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giovedì 2 aprile 2015

2. SI': tornare decisamente alla messa antica.


IL PROTESTANTESIMO A

 META' E' PROTESTANTESIMO



  Si assiste ormai rassegnati al vertiginoso calo delle vocazioni sacerdotali e alla relativa diminuzione della presenza dei preti in mezzo a noi. Di giorno in giorno aumentano le parrocchie senza più la presenza stabile del sacerdote; anzi, diventano queste una rarità. Chiese e chiese vengono ormai aperte sporadicamente per la celebrazione di qualche santa messa, restando per la maggior parte dell'anno chiuse. 
E anche quando, in qualche grande parrocchia, il sacerdote è ancora residente, la sua effettiva presenza si assottiglia sempre più, oberato com'è dal dover garantire un servizio ad innumerevoli piccoli centri sparsi nei dintorni. In intere vallate di montagna non vi abita più nemmeno un prete. Non c'è che dire, un quadro sconfortante; malinconicamente sconfortante.

  Qual è però il pericolo più grande? A nostro parere è che la soluzione a tutto questo problema è dettato da coloro che questo problema hanno causato e accelerato. Il cristianesimo “protestantizzato” ha innescato il disastro decenni fa' ed ora propone i rimedi!

  Tutta la riforma liturgica degli anni '60 e '70 aveva puntato sulla centralità della Parola di Dio. Aveva voluto con forza (violenza?) una completa revisione della millenaria liturgia cattolica, e l'aveva piegata alle necessità della nuova ecclesiologia e della nuova pastorale.

  Di una nuova ecclesiologia: la Chiesa non più Corpo Mistico di Cristo, ma prevalentemente popolo di Dio; l'accento non più sul sacramento dell'Ordine, sul Sacerdozio, che costituisce la nervatura gerarchica della Chiesa, ma l'accento sul battesimo, sul laicato che deve sempre più essere corresponsabile dell'azione della Chiesa.

  Da questa nuova ecclesiologia, che poneva l'accento sulla comunità e non sull'unione con Dio in Gesù Cristo, una assillante preoccupazione perché tutto fosse tradotto in lingua parlata nella messa e nei sacramenti, affinché i fedeli non si sentissero inferiori ai preti nella pubblica preghiera. I fedeli, corresponsabili nella Chiesa con i preti, dovevano tutto subito capire, per poter democraticamente governare la casa di Dio. Ecco allora la strabordante importanza della Parola di Dio intesa semplicemente come il leggere la Bibbia nelle messe; la libidinosa creatività nelle liturgie della parola con laici lettori, fedeli commentatori, gesti simbolici accompagnanti le letture, omelie partecipate, logorroiche preghiere dei fedeli, seguite poi da una veloce e scarna consacrazione che, ahimè dicevano i più illuminati, restava ancora riservata al prete, perché noi cattolici non arriviamo fino in fondo al protestantesimo. Ecco, potremmo spiegarci cosi: da noi si è operato, nel post-concilio, un protestantesimo di mezzo, che non arriva ad eliminare del tutto il prete, questo no, ma che gli ha lasciato un angolino: la consacrazione. Ma anche questa rigorosamente tradotta in lingua parlata, ad alta voce, con le parole prese dalla Bibbia, perché i fedeli ascoltando possano ratificarla con i loro amen. Eh sì, perché nella democratizzazione della Chiesa l'assenso dei fedeli è importante: nel “mistero della fede” e nella comunione il fedele dicendo il suo “sì” dà forza alla Presenza di Cristo fatta dal sacerdote... è proprio un protestantesimo a metà!

  La rivoluzione liturgica così operata avrebbe dovuto portare un nuovo slancio alla vita cristiana e alla missione della Chiesa nella società. Da subito però ci si accorse che stava producendo confusione. Si diede colpa al '68, alla rivoluzione sociale e culturale che stava scoppiando nella società proprio negli anni del dopo concilio. Si diceva che tutto si sarebbe messo a posto, che dopo la confusione e gli errori di applicazione, sarebbe venuta l'ora serena e feconda dell'edificazione. Ma quest'ora non è mai arrivata!

  L'ultimo tentativo in questa prospettiva è del pontificato interrotto di Benedetto XVI, che ha fortemente promosso un riequilibrio in senso tradizionale della riforma; ma queste illusioni sono scomparse con le sue ... dimissioni [da Vescovo di Roma, ma non da Papa].

  Oggi la Chiesa si trova come un campo il giorno successivo alla battaglia: un cumulo di ruderi, con i cadaveri da seppellire. Non solo la società non è tornata cristiana, ma non ci sono più preti per intraprendere una nuova opera.

  Cosa fanno i nipoti dei rivoluzionari liturgici ed ecclesiali di decenni fa? Propongono di rimpiazzare le messe con le liturgie della parola, animate dai laici, terminanti con la comunione sacramentale! È la conclusione logica della più disastrosa falsa riforma della Chiesa. E questo epigono, lo annunciamo già con certezza, porterà a consumazione il disastro.

  La malattia non può scacciare il morbo, la peste non ferma la pestilenza, se non facendo morire tutti... ma se fosse così che vittoria sarebbe?

  In tutte le epoche di crisi, la Chiesa non ha annacquato la sua identità per raggiungere tutti, no di certo. Ha invece moltiplicato lo zelo perché i suoi preti siano più preti e i suoi fedeli più cattolici.

