato non resta mai fedele al primo coniugio. Tanto l’uno che l’altra, passando ad altre unioni, scendono dal livello di uomini a quello di bruti, ai quali è concesso di cambiare femmina ad ogni appello di senso.
    La fornicazione legale, pericolosa alla famiglia e alla Patria, è delittuosa verso gli innocenti. I figli dei divorziati devono giudicare i genitori. Severo giudizio quello dei figli!  (…) 531.13
  • Parlare di nozze, di matrimonio in caso di novella unione d'un divorziato o d'una divorziata, è profanare il significato e la cosa che è il matrimonio. Solo la morte d'uno dei coniugi e la vedovanza consecutiva dell’altro, può giustificare le seconde nozze. 531.13
  • E adultero e peccatore sarà colui che contrarrà divorzio civile per contrarre nuova unione. La legge umana non muterà il mio decreto. 531.14
  • Il matrimonio sia un atto sacro e indissolubile sul quale scende la grazia del Signore a fare dei coniugi due suoi ministri nella propagazione della specie umana. (…)
    Per nessuna ragione si sciolga ciò che Dio ha unito. 635.9
  • Il matrimonio s'elevi a contratto spirituale per il quale le anime di due che si amano giurano di servire il Signore nell’ amore reciproco offerto a Lui in ubbidienza al suo comando di procreazione per dare figli al Signore. 635.9

lunedì 25 giugno 2018

La pastorale del matrimonio deve fondarsi sulla verità

Da uno scritto poco conosciuto del cardinale Joseph Ratzinger pubblicato nel 1998

La pastorale del matrimonio
deve fondarsi sulla verità

A proposito di alcune obiezioni contro la dottrina della Chiesa circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati

Nel 1998 il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, introdusse il volume intitolato Sulla pastorale dei divorziati risposati, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana in una collana del dicastero («Documenti e Studi», 17). Per l’attualità e l’ampiezza di prospettive di questo scritto poco conosciuto, ne riproponiamo la terza parte, con l’aggiunta di tre note. Il testo è disponibile sul sito del nostro giornale (www.osservatoreromano.va), oltre che in italiano, anche in francese, inglese, portoghese, spagnolo e tedesco.
La Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati del 14 settembre 1994 ha avuto una vivace eco in diverse parti della Chiesa. Accanto a molte reazioni positive si sono udite anche non poche voci critiche. Le obiezioni essenziali contro la dottrina e la prassi della Chiesa sono presentate qui di seguito in forma per altro semplificata.
Guercino, «Sposalizio della Vergine» (1649)Alcune obiezioni più significative — soprattutto il riferimento alla prassi ritenuta più flessibile dei Padri della Chiesa, che ispirerebbe la prassi delle Chiese orientali separate da Roma, così come il richiamo ai principi tradizionali dell’epikèia e della aequitas canonica — sono state studiate in modo approfondito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Gli articoli dei professori Pelland, Marcuzzi e Rodriguez Luño (1) sono stati elaborati nel corso di questo studio. I risultati principali della ricerca, che indicano la direzione di una risposta alle obiezioni avanzate, saranno ugualmente qui brevemente riassunti.
1. Molti ritengono, adducendo alcuni passi del Nuovo Testamento, che la parola di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio permetta un’applicazione flessibile e non possa essere classificata in una categoria rigidamente giuridica.
Alcuni esegeti rilevano criticamente che il Magistero in relazione all’indissolubilità del matrimonio citerebbe quasi esclusivamente una sola pericope — e cioè Marco, 10, 11-12 — e non considererebbe in modo sufficiente altri passi del Vangelo di Matteo e della prima Lettera ai Corinzi. Questi passi biblici menzionerebbero una qualche “eccezione” alla parola del Signore sull’indissolubilità del matrimonio, e cioè nel caso di pornèia (Matteo, 5, 32; 19, 9) e nel caso di separazione a motivo della fede (1 Corinzi, 7, 12-16). Tali testi sarebbero indicazioni che i cristiani in situazioni difficili avrebbero conosciuto già nel tempo apostolico un’applicazione flessibile della parola di Gesù.