  Nel medioevo, che conobbe intorno al mille una grande crisi, riunì i sacerdoti nelle pievi, fondò i canonicati perché i ministri di Dio si santificassero in una vita quasi monastica, purificò e rese sempre più splendida la sua liturgia, moltiplicò la preghiera. In una parola, gettò le basi per una rinascita poderosa delle vocazioni sacerdotali, cosciente che senza prete non c'è Chiesa.

  Leggendo in questi giorni la stampa, che a caratteri cubitali scrive “Non ci sono più preti, la messa la diranno i laici” tutti possono capire che si viaggia imperterriti nel senso contrario alla vera riforma della Chiesa. Certo la stampa esagera, i laici non farebbero la messa vera e propria, leggerebbero le letture e darebbero la comunione: ma come non vedere che questo è l'ultimo passo per la scomparsa della messa in mezzo a noi. Già ci siamo abituati a fare a meno del prete per la dottrina... i laici già ascoltano e interpretano liberamente i Vescovi e il Papa, ci manca solo che facciano una pseudo-messa per dichiarare inutile il sacerdote. Cosa penserà un seminarista, miracolo vivente in questa Chiesa, leggendo un simile titolo sul giornale? Non avrà il dubbio che la Chiesa non ha più bisogno di lui?

  In tutto questo scempio si ha il segreto sospetto che i preti e i fedeli rieducati nello spirito della nuova chiesa, quella del protestantesimo a metà, guardino alle pseudo messe delle chiese senza preti come all'ultima opportunità per completare quella riforma della chiesa che il Vaticano II aveva lasciato a metà. Sì, vogliono una chiesa dove tutti sono sacerdoti... dove Cristo nasce dal di dentro della coscienza del singolo e dal di dentro della comunità; una chiesa dove Cristo non scende più dall'alto, dove il prete è un retaggio del passato destinato a scomparire o quasi: la fine del Cattolicesimo.

  Noi continuiamo sempre più ad essere convinti che non abbiamo sbagliato nel tornare decisamente alla messa antica, che sicuramente non permette questa deriva. Oh se più preti e fedeli lo capissero! Avrebbero qui la possibilità offerta da Dio per una reale rinascita.

  Ma quanto dovrà ancora accadere perché i cuori e le menti siano liberate?



LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!




venerdì 10 gennaio 2014

LE PIAGHE LITURGICHE. I sei principi della riforma liturgica. Le cinque piaghe del Corpo mistico di Cristo liturgico

Mons. Athanasius Schneider - Le Piaghe Liturgiche

Mons. Athanasius Schneider
  L’articolo che segue, di Mons. Athanasius Schneider, il vescovo autore di “Dominus est“, è stato pubblicato sull’edizione dell’estate 2012 di “The Latin Mass“. 

Il vescovo Schneider esamina i punti di rottura tra la liturgia preconciliare e postconciliare considerandoli vere e proprie “piaghe liturgiche”, anche perché, per la maggior parte, non sono nemmeno previste dalla Sacrosanctum Concilium. Propone anche il ristabilimento di un minimo di continuità, che considera condizione imprescindibile per la nuova evangelizzazione, vista la corrispondenza tra lex orandi e lex credendi.




Volgendo lo sguardo verso Cristo

Per parlare correttamente di nuova evangelizzazione, è necessario in primo luogo  volgere lo sguardo verso Colui che è il vero evangelizzatore, cioè Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto Uomo. Il Figlio di Dio venne su questa terra per espiare e riparare il più grande peccato, il peccato per eccellenza. E questo peccato, il peccato per eccellenza dell’umanità, consiste nel rifiuto di adorare Dio e nel rifiuto di mantenere per lui il primo posto, il posto d’onore. 

Questo peccato da parte dell’uomo consiste nel non prestare attenzione a Dio, non avendo più il senso della convenienza delle cose, o anche il senso dei dettagli relativi a Dio e dell’adorazione che gli è dovuta, nel non voler vedere Dio, e nel non volere inginocchiarsi davanti a Dio.

Per chi ha un tale atteggiamento, l’incarnazione di Dio è una fonte di imbarazzo e di conseguenza anche la presenza reale di Dio nel mistero eucaristico è motivo di imbarazzo, come lo è la centralità della presenza eucaristica di Dio nelle nostre chiese. Infatti l’uomo peccatore vuole il centro della scena per se stesso, sia all’interno della Chiesa che durante la celebrazione eucaristica. Vuole essere visto, per farsi notare.

Per questo motivo Gesù Eucaristia, Dio incarnato, presente nel tabernacolo sotto la forma eucaristica, viene messo da parte. Anche la rappresentazione del Crocifisso sulla croce in mezzo all’altare durante la celebrazione verso il popolo è un imbarazzo, perché potrebbe nascondere il volto del sacerdote. Pertanto, l’immagine del Crocifisso al centro dell’altare, così come Gesù Eucaristia nel tabernacolo nel centro dell’altare, è un imbarazzo. 
Di conseguenza, la croce e il tabernacolo sono spostati a lato. Durante la messa, l’assemblea deve essere in grado di vedere il volto del sacerdote in ogni momento, e lui si diverte a mettersi letteralmente al centro della casa di Dio… E se per caso Gesù, realmente presente a noi nella Santissima Eucaristia, è ancora lasciato nel suo tabernacolo al centro dell’altare perché il Ministero di monumenti storici, anche in un regime ateo, ha proibito il suo spostamento per la conservazione del patrimonio artistico, il prete, spesso, durante tutta la celebrazione eucaristica, non si fa scrupolo di voltargli le spalle.


Quante volte gli adoratori di Cristo buoni e fedeli, piangendo, hanno gridato, nella loro semplicità e umiltà: "Dio ti benedica, Ministero dei monumenti storici! Almeno ci hanno lasciato Gesù al centro della nostra chiesa ".




La Messa è destinata  a dare gloria a Dio, non agli uomini

Solo sulla base dell’adorazione e della glorificazione di Dio la Chiesa può adeguatamente proclamare la parola di verità, vale a dire evangelizzare. 

Prima che il mondo abbia mai sentito Gesù, il Verbo eterno fatto carne, predicare e annunciare il Regno, Egli ha adorato in silenzio per trenta anni. 
Questa rimane sempre la legge per la vita della Chiesa e la sua azione, nonché per tutti gli evangelizzatori. “Dal modo in cui viene trattata la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa”, ha detto il cardinale Ratzinger, il nostro attuale Santo Padre Benedetto XVI. Il Concilio Vaticano II ha voluto ricordare alla Chiesa quale realtà e quali azioni sarebbero dovute essere al primo posto nella sua vita.


Per questa ragione la prima parte degli atti del Concilio è stata dedicata alla liturgia. Il Concilio ci dà i seguenti principi: nella Chiesa, e quindi nella liturgia, l’uomo deve essere orientato verso il divino ed essere subordinato ad esso, allo stesso modo il visibile in relazione all’invisibile, l’azione in relazione alla contemplazione, la città presente in relazione a quella futura, a cui aspiriamo (vedi Sacrosanctum Concilium, 2). Secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II la nostra liturgia terrena partecipa in anticipo alla liturgia celeste della città santa di Gerusalemme (ibid., 2).

Tutto ciò che riguarda la liturgia della Santa Messa, vale a dire le preghiere di adorazione, di ringraziamento, di espiazione e di petizione che il sommo ed eterno Sacerdote ha presentato al Padre, deve quindi servire a esprimere chiaramente la realtà del sacrificio di Cristo.



La forma straordinaria e la nuova evangelizzazione

Il rito e ogni dettaglio del Santo Sacrificio della Messa deve incentrarsi sulla glorificazione e adorazione di Dio, insistendo sulla centralità della presenza di Cristo, sia nel segno e la rappresentazione del Crocifisso, sia nella sua presenza eucaristica nel tabernacolo, e in particolare al momento della Consacrazione e della Santa Comunione. 
Più questo è rispettato, meno l’uomo è protagonista nella celebrazione, e tanto meno la celebrazione appare come un cerchio chiuso in se stesso; piuttosto [è un cerchio] aperto a Cristo e avanza verso di lui come in un corteo, con il sacerdote alla sua testa; come una processione liturgica ha il pregio di rispecchiare il sacrificio di adorazione di Cristo crocifisso; i frutti derivanti dalla glorificazione di Dio e ricevuti nelle anime dei presenti saranno più ricchi; Dio li gradirà e onorerà di più.


Quanto più il sacerdote e i fedeli, nelle celebrazioni eucaristiche, cercano sinceramente la gloria di Dio piuttosto che quella degli uomini e non cercano di ricevere la gloria gli uni dagli altri, più Dio li considererà, concedendo che le loro anime possano partecipare più intensamente e con frutto alla gloria e all’onore della sua vita divina.


Oggi, in vari luoghi della terra, ci sono molte celebrazioni della Santa Messa che, si potrebbe dire, rappresentano un inversione del Salmo 113:9: “Non a te, o Signore, ma al nostro nome dà gloria” [chissà che cosa ne direbbe il Card. Siri! n. d. t.]. A tali celebrazioni si riferiscono le parole di Gesù: “Come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?” (Gv 5:44).


I sei principi della riforma liturgica


Il Concilio Vaticano II stabilì i seguenti principi in merito a una riforma liturgica:

1. Durante la celebrazione liturgica, l’umano, il temporale, e l’azione devono essere diretti verso il divino, l’eterno, e la contemplazione, il ruolo dei primi deve essere subordinato a questi ultimi (Sacrosanctum Concilium, 2).

2. Durante la celebrazione liturgica, dovrà essere incoraggiata la consapevolezza che la liturgia terrena partecipa alla liturgia celeste (Sacrosanctum Concilium, 8).

3. Non ci deve essere assolutamente alcuna innovazione; quindi nessuna nuova creazione dei riti liturgici, in particolare nel rito della Messa, se non per un guadagno vero e certo per la Chiesa, e a condizione che tutto sia fatto con prudenza e, se ciò è garantito, che nuove forme sostituiscano organicamente quelle esistenti (Sacrosanctum Concilium, 23).

4. Il rito della Messa deve essere tale che il sacro sia affrontato in modo più esplicito (Sacrosanctum Concilium, 21).

5. Il latino deve essere conservato nella liturgia, soprattutto alla Santa Messa (Sacrosanctum Concilium, 36 e 54).

6. Il canto gregoriano ha un posto d’onore nella liturgia (Sacrosanctum Concilium, 116).


I Padri conciliari hanno visto le loro proposte di riforma come la continuazione della riforma di san Pio X (Sacrosanctum Concilium 112 e 117) e del Venerabile Pio XII, anzi, nella Costituzione liturgica, l’Enciclica Mediator Dei di Pio XII è quella citata più spesso.

Tra le altre cose, il Papa Pio XII ha lasciato alla Chiesa un importante principio della dottrina riguardante la Santa Liturgia, vale a dire la condanna di quello che viene chiamato archeologismo liturgico, le cui proposte sono in gran parte sovrapponibili a quelle del sinodo giansenista e tendente al protestantesimo di Pistoia (vedi Mediator Dei, 63-64).