A questa obiezione si deve rispondere che i documenti magisteriali non intendono presentare in modo completo ed esaustivo i fondamenti biblici della dottrina sul matrimonio. Essi lasciano questo importante compito agli esperti competenti. Il Magistero sottolinea però che la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio deriva dalla fedeltà nei confronti della parola di Gesù. Gesù definisce chiaramente la prassi veterotestamentaria del divorzio come una conseguenza della durezza di cuore dell’uomo. Egli rinvia — al di là della legge — all’inizio della creazione, alla volontà del Creatore, e riassume il suo insegnamento con le parole: «L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto» (Marco, 10, 9). Con la venuta del Redentore il matrimonio viene quindi riportato alla sua forma originaria a partire dalla creazione e sottratto all’arbitrio umano — soprattutto all’arbitrio del marito, per la moglie infatti non vi era in realtà la possibilità del divorzio. La parola di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio è il superamento dell’antico ordine della legge nel nuovo ordine della fede e della grazia. Solo così il matrimonio può rendere pienamente giustizia alla vocazione di Dio all’amore ed alla dignità umana e divenire segno dell’alleanza di amore incondizionato di Dio, cioè «Sacramento» (cfr. Efesini, 5, 32).
La possibilità di separazione, che Paolo prospetta in 1 Corinzi, 7, riguarda matrimoni fra un coniuge cristiano e uno non battezzato. La riflessione teologica successiva ha chiarito che solo i matrimoni tra battezzati sono «sacramento» nel senso stretto della parola e che l’indissolubilità assoluta vale solo per questi matrimoni che si collocano nell’ambito della fede in Cristo. Il cosiddetto «matrimonio naturale» ha la sua dignità a partire dall’ordine della creazione ed è pertanto orientato all’indissolubilità, ma può essere sciolto in determinate circostanze a motivo di un bene più alto — nel caso la fede. Così la sistematizzazione teologica ha classificato giuridicamente l’indicazione di san Paolo come privilegium paulinum, cioè come possibilità di sciogliere per il bene della fede un matrimonio non sacramentale. L’indissolubilità del matrimonio veramente sacramentale rimane salvaguardata; non si tratta quindi di una eccezione alla parola del Signore. Su questo ritorneremo più avanti.
A riguardo della retta comprensione delle clausole sulla pornèia esiste una vasta letteratura con molte ipotesi diverse, anche contrastanti. Fra gli esegeti non vi è affatto unanimità su questa questione. Molti ritengono che si tratti qui di unioni matrimoniali invalide e non di eccezioni all’indissolubilità del matrimonio. In ogni caso la Chiesa non può edificare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche incerte. Essa deve attenersi all’insegnamento chiaro di Cristo.
2. Altri obiettano che la tradizione patristica lascerebbe spazio per una prassi più differenziata, che renderebbe meglio giustizia alle situazioni difficili; la Chiesa cattolica in proposito potrebbe imparare dal principio di «economia» delle Chiese orientali separate da Roma.
Si afferma che il Magistero attuale si appoggerebbe solo su di un filone della tradizione patristica, ma non su tutta l’eredità della Chiesa antica. Sebbene i Padri si attenessero chiaramente al principio dottrinale dell’indissolubilità del matrimonio, alcuni di loro hanno tollerato sul piano pastorale una certa flessibilità in riferimento a singole situazioni difficili. Su questo fondamento le Chiese orientali separate da Roma avrebbero sviluppato più tardi accanto al principio della akribìa, della fedeltà alla verità rivelata, quello della oikonomìa, della condiscendenza benevola in singole situazioni difficili. Senza rinunciare alla dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, essi permetterebbero in determinati casi un secondo e anche un terzo matrimonio, che d’altra parte è differente dal primo matrimonio sacramentale ed è segnato dal carattere della penitenza. Questa prassi non sarebbe mai stata condannata esplicitamente dalla Chiesa cattolica. Il Sinodo dei Vescovi del 1980 avrebbe suggerito di studiare a fondo questa tradizione, per far meglio risplendere la misericordia di Dio.
Lo studio di padre Pelland mostra la direzione, in cui si deve cercare la risposta a queste questioni. Per l’interpretazione dei singoli testi patristici resta naturalmente competente lo storico. A motivo della difficile situazione testuale le controversie anche in futuro non si placheranno. Dal punto di vista teologico si deve affermare:
a. Esiste un chiaro consenso dei Padri a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio. Poiché questa deriva dalla volontà del Signore, la Chiesa non ha nessun potere in proposito. Proprio per questo il matrimonio cristiano fu fin dall’inizio diverso dal matrimonio della civiltà romana, anche se nei primi secoli non esisteva ancora nessun ordinamento canonico proprio. La Chiesa del tempo dei Padri esclude chiaramente divorzio e nuove nozze, e ciò per fedele obbedienza al Nuovo Testamento.