È un dato di fatto che richiamino alla mente il pensiero teologico di Martin Lutero.

Per questa ragione, il Concilio di Trento aveva già condannato le idee liturgiche protestanti, in particolare l’enfasi esagerata sulla nozione di banchetto nella celebrazione eucaristica a scapito del suo carattere sacrificale e la soppressione di segni univoci di sacralità come espressione del mistero della liturgia (Concilio di Trento, sessione 22).


Le dichiarazioni dottrinali del Magistero sulla liturgia, in questo caso quelle del Concilio di Trento e dell’ enciclica Mediator Dei e che si riflettono in una prassi liturgica secolare, o addirittura millenaria, queste dichiarazioni, dico, formano una parte di quell’elemento della Santa Tradizione che non si può abbandonare senza incorrere in gravi danni spirituali. Il Vaticano II ha confermato queste dichiarazioni dottrinali sulla liturgia, come si può vedere leggendo i principi generali del culto divino nella Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium.


Come esempio di errore nel pensiero e nella prassi liturgica, Papa Pio XII cita la proposta di dare all’altare la forma di un tavolo (Mediator Dei 62).

Se già Papa Pio XII rifiutò l’altare a forma di tavolo , si può immaginare quanto più egli avrebbe rifiutato la proposta per una celebrazione attorno a un tavolo versus populum!

Quando la Sacrosanctum Concilium (n. 2) insegna che, nella liturgia, la contemplazione ha la priorità e che tutta la celebrazione deve essere orientata ai misteri celesti (ibid. 2 e 8), riecheggia fedelmente la seguente dichiarazione del Concilio di Trento: 

E perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per questa ragione la chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè, qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo sacrificio.“(Sessione 25, capitolo 5).


Gli insegnamenti magisteriali della Chiesa citati sopra, in particolare la Mediator Dei, erano certamente riconosciuti come pienamente validi dai Padri del Concilio. Pertanto essi devono continuare ad essere pienamente validi per tutti i figli della Chiesa anche oggi.


Le cinque piaghe del Corpo mistico di Cristo liturgico

Nella lettera a tutti i vescovi della Chiesa cattolica che Benedetto XVI ha inviato il 7 luglio 2007 con il Motu Proprio Summorum Pontificum, il Papa ha fatto la seguente importante dichiarazione:Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni precedenti era sacro, resta sacro e grande anche per noi. Nel dire questo, il Papa ha espresso il principio fondamentale della liturgia che hanno insegnato il Concilio di Trento, Papa Pio XII e il Concilio Vaticano II.

Guardando senza pregiudizi e obiettivamente la prassi liturgica della stragrande maggioranza delle chiese di tutto il mondo cattolico in cui viene utilizzata la forma ordinaria del rito romano, nessuno può onestamente negare che i sei principi liturgici del Vaticano II siano costantemente violati, o quasi, nonostante l’affermazione erronea che questa sia la prassi liturgica voluta dal Vaticano II. Ci sono un certo numero di aspetti concreti della prassi liturgica attualmente prevalente nel rito ordinario che rappresentano una rottura vera e propria rispetto ad una pratica liturgica costante e millenaria. 

Con questo intendo le cinque pratiche liturgiche che citerò a breve, che possono essere definite le cinque piaghe del corpo mistico liturgico di Cristo. Si tratta di ferite, perché costituiscono una rottura violenta con il passato in quanto minimizzano il carattere sacrificale (che in realtà è il carattere centrale ed essenziale della Messa) e propongono l’idea del banchetto. Tutto questo riduce i segni esteriori di adorazione divina, perché mette in evidenza in misura molto minore la dimensione celeste ed eterna del mistero.





Ora le cinque ferite (tranne per le nuove preghiere dell’Offertorio) sono quelli che non sono previsti nella forma ordinaria del rito della Messa, ma sono stati portati in esso attraverso la pratica di una moda deplorevole.

A) La prima e più ovvia ferita è la celebrazione del Sacrificio della Messa in cui il sacerdote celebra con la faccia rivolta verso i fedeli, soprattutto durante la preghiera eucaristica e la consacrazione, il momento più alto e più sacro del culto che è dovuto a Dio. Questa forma esteriore corrisponde, per sua stessa natura, più che altro al modo in cui si insegna in una classe o si condivide un pasto. Siamo in un circolo chiuso. E questa forma assolutamente non è conforme al momento della preghiera, meno ancora a quella di adorazione. Eppure il Vaticano II non ha voluto affatto questa forma, né la stessa è mai stata raccomandata dal Magistero dei Papi dopo il Concilio.

Papa Benedetto XVI ha scritto nella prefazione al primo volume delle sue opere raccolte: 
L’idea che il sacerdote e il popolo in preghiera devono guardarsi l’un l’altro reciprocamente è nata solo in età moderna ed è completamente estranea al cristianesimo antico. Infatti, il sacerdote e il popolo non affrontano la loro preghiera gli uni verso gli altri, ma insieme la rivolgono all’unico Signore. Per questo motivo, nella preghiera, guardano nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico del ritorno del Signore, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso l’alto“.

La forma di celebrazione in cui tutti volgono il loro sguardo nella stessa direzione (Conversi ad orientem, ad Crucem, ad Dominum) è anche menzionata nelle rubriche del nuovo rito della Messa (cfr. Ordo Missae, 25, 133, 134). La cosiddetta celebrazione versus populum non corrisponde certo all’idea della Santa Liturgia come indicato nella dichiarazione della Sacrosanctum Concilium, 2 e 8.


B) La seconda ferita è la comunione nella mano, che ora è diffusa in quasi tutto il mondo. Non solo questo modo di ricevere la comunione non è in alcun modo menzionato dai Padri del Concilio Vaticano II, ma è stato in realtà introdotto da un certo numero di vescovi in disobbedienza alla Santa Sede e nonostante il voto a maggioranza negativo dai vescovi nel 1968. Papa Paolo VI la legittimò solo più tardi, a malincuore, e in particolari condizioni.

Papa Benedetto XVI, dal Corpus Christi 2008, distribuisce la Comunione ai fedeli in ginocchio e sulla lingua, sia a Roma che in tutte le chiese locali che visita. E così sta mostrando a tutta la Chiesa un chiaro esempio di Magistero pratico in una questione liturgica. Poiché la maggioranza qualificata dei vescovi rifiutò la Comunione nella mano come qualcosa di nocivo tre anni dopo il Concilio, tanto più lo avrebbero fatto i Padri conciliari!

C) La ferita è rappresentata dalle nuove preghiere di Offertorio. Si tratta di una creazione del tutto nuova e non erano mai state utilizzate nella Chiesa. Esse non esprimono tanto il mistero del sacrificio della Croce quanto l’evento di un banchetto e in tal modo ricordano le preghiere del pasto del sabato ebraico. Nella tradizione più che millenaria della Chiesa, in Oriente e in Occidente, le preghiere Offertorio sono sempre stati espressamente orientate al mistero del sacrificio della Croce (cfr. ad esempio Paul Tirot, Histoire des Prières d’Offertoire dans la liturgie romaine du VIIème XVIème au siècle [Roma, 1985]). 
Non vi è dubbio che una tale creazione, assolutamente nuova contraddice la chiara formulazione del Concilio Vaticano II che afferma: “novità ne fiant. . . novae formae ex Formis iam exstantibus organice crescant “(Sacrosanctum Concilium, 23).

D) La quarta ferita è la totale scomparsa del latino nella stragrande maggioranza delle celebrazioni eucaristiche nella forma ordinaria in tutti i paesi cattolici. Si tratta di una infrazione diretta contro le decisioni del Concilio Vaticano II.

E) La quinta ferita è l’esercizio da parte delle donne dei servizi liturgici di lettore e di accolito, come pure l’esercizio di questi stessi servizi in abiti laici, quando, durante la Santa Messa entrano nel coro direttamente dallo spazio riservato ai fedeli. 
Questa usanza non è mai esistita nella Chiesa, o almeno non è mai stata la benvenuta. Essa conferisce alla celebrazione della Messa cattolica il carattere esterno di informalità, il carattere e lo stile di un gruppo piuttosto profano. Il Concilio di Nicea, già nel 787, proibiva tali pratiche quando ha stabilito il canone seguente: Se qualcuno non è ordinato, non è consentito per lui  fare la lettura dall’ambone durante la santa liturgia (can. 14 ). Questa norma è stata costantemente seguita nella Chiesa. 
Solo i suddiaconi e i lettori sono stati autorizzati a fare la lettura durante la liturgia della Messa. 
Se lettori e accoliti non sono presenti, uomini o ragazzi con i paramenti liturgici possono farlo, non le donne, dal momento che il sesso maschile rappresenta simbolicamente l’ultimo anello di ordini minori dal punto di vista dell’ordinazione non sacramentale di lettori e accoliti.

I testi del Vaticano II non parlano della soppressione degli ordini minori né del suddiaconato o dell’introduzione di nuovi ministeri. Nella Sacrosanctum Concilium, al n. 28, il Concilio distingue il ministro dal fedele durante la celebrazione liturgica, e stabilisce che ciascuno può fare solo ciò che gli compete per la natura della liturgia. Il numero 29 menziona i ministrantes, cioè i chierichetti che non sono stati ordinati. In contrasto con loro, ci sono, in linea con i termini giuridici in uso in quel tempo, i Ministri, vale a dire coloro che hanno ricevuto un ordine, sia esso maggiore o minore.



Il Motu Proprio: Come porre fine alla rottura nella Liturgia


Nel Motu Proprio Summorum Pontificum, Papa Benedetto XVI stabilisce che le due forme del rito romano devono essere considerate e trattate con lo stesso rispetto, perché la Chiesa rimane la stessa prima e dopo il Concilio. Nella lettera di accompagnamento del Motu Proprio, il Papa vuole  che le due forme si arricchiscano reciprocamente.
Inoltre egli auspica che la nuova forma “sia in grado di dimostrare, più chiaramente di quanto non sia avvenuto finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso“.

Quattro delle ferite liturgiche, o pratiche sfortunate (celebrazione versus populum, comunione nella mano, totale abbandono del latino e del canto gregoriano, e intervento delle donne per il servizio di lettore e di accolito), non hanno in sé e per sé nulla a che fare con la forma ordinaria della Messa ed inoltre sono in contraddizione con i principi liturgica del Vaticano II. Se fossero abolite queste pratiche si tornerebbe al vero insegnamento del Concilio Vaticano II. E poi, le due forme del rito romano, verrebbero ad essere considerate assai più vicine, e così la forma straordinaria e la nuova evangelizzazione poiché, almeno esternamente, non si parlerebbe di alcuna rottura né apparirebbe alcuna rottura nella Chiesa tra il pre e il postconcilio.