b. Nella Chiesa del tempo dei Padri i fedeli divorziati risposati non furono mai ammessi ufficialmente alla sacra comunione dopo un tempo di penitenza. È vero invece che la Chiesa non ha sempre rigorosamente revocato in singoli Paesi concessioni in materia, anche se esse erano qualificate come non compatibili con la dottrina e la disciplina. Sembra anche vero che singoli Padri, ad esempio Leone Magno, cercarono soluzioni “pastorali” per rari casi limite.
c. In seguito si giunse a due sviluppi contrapposti:
— Nella Chiesa imperiale dopo Costantino si cercò, a seguito dell’intreccio sempre più forte di Stato e Chiesa, una maggiore flessibilità e disponibilità al compromesso in situazioni matrimoniali difficili. Fino alla riforma gregoriana una simile tendenza si manifestò anche nell’ambito gallico e germanico. Nelle Chiese orientali separate da Roma questo sviluppo continuò ulteriormente nel secondo millennio e condusse a una prassi sempre più liberale. Oggi in molte Chiese orientali esiste una serie di motivazioni di divorzio, anzi già una «teologia del divorzio», che non è in nessun modo conciliabile con le parole di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio. Nel dialogo ecumenico questo problema deve essere assolutamente affrontato.
— Nell’Occidente fu recuperata grazie alla riforma gregoriana la concezione originaria dei Padri. Questo sviluppo trovò in qualche modo una sanzione nel concilio di Trento e fu riproposto come dottrina della Chiesa nel concilio Vaticano II.
La prassi delle Chiese orientali separate da Roma, che è conseguenza di un processo storico complesso, di una interpretazione sempre più liberale — e che si allontanava sempre più dalla parola del Signore — di alcuni oscuri passi patristici così come di un non trascurabile influsso della legislazione civile, non può per motivi dottrinali essere assunta dalla Chiesa cattolica. Al riguardo non è esatta l’affermazione che la Chiesa cattolica avrebbe semplicemente tollerato la prassi orientale.Ettore Goffi, «Matrimonio» (1996) Certamente Trento non ha pronunciato nessuna condanna formale. I canonisti medievali nondimeno ne parlavano continuamente come di una prassi abusiva. Inoltre vi sono testimonianze secondo cui gruppi di fedeli ortodossi, che divenivano cattolici, dovevano firmare una confessione di fede con un’indicazione espressa dell’impossibilità di un secondo matrimonio.
3. Molti propongono di permettere eccezioni dalla norma ecclesiale, sulla base dei tradizionali principi dell’epikèia e della aequitas canonica.
Alcuni casi matrimoniali, così si dice, non possono venire regolati in foro esterno. La Chiesa potrebbe non solo rinviare a norme giuridiche, ma dovrebbe anche rispettare e tollerare la coscienza dei singoli. Le dottrine tradizionali dell’epikèia e della aequitas canonica potrebbero giustificare dal punto di vista della teologia morale ovvero dal punto di vista giuridico una decisione della coscienza, che si allontani dalla norma generale. Soprattutto nella questione della recezione dei sacramenti la Chiesa dovrebbe qui fare dei passi avanti e non soltanto opporre ai fedeli dei divieti.
I due contributi di don Marcuzzi e del professor Rodríguez Luño illustrano questa complessa problematica. In proposito si devono distinguere chiaramente tre ambiti di questioni:
a. Epikèia ed aequitas canonica sono di grande importanza nell’ambito delle norme umane e puramente ecclesiali, ma non possono essere applicate nell’ambito di norme, sulle quali la Chiesa non ha nessun potere discrezionale. L’indissolubilità del matrimonio è una di queste norme, che risalgono al Signore stesso e pertanto vengono designate come norme di «diritto divino». La Chiesa non può neppure approvare pratiche pastorali — ad esempio nella pastorale dei Sacramenti —, che contraddirebbero il chiaro comandamento del Signore. In altre parole: se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione in nessuna circostanza può essere considerata come conforme al diritto, e pertanto per motivi intrinseci non è possibile una recezione dei sacramenti. La coscienza del singolo è vincolata senza eccezioni a questa norma. (2)
b. La Chiesa ha invece il potere di chiarire quali condizioni devono essere adempiute, perché un matrimonio possa essere considerato come indissolubile secondo l’insegnamento di Gesù. Nella linea delle affermazioni paoline in 1 Corinzi, 7 essa ha stabilito che solo due cristiani possano contrarre un matrimonio sacramentale. Essa ha sviluppato le figure giuridiche del privilegium paulinum e delprivilegium petrinum. Con riferimento alle clausole sulla pornèia in Matteo e in Atti, 15, 20 furono formulati impedimenti matrimoniali. Inoltre furono individuati sempre più chiaramente motivi di nullità matrimoniale e furono ampiamente sviluppate le procedure processuali. Tutto questo contribuì a delimitare e precisare il concetto di matrimonio indissolubile. Si potrebbe dire che in questo modo anche nella Chiesa occidentale fu dato spazio al principio della oikonomìa, senza toccare tuttavia l’indissolubilità del matrimonio come tale.