Per quanto riguarda le nuove preghiere dell’Offertorio, sarebbe auspicabile che la Santa Sede le sostituisse con le preghiere corrispondenti della forma straordinaria, o almeno consentisse l’uso di quest’ultimo ad libitum. In questo modo la rottura tra le due forme sarebbe evitata non solo esternamente ma anche internamente. La rottura nella liturgia è proprio ciò che i Padri conciliari non volevano. I verbali del Concilio attestano questo, perché nel corso dei duemila anni di storia della liturgia, non c’è mai stata una rottura liturgica e, di conseguenza, non ci può essere. D’altra parte deve esserci continuità, così come si conviene per il Magistero.




Le cinque piaghe del corpo liturgico della Chiesa che ho menzionato gridano per la guarigione. Esse rappresentano una rottura che si può confrontare con l’esilio ad Avignone.

La situazione di una rottura così forte in un’espressione della vita della Chiesa è ben lungi dall’essere irrilevante, allora con l’assenza dei papi da Roma, oggi con la rottura visibile tra la liturgia prima e dopo il Concilio. Questa situazione grida in effetti, per la guarigione. Per questo motivo abbiamo bisogno di nuovi santi oggi, di una o più Sante Caterina di Siena.

Abbiamo bisogno di vox populi fidelis che richiedano la soppressione di questa rottura liturgica. La tragedia in tutto questo è che, oggi come nel tempo dell’esilio di Avignone, la grande maggioranza del clero, soprattutto nei suoi ranghi più alti, è contenta di questa rottura.

Prima che ci si possa  aspettare frutti efficaci e duraturi dalla nuova evangelizzazione, deve avere corso all’interno della Chiesa un processo di conversione. Come possiamo chiamare gli altri alla conversione quando, tra coloro che hanno risposto alla vocazione, non si è ancora verificata una convincente conversione nei confronti di Dio, internamente o esternamente? Il sacrificio della Messa, il sacrificio di adorazione di Cristo, il più grande mistero della Fede, l’atto più sublime di adorazione si celebra in un circolo chiuso, in cui le persone si cercano a vicenda.

Quello che manca è la conversio ad Dominum. È necessaria, anche esternamente e fisicamente, dal momento che nella liturgia Cristo è trattato come se non fosse Dio, e non Gli sono rivolti chiari segni esteriori dell’adorazione che è dovuta a Dio solo, perché i fedeli ricevono la Santa Comunione in piedi e, per giunta, la prendono in mano come un qualsiasi altro alimento, l’afferrano con le dita e la portano in bocca. Vi è qui una sorta di arianesimo o semi-arianesimo eucaristico.


Una delle condizioni necessarie per una nuova e fruttuosa evangelizzazione sarebbe la testimonianza di tutta la Chiesa nel culto liturgico pubblico. Dovrebbero essere osservati almeno questi due aspetti del culto divino:

1) Che la Santa Messa sia celebrata in tutto il mondo, anche in forma ordinaria, in una conversio ad Dominum interna e quindi necessariamente anche esterna .

2) Che i fedeli si inginocchino davanti a Cristo al momento della Santa Comunione, come san Paolo chiede quando si fa menzione del nome o della persona di Cristo (Fil 2,10), e che lo ricevano con l’amore più grande e il più grande rispetto possibile, come si addice a Lui come Dio vero.

Grazie a Dio, Benedetto XVI ha preso due misure concrete per avviare il processo di un ritorno dall’esilio di Avignone della liturgia, cioè, il Motu Proprio Summorum Pontificum e la reintroduzione del tradizionale rito della Comunione.

Vi è ancora bisogno di molte preghiere e forse di una nuova santa Caterina da Siena per le altre misure da adottare al fine di guarire le cinque piaghe sul corpo liturgico e mistico della Chiesa e perché Dio sia venerato nella liturgia con quell’amore, quel rispetto, quel senso del sublime che da sempre sono le caratteristiche della Chiesa e del suo insegnamento, in particolare nel Concilio di Trento, nell’enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII, nella Costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II e nella teologia della liturgia di Papa Benedetto XVI, nel suo magistero liturgico, e nel Motu proprio di cui sopra.

Nessuno può evangelizzare a meno che non abbia adorato, o meglio ancora a meno che non adori costantemente e doni Dio, Cristo nell’Eucaristia, vera priorità nel suo modo di celebrare e in tutta la sua vita. Infatti, per citare il cardinale Joseph Ratzinger: “E’ nel trattamento della liturgia che si decide il destino della fede e della Chiesa.

da “The Latin Mass Magazine” vol. 21 n. 2, estate 2012.

venerdì 22 novembre 2013

Credo tuttavia, che a lungo termine la Chiesa romana deve avere di nuovo un solo rito romano.




A lungo termine la Chiesa romana deve avere di nuovo un solo rito romano


Lettera del 2003, dell'allora Card. Joseph Ratzinger, in cui sostiene, come teologo privato, che in futuro preferirebbe un solo Rito romano, più o meno come l'attuale Rito Extraordinario. Le decisioni del recente Motu proprio, intese a liberalizzare l'uso del Messale antico, potrebbero pertanto implicare che tale rito non deve essere solo eccezione.



Al dott. Heinz-Lothar Barth, 23 giugno 2003

Caro dottor Barth,
la ringrazio cordialmente per la sua lettera del 6 aprile cui trovo il tempo di rispondere solo ora. Lei mi chiede di attivarmi per una più ampia disponibilità del rito romano antico. In effetti, lei sa da sé che non sono sordo a tale richiesta. Nel contempo, il mio lavoro a favore di questa causa è ben noto.

Al quesito se la Santa Sede «riammetterà l’antico rito ovunque e senza restrizioni», come lei desidera e ha udito mormorare, non si può rispondere semplicemente o fornire conferma senza qualche fatica. È ancora troppo grande l’avversione di molti cattolici, insinuata in essi per molti anni, contro la liturgia tradizionale che con sdegno chiamano «preconciliare». E si dovrebbe fare i conti con la considerevole resistenza da parte di molti vescovi contro una riammissione generale. 
Diverso è tuttavia pensare a una riammissione limitata. La stessa domanda verso l’antica liturgia è limitata. 

So che il suo valore, naturalmente, non dipende dalla domanda nei suoi confronti, ma la questione del numero di sacerdoti e laici interessati, ciononostante, gioca un certo ruolo. Oltre a ciò, una tale misura, a soli 30 anni dalla riforma liturgica di Paolo VI, può essere attuata solo per gradi. Qualunque ulteriore fretta non sarebbe di sicuro buona cosa. 


Credo tuttavia, che a lungo termine la Chiesa romana deve avere di nuovo un solo rito romano. L’esistenza di due riti ufficiali per I vescovi e per i preti è difficile da «gestire» in pratica. Il rito romano del futuro dovrebbe essere uno solo, celebrato in latino o in vernacolo, ma completamente nella tradizione del rito che è stato tramandato. Esso potrebbe assumere qualche elemento nuovo che si è sperimentato valido, come le nuove feste, alcuni nuovi prefazi della Messa, un lezionario esteso – più scelta di prima, ma non troppa –, una «oratio fidelium», cioè una litania fissa di intercessioni che segue gli Oremus prima dell’offertorio dove aveva prima la sua collocazione.


Caro dott. Barth, se lei si impegnerà a lavorare per la causa della liturgia in questa maniera», sicuramente non si troverà solo, e preparerà «l’opinione pubblica ecclesiale» a eventuali misure in favore di un uso esteso dei libri liturgici di prima. Tuttavia bisogna essere attenti a non risvegliare aspettative troppo alte o massimali tra i fedeli tradizionali. 

Colgo l’occasione per ringraziarla del suo apprezzabile impegno per la liturgia della Chiesa romana nei suoi libri e nelle sue lezioni, anche se qua e là desidererei ancora più carità e comprensione verso il magistero del papa e dei vescovi. Possa il seme da lei seminato germinare e portare molto frutto per la rinnovata vita della Chiesa la cui «sorgente e culmine», davvero il suo vero cuore, è e deve rimanere la liturgia.


Con piacere le impartisco la benedizione che lei ha domandato. Saluti sinceri. 
+ Joseph Cardinal Ratzinger


http://ratzinger.us/modules.php?name=News&file=print&sid=238



venerdì 1 novembre 2013

VIVERE DA CATTOLICI, STABILMENTE



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 Innanzitutto occorre non farsi prendere dall'agitazione, occorre non reagire da rivoluzionari: sarebbe come curare il male, che è appunto la Rivoluzione, con la stessa malattia. Lo spirito rivoluzionario, anche quando pretende di salvare il bene, non sarà mai la soluzione.
  


 Bisogna invece stare veramente fuori dalla Rivoluzione, vivendo integralmente il cattolicesimo in quella stabilità che era sua, prima che la Rivoluzione invadesse tutto.


 Nella confusione nera, nelle tenebre, urge decidere di fronte a Dio di vivere da cattolici, stabilmente. Per questo bisogna riconoscere un luogo che ti comunichi la pace della fede nel possesso della verità rivelata. Un luogo dove è celebrata la Messa tradizionale: eleggerlo come riferimento per la propria vita, lasciandosi educare da questo luogo. Non vivere da agitati in una lotta perenne ma vivere da cattolici nella liturgia di sempre, nella dottrina di sempre, nella grazia di sempre secondo i sacramenti di sempre; e così operare tutto il bene che il Signore ci permette di compiere.
  


 Lo dice padre Calmel: “Ciò che sarà sempre possibile nella Chiesa, ciò che la Chiesa assicurerà sempre, nonostante i tentativi diabolici della nuova Chiesa post-vaticanesca, è questo: tendere alla santità realmente, potersi istruire, in un gruppo reale anche se molto piccolo, sulla dottrina immutabile e soprannaturale, sotto un'autorità reale e conservando la sicurezza che resteranno sempre dei veri sacerdoti e dei Vescovi fedeli, che non avranno dimissionato (forse anche senza accorgersene) nelle mani delle commissioni e della collegialità.” (R. T. Calmel, Breve apologia della Chiesa di sempre, Editrice Ichthys, pag. 51).
  


 Carissimi, se vivremo così, le tenebre terribili di oggi resteranno fuori dai nostri cuori.
  


 Preghiamo perché la Madonna ci ottenga questo rifugio, e noi cerchiamo di esserne sempre più degni.



domenica 2 dicembre 2012

Messa Tridentina - La Messa di Sempre,


Messa Tridentina - La Messa di Sempre

La "Messa di Sempre" , ossia l'unica e vera  Liturgia della Chiesa Cattolica  Apostolica Romana, e' stata codificata, al fine di darne un completo e definitivo  riconoscimento , durante il Concilio di Trento. Con il Concilio Vaticano II il rito e' stato di fatto abbandonato .

Ecco un video con brevi spiegazioni che permette, a chi non ha mai avuto l'opportunita' di assistervi, di conoscere la Messa cosi' come e' stata celebrata da millenni da Papi, Martiri e Santi della Chiesa  , con la speranza magari  di far venire la curiosita'  di cercare una Chiesa dove e' celebrata , o meglio, di chiedere al proprio Parroco di celebrarla cosi' come previsto dal Motu Proprio di Papa Benedetto XVI.