In questa linea si colloca anche l’ulteriore sviluppo giuridico nel Codice di Diritto Canonico del 1983, secondo il quale anche le dichiarazioni delle parti hanno forza probante. Di per sé, secondo il giudizio di persone competenti, sembrano così praticamente esclusi i casi, in cui un matrimonio invalido non sia dimostrabile come tale per via processuale. Poiché il matrimonio ha essenzialmente un carattere pubblico-ecclesiale e vale il principio fondamentale nemo iudex in propria causa («Nessuno è giudice nella propria causa»), le questioni matrimoniali devono essere risolte in foro esterno. Qualora fedeli divorziati risposati ritengano che il loro precedente matrimonio non era mai stato valido, essi sono pertanto obbligati a rivolgersi al competente tribunale ecclesiastico, che dovrà esaminare il problema obiettivamente e con l’applicazione di tutte le possibilità giuridicamente disponibili.
c. Certamente non è escluso che in processi matrimoniali intervengano errori. In alcune parti della Chiesa non esistono ancora tribunali ecclesiastici che funzionino bene. Talora i processi durano in modo eccessivamente lungo. In alcuni casi terminano con sentenze problematiche. Non sembra qui in linea di principio esclusa l’applicazione della epikèia in “foro interno”. Nella Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1994 si fa cenno a questo, quando viene detto che con le nuove vie canoniche dovrebbe essere escluso «per quanto possibile» ogni divario tra la verità verificabile nel processo e la verità oggettiva (cfr. Lettera, 9). Molti teologi sono dell’opinione che i fedeli debbano assolutamente attenersi anche in “foro interno” ai giudizi del tribunale a loro parere falsi. Altri ritengono che qui in “foro interno” sono pensabili delle eccezioni, perché nell’ordinamento processuale non si tratta di norme di diritto divino, ma di norme di diritto ecclesiale. Questa questione esige però ulteriori studi e chiarificazioni. Dovrebbero infatti essere chiarite in modo molto preciso le condizioni per il verificarsi di una “eccezione”, allo scopo di evitare arbitri e di proteggere il carattere pubblico — sottratto al giudizio soggettivo — del matrimonio.
4. Molti accusano l’attuale Magistero di involuzione rispetto al Magistero del Concilio e di proporre una visione preconciliare del matrimonio.
Alcuni teologi affermano che alla base dei nuovi documenti magisteriali sulle questioni del matrimonio starebbe una concezione naturalistica, legalistica del matrimonio. L’accento sarebbe posto sul contratto fra gli sposi e sullo ius in corpus. Il Concilio avrebbe superato questa comprensione statica e descritto il matrimonio in un modo più personalistico come patto di amore e di vita. Così avrebbe aperto possibilità per risolvere in modo più umano situazioni difficili. Sviluppando questa linea di pensiero alcuni studiosi pongono la domanda se non si possa parlare di «morte del matrimonio», quando il legame personale dell’amore fra due sposi non esiste più. Altri sollevano l’antica questione se il Papa non abbia in tali casi la possibilità di sciogliere il matrimonio.
Chi però legga attentamente i recenti pronunciamenti ecclesiastici riconoscerà che essi nelle affermazioni centrali si fondano su Gaudium et spes e con tratti totalmente personalistici sviluppano ulteriormente sulla traccia indicata dal Concilio la dottrina ivi contenuta. È tuttavia inadeguato introdurre una contrapposizione fra la visione personalistica e quella giuridica del matrimonio. Il Concilio non ha rotto con la concezione tradizionale del matrimonio, ma l’ha sviluppata ulteriormente. Quando ad esempio si ripete continuamente che il Concilio ha sostituito il concetto strettamente giuridico di “contratto” con il concetto più ampio e teologicamente più profondo di “patto”, non si può dimenticare in proposito che anche nel “patto” è contenuto l’elemento del “contratto” pur essendo collocato in una prospettiva più ampia. Che il matrimonio vada molto al di là dell’aspetto puramente giuridico affondando nella profondità dell’umano e nel mistero del divino, è già in realtà sempre stato affermato con la parola “sacramento”, ma certamente spesso non è stato messo in luce con la chiarezza che il Concilio ha dato a questi aspetti. Il diritto non è tutto, ma è una parte irrinunciabile, una dimensione del tutto. Non esiste un matrimonio senza normativa giuridica, che lo inserisce in un insieme globale di società e Chiesa. Se il riordinamento del diritto dopo il Concilio tocca anche l’ambito del matrimonio, allora questo non è tradimento del Concilio, ma esecuzione del suo compito.
Se la Chiesa accettasse la teoria che un matrimonio è morto, quando i due coniugi non si amano più, allora approverebbe con questo il divorzio e sosterrebbe l’indissolubilità del matrimonio in modo ormai solo verbale, ma non più in modo fattuale. L’opinione, secondo cui il Papa potrebbe eventualmente sciogliere un matrimonio sacramentale consumato, irrimediabilmente fallito, deve pertanto essere qualificata come erronea. Un tale matrimonio non può essere sciolto da nessuno. Gli sposi nella celebrazione nuziale si promettono la fedeltà fino alla morte.
Ulteriori studi approfonditi esige invece la questione se cristiani non credenti — battezzati, che non hanno mai creduto o non credono più in Dio — veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati èipso facto un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale «valido» fra battezzati è allo stesso tempo sacramento (cfr. Codex iuris canonici, can. 1055, § 2). All’essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di «non fede» abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi. (3)
5. Molti affermano che l’atteggiamento della Chiesa nella questione dei fedeli divorziati risposati è unilateralmente normativo e non pastorale.
Una serie di obiezioni critiche contro la dottrina e la prassi della Chiesa concerne problemi di carattere pastorale. Si dice ad esempio che il linguaggio dei documenti ecclesiali sarebbe troppo legalistico, che la durezza della legge prevarrebbe sulla comprensione per situazioni umane drammatiche. L’uomo di oggi non potrebbe più comprendere tale linguaggio.Rogier Van der Weyden, «Il matrimonio» (1445) Gesù avrebbe avuto un orecchio disponibile per le necessità di tutti gli uomini, soprattutto per quelli al margine della società. La Chiesa al contrario si mostrerebbe piuttosto come un giudice, che esclude dai sacramenti e da certi incarichi pubblici persone ferite.
Si può senz’altro ammettere che le forme espressive del Magistero ecclesiale talvolta non appaiano proprio come facilmente comprensibili. Queste devono essere tradotte dai predicatori e dai catechisti in un linguaggio, che corrisponda alle diverse persone e al loro rispettivo ambiente culturale. Il contenuto essenziale del Magistero ecclesiale in proposito deve però essere mantenuto. Non può essere annacquato per supposti motivi pastorali, perché esso trasmette la verità rivelata. Certamente è difficile rendere comprensibili all’uomo secolarizzato le esigenze del Vangelo. Ma questa difficoltà pastorale non può condurre a compromessi con la verità. Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Veritatis splendor ha chiaramente respinto le soluzioni cosiddette «pastorali», che si pongono in contrasto con le dichiarazioni del Magistero (cfr. ibidem, 56).
Per quanto riguarda la posizione del Magistero sul problema dei fedeli divorziati risposati, si deve inoltre sottolineare che i recenti documenti della Chiesa uniscono in modo molto equilibrato le esigenze della verità con quelle della carità. Se in passato nella presentazione della verità talvolta la carità forse non risplendeva abbastanza, oggi è invece grande il pericolo di tacere o di compromettere la verità in nome della carità. Certamente la parola della verità può far male ed essere scomoda. Ma è la via verso la guarigione, verso la pace, verso la libertà interiore. Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla verità. Solo ciò che è vero può in definitiva essere anche pastorale. «Allora conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Giovanni, 8,32).
Note:
1 Cfr. Ángel Rodríguez Luño, L’epicheia nella cura pastorale dei fedeli divorziati risposati, in Sulla pastorale dei divorziati risposati, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1998, («Documenti e Studi», 17), pp. 75-87; Piero Giorgio Marcuzzi, s.d.b., Applicazione di «aequitas et epikeia» ai contenuti della Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 14 settembre 1994ibidem, pp. 88-98; Gilles Pelland, s. j.,La pratica della Chiesa antica relativa ai fedeli divorziati risposatiibidem, pp. 99-131.
2 A tale riguardo vale la norma ribadita da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica postsinodaleFamiliaris consortio, n. 84: «La riconciliazione nel sacramento della penitenza — che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico — può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi — quali, ad esempio, l’educazione dei figli — non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”». Cfr. anche Benedetto XVI, Lettera apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, n. 29.
3 Durante un incontro con il clero della diocesi di Aosta, svoltosi il 25 luglio 2005, Papa Benedetto XVI ha affermato in merito a questa difficile questione: «Particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito.
30 novembre 2011
[parola chiave: Benedetto XVI]