Video in alta definizione DVD disponibile (per ordinarlo clicca qui)




Benedetto XVI, ancora cardinal Ratzinger, rilevò con estrema acutezza mista a preoccupazione quanto l’idea del Sacrificio stesse divenendo estranea alla moderna liturgia omologandola al Credo luterano. Per Martin Lutero, infatti, parlare di Sacrificio era “il più grande e più spaventoso abominio” nonché una “maledetta empietà”. Una parte non trascurabile di liturgisti sembra praticamente giunta al risultato di dare sostanzialmente ragione a Lutero contro [l concilio di Trento nella disputa del XVI secolo che alla fine schiaccio' il Protestantesimo bollandolo comeeresia . Il nuovo illuminismo oltrepassa però di gran lunga Lutero . Ritorniamo al nostro quesito fondamentale: è giusto qualificare l’Eucarestia come Divin Sacrificio o è questa una maledetta empietà?  La Scrittura e la Tradizione formano un tutto inseparabile, ed è questo che Lutero non ha potuto vedere.

Uno degli errori più semplici da comprendere del Concilio Vaticano II, è la nuova definizione della Messa: abbiamo solo bisogno di confrontare la definizione fornita dal Catechismo di San Pio X e la nuova definizione data dal Concilio. San Pio X definisce la Santa messa come "il sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù Cristo che, sotto le specie del pane e del vino, sono offerti dal sacerdote a Dio sull'altare in memoria e rinnovamento del sacrificio della Croce". Si può ammirare la chiarezza e la precisione di questa definizione. Che cosa dice il Concilio Vaticano II? "la celebrazione eucaristica è il centro dell'Assemblea dei fedeli presieduta dal sacerdote. Pertanto, i sacerdoti insegnano ai fedeli ad offrire la vittima divina a Dio Padre nel sacrificio della Messa e con la vittima a fare un'offerta di tutta la loro vita" (Presbyterorum ordinis - § 5) -Si noterà che la funzione del sacerdote è ridotta a "presiedere" e "insegnare". L'idea di una con-celebrazione tra il sacerdote e il popolo si manifesta qui; ,(cosi' come Lutero affermava che tutti i fedeli sono sacerdoti ) un'idea espressamente condannata dal Magistero preconciliare.


Per 20 secoli la Messa per la Chiesa è, dunque, il Sacrificio del Calvario attualizzato sui nostri altari. La celebrazione eucaristica secondo il Vetus Ordo Missæ con evidenza solare manifesta l’idea del Sacrificio in ogni sua parola, in ogni gesto, in ogni cerimonia che vi si compie. «L’Augusto Sacrificio dell’altare – si legge nell’enciclica Mediator Dei del Sommo Pontefice Pio XII di venerata memoria – non è, dunque, una pura e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentamente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla Croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima». «Una e identica è la vittima; Egli medesimo, che adesso offre per il ministero dei sacerdoti, si offrì allora sulla Croce; è diverso soltanto il modo di fare l’offerta». Questo – e non altro – è la Messa.

Il Santo Sacrificio dell'Altare - Il Sacrificio Perpetuo  - La Messa di Sempre


La Messa ha gli stessi fini e produce gli stessi effetti del sacrificio della croce, che sono quelli del sacrificio  come atto supremo di religione, però di grado infinitamente superiore. 

Adorazione. La S. Messa è la rinnovazione del sacrificio che fece Gesù di sè sul Calvario, ma è pure la rinnovazione del sacrificio che Maria SS., quale Corredentrice, fece di quel Figlio divino che con tutta verità poteva chiamare suo. Ora, come Maria assistette a quella prima messa, offrendo con Gesù uno stesso sacrificio al Padre per noi, così assiste spiritualmente a tutte le messe; è giusto perciò che Ella sia presente alla nostra mente, mentre rinnova con Gesù il suo sacrificio per noi.

La Messa celebrata dal Sacerdote  è la rinnovazione del Sacrificio della Croce, che da fatto storico unico si fa' perpetuo ogni volta che viene celebrato , ossia il "Semel",(una volta) diventa "Semper"(per sempre) ...   e ce ne applica i meriti. Nella Messa è Gesù stesso che:
a) per noi Adora Dio degnamente e a nome nostro;
b) Ringrazia Dio dei benefici che ci ha concessi. La Ven. Fran­cesca Farnese era desolata per non saper come ringraziare Dio. Le apparve la Vergine e ponendole fra le braccia il Bambino le disse: Offrilo a Dio in ringraziamento. Egli farà ciò che tu non puoi fare e Dio sarà soddisfatto. I ringraziamenti di Gesù sono in mano nostra ascoltando e più ancora facendo celebrare la Messa.
c) Soddisfa per noi la divina giustizia. Senza la Messa il mondo sarebbe già sprofondato mille volte sotto il peso dei suoi delitti.
d) Prega per noi, presentando a Dio il prezzo di tutte le grazie. 

Tutto l'onore reso a Dio dagli Angeli e dai Beati con i loro omaggi, quello reso dai Santi viventi sulla terra con le loro virtù, penitenze, e buone opere, non è da mettersi in paragone con la gloria che si rende a Dio con una sola Messa: perchè gli omaggi di tutte le crea­ture insieme sono sempre cosa limitata, mentre l'onore dato a Dio da Gesù Cristo nella Messa è di valore infinito. - Il martirio stesso non è da paragonarsi alla Messa; perchè esso è il sacrificio dell'uomo per amor di Dio: la Messa è il sacrificio d' un Dio per amor dell'uomo.


Fonti varie

Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis