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mercoledì 17 febbraio 2021

L’elemosina, la preghiera e il digiuno: indicazioni tradizionali nel cammino quaresimale per rispondere all’invito di «ritornare a Dio con tutto il cuore».

 Benedetto XVI Omelie 2013

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SANTA MESSA, BENEDIZIONE E IMPOSIZIONE DELLE CENERI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Mercoledì delle Ceneri, 
13 febbraio 2013
   

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Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Oggi, Mercoledì delle Ceneri, iniziamo un nuovo cammino quaresimale, un cammino che si snoda per quaranta giorni e ci conduce alla gioia della Pasqua del Signore, alla vittoria della Vita sulla morte. Seguendo l’antichissima tradizione romana delle stationes quaresimali, ci siamo radunati oggi per la Celebrazione dell’Eucaristia. Tale tradizione prevede che la prima statio abbia luogo nella Basilica di Santa Sabina sul colle Aventino. Le circostanze hanno suggerito di radunarsi nella Basilica Vaticana. Siamo numerosi intorno alla Tomba dell’Apostolo Pietro anche a chiedere la sua intercessione per il cammino della Chiesa in questo particolare momento, rinnovando la nostra fede nel Pastore Supremo, Cristo Signore. Per me è un’occasione propizia per ringraziare tutti, specialmente i fedeli della Diocesi di Roma, mentre mi accingo a concludere il ministero petrino, e per chiedere un particolare ricordo nella preghiera.

Le Letture che sono state proclamate ci offrono spunti che, con la grazia di Dio, siamo chiamati a far diventare atteggiamenti e comportamenti concreti in questa Quaresima. La Chiesa ci ripropone, anzitutto, il forte richiamo che il profeta Gioele rivolge al popolo di Israele: «Così dice il Signore: ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti» (2,12). Va sottolineata l’espressione «con tutto il cuore», che significa dal centro dei nostri pensieri e sentimenti, dalle radici delle nostre decisioni, scelte e azioni, con un gesto di totale e radicale libertà. Ma è possibile questo ritorno a Dio? Sì, perché c’è una forza che non risiede nel nostro cuore, ma che si sprigiona dal cuore stesso di Dio. E’ la forza della sua misericordia. Dice ancora il profeta: «Ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male» (v.13). Il ritorno al Signore è possibile come ‘grazia’, perché è opera di Dio e frutto della fede che noi riponiamo nella sua misericordia. Questo ritornare a Dio diventa realtà concreta nella nostra vita solo quando la grazia del Signore penetra nell’intimo e lo scuote donandoci la forza di «lacerare il cuore». E’ ancora il profeta a far risuonare da parte di Dio queste parole: «Laceratevi il cuore e non le vesti» (v.13). In effetti, anche ai nostri giorni, molti sono pronti a “stracciarsi le vesti” di fronte a scandali e ingiustizie – naturalmente commessi da altri –, ma pochi sembrano disponibili ad agire sul proprio “cuore”, sulla propria coscienza e sulle proprie intenzioni, lasciando che il Signore trasformi, rinnovi e converta.

Quel «ritornate a me con tutto il cuore», poi, è un richiamo che coinvolge non solo il singolo, ma la comunità. Abbiamo ascoltato sempre nella prima Lettura: «Suonate il corno in Sion, proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra. Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo» (vv.15-16). La dimensione comunitaria è un elemento essenziale nella fede e nella vita cristiana. Cristo è venuto «per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (cfr Gv 11,52). Il “Noi” della Chiesa è la comunità in cui Gesù ci riunisce insieme (cfr Gv 12,32): la fede è necessariamente ecclesiale. E questo è importante ricordarlo e viverlo in questo Tempo della Quaresima: ognuno sia consapevole che il cammino penitenziale non lo affronta da solo, ma insieme con tanti fratelli e sorelle, nella Chiesa.

Il profeta, infine, si sofferma sulla preghiera dei sacerdoti, i quali, con le lacrime agli occhi, si rivolgono a Dio dicendo: «Non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti. Perché si dovrebbe dire fra i popoli: “Dov’è il loro Dio?”» (v.17). Questa preghiera ci fa riflettere sull’importanza della testimonianza di fede e di vita cristiana di ciascuno di noi e delle nostre comunità per manifestare il volto della Chiesa e come questo volto venga, a volte, deturpato. Penso in particolare alle colpe contro l’unità della Chiesa, alle divisioni nel corpo ecclesiale. Vivere la Quaresima in una più intensa ed evidente comunione ecclesiale, superando individualismi e rivalità, è un segno umile e prezioso per coloro che sono lontani dalla fede o indifferenti.

«Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2 Cor 6,2). Le parole dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto risuonano anche per noi con un’urgenza che non ammette assenze o inerzie. Il termine “ora” ripetuto più volte dice che questo momento non può essere lasciato sfuggire, esso viene offerto a noi come un’occasione unica e irripetibile. E lo sguardo dell’Apostolo si concentra sulla condivisione con cui Cristo ha voluto caratterizzare la sua esistenza, assumendo tutto l’umano fino a farsi carico dello stesso peccato degli uomini. La frase di san Paolo è molto forte: Dio «lo fece peccato in nostro favore». Gesù, l’innocente, il Santo, «Colui che non aveva conosciuto peccato» (2 Cor 5,21), si fa carico del peso del peccato condividendone con l’umanità l’esito della morte, e della morte di croce. La riconciliazione che ci viene offerta ha avuto un prezzo altissimo, quello della croce innalzata sul Golgota, su cui è stato appeso il Figlio di Dio fatto uomo. In questa immersione di Dio nella sofferenza umana e nell’abisso del male sta la radice della nostra giustificazione. Il «ritornare a Dio con tutto il cuore» nel nostro cammino quaresimale passa attraverso la Croce, il seguire Cristo sulla strada che conduce al Calvario, al dono totale di sé. E’ un cammino in cui imparare ogni giorno ad uscire sempre più dal nostro egoismo e dalle nostre chiusure, per fare spazio a Dio che apre e trasforma il cuore. E san Paolo ricorda come l’annuncio della Croce risuoni a noi grazie alla predicazione della Parola, di cui l’Apostolo stesso è ambasciatore; un richiamo per noi affinché questo cammino quaresimale sia caratterizzato da un ascolto più attento e assiduo della Parola di Dio, luce che illumina i nostri passi.

Nella pagina del Vangelo di Matteo, che appartiene al cosiddetto Discorso della montagna, Gesù fa riferimento a tre pratiche fondamentali previste dalla Legge mosaica: l’elemosina, la preghiera e il digiuno; sono anche indicazioni tradizionali nel cammino quaresimale per rispondere all’invito di «ritornare a Dio con tutto il cuore». Ma Gesù sottolinea come sia la qualità e la verità del rapporto con Dio ciò che qualifica l’autenticità di ogni gesto religioso. Per questo Egli denuncia l’ipocrisia religiosa, il comportamento che vuole apparire, gli atteggiamenti che cercano l’applauso e l’approvazione. Il vero discepolo non serve se stesso o il “pubblico”, ma il suo Signore, nella semplicità e nella generosità: «E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,4.6.18). La nostra testimonianza allora sarà sempre più incisiva quanto meno cercheremo la nostra gloria e saremo consapevoli che la ricompensa del giusto è Dio stesso, l’essere uniti a Lui, quaggiù, nel cammino della fede, e, al termine della vita, nella pace e nella luce dell’incontro faccia a faccia con Lui per sempre (cfr 1 Cor 13,12).

Cari fratelli e sorelle, iniziamo fiduciosi e gioiosi l’itinerario quaresimale. Risuoni forte in noi l’invito alla conversione, a «ritornare a Dio con tutto il cuore», accogliendo la sua grazia che ci fa uomini nuovi, con quella sorprendente novità che è partecipazione alla vita stessa di Gesù. Nessuno di noi, dunque, sia sordo a questo appello, che ci viene rivolto anche nell’austero rito, così semplice e insieme così suggestivo, dell’imposizione delle ceneri, che tra poco compiremo. Ci accompagni in questo tempo la Vergine Maria, Madre della Chiesa e modello di ogni autentico discepolo del Signore. Amen!


Parole di saluto al Santo Padre del Cardinale Segretario di Stato al termine della Celebrazione

 

© Copyright 2013 - Libreria Editrice Vaticana 



AMDG et DVM

lunedì 18 gennaio 2016

ELEGANTISSIMO SERMONE di SANT'ANTONIO , DOTTORE DELLA CHIESA

ELEGANTISSIMO SERMONE 
di SANT'ANTONIO , DOTTORE DELLA CHIESA
DOMENICA I
DOPO L’OTTAVA DELL’EPIFANIA
Temi del sermone

– Vangelo della prima domenica dopo l’ottava dell’Epifania: “Si celebrarono delle nozze in Cana di Galilea”.
– Anzitutto sermone ai predicatori: “Una piccola gemma di rubino”.
– Le quattro virtù: castità, umiltà, povertà e obbedienza: “C’era lì la Madre di Gesù”.
– Contro gli amatori del piacere mondano: “Non guardare il vino quando rosseggia”.
– Le sei parole della beata Vergine Maria: “Sua Madre gli disse”.
– Le sei idrie e il loro simbolismo: “C’erano lì sei idrie”; la pupilla e le palpebre e il loro significato.
– Il convito e il gaudio della vita terna: “Giuseppe, lavatosi il volto dalle lacrime”.

esordio - sermone ai predicatori

1.In quel tempo: In Cana di Galilea si celebrarono delle nozze” (Gv 2,1).
Si legge nell’Ecclesiastico: “Una piccola gemma di rubino incastonata nell’oro è un concerto di musici in un convito rallegrato dal vino” (Eccli 32,7). Vedremo il significato di queste cinque entità: la piccola gemma, il rubino, l’oro, la musica e il convito.
La piccola gemma (in lat. gemmula) e il rubino (in lat. carbunculus) sono (sempre in latino) due diminutivi, nei quali è simboleggiata una duplice umiltà: nella piccola gemma è raffigurata la limpidezza della (propria) riputazione, e nel rubino, che è color fuoco, è simboleggiata la carità. Sono queste le due virtù che ornano l’oro, cioè la sapienza del predicatore; se egli è dotato di queste due virtù, la sua predicazione sarà come un “concerto di musici”. Quando la sapienza esteriore si accorda con la delicatezza della coscienza, e l’eloquen­za è coerente con la condotta di vita, allora si ha il concerto musicale. Quando la lingua non fa rimpiangere la vita, allora abbiamo una gradevole sinfonia.
Giustamente la predicazione è chiamata musica. Dicono che la natura della musica è tale che se l’ascolta uno che è triste, diventa ancora più triste, mentre se l’ascolta uno che è lieto, lo rende ancora più lieto. Così è anche la predicazione: quando dichiara che il ricco, vestito di por­pora, è sepolto nell’inferno (cf. Lc 16,19.22); quando afferma che, come per il cammello è impossibile passare per la cruna di un ago, così è impossibile per il ricco entrare nel regno dei cieli (cf. Mt 19,24; Mc 10,25); quando insegna che ogni fasto e gloria terrena saranno un nulla, allora quei perfidi avari e usurai, che sono sempre nella tristezza perché accumulano con fatica, custo­discono con paura e perdono con grande dispiacere, diverranno ancora più tristi. “Un discorso inopportuno è sgradito, come la musica in tempo di lutto” (Eccli 22,6); “Come aceto su una piaga viva sono i canti allegri per un cuore afflitto” (Pro 25,20). La parola che morde il vizio strazia l’udito dei cattivi; al contrario, rende ancora più lieti i giusti, che vivono nel gaudio dello spirito e nella letizia di una coscienza tranquilla.La coscienza tranquilla è come un perenne convito (Pro 15,15), e, aggiunge l’Ecclesia­stico: “come un convito rallegrato dal vino”.
Il convito rallegrato dal vino e la festa di nozze fatta a Cana di Galilea sono la stessa cosa. Dice appunto il vangelo di oggi: “Ci fu una festa di nozze in Cana di Galilea”.

2. Nell’introito della messa di oggi si canta: “Tutta la terra ti adori, o Dio” (Sal 65,1). Si legge un brano dell’epistola ai Romani: “Abbiamo doni diversi” (Rm 12,6). Di questo brano prenderemo in considerazione solo sei parole che paragoneremo, per quanto è possibile, alle sei idrie di cui parla il brano evangelico.


le nozze celebrate in cana di galilea

3. “C’era una festa di nozze”. Consideriamo quale significato morale abbiano le nozze, Cana di Galilea, la Madre di Gesù, i discepoli di Gesù, il vino che manca, le sei idrie, l’ac­qua cambiata in vino e l’architriclino, cioè il maestro di tavola.
(Si è già parlato ampiamente delle nozze nel commento al vangelo: “Il Regno dei cieli è simile ad un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio” (Mt 22,2) nel sermone della domenica XX dopo Pentecoste, prima parte. Perciò) qui tratteremo brevemente dell’unione dello sposo e della sposa, cioè dello Spirito Santo e dell’anima del penitente.
Cana s’interpreta “zelo”, Galilea “emigrazione”. Nello zelo, vale a dire nell’amore dell’emigrazione (del cambiamento), avvengono le nozze tra lo Spirito Santo e l’anima del penitente. E con questo concorda ciò che leggiamo nel libro di Rut, la quale dalla regione di Moab emigrò a Betlemme; in seguito Booz la prese in moglie (cf. Rt 1,6 ; 4,13).
Rut s’interpreta “che vede”, “che s’affretta”, o anche “che viene meno”. Essa raffigura l’anima del penitente che considera i suoi peccati con la contrizione del cuore, si affretta a lavarli alla fonte della confessione, e recede dalla sua prima malizia con la pratica delle opere di ripa­razione e di penitenza. Dice infatti il salmo: “Vengono meno la mia carne e il mio cuore” (Sal 72,26), cioè la carnalità e la superbia del mio cuore, e così dalla regione di Moab, cioè dalla schiavitù del peccato, emigra con lo zelo dell’amore a Betlemme, che significa “casa del pane”
L’amore di Dio è per l’anima la casa del pane, nella quale è protetta e ristorata, e allora, come dice il beato Bernardo, per la via dell’amore penetra, irrompe lo Spirito Santo.
Lo Spirito Santo è raffigurato in Booz, nome che s’in­terpreta “in lui è potenza”, della quale dice Luca: “Resta­te in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’al­to” (Lc 24,49). L’anima che lo Spirito Santo prende come sua sposa, egli la riveste di potenza dall’alto. Dice Isaia: “Egli dall’alto dà forza allo stanco, e ai deboli moltiplica il vigore e la potenza” (Is 40,29). Dà la forza di risor­gere, dà la potenza perché non soccombano nella tentazione, dà il vigore perché perseverino sino alla fine. Nell’unione tra lo Spirito Santo e l’anima si celebrano le nozze: viene addobbata la camera della coscienza, disposto in bell’ordine il letto nuziale dei buoni pensieri, con mano abile e delicata si promuove l’accordo dei cinque sensi, e così tutt’all’intorno si esulta e si giubila al ricordo dell’infinita dolcezza di Dio (cf. Sal 144,7) e realmente si sperimenta la bontà del Signore.
Questo è l’epitalamio (il canto nuziale) che si canta oggi nell’introi­to della messa: Tutta la terra ti adori, o Dio, e suoni il salterio; canti un salmo al tuo nome, o Altissimo! (cf. Sal 65,4). Tutta la terra comprende l’oriente, il meridione, l’occidente e il settentrione. 
L’oriente raffigura gli incipienti; il meridione raffi­gura i proficienti, che sono ardenti come il sole a mezzo­giorno; l’occidente raffigura i perfetti, che sono del tutto morti al mondo; invece il settentrione raffigu­ra i bravi sposi e i buoni cristiani, i quali ancora in possesso delle sostanze di questo mondo, sopportano pazien­temente i numerosi affanni delle tribolazioni e del dolore. Tutta questa terra adori il Signore con la contrizione del cuore, suoni il salterio della gioiosa confessione, canti il salmo dell’opera penitenziale, nelle nozze che si celebrano in Cana di Galilea.

4. “C’era anche la Madre di Gesù. Alle nozze fu invitato Gesù con i suoi discepoli” (Gv 2,1-2). O nozze fortunate, onorate di tali e tanti privilegi, gloriose per tanti favori! - In Maria, che fu vergine e madre, è personificata la castità e la fecondità; - in Gesù, che fu umile e che disse: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29); che fu povero – “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli il loro nido, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20) –, è personificata l’umiltà e la povertà; - nei suoi discepoli è rappresentata l’obbedienza e la pazienza. Ecco l’onore e l’ornamento delle nozze, ecco i loro privilegi e la loro dignità.
Lo Spirito Santo, sposo dell’anima, mentre la unisce a se stesso, la rende casta e feconda: casta per la purezza della mente, feconda della prole delle opere buone. È det­to nel Cantico dei Cantici: “Tutte hanno parti gemellari”, sono cioè ricche di opere della duplice carità, oppure della vita attiva e della contemplativa, “e nessuna di loro è sterile” (Ct 4,2). Al contrario è detto: “Maledetta la sterile in Israele” (cf. Es 23,26; Dt 7,14). E anche Geremia: “Il Signore ha pigiato il torchio alla vergine”, cioè alla sterile, “figlia di Sion” (Lam 1,15). Perciò l’anima, per sfuggire a questa sentenza di maledizione, dev’essere casta e feconda, per poter dire di sé: “Io sono la madre del bell’amo­re”, ecco la fecondità, “del timore, della scienza e della santa speran­za” (Eccli 24,24), ecco la castità.
Parimenti lo Spirito Santo rende l’anima umile e povera. Perciò per bocca di Isaia dice: “Verso chi volgerò il mio sguardo, se non all’umile, ossia al povero e al contrito di spirito?” (Is 66,2). Infatti su Gesù, al fiume Giordano, discese lo Spirito in forma di colomba (cf. Mt 3,16), volatile mansueto e che ha come canto il gemito.
È molto difficile praticare l’umiltà in mezzo alle ricchezze, e raramente o mai la purezza in mezzo ai piace­ri e ai divertimenti. Se trovi un ricco umile e un gaudente che vive casto, rèputali due astri del firmamento; ma temo che quelli che hanno questa apparenza, siano piuttosto dipinti con il colore dell’ipocrisia. 
Chi vuole essere veramente umile, si liberi delle ricchezze, dal cui contatto l’umiltà è contaminata e nasce la superbia. Per questo il Signore si lamenta per bocca di Osea: “Io li ho istruiti e ho dato vigore alle loro brac­cia; ed essi hanno tramato il male contro di me. Sono ritornati per essere liberati dal giogo, e sono diventati come un arco fasullo, allentato” (Os 7,15-16). Il Signore li istruisce come figli con doni gratuiti, e rafforza le loro braccia, sostiene cioè la loro energia e il loro vigore, con doni naturali e temporali, affinché difendano Israele come un baluardo e resistano valorosamente in battaglia (cf. Ez 13,5). Ma poiché dalla pinguedine procede l’iniquità, “sono ritornati ad essere figli di Beliar”, cioè senza giogo (cf. Gdc 19,22), vale a dire pieni di superbia. “Hanno abbandonato il Signore – dice Isaia –, hanno bestemmiato il Santo d’Israele, si sono voltati indietro” (Is 1,4), e così sono diventati come un arco fasullo (allentato). Mentre avrebbero dovuto lanciare frecce di vita santa e di sana dottrina e colpire l’avversario, lanciano invece frecce di vita viziosa e di bestemmia contro il Signore.
Ancora, lo Spirito Santo rende l’anima obbediente e paziente. Leggiamo nel libro della Sapienza che lo Spirito Santo è benigno, umano, stabile (cf. Sap 7,22-23). In chi è obbediente e paziente ci sono queste tre qualità: è benigno, cioè bene infiammato (lat. bene ignitus) ad obbedire al superiore; è umano nel sopportare e nel soffrire insieme con il prossimo; è stabile, cioè costante nei suoi propositi. Non sarai mai veramente obbediente se non sarai pazien­te. Infatti è vedova (carente) l’obbedienza che non è rafforzata e sostenuta dalla pazienza.

5. “Venne a mancare il vino” (Gv 2,3). “Fiele di draghi è il loro vino” (Dt 32,33): sono i piaceri del mondo e della carne. Dice in proposito Salomone: “Non guardare il vino quando rosseggia, quando il suo colore scintilla nella coppa di vetro: scende giù pian piano ma finirà con il morderti come un serpente, e come una vipera ti inietterà il suo veleno” (Pro 23,31-32).
Osserva che il vetro è un materiale di poco valore, un materiale fragile, ma bello e splendente. Il vetro raffigu­ra il corpo dell’uomo, il quale in quanto materia è di poco valore, perché originato da fetide secrezioni; è fragile nella sua sostanza, perché “come un fiore germoglia ed è reciso” (Gb 14,2), “e i suoi anni sono considerati come tela di ragno” (Sal 89,9). E Isaia: “Hanno tessuto tele di ragno che non serviranno loro come vesti” (Is 59,5-6). È anche ammirato per lo splendore della sua bellezza fisica, ma di essa è detto: “Fallace è la grazia e vana è la bellezza” (Pro 31,30). Perciò non guardare a questo vetro quando in esso rosseggia il vino, cioè l’allegria del mondo; quando ti sorride la prosperità del mondo e il piacere della carne, non dilettarti in esso: si insinua infatti inavvertitamen­te, ma alla fine morde come un serpente. Questo è ciò che dice anche il Signore: “Guai a voi, che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete” (Lc 6,25). L’allegria del mondo è il vivaio dell’eterno pianto.
E come una vipera ti inietterà il suo veleno”. Qui vino, di là veleno. E verso la fine di questo brano evange­lico leggiamo: “Ogni uomo”, che sa di humus (terra), “serve dapprima il vino buono”, il piacere del mondo, “e quando tutti sono brilli serve quello più scadente” (Gv 2,10), berrà cioè nell’inferno il veleno di morte che la vipera, cioè il diavolo, farà bere alle anime dei dannati. Ahimè, quanto amara sarà quella bevanda per coloro che la bevono” (Is 24,9), coloro che prima si erano ubriacati al calice d’oro della grande meretrice, con la quale hanno fornicato i re della terra (cf. Ap 17,1-4). Perciò vi supplico, venga pure a mancare alle nozze della sposa e dello sposo il vino dell’allegria del mondo. Quando verrà a mancare, si avvererà ciò che dice il vange­lo: “La Madre di Gesù disse al Figlio: Non hanno più vino” (Gv 2,3).
Fa’ bene attenzione che Maria, come si desume dai vangeli di Luca e di Giovanni, parlò solo sei volte, disse soltanto sei espressioni. La prima, “Come avverrà questo?” (Lc 1,34); la seconda, “Ecco la serva del Signore” (Lc 1,38); la terza, “L’anima mia ma­gnifica il Signore” (Lc 1,46); la quarta, “Figlio, perché ci hai fatto questo?” (Lc 2,48); la quinta, “Non hanno più vino” (Gv 2,3); la sesta, “Fate tutto quello che vi dirà” (Gv 2,5)
Queste sei espressioni sono come i sei gradini d’avorio del trono di Salomone, i sei petali del giglio, i sei bracci del candelabro
-Nella prima frase è indicato il fermo proposito di mantenere inviolata la sua verginità; -nella seconda il suo sublime esempio di obbedienza e di umiltà; -nella terza la sua esultanza per i privilegi che le furono concessi; -nella quarta la sua sollecitudine per il Figlio; -nella quinta la sua partecipazione alle altrui necessità; -nella sesta la sua certezza nella potenza del Figlio.

6. “Che ho (più) da fare con te, o donna? Non è ancor giunta la mia ora” (Gv 2,4). Dio, Figlio di Dio, ricevette dalla beata Vergine la natura umana, nell’unità della persona. Il Padre pose la divinità, la madre l’umanità; il Padre la maestà, la Madre l’infermità. Dalla divinità ebbe il potere di mutare l’acqua in vino, di ridare la vista ai ciechi, di risuscitare i morti; dall’infermità della sua umanità ebbe invece la possibilità di aver fame, di aver sete, di essere legato, coperto di sputi e crocifisso.
Dice dunque: “Che ho da fare con te, o donna?”. In lat. Quid mihi et tibi mulier?”. Fa’ attenzione alle due parole mihi e tibi. Nel mihi, a me, è indicata la divinità; nel tibi, a te, è indicata l’umanità. Come avesse detto alla Madre sua: Tu chiedi che adesso venga operato un miracolo, il che a me è possibile, da parte della divinità; a te invece, cioè all’umanità che da te ho ricevuto, devo la capacità di subire la passione.
E quindi soggiunge: “Non è ancor giunta la mia ora”, cioè l’ora della passione, nella quale sarò come schiacciato nel torchio, e le mie vesti saranno come quelle di coloro che pigiano nel tino (cf. Is 63,2-3). Non è ancor giunta l’ora in cui Giuda alzerà il suo calcagno sopra il grappolo, dal quale zampillerà il vino che inebria “i cuori di coloro che cercano il Signore” (Sal 104,3). Non è ancor giunta l’ora in cui l’uva dell’uma­nità che da te ho ricevuto, verrà schiacciata con la pressa della croce, affinché ne scorra il vino che allieta il cuore dell’uomo (cf. Sal 103,15). Quando giungerà quell’ora, che cosa avverrà a me e a te, o donna?

7. “Vi erano là sei idrie (giare) di pietra, preparate per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre metrete” (Gv 2,6). In Cana di Galilea, cioè nell’anima che nello zelo dell’amore è passata dai vizi alle virtù, ci sono sei idrie, vale a dire la contrizione, la confessione, l’orazione, il digiuno, l’elemosina e il perdono delle offese, dato di tutto cuore. Sono queste che purificano i giudei, cioè i penitenti da tutti i loro peccati.
*La contrizione purifica; dice infatti il Signore per bocca di Ezechiele: “Verserò su di voi acqua pura e sarete purificati da tutte le vostre sozzure” (Ez 36,25); e Geremia: “Lava dalla malvagità il tuo cuore, Gerusalemme, se vuoi essere salva; fino a quando albergheranno in te pensieri d’iniquità?” (Ger 4,14). La contrizione lava il cuore dalla malvagità e lo purifica dai pensieri iniqui; e infatti dice il Levitico: “Laveranno con acqua le interiora e i piedi” delle vittime (Lv 1,13). Nelle interiora sono indicati i pensieri impuri, nei piedi i desideri carnali: tutto si lava nell’acqua della contrizione. “Mi laverai, e diventerò più bianco della neve” (Sal 50,9).
*Parimenti la confessione purifica, e quindi è detto: Tutto viene lavato nella confessione (san Bernardo). Dice Geremia: “Effondi come acqua il tuo cuore al cospetto del Signore” (Lam 2,19). Dice “come acqua”, non come vino, o latte, o miele. Quando versi il vino, resta nel vaso il suo odore; quando versi il latte ne resta il colore; quando versi il miele ne resta il sapore; ma quando versi l’acqua, nessuna traccia resta nel vaso di tutto questo.
Nell’odore del vino è simboleggiata la fantasia del peccato, nel colore del latte l’ammirazione della vana bellezza, e nel sapore del miele il ricordo del peccato confessato, unito alla compiacenza della mente. - Sono questi gli avanzi maledetti dei quali parla il salmo: “Sono sazi di figli”, cioè di opere cattive, o di carne suina, vale a dire dell’immondezza del peccato, “e hanno lasciato i loro avanzi ai loro piccoli” (Sal 16,14), cioè agli impulsi istintivi. Tu invece quando effondi il tuo cuore nella confessione, effondilo come acqua, affinché tutte le sozzure e ogni loro traccia venga totalmente cancellata, e così sarai purificato dal peccato. - 
*E anche l’orazione purifica. - Dice il Signore: “Verranno piangendo e io li ricondurrò in preghiera e li guiderò ai torrenti di acque” (Ger 31,9). - E l’Ecclesiastico continua: “Non disprezzerà la preghiera dell’orfano”, cioè dell’umile penitente che dice: “Mio padre e mia madre”, cioè il mondo e la concupiscenza della carne, “mi hanno abbandonato; invece il Signore mi ha accolto” (Sal 26,10); “non disprezzerà la vedova”, cioè l’ani­ma dello stesso penitente, ormai distaccata dal diavolo e dal vizio, “quando si sfoga nel lamento. Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue guance e il suo grido non si alza contro chi gliele fa versare? E dalle sue guance salgono fino al cielo e il Signore che esaudisce, certamente non si diletterà di esse. Chi adora Dio sarà accolto con benevolenza e la sua supplica giungerà fino alle nubi. La preghiera di chi si umilia penetrerà le nubi” (Eccli 35,17-21).
*E anche il digiuno purifica. - Dice il profeta Gioele: “Ritornate a me con tutto il vostro cuore, nel digiuno, nel pianto e nel lamento” (Gl 2,12); - e Matteo: “Tu invece quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto” (Mt 6,17). - Mosè dopo il digiuno di quaranta giorni meritò di ricevere dal Signore la legge perfetta (cf. Es 34,28; Dt 9,9), legge che converte e purifica l’anima (cf. Sal 18,8); - ed Elia meritò di sentire il soffio di una leggera brezza (cf. 3Re 19,12). La saliva dell’uomo digiuno uccide i serpenti. Grande potenza del digiuno, che guarisce la peste dell’anima e smaschera le insidie dell’eterno nemico.
*E anche l’elemosina purifica: “Date in elemosina... e tutto per voi sarà mondo” (Lc 11,41). Come l’acqua spegne il fuoco, così l’elemosina cancella il peccato (cf. Eccli 3,33). E dice ancora l’Ecclesiastico: “L’elemosina dell’uo­mo è come il sacco ch’egli ha con sé. [Dio] terrà conto della generosità dell’uomo come della pupilla del suo occhio” (Eccli 17,18). L’elemosina è raffigurata nel sacco, perché ciò che in essa viene riposto sarà poi ritrovato nella vita eterna. - È ciò che dice anche l’Ecclesiaste: “Getta il tuo pane sulle acque che passano”, dàllo cioè ai poveri che passano di luogo in luogo e di porta in porta, “e dopo lungo tempo”, cioè il giorno del giudizio, “lo ritroverai” (Eccle 11,1), ne avrai cioè la ricompensa: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25,35). Sei pellegrino, o uomo! Porta questo sacco lungo la strada del tuo pellegrinaggio perché, quando alla sera giungerai al tuo asilo, tu possa trovarvi il pane con cui rifocillarti.

8.L’elemosina custodisce anche la grazia come la pupilla dell’occhio. Per conservare l’acutezza della vista c’è una pellicola molto leggera, che sta sopra la pupilla; e per la protezione degli occhi sono state create le palpebre; e ogni animale chiude gli occhi per non lasciar entrare in esse dei corpi estranei, e questo non volontariamente ma per stimolo naturale; e l’uomo, avendo questa pellicola molto più sottile di tutti gli altri animali, chiude gli occhi con grande frequenza. Invece l’uccello, quando chiude gli occhi, li chiude soltanto con la palpebra inferiore. - Come la palpebra preserva la pupilla coprendola, così anche l’elemosina preserva la grazia, che è come la pupilla dell’anima, per mezzo della quale l’anima vede. È ciò che dice Tobia: “L’elemosina libera da ogni peccato e dalla morte, e non permette che le anime cadano nelle tenebre” (Tb 4,11).
Come l’uomo chiude molto spesso gli occhi per istinto naturale, così deve anche fare spesso l’elemosina per conservare la grazia. La natura stessa gli insegna e lo spinge a far questo. Dice Giobbe: “Visitando la tua specie, non peccherai” (Gb 5,24). La tua specie, o uomo, è l’altro uomo: come per inclinazione naturale provvedi a te stesso, così devi provvedere anche all’altro: “Ama il prossimo tuo, come te stesso” (Mt 19,19). E l’uomo deve far questo perché la pellicola del suo occhio è più sottile di quella degli altri animali. La sottigliezza della pellicola simboleggia la compassione della mente che è, e dev’essere maggiore che in qualsiasi altro vivente. L’animale dà la prova di essere “bruto”, cioè feroce, proprio perché manca di compassione.
Dice Mosè: “Il pellegrino, l’orfano e la vedova che stanno dentro le tue porte, mangeranno e si sazieranno, affinché il Signore, Dio tuo, ti benedica in tutte le opere delle tue mani” (Dt 14,29); e ancora: “Ti comando di aprire le mani al tuo fratello povero e bisognoso, che abita con te nella stessa terra” (Dt 15,11).
*Parimenti il perdono dell’offesa purifica l’anima dai peccati. Dice il Signore: “Se perdonerete agli uomini le loro colpe, anche il Padre vostro celeste perdonerà a voi i vostri delitti” (Mt 6,14). Chi fa questo è come l’uccello che chiude gli occhi con le palpebre inferiori. L’uccello è chiamato in lat. avis, da a privativo, senza, e vis che suona quasi come via. Infatti, quando vola non segue una via. Così chi perdona a colui che lo offende non ha nel suo cuore la via del rancore e dell’odio; e chiude gli occhi con le palpebre inferiori quando di tutto cuore perdona l’offesa ricevuta. - E questa è l’elemo­sina spiri­tuale, senza la quale ogni opera buona resta priva della ricompensa della vita eterna.
Dice l’Ecclesiastico: “Perdona al tuo prossimo che ti ha fatto del male, e quando implorerai, anche i tuoi peccati saranno perdonati. Se l’uomo cova l’ira verso un altro uomo, come potrà chiedere a Dio la guarigione? Non ha pietà verso il suo simile, ed osa pregare per i suoi peccati? Egli, che è soltanto carne, conserva rancore, e chiede che Dio gli sia propizio. Chi perdonerà i suoi peccati?” (Eccli 28,2-5). “Ricordati dell’alleanza dell’Altissimo” – che dice: “Perdonate e sarà perdonato a voi –, e non far caso dell’ignoranza del prossimo. Astieniti dalle risse e diminuirai i tuoi peccati” (Eccli 28,9-10). Non fa caso dell’ignoranza del prossimo colui che attribuisce appunto all’igno­ranza, e non alla malizia, l’offesa ricevuta: così finge di non accorgersene e quindi non la conserva nel cuore.

9. Ecco dunque le sei idrie di pietra, ricavate da quella pietra “che i costruttori avevano scartato” (Sal 117,22), staccata “dal monte non per mano d’uomo” (Dn 2,34). E come sono piene? “Fino all’orlo” (Gv 2,7), dell’acqua della salvezza. “Contenevano ciascuna due o tre metrete”. La metreta era una misura [di circa 40 litri]. Nelle idrie che ne contenevano due è simboleggiato l’amore di Dio e del prossimo, in quelle che ne contenvano tre la professione di fede nella Santa Trinità: questo è necessario a tutte le suddette idrie.
L’Apostolo nomina, con altre parole, queste sei idrie nell’epistola di oggi (cf. Rm 12,11-14). Siate – dice – *ferventi nello spirito: ecco la contri­zione, che è la prima idria. Fa’ attenzione alla parola “ferventi”. Come le mosche non osano entrare in una pentola che ferve, cioè che bolle, così in un cuore veramente contrito non possono entrare “le mosche morte che guastano il profumo dell’unguento” (Eccle 10,1). *Lieti nella speranza”: ecco la confessione (la seconda idria). Nella confessione il peccatore deve allietarsi nella speranza del perdono, e nondimeno dolersi di aver commesso la colpa. *Per­se­veranti nella preghiera, ecco la terza idria. *Partecipi delle privazioni dei santi, (la quarta idria): ecco il digiuno. Nelle privazioni, cioè nel digiuno e nell’astinenza i santi furono afflitti, tribolati: di essi non era degno il mondo (cf. Eb 11,37-38); “nelle fatiche – dice l’Apostolo –, nelle veglie e nei digiuni” (2Cor 6,5). Però queste parole possono anche essere applicate all’elemosina materiale. E infatti soggiunge: *“Praticate l’ospitalità”, che è la quinta idria. *“Benedite coloro che vi perseguitano; benedite e non maledite”, ecco la sesta idria, cioè il perdono delle offese.

10. “Dice loro Gesù: Adesso attingete e portate al maestro di tavola (architriclino). Quando l’architriclino gustò l’acqua divenuta vino”, ecc. (Gv 2,8-9). Troviamo su questo una concordanza nella Genesi, quando Giuseppe, lavatosi il viso dalle lacrime, dice: Servite il pranzo. Dopo che il pranzo fu servito, a parte per Giuseppe, a parte per i suoi fratelli e a parte anche per gli Egiziani, i fratelli di Giuseppe bevvero insieme con lui fino ad essere un po’ brilli (cf. Gn 43,31-34).
“Giuseppe, figlio crescente e bello d’aspetto” (Gn 49,22) è figura di Gesù Cristo. Cristo fu come il grano di senape, di profondissima umiltà, ma poi crebbe e diventò un grande albero, tra i cui rami dimorano gli uccelli del cielo (cf. Mt 13,31-32), cioè coloro che contemplano le cose celesti. Egli è “il più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 44,3), “e in lui gli angeli desiderano fissare lo sguardo” (1Pt 1,12). Egli laverà il volto dalle lacrime, come dice Isaia: “Il Signore Dio asciugherà le lacrime da ogni volto” (Is 25,8), quando muterà l’acqua delle sei idrie nel vino del gaudio celeste; 
l’acqua della contrizione sarà allora convertita nel vino della letizia del cuore. Il Signore infatti promette: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegre­rà, e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22). Allora il cuore che ora “è contrito e umiliato” (Sal 50,19) sarà giocondo e allietato dal vino della gioia. Dice Salomone: “Il cuore che ha conosciuto l’amarezza, al suo gaudio non farà partecipare un estraneo” (Pro 14,10).
Parimenti, l’acqua di una confessione bagnata di lacrime sarà mutata nel vino della lode divina. Dice Isaia: “Ritor­neranno e verranno in Sion cantando lodi; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e scompariranno tristezza e pianto” (Is 35,10), in cui si trovavano prima, nella confessione del loro peccato.
Similmente l’acqua della preghiera bagnata di lacrime sarà cambiata nel gaudio della contemplazione della Trinità e dell’Unità. Sempre Isaia: “Canteranno lodi insieme, perché vedranno con i loro occhi il Signore che fa ritornare Sion” (Is 52,8).
E anche il digiuno sarà mutato nella letizia di un’eccellente vendemmia. Isaia: “Su questo monte il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli un convito di grasse vivande”, ecc. (Is 25,6).
(Vedi il sermone della domenica II dopo Pentecoste, prima parte: “Un uomo diede una grande cena”).
Ugualmente la duplice elemosina, quella materiale, e il perdono dell’offesa ricevuta, che è l’elemosina spirituale, sarà mutata nella gioia della duplice stola, cioè nella glorificazione dell’anima e del corpo. Isaia: “Possederanno il doppio nella loro terra, godranno di una letizia perenne” (Is 61,7).

11. Dunque “Giuseppe, lavatosi il volto dalle lacrime, disse: Servite il pranzo (Gn 43,31)”.  È ciò che dice il Signore: “Io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno” (Lc 22,29-30). Però a parte per Giuseppe, a parte per i suoi fratelli, e a parte anche per gli Egiziani. 
È ciò che dice Matteo: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua maestà con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti; ed egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai capri. E porrà le pecore alla sua destra e invece i capri alla sua sinistra” (Mt 25,31-33).
Bevvero insieme con lui fino ad essere un po’ brilli”. Ecco adesso l’architriclino, presso il quale saremo inebriati dell’abbondanza della sua casa (cf. Sal 35,9)Archi, cioè principe, tri, tre, clino, letto: quindi principe di tre ordini di letti: quei letti sui quali gli antichi usavano adagiarsi per mangiare. I tre ordini di letti simboleggiano le tre categorie di fedeli della chiesa: i coniugati, i casti e i vergini, il cui principe è il buon Gesù: egli “li farà accomodare a mensa e quindi passerà a servirli” (Lc 12,37).
Fratelli carissimi, imploriamo umilmente questo principe perché conceda anche a noi di celebrare le nozze in Cana di Galilea, di riempire d’acqua le sei idrie, per poter bere con lui il vino del gaudio eterno nelle nozze della celeste Gerusalemme.
Si degni di concedercelo lui che è benedetto, degno di lode e glorioso per i secoli eterni. E ogni anima, sposa dello Spirito Santo, risponda: 
Amen. Alleluia.

giovedì 29 gennaio 2015

IL SOGNO DEI DIECI DIAMANTI

 Carlo Maria Zanotti 

 

IL SOGNO

DEI DIECI DIAMANTI

Il sogno dei «10 diamanti»
riletto e offerto ai giovani
per un cammino
che porta alla Vita



INTRODUZIONE
L’esperienza di vita salesiana in questi anni, l’amore a don Bosco, alla sua opera spirituale ed educativa, mi hanno convinto che ogni saggezza e preziosità deve essere conosciuta e condivisa.
Il sogno dei dieci diamanti che don Bosco ci ha trasmesso è una visione fondamentale della vita e un’autorevole carta d’identità del volto salesiano.
Quel sogno impressionò talmente don Bosco che «non si contentò di esporlo a voce, ma lo mise anche per iscritto».
Certo i contenuti del sogno dei dieci diamanti servono, in ogni tempo, a orientare la riflessione, la revisione di vita e la formazione dei salesiani, ma offrono pure uno spunto a chiunque voglia praticare «le virtù più essenziali» per una vita cristiana autentica.
Ecco allora la proposta: una rilettura del Sogno, offerta ai giovani, per un cammino di fede che porta alla Vita.
Il libretto ha come unico scopo quello di ‘consegnare’ ai giovani, come dono prezioso, la ricchezza dell’esperienza di don Bosco che porta alla realizzazione di sé come persone e come cristiani e quindi alla felicità.
È un regalo splendido e di valore: dieci diamanti!

Un grazie a tutti i novizi salesiani che in questi anni, nel loro ‘viaggio’ fatto di stupore, sacrifici, impegno, gioia ed entusiasmo, hanno alimentato ancora di più in me l’amore per don Bosco e la sua esperienza spirituale.
L’augurio è che ogni giovane possa, attraverso la lettura di queste pagine, diventare ‘ricco’, perché possiede quel diamante che dona felicità e Vita in abbondanza: Cristo Gesù! Buon cammino!
don Carlo Maria Zanotti sdb
         Pinerolo “Monte Oliveto”           
                              8 dicembre 2007
SOGNO DEL PERSONAGGIO DEI DIECI DIAMANTI


La grazia dello Spirito Santo illumini i nostri sensi e i nostri cuori. Amen.

AD AMMAESTRAMENTO DELLA
PIA SOCIETA SALESIANA.

Il 10 settembre anno corrente (1881), giorno che S. Chiesa consacra al glorioso Nome di Maria, i Salesiani, raccolti in S. Benigno Canavese, facevano gli Esercizi Spirituali.

«Il modello del vero salesiano»

Nella notte dal 10 all’11, mentre dormivo, la mente si trovò in una gran sala splendidamente ornata.
Mi sembrava di passeggiare coi Direttori delle nostre case, quando apparve tra noi un uomo di aspetto così maestoso che non potevamo reggerne lo sguardo. Datoci uno sguardo, senza parlare si pose a camminare a distanza di qualche passo da noi.

Egli era così vestito: Un ricco manto a guisa di mantello gli copriva la persona. La parte più vicina al collo era come fascia che si rannodava davanti, ed una fettuccia gli pendeva sul petto.
Sulla fascia stava scritto a caratteri luminosi: «La Pia Società Salesiana», e sulla striscia d’essa fascia portava scritte queste parole:
 «Quale deve essere».

Dieci diamanti di grossezza e splendore straordinario erano quelli che ci impedivano di fermare lo sguardo, se non con gran pena, sopra quell’augusto Personaggio.

Tre di quei diamanti erano sul petto, ed era scritto sopra di uno «Fede», sull’altro «Speranza», e «Carità» su quello che stava sul cuore.
Il quarto diamante era sulla spalla destra ed aveva scritto «Lavoro»; sopra il quinto nella spalla sinistra leggevasi «Temperanza». 

Gli altri cinque diamanti ornavano la parte posteriore del manto ed erano così disposti:
Uno più grosso e più folgoreggiante stava in mezzo come il centro di un quadrilatero, e portava scritto «Obbedienza».
Sul primo a destra leggevasi «Voto di Povertà».
Sul secondo più abbasso «Premio».
Nella sinistra sul più elevato era scritto «Voto di Castità». Lo splendore di questo mandava una luce tutta speciale, e mirandolo traeva ed attaccava lo sguardo come la calamita tira il ferro.
Sul secondo a sinistra più abbasso stava scritto «Digiuno».
Tutti questi quattro ripiegavano i luminosi loro raggi verso il diamante del centro.


Alcune massime illustrative

 Per non cagionare confusione è bene di notare che questi brillanti tramandavano dei raggi che a guisa di fiammelle si alzavano e portavano scritte qua e colà varie sentenze:

Sulla Fede si elevavano le parole: «Imbracciate lo scudo della fede affinché possiate lottare contro le insidie del demonio». Altro raggio aveva:
«La Fede senza le opere è morta. Non chi ascolta, ma chi pratica la legge possederà il regno di Dio».

Sui raggi della Speranza: «Sperate nel Signore non negli uomini. I vostri cuori siano sempre intenti a conquistare la vera gioia».

Sui raggi della Carità eravi: «Portate gli uni i pesi degli altri, se volete compiere la mia legge. Amate e sarete amati. Ma amate le anime vostre e le altrui. Recitate devotamente l’ufficio divino, celebrate la santa Messa con attenzione, visitate con amore il Santo dei Santi».

Sulla parola Lavoro eravi: «Rimedio alla concupiscenza; arma potente contro tutte le tentazioni del demonio».

Sulla Temperanza: «Il fuoco si spegne se togli la legna. Fa’ un patto con i tuoi occhi, con la gola e col sonno, affinché tali nemici non depredino le vostre anime. Intemperanza e Castità non possono stare insieme».

Sui raggi dell’Obbedienza: «È la base e il coronamento dell’edificio della santità»..
Sui raggi della Povertà: «È dei poveri il regno dei Cieli. Le ricchezze sono spine. La povertà non si vive a parole, ma con l’amore e con i fatti. Essa ci apre le porte del Cielo».
Sui raggi della Castità: «Tutte le virtù si accompagnano ad essa. I mondi di cuore vedono i segreti di Dio e contempleranno Dio stesso».
Sui raggi del Premio: «Se vi attrae la grandezza dei Premi, non vi spaventi la quantità delle fatiche. Chi soffre con Me, con Me godrà. È momentaneo ciò che soffiamo sulla terra, eterno è ciò che farà gioire i miei amici nel Cielo».
Sui raggi del Digiuno: «È l’arma più potente contro le insidie del demonio. È la sentinella di tutte le virtù. Col digiuno si scaccia ogni sorta di nemici».

Autorevole monito

Un largo nastro a color di rosa serviva d’orlo nella parte inferiore del manto, e sopra questo nastro era scritto: 
«Argomento di predicazione. Al mattino, a mezzogiorno e a sera.
Fate tesoro delle piccole azioni virtuose e vi costruirete un grande edificio di santità.
Guai a voi che disprezzate le piccole cose. Poco a poco andrete in rovina».

Fino allora i Direttori erano, chi in piedi, chi ginocchioni, ma tutti attoniti e niuno parlava.
A questo punto don Rua come fuor di sé disse: «Bisogna prendere nota per non dimenticare».
Cerca una penna e non la trova; cava fuori il portafoglio, fruga e non ha la matita.
«Io mi ricorderò», disse don Durando. «Io voglio notare», aggiunse don Fagnano, e si pose a scrivere col gambo di una rosa.
Tutti miravamo e comprendevamo la scrittura.
Quando don Fagnano cessò di scrivere, don Costamagna continuò a dettare così: 
«La Carità capisce tutto, sopporta tutto, vince tutto; predichiamola colle parole e coi fatti».

«Il rovescio del vero salesiano»

Mentre don Fagnano scriveva, scomparve la luce e tutti ci trovammo in folte tenebre. «Silenzio  - disse don Ghivarello - inginocchiamoci, preghiamo, e la luce verrà». Don Lasagna cominciò il «Veni Creator», poi il «De Profundis», «Maria Auxilium ecc.», cui tutti rispondemmo. Quando fu detto: «Ora pro nobis», riapparve una luce, che circondava un cartello su cui leggevasi: «La Pia Società Salesiana quale corre pericolo di diventare». Un istante dopo la luce divenne più viva a segno che potevamo vederci e conoscerci a vicenda. In mezzo a quel bagliore apparve di nuovo il Personaggio di prima, ma con aspetto malinconico simile a colui che comincia a piangere. Il manto era divenuto scolorato, tarlato e sdruscito.

Nel sito dove stavano fissi i diamanti eravi invece un profondo guasto cagionato dal tarlo e da altri piccoli insetti.
«Guardate — Egli ci disse — e intendete».
Ho veduto che i dieci diamanti erano divenuti altrettanti tarli che rabbiosi rodevano il manto.
Pertanto al diamante della Fede erano sottentrati: «Il sonno e l’accidia».
Alla Speranza eravi: «Risate e banalità sconce»
Alla Carità: «Negligenza nel darsi alle cose di Dio. Amano e cercano i gusti propri, non gli ideali di Gesù Cristo».
Alla Temperanza: «Gola: loro dio è il ventre».
Al Lavoro: «Il sonno, il furto e l’oziosità».
Al posto dell’Obbedienza eravi niente altro che un guasto largo e profondo senza scritta.
Alla Castità: «Concupiscenza degli occhi e superbia della vita».
Alla Povertà era succeduto: «Letto, vestito, bevande e denaro».
Al Premio: «Nostra eredità saranno i beni della terra»
Al Digiuno eravi un guasto, ma niente di scritto.
A quella vista fummo tutti spaventati. Don Lasagna cadde svenuto. Don Cagliero divenne pallido come una camicia, e appoggiandosi sopra una sedia gridò: «Possibile che le cose siano già a questo punto?». Don Lazzero e don Guidazio stavano come fuori di sé, e si porsero la mano per non cadere. Don Francesia, il Conte Cays, don Barberis e don Leveratto erano quivi ginocchioni pregando con in mano la corona del SS. Rosario. In quel momento si fe’ intendere una cupa voce: «Come è svanito quello splendido colore!».

Messaggio di un giovane
Ma all’oscurità succedette un fenomeno singolare.
In un istante ci trovammo avvolti in folte tenebre, nel cui mezzo apparve tosto una luce vivissima, che aveva forma di corpo umano. Non potevamo tenerci sopra lo sguardo, ma potemmo scorgere che era un avvenente giovanetto vestito di abito bianco lavorato con fili d’oro e d’argento. Tutto attorno all’abito vi era un orlo di luminosissimi diamanti.
Con aspetto maestoso, ma dolce ed amabile, si avanzò alquanto verso di noi e ci indirizzò queste parole testuali:

«Servi e strumenti di Dio Onnipotente, ascoltate e intendete. Siate forti e animosi.
Quanto avete veduto e udito è un avviso del Cielo, inviato ora a voi e ai vostri fratelli; fate attenzione e intendete bene quello che vi si dice.
I colpi previsti fanno minor ferita e si possono prevenire.
Quante sono le idee indicate, tanti siano gli argomenti di predicazione. Predicate incessantemente, a tempo e fuori tempo.
Ma le cose che predicate fatele costantemente, sicché le vostre opere siano come una luce, che sotto forma di sicura tradizione s’irradii sui vostri fratelli e figli di generazione in generazione.

Ascoltate bene e intendete.
Siate oculati nell’accettare i novizi, forti nel coltivarli, prudenti nell’ammetterli. Provateli tutti, ma tenete soltanto ciò che è buono. Mandate via i leggeri e volubili.
Ascoltate bene e intendete. La meditazione del mattino e della sera sia costantemente sull’osservanza delle Costituzioni. Se ciò farete, non vi verrà meno giammai l’aiuto dell’Onnipotente. Diverrete spettacolo al mondo e agli Angeli e allora la vostra gloria sarà gloria di Dio.
Si dirà di voi: dal Signore è stato ciò fatto, ed è ammirabile agli occhi nostri. Allora tutti i fratelli e figli vostri canteranno a una sola voce: Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo Nome dà gloria».

Queste ultime parole furono cantate, ed alla voce di chi parlava si unì una moltitudine di altre voci così armoniose, sonore, che noi rimanemmo privi di sensi, e per non cadere svenuti ci siamo uniti agli altri a cantare.
Al momento che finì il canto si oscurò la luce. Allora mi svegliai, e mi accorsi che si faceva giorno.


Postilla di Don Bosco
Questo sogno mi durò quasi l’intera notte, e sul mattino mi trovai stremato di forze.
Tuttavia pel timore di dimenticarmene mi sono levato in fretta e presi alcuni appunti, che mi servirono come di richiamo a ricordare quanto qui ho esposto nel giorno della Presentazione di Maria SS. al Tempio.
Non mi fu possibile ricordare tutto.
Tra le molte cose ho pur potuto con sicurezza rilevare che il Signore ci usa grande misericordia. La nostra Società è benedetta dal Cielo, ma Egli vuole che noi prestiamo l’opera nostra.
I mali minacciati saranno prevenuti se noi predicheremo sopra le virtù e sopra i vizi ivi notati; se ciò che predichiamo, lo praticheremo e lo tramanderemo ai nostri fratelli con una tradizione pratica di quanto si è fatto e faremo.

Maria Aiuto dei Cristiani, prega per noi!



COMMENTO AL SOGNO

Il sogno
La lettura del sogno dei dieci diamanti ci presenta quale deve essere il profilo spirituale della nostra esperienza di fede e come può diventare la nostra vita cristiana se non ci prendiamo cura del nostro cammino spirituale.       

Il sogno si snoda attraverso tre scene fondamentali:
  • nella prima scena scopriamo l’identità gioiosa del salesiano e gli ingredienti necessari per realizzarla: sono i dieci diamanti vissuti con coerenza e impegno;
  • nella seconda scena ci viene presentato il risultato di chi non cammina e non si educa nella fede, lasciando spazio alla superficialità e alla lontananza da Dio: la conseguenza è la povertà e la delusione; i diamanti non ci sono più e quindi non possono brillare;
  • nella terza scena la presenza del ‘giovane messaggero’ è un invito a camminare con serietà e coraggio: non bisogna temere, occorre essere forti e perseverare nel bene.

Apparteniamo a Dio
Sono molte le suggestioni iniziali di fronte a questo messaggio e a queste immagini che rafforzano l’idea centrale che don Bosco vuole consegnare ad ognuno di noi: apparteniamo a Dio, siamo suoi, preziosi ai suoi occhi! 
La vita diventa gioia quando si scopre che noi siamo di Dio e che Lui da sempre ha pensato a noi, su di noi ha posato il suo sguardo. Rafforzando questa certezza arriveremo alla nostra felicità.
Non ha forse affermato più volte don Bosco: «Vi voglio felici nel tempo e nell’eternità»? 
Ebbene la felicità piena si raggiunge vivendo con autenticità il nostro essere di Cristo, il nostro essere cristiani.
Tante volte vedo giovani pensierosi, tristi, che fanno fatica a trovare le ragioni per essere sereni e contenti. Allora mi chiedo con insistenza come è possibile non essere nella gioia. Paul Claudel, dopo la conversione, era solito ripetere: «Dite a tutti che l’unico dovere è la felicità». Essa è il segno che amiamo il Signore e che stiamo facendo del bene agli altri e a noi stessi.
Cristo ci ha donato la gioia, il Vangelo, che è notizia bella e sempre nuova. Che fine ha fatto il nostro Battesimo? Quale consapevolezza c’è in me nei confronti di questa straordinaria verità?

Una volta ho sentito un predicatore che diceva: «Se solo ci rendessimo conto di quanto Dio ci ama, sicuramente moriremmo di gioia!». Non è straordinaria questa affermazione? Eppure che fatica  riconoscere l’amore di Dio e  sperimentare che vivere questo amore dona gioia!
Ha detto don Bosco: «Pensa, figlio mio, che Dio ti fece suo figlio col santo Battesimo, ti amò e ti ama come un tenero padre». Con il Battesimo siamo diventati proprietà di Dio, siamo stati inseriti nella sua stessa vita. Mi piace pensare al Battesimo come un ricevere il sigillo della «vita eterna». Che meraviglia! Abbiamo in noi la certezza della vita eterna: Dio si china su di noi e dice: «Tu sei mio figlio/a prediletto, mi appartieni e ti amo con amore infinito!».

Questa scoperta porta gioia, la gioia di appartenere a Dio. Senza Dio l’uomo non può esistere! La gioia, dunque, è un fatto che riguarda l’essere e il vivere, che tocca la vita. Il dono dell’amore di Dio è più grande delle nostre fragilità. Apparteniamo a Lui e il suo ‘soffio’ è per noi Vita. Ce lo ricorda il salmista:
«Se nascondi il tuo volto, vengono meno,
togli loro il respiro, muoiono
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra».
(Salmo 104,29-30)

Don Bosco ci ripete che conoscere l’Amore di Dio porta grande gioia nella nostra vita. Il sogno, infatti, inizia con una scena di grande serenità e letizia, sorretta dalla presenza del personaggio dal mantello tutto splendente dei dieci diamanti.
Sembra di risentire le parole di papa Benedetto XVI all’inizio del suo pontificato, quando ai giovani diceva: «Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! Solo in questa amicizia si spalancano le porte della vita».
Anche il nono successore di don Bosco, don Pascual Chavez, più volte ha ricordato questa realtà: «A che serve una Pastorale che non porta all’incontro con Cristo? A che serve una Pastorale che non porta davvero a Colui, l’Unico, che non può deludere le aspirazioni dei giovani, ad essere felici, a vivere e ad amare per sempre?».

Cristo dona tutto
«…La mente si trovò in una sala splendidamente ornata…quando apparve tra noi un uomo di aspetto così maestoso che non potevamo reggerne lo sguardo..»
La visione di un ambiente incantevole e quella dell’uomo maestoso rappresentano una vita condotta all’insegna del ‘bello’. Gesù Cristo dona alla vita ‘tutto’. «Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo», dice Benedetto XVI. 
Nel momento in cui ti accorgi che Cristo può colmare la vita, la tua esistenza non è più la stessa, diventa stupore, gioia, bellezza, amore.
Anche questa convinzione deve crescere in noi e cresce se  facciamo esperienza di Cristo: questo significa incontrarlo,  avere il coraggio di riconoscerlo. Scrive il nono successore di don Bosco:
«Contemplare Cristo non è divertimento estetico, né libero passatempo e nemmeno curiosità intellettuale; è invece passione mai soddisfatta e necessità urgente di conoscenza, amore, sequela».
Un giovane che incontra e riconosce  Cristo, diventa capace di vivere come Cristo: «Noi amiamo perché siamo stati amati e abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16).

Una vita ‘bella’
Vivendo l’incontro con Cristo si partecipa della sua bellezza. I discepoli  sul Monte Tabor vivono con Gesù l’esperienza ‘bella’ della Trasfigurazione: «Maestro, è bello per noi stare qui» (Lc 9,33). 
La vita cristiana è una via di Bellezza. La vita cristiana, quando splende, è bella, affascinante, perché Cristo è il Bello!
Dovremmo  riscoprire ciò che entusiasmò S. Agostino: «Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova. Sì, perchè tu eri dentro di me e io me ne stavo fuori. Lì ti cercavo, io deforme mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in Te. Mi chiamasti ed il tuo grido sfondò la mia sordità. Mi illuminasti e il tuo splendore dissipò la mia cecità. Diffondesti la tua fragranza e respirai e ora anelo verso di Te. Ti gustai ed ebbi fame e sete di te; mi toccasti e arsi del desiderio della tua pace» (Confessioni X, 27).

Chi di noi non ha mai fatto l'esperienza della bellezza? In un volto, in un incontro, in un paesaggio, in un'opera d'arte, nella musica... Essa è una delle esperienze più forti e affascinanti dell'essere uomini e donne. Ma è soprattutto nel riconoscere Gesù Cristo che noi facciamo esperienza di bellezza. La bellezza del Pastore bello (è la traduzione più corretta dell’affermazione di Gesù: «Io sono il Buon Pastore») consiste nell’amore con cui consegna se stesso alla morte per la salvezza delle sue pecore. Questo significa che «l’esperienza della sua bellezza si fa lasciandosi amare da Lui» (Card. Carlo Maria Martini).
La bellezza ci riporta sempre a Dio.
Giovanni Paolo II scrisse agli artisti dicendo: «Nessuno meglio di voi artisti, geniali costruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all'alba della creazione, guardò all'opera delle sue mani». Dio ha guardato con ‘commozione’ la Creazione perché «vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona». (Gn 1,31).  Quindi la bellezza è un invito e un richiamo al Trascendente, a gustare la vita e a viverla all’insegna dello splendore.
Un giovane che sa gustare il bello, non può che avvicinarsi sempre più a Dio, sorgente di ogni cosa bella e fondamento di un’ esistenza di valore.
Il cammino proposto nell’itinerario dei dieci diamanti si inserisce in questa linea: fede, speranza, carità, lavoro, temperanza, obbedienza, povertà, castità, premio, digiuno; ‘valori’, diamanti, per un nuovo slancio nella vita cristiana, motivato dal rinnovato incontro con la bellezza di Dio.

Camminare subito e decisamente

Sì, occorre decisione e coraggio per credere che Cristo ti dona tutto. Don Bosco ripeteva spesso ai suoi giovani: «Abbi il coraggio della tua fede e delle tue convinzioni. Tocca ai cattivi tremare davanti ai buoni, non ai buoni tremare davanti ai cattivi».
Don Bosco con il sogno dei dieci diamanti vuole consegnare ai giovani la bellezza di una vita cristiana vissuta nella fedeltà e nella gioia. Sembra che il santo dei giovani abbia chiara la convinzione che il Vangelo, che è Cristo, viene prima di tutto e sta al di sopra si tutto.
È meraviglioso incontrare giovani che credono e che non hanno paura di farlo vedere. Vivendo le virtù  essenziali per una vita cristiana autentica (dieci diamanti) noi «non seguiamo una virtù - scrive don Chavez - (fede, speranza, carità, lavoro, temperanza, obbedienza, povertà, castità, digiuno, premio) o una attività (l’educazione, la missione, ecc.), ma seguiamo una Persona che vogliamo imitare nella sua pienezza e un Vangelo che vogliamo vivere nella sua globalità».
Camminare subito e con decisione significa avere la volontà di andare controcorrente. Ha detto ai giovani Benedetto XVI: «Andate controcorrente.  Siate vigilanti! Siate critici! Non abbiate paura, cari amici, di preferire le vie “alternative” indicate dall’amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive sincere e pure; un impegno onesto nello studio e nel lavoro; l’interesse profondo per il bene comune. Non abbiate paura di apparire diversi e di venire criticati per ciò che può sembrare perdente o fuori moda: i vostri coetanei, ma anche gli adulti, e specialmente coloro che sembrano più lontani dalla mentalità e dai valori del Vangelo, hanno un profondo bisogno di vedere qualcuno che osi vivere secondo la pienezza di umanità manifestata da Gesù Cristo».


Come camminare? I dieci diamanti

Il  personaggio dei dieci diamanti è l’indicazione preziosa di un itinerario di crescita: l’elenco delle virtù rappresentate dai diamanti descrive le note caratteristiche del credente, esuberante di entusiasmo per il mistero di Cristo. La vita da credenti ha una sua visibilità. Non basta essere credenti, occorre essere credibili: sono i cinque diamanti sul lato di fronte; e la visibilità, a sua volta, è sorretta da una interiorità robusta: sono i diamanti della parte sul retro del mantello. Entrambe sono necessarie e si sostengono a vicenda. Per camminare da credenti occorre possedere uno stile e una qualità ‘alta’ di vita. Dicevamo precedentemente che questo stile, questa qualità di vita è data dalla gioia del sapersi amati. Di conseguenza:

Per vivere la gioia occorre
q  reagire contro la tendenza al minimo sforzo. Come camminare? Con coraggio e volontà! Occorre stilare una vera e propria ‘regola di vita’.
q  reagire contro l’egoismo che ci fa vivere ripiegati su noi stessi. Come camminare? Con generosità e apertura verso gli altri!
q  ‘centrare’ la propria vita su Cristo Crocifisso e Risorto, capaci di adorare Colui che ci ama di amore infinito. Come camminare? Attingendo luce e forza da Cristo.
q  ‘scegliere’, essere capaci cioè di decisioni e di orientamenti chiari per la nostra vita. Come camminare? Fissando lo sguardo su Colui che quotidianamente ci ‘sceglie’ e ci ama.

Ecco allora un suggerimento di cammino per possedere la gioia di crescere, di amare, di adorare, di scegliere. Sono i dieci diamanti!


Primo diamante: Fede
È dono gratuito di Dio e accessibile a quanti lo chiedono umilmente. Avere fede significa aderire a Dio, affidarsi a Lui  e poter dire con certezza, sì Dio è Amore!
Lo scrittore russo Tolstoj affermava che «l'uomo può ignorare di avere un Dio, come può ignorare di avere un cuore; ma senza Dio, come senza un cuore, l'uomo non può vivere». Il nostro cuore ha sete di infinito: solo in Dio questa sete viene saziata.
Dio è necessario! Non possiamo fare a meno di Lui. La vita spirituale è essenzialmente questo rapporto tra Dio e l'uomo.
L'uomo deve riconoscere la presenza e l'azione di Dio nella sua vita.
Don Bosco si esprimeva così: «Se apriamo gli occhi non possiamo non riconoscere l'esistenza, la potenza e la saggezza di Dio: da Lui ogni cosa è stata creata. Egli è Dio che ha detto: si faccia la luce e la luce fu fatta. A tutte le cose egli dice: sono io che ti ho fatto. E in questa parola, che ogni uomo può e deve comprendere, si esprime la sua potenza e la sua divinità».
La bontà di Dio Creatore e di Dio misericordioso riempiva di stupore, di meraviglia e di tenerezza la vita di don Bosco.   Fare esperienza di questo Dio è un’esigenza fondamentale per ogni cristiano. Don Bosco ricordava ancora: «Due discepoli di Giovanni Battista seguivano Gesù per sapere dove abitava. Gesù disse loro: "Venite e vedrete". Andarono, videro dove abitava e restarono con lui quel giorno. Prendiamoci, dunque, il tempo di restare con Gesù. Guardiamolo, ascoltiamolo, silenziosamente».
Impariamo dunque che la "fede" è  un dono che va     coltivato, altrimenti rischia di imboccare strade sbagliate e pericolose (superstizione, banalizzazione della vita, adesione fanatica ad ideologie, mode, persone).
Coltiviamo il senso della meraviglia per riconoscere e incontrare Dio in ogni cosa, persona e avvenimento.

Un giovane che ha fede è solido, stabile, fermo. Ha posto un fondamento sicuro alla sua vita. È come un bimbo tenuto saldamente tra le braccia della madre, sicuro della sua protezione. Per questo don Bosco diceva che «la fede è quella che fa tutto».

Secondo diamante: Speranza
È la virtù  per la quale noi desideriamo e aspettiamo da Dio la vita eterna come nostra felicità. È la certezza della vita eterna con Dio. Scrive Dionigi Aeropagita: «Dobbiamo glorificare la vita eterna, da cui deriva ogni altra vita. Da lei riceve la vita ogni creatura, che secondo le sue capacità prende in qualche modo parte alla vita. La vita divina, che è più elevata di ogni altra vita, vivifica e custodisce la vita». Una vita generata dalla Vita, da Dio stesso. Essere giovani di speranza vuol dire dimostrare la gioia della vita cristiana, guidata, accompagnata e sostenuta dall’Alto. Per un cristiano, dunque, il tema della speranza è centrale!
Centrale perché senza la prospettiva futura della vita «in» e «con» Dio, non c’è per il cristiano e l’uomo in generale né vita né speranza. Lo afferma S. Pietro: «Dio Padre…per la sua grande misericordia…ci ha rigenerati mediante la risurrezione di Gesù Cristo…per una speranza viva». ‘Rigenerati’ significa rinnovati, migliorati, trasformati, rifatti, ricostruiti…. In Cristo siamo nuove creature. In Cristo siamo figli di Dio che è Padre, dunque, amore per tutti i suoi figli. E lo è nella forma della “misericordia”, bontà, compassione, provvidenza, tenerezza, consolazione.
Tutta la storia della salvezza e anche la nostra esistenza è avvolta e fasciata dalla misericordia del Padre. 
Questa è la speranza cristiana: la certezza di appartenere ora e sempre a Dio, la convinzione di essere suoi: siamo e saremo in buone mani!


Un giovane che coltiva la speranza non ha paura di nulla e sarà sempre sereno. Don Bosco afferma: «Ricordati che in Paradiso sarà il tuo premio».


Terzo diamante: Carità
È la virtù  per la quale amiamo Dio al di sopra di tutto e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio.
Utilizzando le parole del Papa nella sua enciclica Deus caritas est, «il programma del cristiano è un cuore che vede». Proprio per questo occorre educarsi a vivere la carità. Nel sogno don Bosco ricorda che «La Carità capisce tutto, sopporta tutto, vince tutto; predichiamola colle parole e coi fatti».

Un giovane che vive la carità è capace non solo di disponibilità e gratuità, non solo a dare qualcosa, ma tutto se stesso. Immersi in una società dove prevale la cultura ‘debole’ della morte, la carità vissuta diventa la testimonianza e la diffusione della cultura della vita. L’Amore ricevuto diventa cura dell’altro e per l’altro.  Abbiamo bisogno di ricuperare la logica  evangelica che è fatta di pura gratuità. Don Bosco diceva: «Il Signore ci ha messo al mondo per gli altri. Le opere di carità non si fanno per essere pagati». E ancora: «Fai del bene, fanne tanto e non sarai mai pentito di averlo fatto». 

Quarto diamante: Lavoro
Il lavoro per l’uomo è un dovere e un diritto, mediante il quale egli collabora con Dio creatore.
Giovanni Paolo II disse che il lavoro è un bene arduo, utile e degno della nostra condizione di persone. Lavorando, non solo trasformiamo la natura, adattandola alle nostre necessità, ma cresciamo diventando persone più umane. Il lavoro è un bene
q  arduo perché implica l’applicazione delle proprie energie fisiche o mentali. Lavorare richiede sforzo e perciò stesso possiede un considerevole valore formativo e ascetico.
q  utile perché ci perfeziona, arricchendoci di nuovi beni e di nuove doti; dunque ci aiuta a crescere e a maturare.
q  degno perché è in relazione alla nostra dignità personale. Non è una cosa, ma coopera allo sviluppo integrale della nostra persona.
Non è meraviglioso sapere che il nostro lavoro è collaborazione con l’opera del creatore? Lavorando riproduciamo in noi l’immagine di Dio creatore

Un giovane che si impegna nei suoi doveri di lavoro o di  studio è capace di camminare nella sua fede verso la santità, perché il lavoro ci unisce alla persona e all’opera del Creatore dell’universo e al Salvatore degli uomini, Gesù Cristo, che ha lavorato per trent’anni a Nazareth.
Don Bosco ripeteva spesso: «Per lavoro s’intende l’adempimento dei propri doveri. Chi non si abitua a lavorare, per lo più sarà sempre un poltrone fino alla vecchiaia».

Quinto diamante: Temperanza
È la virtù che modera l’attrattiva dei piaceri, assicura il dominio della volontà sugli istinti e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati.
Possiamo dire che la temperanza è la virtù che ci aiuta ad essere ‘sobri’, cioè misurati, regolati e controllati in ogni cosa. Giustamente la ‘parola magica’ per vivere la temperanza è «equilibrio». C’è bisogno di equilibrio nella nostra vita!  E’ temperante colui che non abusa di cibi, di bevande, di alcolici, di piaceri, che non si priva della coscienza per l’uso di stupefacenti, ecc. La persona temperante è  padrona di se stessa:  le passioni non prendono il sopravvento sulla ragione, sulla volontà e anche sul “cuore”. 
La temperanza è indispensabile perché l’uomo “sia” pienamente uomo. Al contrario, quando,  trascinato dalle sue passioni, ne diventa “vittima”, rinuncia da se stesso all’uso della ragione.
Un giovane che vuol raggiungere questo equilibrio, deve attivare un serio lavorio su se stesso e una particolare “vigilanza” su tutto il suo comportamento.
  «Sonno salubre con uno stomaco ben regolato, al mattino si alza e il suo spirito è libero» (Sir 31,24).

Don Bosco ripeteva che «la temperanza è benedetta dal Signore, e giova all’intelligenza e alla sanità corporale». E ai suoi salesiani diceva: «Datemi un giovane che sia temperante nel mangiare, nel bere e nel dormire, e voi lo vedrete virtuoso, assiduo nei suoi doveri e amante di tutte le virtù».

Sesto diamante: Obbedienza
Passiamo ora alla descrizione di quanto si trova    sul retro del mantello del personaggio apparso a don Bosco. Questi 5 diamanti rappresentano l’interiorità che ogni giovane deve irrobustire per poter vivere in pienezza la propria fede e giungere così alla vera gioia.

Il filosofo Blaise Pascal ha scritto: «È tanto difficile credere, perché è tanto difficile obbedire».
Ma che cos’è l’obbedienza e perché obbedire? Obbedire significa credere e rispondere all’Amore di Dio; è consegnarsi e affidarsi a Lui, accogliendo la sua Verità. L’uomo credente è l’uomo obbediente, ossia l’uomo che si consegna, che si fida di Dio. Obbedire (dal latino «ob-audire») significa sapere ascoltare e, soprattutto, mettere al centro di ogni nostra decisione il Signore Gesù. Ricordiamo l’apostolo Pietro che, amareggiato per la pesca infruttuosa (Lc, 5, 1-11), ha il coraggio di obbedire a Gesù che gli chiede di gettare le reti e dice: «Sulla tua parola getterò le reti!».  È come dire: «Signore, nella tua parola io confido. È la tua parola che mi dà vita! In te, Signore, getto le reti della mia esistenza!». Dobbiamo dare ascolto a Dio, imparando dai molti testimoni di obbedienza che la Bibbia ci presenta.
L’obbedienza è il termometro della fiducia che noi abbiamo in Dio. Come Gesù, un giovane obbediente deve poter dire con la vita: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42). Fare la volontà di Dio! Ecco un bel commento fatto da alcuni monaci che vivono nelle città: «In virtù dell’obbedienza, imparerai ad amare, a rinunciare a te stesso per fare ciò che piace ai tuoi fratelli e a Dio, ad amare il tuo prossimo come te stesso e Dio al di sopra di tutto, ad andare d’accordo con gli altri per agire insieme in comunione di ascolto secondo il piano di Dio. Il Padre attende così la tua libera cooperazione al suo disegno d’amore. I tuoi fratelli aspettano la tua libera partecipazione alla comunione, in questo amore. Più obbedirai, più amerai. Più amerai, più la tua vita obbedirà. Amore e obbedienza si equivalgono. Quindi, se vuoi amare, sii obbediente» (Monaci nelle città. Una regola di vita).
Anche il successore di don Bosco, don Chavez, ha delle parole molto belle che ci aiutano a comprendere la realtà dell’obbedienza e della disponibilità: « Nessuna scuola è migliore di quella di Maria, per lasciarsi introdurre nella contemplazione e nell’accoglienza, nella custodia e nell’annunzio della Parola di Dio. Maria si pone come modello dell’accoglienza della grazia. Nessun credente come Lei è riuscito, infatti, ad ospitarla tanto bene, sì da farla creatura del suo grembo: Maria ci insegna che chi crede alla Parola la fa carne propria, che chi la serve con la vita la fa vita propria, che chi obbedisce a Dio lo converte in suo figlio».

Un giovane che ‘ascolta’ e vive la parola di Dio (come la Vergine Maria: «Si compia in me la tua Parola»), arriva ad una ‘qualità alta’ di vita cristiana, la santità. Don Bosco più volte incoraggiava i suoi giovani con queste parole: «Un giovane obbediente si farà santo. Il disobbediente va per una strada che lo condurrà alla perdizione».

Settimo diamante: Povertà
L’anima della povertà è un atteggiamento interiore simile all’umiltà, alla fiducia, alla semplicità e all’infanzia spirituale. Tutti siamo invitati a identificarci con Cristo povero. Tutti siamo chiamati a incarnare l’atteggiamento interiore di povertà nella solidarietà, nel servizio e nell’impegno sociale. Mi piace pensare alla povertà come alla capacità di svuotarci di noi stessi per essere ricolmi di Colui che è la nostra ricchezza. Proprio come ha fatto Maria, che nel cantico del Magnificat si è proclamata piccola e povera, e proprio per questo Dio l’ha ricolmata di ogni grandezza.
Essere poveri oggi significa aver imparato a
  • vivere con sobrietà (e questa è già una gran cosa!) 
  • vivere contando soltanto su Dio
  • accettare di dipendere da Dio
  • accettare di essere creature bisognose del suo amore e delle sue cure.  
  • dare le giuste precedenze ai valori e riconoscere la superiorità di Dio e dei beni del suo Regno.
Il regno dei cieli appartiene ai poveri, perché essi sono come i bambini; che sanno stare in braccio ai loro genitori e dire: Abbà, Papà!
Pertanto il primo passo per imparare a vivere da ‘poveri’ sta in un atteggiamento di apertura a Dio, di disponibilità, di fiducia. In questa ottica la virtù della povertà  non riguarda solo il retto uso dei beni terreni, ma la verità della nostra relazione con Dio.
La povertà è figlia dell’obbedienza e madre della speranza!

Un giovane che vive nell’atteggiamento della povertà è un giovane aperto a Dio, agli altri e al prossimo. Don Bosco conferma: «Come potremo essere discepoli di Gesù se ci dimostriamo così differenti dal maestro? Gesù nacque povero, visse povero, morì poverissimo».

Ottavo diamante: Castità
La sessualità è una forza diffusa e operante in tutto il nostro essere, impregna tutte le nostre facoltà e attività; è una condizione fondamentale della nostra vita di persone umane e configura il nostro comportamento e il nostro operare… 
Il pensare, il volere, il sentire, lo stesso credere, amare e sperare si esprimono secondo una forma di individualizzazione sessuata. La sessualità si riferisce alla configurazione maschile o femminile della nostra persona   e all’orientamento proprio dell’uomo verso la donna e di questa verso l’uomo.
Avendo chiara questa realtà, si aprono orizzonti meravigliosi di dialogo, di relazionalità, di amore vero. Che cos’è, dunque, la castità? Una forza che permette di amare come persone sessuate. La castità ordina e rende vere le forze della sessualità e dell’amore, mettendole al servizio della relazione, della solidarietà e della comunione.
Essere cristiani esige una padronanza e una canalizzazione costante degli impulsi istintivi e sessuali, reclama l’integrazione degli aspetti genitali ed erotici nell’amore interpersonale e il coronamento di tutto questo dinamismo nella carità.
La castità, di conseguenza, è in riferimento all’integrazione e alla relazione della persona in quanto essere sessuato.
Vivere la castità significa amare in modo ‘ordinato’. E per fare questo occorre educare il cuore, perché amare non è qualcosa di
  • automatico, che viene da sé col semplice fluire del tempo
  • facile, di spontaneo: deve fare i conti con i nemici dell’amore, come l’egoismo, la ricerca del proprio interesse, lo sfruttamento degli altri, il piacere che rende le persone semplice oggetto. Le conseguenze dell’amore “sbagliato”, non vero (che è l’impurità) sono ben note: lussuria, schiavitù del vizio, miopia, insensibilità e scetticismo di fronte alle cose spirituali; cioè tutto il contrario delle conseguenze della castità: trasparenza e fervore di fronte a tutto ciò che è divino. L’impurità lega, incatena e rende schiavi, è sterile rispetto alle cose buone e fecondissima nei confronti dei vizi.

Amare è generare, “dare vita”, non soltanto “trasmettere la vita”. È  la gratuità che diventa “totalità del dono”.

È quantomeno curioso, se non inquietante, osservare come il nostro mondo così attento a promuovere la crescita intellettuale delle nuove generazioni, così aperto all’investimento di energie sul piano culturale, non si preoccupi a sufficienza nel formare i giovani immersi in un’affettività istintiva e incontrollata, spesso fonte di sofferenza, se non di vera e propria patologia relazionale.
Il mondo degli affetti chiede dunque di essere formato e, per così dire, “raffinato” da un lavoro educativo, non meno lungo e impegnativo di quello richiesto per la formazione delle intelligenze.
Ø  È educare al dono gratuito, alla capacità di sacrificio e alla riconoscenza: atteggiamenti oggi tanto rari quanti necessari per la nostra convivenza sociale.
Ø  È educare a puntare in alto e a non bruciare le tappe sprecando esperienze di vita fondamentali per la crescita: in questo senso, l’educazione alla gestione ordinata e finalizzata della propria sessualità e dei propri desideri, liberati dalla prigione individualistica e riconosciuti nella loro natura relazionale e generativa, è una garanzia di formazione di persone autentiche, capaci di coniugare sentimento e volontà, passione e ragione e di dare un senso alle proprie scelte.
Ø  E’ educare il proprio cuore, tappa fondamentale nel percorso di scoperta della propria vocazione, di risposta ad una chiamata da parte di un Padre a realizzare un disegno personale pensato per ciascuno di noi.

Un giovane in grado  di vivere così la sua capacità di amare, un giovane che non ha paura ad essere casto, raggiungerà presto le vette alte della santità! Don Bosco ricorda che «il massimo e più potente custode della purità è il pensiero della presenza di Dio». "Dòmine,... àdjuva nos: et reflòreat cor et caro nostra vigòre pudicìtiae, et castimòniae novitàte..."



Nono diamante: Premio
La vita eterna è questo: il Paradiso, cioè l’essere “con” Cristo nella gioia del Padre e questo supera tutto ciò che di gioioso, di grande e di bello possiamo pensare e immaginare.
Le verità “ultime” (morte, giudizio, inferno, paradiso) sono verità che ci interpellano: rappresentano il nostro destino   definitivo.  Ci dicono che la vita umana non finisce con la morte e quindi ci liberano dall’angoscia della morte come fine di tutto.   Noi vogliamo vivere!
Il cristiano vive “nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il salvatore Gesù Cristo”. Un’attesa che è vigilanza per non lasciarsi prendere dal sonno e così accogliere il Signore che viene.
È questo il senso del diamante denominato ‘Premio’. Noi cristiani sappiamo che la Vita Eterna, il Premio, è la grande promessa del Vangelo. Non è una vaga sopravvivenza e neppure la semplice immortalità dell'anima, ma la vita senza fine della persona con tutte le sue dimensioni, corporee e spirituali, con tutte le sue relazioni con gli altri, col mondo e con Dio. È la vita nella Gloria di Dio. Il Vangelo non promette la vita eterna a parole, ma con l'annuncio di un fatto reale: la risurrezione di Gesù. Il Vangelo è bella notizia, proprio perché non termina con il racconto della sepoltura di Gesù e della tomba vuota, ma con la novità della risurrezione e della vita eterna in Dio.

Un giovane che vive con questa prospettiva fa del suo quotidiano il luogo di incontro gioioso con Dio e i fratelli.
Recentemente, al Convegno di Verona, la Chiesa italiana ha ribadito che il centro della testimonianza cristiana è il Crocifisso Risorto! Dunque è questa la speranza viva che la Chiesa vuole offrire agli uomini di oggi.
Vedere, incontrare e comunicare il Risorto
Ø  è il compito del testimone cristiano  
Ø  è il cammino per tenere viva la speranza
Ø  è il compito di un giovane che ha chiara la prospettiva  della vita piena con Dio.
Don Bosco ha consumato le sue forze migliori per trasmettere questa certezza ai suoi giovani: «Ho più caro il Paradiso che tutte le ricchezze del mondo».  «Nelle fatiche e nei patimenti non dimenticare mai che abbiamo un gran premio preparato in Paradiso».  «Un pezzo di Paradiso aggiusta tutto!».  
«Il Paradiso non è fatto per i poltroni!».  Anche le parole al termine della sua vita sono particolarmente significative e commoventi: «Di’ ai giovani che li aspetto tutti in Paradiso».


Decimo diamante: Digiuno
Nel sogno, don Bosco vede dei raggi che partono da ogni diamante con alcune frasi significative. Il diamante del digiuno ha scritto: «È l’arma più potente contro le insidie del demonio. È la sentinella di tutte le virtù. Col digiuno si scaccia ogni sorta di nemici».
Digiuno, astinenza, penitenza, mortificazione non sono forme di disprezzo del corpo, ma strumenti per rinvigorire lo spirito, rendendolo capace di esaltare, nel sincero dono di sé, la stessa corporeità della persona. Il digiuno dei cristiani trova il suo modello e il suo significato nuovo e originale in Gesù che ne afferma con forza il significato essenzialmente interiore e religioso: digiuno, preghiera ed elemosina sono un atto di offerta e di amore al Padre «che è nel segreto e che vede nel segreto» (Mt. 6,18). Sono un aspetto essenziale della sequela di Cristo da parte dei discepoli, tenendo presente che anche nelle pratiche di digiuno si possono annidare insidie: l'autocompiacimento, l'illusione…
C'è dunque un intimo legame fra il digiuno e la conversione della vita, il pentimento dei peccati, la preghiera umile e fiduciosa, l'esercizio della carità fraterna e la lotta contro l'ingiustizia. Oggi il digiuno viene praticato per i più svariati motivi e talvolta assume motivazioni “laiche” (proteste, contestazioni, diete…); per cui diventa sempre più necessario riscoprire e riaffermare l'originalità del digiuno cristiano che trova il suo pieno valore solo se compiuto in comunione viva con Cristo.
Esso consiste nella privazione o comunque in una   moderazione non solo del cibo, ma anche di tutto ciò che può essere di ostacolo ad una vita spirituale aperta al rapporto con Dio nella meditazione e nella preghiera, ricca e feconda di virtù cristiane e disponibile al servizio umile e disinteressato del prossimo.
Il senso cristiano del digiuno e dell'astinenza spinge i credenti non solo a coltivare una più grande sobrietà di vita, ma anche ad attuare un più lucido e coraggioso discernimento nei confronti delle scelte da fare in alcuni settori della vita di oggi: lo esige la fedeltà agli impegni del Battesimo. 

Un giovane che pratica il “digiuno” sarà in grado di dare un contributo originale e determinante con il suo stile di vita sobrio e austero alla costruzione di una società più accogliente e solidale.
Don Bosco afferma: «Non tutti possono digiunare, ma tutti possono amare Dio. Io non vi dico di digiunare, ma vi raccomando la temperanza».



In sintesi: cristiani gioiosamente autentici
Questo progetto è affascinante e ci trasmette l’invito dello Spirito Santo: siamo chiamati alla santità, cioè alla pienezza della vita di Dio in noi. Via la mediocrità, il grigiore meschino delle nostre decisioni per aprire il cuore al SI’ generoso e gioioso di questo cammino, come don Bosco ce lo ha presentato.
 Il sogno dei dieci diamanti può essere considerato, per i giovani, un invito pressante ad essere cristiani gioiosamente validi, coraggiosamente autentici, liberamente veri.
Giovani cristiani capaci di scegliere nella vita, capaci di rispondere alla chiamata alla santità, che passa attraverso la pienezza di una vita battesimale, realizzata nella verità e nella gioia.
Sono troppi i giovani oggi in “crisi d’identità”, che non sanno più chi sono, che si lasciano trasportare dalla corrente, pensando solamente a sopravvivere. Sono numerosi i giovani che hanno dato le ‘dimissioni’ dalla propria responsabilità, lasciandosi vincere dal pessimismo negativo e distruttivo, che porta a sciupare la vita, a confondere il vivere con il semplice esistere.
Cercare la soluzione a questa situazione significa mettersi coraggiosamente alla ricerca della propria ‘vocazione’. Scriveva don Bosco ai giovani: «Caro amico, io ti voglio bene con tutto il mio cuore. Mi basta sapere che sei giovane perché ti voglia molto bene. Nel tuo cuore porti il tesoro dell'amicizia del Signore. Se lo conservi, sei ricchissimo. Se lo perdi, diventi una delle persone più infelici e più povere del mondo. Il Signore sia sempre con te, e ti aiuti a mettere in pratica i suggerimenti che ti darò. Se ti comporti così, ti assicuro che Dio sarà contento di te, e salverai l'anima tua: la cosa più importante della vita.
Dio ti regali una vita lunga e felice. L'amicizia del Signore sia sempre la tua grande ricchezza nella vita terrena e nell'eternità».

Pensare e riflettere sulla propria vita è pensare alla propria “vocazione”, ossia al progetto di felicità che Dio ha su di me. La vocazione è aderire in modo totale a questo progetto.
E pensare  alla propria felicità (= vocazione) significa stabilire con Dio un rapporto vivo e personale. Non basta dire che Dio esiste, occorre entrare in dialogo con Lui. Un dialogo profondo e costante che consenta di rispondere quotidianamente alla sua chiamata. Per questo un giovane è sempre «in vocazione» e vive continuamente con l’orecchio teso a tutte le parole, con l’occhio attento ad ogni fatto, con il cuore aperto ad ogni incontro.

Un consiglio da amico: Non temere!
In questo itinerario non devi avere paura, non devi temere! Devi solo avere un po’ di coraggio e di buona volontà per riconoscere quel Dio che continua a chiamarti e a starti vicino. Quel Dio che ogni giorno, ogni istante ti sceglie per ricolmarti del suo Amore. La tua capacità di decisione e di scelta è soltanto una risposta a Colui che ti ha amato per primo. Sii coraggioso e riconosci tra le tante voci di questo mondo, la voce di Colui che, solo, sa pronunciare il tuo nome con amore e fedeltà. È questa la ricchezza, il dono prezioso che ti viene ricordato e consegnato con il sogno dei dieci diamanti!
Non avere paura a farti aiutare nell’ascolto di questa voce. Una buona guida spirituale è un tesoro prezioso che vale quanto un diamante!
Ha scritto il nono successore di Don Bosco, don Chavez: «Per vivere oggi da credenti, si deve poter convivere col silenzio; riempire la vita di parole e frastuono è prendere la strada dell’incredulità».
Entra con coraggio, pertanto, nel silenzio che ti permette di scegliere e deciderti a vivere il tuo cristianesimo. Non dimenticare questo consiglio di don Bosco: «È con Gesù nel cuore che bisogna prendere le decisioni».







SCHEDE DI LAVORO
E DI
RIFLESSIONE
SUI
DIECI DIAMANTI





In questa seconda parte ti presento brevi schede di lavoro su ciascun diamante, allo scopo di aiutarti ad interiorizzarne meglio i valori nella tua vita e per consolidare gli atteggiamenti proposti dal sogno. 
Sono una traccia, semplice e sintetica, per un itinerario, un cammino, che ti faciliti l’impegno a lavorare su di te senza credere   di essere arrivato. La vita spirituale è un cammino costante verso un «di più, sempre di più e ancora di più», che porta alla vera gioia.


Ogni scheda sarà così strutturata:

  • Il diamante
  • Il pensiero di don Bosco, così come è presentato nel sogno
  • La situazione di rischio, la tentazione….quando il mantello diventa scolorato, tarlato, sdrucito…
  • Alcuni suggerimenti per un cammino nella fede
  • L’azione: un possibile impegno per camminare concretamente e subito
  • Materiali per la preghiera e la riflessione personale.

Nb. E’ utile far precedere al lavoro sulla scheda la lettura di quanto è stato scritto nella prima parte relativamente ad ogni diamante.


IL DIAMANTE DELLA FEDE
È apertura al mistero di Dio


Nel sogno Don Bosco ricorda che:
  • La fede è stabilire un rapporto intimo e personale con il Signore della Vita: Gesù Cristo!
  • La fede è vedere e riconoscere la realtà ‘soprannaturale’ in cui siamo immersi.
  • La fede è uno scudo per lottare.
  • La fede dona vita e significato alla tua operosità.
  • Se manca la fede si cede il posto al «sonno e alla pigrizia (accidia)».
  • «Avere fede perché ogni bene, tanto spirituale quanto materiale, viene dal Signore».


Il rischio, la tentazione….
Quanto ‘sonno’ esiste nei cristiani di oggi! Troppi giovani dormono di fronte a un Dio che vuole entrare nella loro vita,   per farsi conoscere.     Quanta pigrizia!
Non è facile oggi avere una visione di fede della vita.
Cosa vuole dire, in concreto, avere fede? Significa essere certi che Dio è presente e agisce, che tutto si riconduce a Lui.


Per un cammino nella fede
  • Anzitutto la preghiera: «Signore aumenta la mia fede!».
  • Impara a dire “grazie” per ciò che sei, per ciò che vivi, che vedi, che realizzi. Essere riconoscenti ci fa uscire dalla logica del “tutto mi è dovuto”.
  • Vivi una vita che sia espressione della fede che professi. I tuoi compagni, la gente deve poter vedere in te l’immagine di Dio. Con la nostra vita siamo un rimando al Creatore, a Colui che fa buone tutte le cose! È vero anche per la tua esperienza di vita?
  • Alimenta la tua vita di fede con la partecipazione all’Eucaristia, che è il momento più significativo per ringraziare e chiedere il dono della fede. Oltre la Messa domenicale, perché non aggiungerne un’altra lungo la settimana?


Azione
Nutrirò la mia fede:
  • con l’amore alla Parola di Dio, sorgente di fede;
  • con la lettura di un buon libro oppure del Catechismo della Chiesa Cattolica o del Compendio (fatti consigliare da un amico sacerdote o da un ‘buon’ amico spirituale).


Preghiera

Padre! Padre nostro che sei cieli!
A te leviamo, fiduciosi, il nostro sguardo,
noi tutti tuoi figli,
noi, miliardi di uomini viventi
sulla faccia della terra.
Tu solo sei  buono:
toglici dalle nostre amare solitudini
e dai nostri egoistici bisogni
che chiudono il cuore a te
fonte dell'eterno amore.
Padre! Chiamarti è puro dono,
amarti è gioia vera.
Noi siamo fango:
plasmaci ancora con le tue mani;
ridonaci la vita con il soffio del tuo Spirito
e rendici tuoi veri adoratori!
Eravamo tutti orfani,
senza nome, senza casa.
Tu ci donasti tutto donandoci il tuo Figlio.
Fa' che riconoscendoti come «nostro Padre»
possiamo anche gustare la dolcezza
d'essere fratelli tra di noi
formando in Cristo un solo uomo nuovo
nato dal «fiat» della Vergine Maria
e dal casto fonte che hai fatto scaturire
nel seno della Madre Chiesa.
Amen.
(A.M. Canopi)

Signore, tre grazie ti chiedo
O Signore,
dammi tutto ciò che mi conduce a te.
O Signore,
toglimi tutto ciò che mi allontana da te.
O Signore,
strappa anche me da me stessa e dammi totalmente a te.
(Beata Edith Stein )

In cammino con la Trinità
Io dono e consacro a te
tutto ciò che è in me:
la mia memoria e le mie azioni
a Dio Padre;
il mio intelletto e le mie parole
a Dio Figlio;
la mia volontà e i miei pensieri
a Dio Spirito Santo;
la mia lingua, i miei sensi
e tutte le mie sofferenze
alla sacra umanità di Gesù Cristo,
che non ha esitato
a consegnarsi nelle mani dei violenti
e a subire il tormento della Croce.
(San Francesco di Sales)

Atto di fede
Mio Dio, perchè sei verità infallibile credo tutto quello che Tu hai rivelato e la Santa Chiesa ci propone a credere. Credo in Te, unico vero Dio, in tre persone uguali e distinte, Padre e Figlio e Spirito Santo. Credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnato, morto e risorto per noi, il quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena eterna. Conforme a questa fede voglio sempre vivere. Signore accresci la mia fede. Amen

Alcuni riferimenti biblici
Mt 6, 25-34    La presenza provvidente e paterna di Dio
Is 40, 11          L'atteggiamento paterno di Dio
Gv 15, 1-17    Rimanete nel mio amore
Ef 3, 14-19     Che il Cristo abiti nei vostri cuori






IL DIAMANTE DELLA SPERANZA
È la certezza dell’aiuto dall’Alto


Nel sogno Don Bosco ricorda di:
  • Sperare  nel Signore, non negli uomini. «È meglio rifugiarsi nel Signore, che confidare nei potenti».
  • La Speranza  è la certezza di una presenza, ieri, oggi e sempre.
  • La Speranza è radicata nella risurrezione di Cristo.
  • La Speranza è, quindi, la certezza di essere fatti per la Vita: la vita nel tempo e nell’eternità!
  • I discepoli di ogni tempo implorano: «Resta con noi, Signore, che si fa sera». Cristo risponde prontamente: «Sì, resto con voi, in voi, per voi».


Il rischio, la tentazione….
Come è possibile rimanere indifferenti a questo amore che si fa Vita per noi, che si fa nutrimento e sostegno ogni giorno? Come è possibile banalizzare o deridere questa Presenza?
Eppure molti giovani, oggi, non si sono ancora ‘scontrati’ con il Dio della Vita! Molti sono indifferenti e non vogliono chiamare con il loro nome le attese e i desideri che si portano nel cuore.
Al mattino, quando ti alzi, se sollevi lo sguardo al Cielo e hai il coraggio di dire ‘grazie’ perché ti sei svegliato o perché puoi vivere, sei un giovane di Speranza. Sarai capace di lasciare dei segni di gioia, di vita, di speranza.
Sii un giovane ‘certo’, sicuro, dell’Amore di Dio!




Per un cammino nella speranza
  • Innanzitutto la gioia. Impara a vivere nella gioia, nell’ottimismo, nella serena percezione che Dio ha cura di te.
  • Ama la Vita! Coltiva su di essa, uno sguardo contemplativo. È lo sguardo di chi vede la vita nella sua profondità, cogliendone le dimensioni di gratuità, di bellezza, di provocazione alla libertà e alla responsabilità.
  • «Prenditi cura di tutta la vita e della vita di tutti».


Azione
Leggi molto spesso il brano del vangelo di Mt 6,25-24 «Per la vostra vita non affannatevi!» (riportato qui sotto), per consolidare in te la certezza che Dio è il Dio vivo e operante e per questo è il Dio della Speranza.

Preghiera
Dal Vangelo di Matteo (6,25-34)
«Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena».

Atto di Speranza
Mio Dio, spero dalla tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. Signore che io possa goderti in eterno.

Magnificat
(È uno dei canti più belli di Speranza!)

L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l’onnipotente
e santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri Padri,
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.


IL DIAMANTE DELLA CARITÀ
È il saper portare i pesi gli uni degli altri


Nel sogno Don Bosco ricorda che:
  • «Deus caritas est!». Dio è Carità! Da lui trae origine ogni forma di amore e di disponibilità.
  • La carità è un costante atteggiamento di sincero amore verso le persone. Una carità che si fa concreta sollecitudine per tutti.
  • «Amate e sarete amati». La carità fa del bene, prima di tutto, alla persona che generosamente dona.
  • La carità è un farsi tutto a tutti senza riserve. Don Bosco ama i giovani che si donano con gioia e senza riserve. La carità diventa luogo di formazione e di gioia.
  • Ogni giovane viene educato, nell’ambiente salesiano, alla disponibilità e al sacrificio (essere giovani per i giovani). ‘Servizio’ è il nome della carità all’Oratorio di don Bosco.
  • Servizio svolto a vari livelli (assistenza, lavoro educativo e manuale, prendersi cura - angeli custodi - disponibilità varia…).


Il rischio, la tentazione….
«Negligenza nel darsi alle cose di Dio. Amano e cercano i gusti propri». Così don Bosco descrive il giovane che non è capace di vivere la carità.
Oggi si fa molto per gli altri, è vero. Ma qual è la motivazione del servizio? Gratificazione personale o gratuità evangelica? Quanto è programmata la carità e quanto è, al contrario, spontanea? In che misura un giovane è capace di cogliere le ‘occasioni’ e le opportunità caritative  che la vita presenta? Sono domande da fare a giovani che fanno fatica ad essere ‘gratuiti’ e generosi. La carità mi fa cercare sempre il bene degli altri.
“Vivere la vita come un dono” non è solo uno slogan, ma è la formula per raggiungere la propria realizzazione.
«La carità non abbia finzioni!». Questa affermazione di S. Paolo ci dovrebbe scuotere dalle nostre mediocrità e tiepidezze!

Per un cammino nella carità
  • Inizia ad allenarti nella carità concreta in famiglia (disponibilità, servizio, attenzioni, gentilezza, parole buone, generosità).
  • Scegli una pagina di Vangelo che sostenga il tuo dono e dia ragione, motivi, alla tua gratuità.
  • Alimenta la tua capacità di gratuità curando la tua partecipazione all’Eucaristia. Solo lì si comprende cosa significhi ‘dare la vita’ gratuitamente.
  • Nutriti di buoni esempi scegliendo una biografia di un Santo della carità: leggi, medita, imita.

Azione
Vivi concretamente la carità in uno degli atteggiamenti suggeriti da S. Paolo nella 1Cor 13 (che trovi qui riportata).

Preghiera

Dalla Prima Lettera ai corinzi (13,4-13)
«La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia.  Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.
Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!».

Atto di carità
Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perchè sei bene infinito e nostra eterna felicità; e per amor tuo amo il prossimo come me stesso e perdono le offese ricevute. Signore, che io ti ami sempre più.


Prenditi del tempo per leggere e meditare  attentamente le parole dell’istituzione dell’Eucaristia: Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,15-20; 1 Cor 11,23-26. Sono parole che indicano a noi cristiani la logica della carità: una vita ‘spezzata’ e donata per tutti.

Padre, rendici degni di servire
   Beata  Teresa di Calcutta

Padre, rendici degni
di servire i tuoi figli e nostri fratelli,
che in mezzo al mondo vivono e muoiono
nella povertà e nella fame.
Da’ loro, attraverso
le nostre mani e il nostro cuore,
il pane quotidiano, la pace e la gioia.
Padre, donaci oggi e sempre
la fede che sa vedere e servire
Gesù, tuo Figlio, nei poveri.
Fa’, o Padre, che diventiamo un tralcio
genuino e fruttuoso di Gesù, vera vite,
accettandolo in noi
come la verità che dobbiamo annunciare,
come la vita che dobbiamo vivere,
come la luce che dobbiamo accendere,
come l’amore che dobbiamo comunicare,
come la via che dobbiamo percorrere,
come la gioia che dobbiamo donare,
come la pace, che dobbiamo diffondere,
come il sacrificio che dobbiamo offrire
per la salvezza del mondo.

Concedimi, Padre buono   
        S. Benedetto

Degnati di concedermi, Padre buono e santo,
un'intelligenza che ti comprenda,
un sentimento che ti senta,
un animo che ti gusti,
una diligenza che ti cerchi,
una sapienza che ti trovi,
uno spirito che ti conosca,
un cuore che ti ami,
un pensiero che sia rivolto a te,
un'azione che ti dia gloria,
un udito che ti dia ascolto,
degli occhi che ti guardino,
una lingua che ti confessi,
una parola che ti piaccia,
una pazienza che ti segua,
una perseveranza che ti aspetti,
una fine perfetta e le tua santa presenza,
la risurrezione, la ricompensa
e la vita eterna.

Ottienimi un cuore nuovo

O Don Bosco, che non hai cercato
altro che la gloria di Dio e la salvezza delle anime,
ottienimi un cuore generoso.

Tu che hai avuto, come Cristo,
compassione di ogni miseria,
ottienimi un cuore che sappia compatire.

Tu che non ti sei mai fermato
alle belle formule e ai sentimenti superficiali,
ottienimi un cuore che sappia amare sul serio.

Tu che sei sempre andato avanti
nonostante le incomprensioni, le difficoltà e le fatiche,
ottienimi un cuore coraggioso.

Tu che hai sempre servito Dio
e gli altri con serenità, ottimismo e gioia,
ottienimi un cuore allegro.

Tu che hai teneramente
amato e servito Maria Santissima,
ottienimi un cuore puro e filiale.

Tu che, in modo mirabile,
hai imitato Cristo servo del Padre e dei suoi fratelli,
ottienimi un cuore simile al tuo
per essere simile a quello di Cristo.
Amen.

IL DIAMANTE DEL LAVORO
È l’impegno serio e costante nei propri doveri


Nel sogno Don Bosco ricorda che:
  • Il lavoro è un’arma potente contro tutte le tentazioni del demonio.
  • Il lavoro, l’esatto compimento dei propri doveri, è indispensabile ad un giovane che vuole vincere la pigrizia e l’oziosità.
  • L’esatto compimento dei doveri non solo ti rende forte e capace di impiegare bene il tempo, ma ti offre la possibilità di realizzarti e di contribuire al bene comune.


Il rischio, la tentazione….
Lavorare oggi! Da  una parte c’è l’incertezza della stabilità lavorativa, dall’altra c’è la fatica dell’impegno personale a lavorare con serietà e costanza. Oggi il rischio più grande per i giovani è quello di non saper gestire bene il loro tempo. Troppo tempo sciupato, perso, organizzato e occupato male!
«Il sonno, il furto e l’oziosità» è la realtà che don Bosco vede sul manto tarlato. Il rimedio a questi ‘tarli’ è la serietà, l’impegno e la laboriosità. Sono questi gli atteggiamenti da coltivare per combattere la tentazione della  svogliatezza e della ‘poltroneria’.
Occorre ricuperare il bello di una vita laboriosa: «che ‘trasforma’ e rende l’uomo in un certo senso più uomo». Ricuperare il valore di un lavoro che offre la possibilità di un guadagno serio, da gestire con responsabilità per la vita, senza eccessi e sprechi.

Per un cammino nel lavoro
  • Impara, per prima cosa, ad utilizzare bene il tempo.
  • Vivi il tuo lavoro/studio come partecipazione all’opera creatrice di Dio.
  • Cerca di fuggire “l’immobilismo”. Non lasciarti annientare dalla pigrizia: sii grintoso e coraggioso in ogni tua attività.
  • Sii ordinato ed equilibrato nel tuo lavoro/studio. Alzati per tempo e vai a riposare presto. Evita gli eccessi.

Azione
Programma bene la tua giornata. Cerca di renderla “ordinata” in maniera intelligente.
Verifico ogni sera la serietà e la responsabilità del lavoro? Mi sono guadagnato con impegno il pane quotidiano?
Guardo con simpatia S. Giuseppe, modello di laboriosità e ne invoco l’aiuto?

Preghiera
Preghiera per essere responsabili nel lavoro
Ti scopriamo, nostro Creatore, un Dio che lavora:
impasti, plasmi, costruisci, scavi, stendi, coltivi, pascoli,curi, pensi, insegni.
Se tu lavori,
allora ogni nostro lavoro dice qualcosa del tuo lavoro.
Poni tra le nostre mani laboriose il dono del creato,
ci chiami a trasformarlo e a ricostruire
l’armonia dell’intera creazione.
Custodendo e coltivando le opere del creato,
ubbidendo alle indicazioni racchiuse nelle cose,
ci inseriamo nella tua attività creatrice,
ne prolunghiamo lo slancio,
la conduciamo al suo fine.
Ma il nostro lavoro, Signore, conosce anche il limite,
la vanità, il peccato, l’ingiustizia.
Dona al nostro agire di riflettere,
come uno specchio, il tuo agire.

Il Vangelo del lavoro
Ti rivedo, Maria, affaccendata nella tua casa di Nazareth, attenta ad attizzare il fuoco per cucinare, a ramazzare, a lavare e pulire il tuo bambino che, come tutti gli altri, rientrava a casa sporco per i giochi fatti sull’uscio di casa.

Ti rivedo Giuseppe mentre lavori il legno nella tua bottega di Nazareth; passi più volte la pialla, smussi con lo scalpello gli spigoli, fissi i chiodi con il martello e intanto con pazienza insegni a quel figlio che non è tuo i trucchi del mestiere.

Diteci, che cosa pensavate mentre lavoravate? Svelateci il segreto dei vostri pensieri, le richieste delle vostre preghiere, le ansie delle vostre preoccupazioni, le incertezze, nonostante la vostra grande fede, che vi hanno lacerato l’anima al pensiero del progetto per cui Dio vi aveva scelto.
Abbiamo bisogno di case come la vostra per poter respirare amore, essenzialità, dignità del lavoro umile e onesto. Regalateci il senso del limite, la gioia di un lavoro semplice, la coscienza che tutto ci è donato, la felicità di impegnarci per abbellire il nostro mondo.


(n.4)  La Chiesa trova già nelle prime pagine del Libro della Genesi la fonte della sua convinzione che il lavoro costituisce una fondamentale dimensione dell’esistenza umana sulla terra (..) Quando l’uomo, fatto ‘a immagine di Dio… maschio e femmina, sente le parole: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela”, anche se queste parole non si riferiscono direttamente ed esplicitamente al lavoro, indirettamente già glielo indicano la stessa essenza più profonda. L’uomo è immagine di Dio, tra l’altro, per il mandato ricevuto dal suo Creatore di soggiogare, di dominare la terra. Nell’adempimento di tale mandato, l’uomo, ogni essere umano, riflette l’azione stessa del Creatore dell’universo.

 (n.6)  Colui, il quale essendo Dio è divenuto simile a noi in tutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, presso un banco di carpentiere. Questa circostanza costituisce da sola il più eloquente “Vangelo del lavoro”, che manifesta come il fondamento per determinare il valore del lavoro umano non sia prima di tutto il genere di lavoro che si compie, ma il fatto che colui che lo esegue è una persona. (…) In ultima analisi, lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall’uomo – fosse pure il lavoro più “di servizio”, più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante – rimane sempre l’uomo stesso.




IL DIAMANTE DELLA  TEMPERANZA
È il dominio di sé, l’equilibrio, la misura


Nel sogno Don Bosco ricorda che:
  • «Il fuoco si spegne se togli la legna». La temperanza è la capacità di equilibrio e di misura in tutto quello che compi.
  • La temperanza è il frutto della capacità personale di frenare le proprie reazioni e passioni.
  • È la capacità di avere ‘buon senso’ in ogni cosa, così da avere comportamenti e reazioni equilibrate.

Il rischio, la tentazione….
Don Bosco riconosce che nella vita di un giovane, quando manca il controllo, c’è disordine. Nel sogno vede questa scritta, corrispondente alla mancanza di temperanza: «Gola: loro dio è il ventre».
Oggi esiste un soggettivismo mostruoso che rende squilibrata la vita e le relazioni. “Tutto mi è permesso”: sfrenatezza, disordine, gola, sensualità….
Il bello di una vita temperante è la gioia di vivere nella serenità e nell’ordine ogni relazione. Giustamente gli antichi affermavano che: «La temperanza è la madre della salute»


Per un cammino nella temperanza
  • Anzitutto ordine e verifica di ogni azione.
  • Controllo degli occhi, della gola, dei sensi.
  • Capacità di equilibrio e serietà nelle scelte quotidiane, ispirate ai valori evangelici.
  • Conoscere bene i rischi e le conseguenze di una vita non temperante.
  • Imparare a praticare un po’ di “mortificazione” (= dare morte al negativo che c’è in me): nella gola, negli spettacoli, nell’uso del computer, cellulare… È una salutare ‘igiene’ mentale, spirituale e fisica, che ti aiuterà a progredire nel cammino di maturazione e realizzazione.


Azione
Verifica attentamente la tua giornata per imparare ad essere temperante in ogni comportamento.
Possono aiutarti queste domande per mettere bene sotto la lente la tua giornata:
Ø  È veramente equilibrato il mio ordine del giorno?
Ø  Ho tempo a sufficienza per il dialogo con la mia famiglia, i miei amici, per il silenzio, la preghiera e per il riposo?
Ø  Mi prendo il tempo necessario per i pasti o trovo solo il tempo per ingozzarmi?
Ø  È bene organizzato il mio tempo, oppure mi lascio spingere da un’occupazione all’altra?
Ø  Sono capace di ‘misura’ nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione sociale?


Preghiera

Equilibrio  (S. Agostino)
Signore, rendici
credibili senza arroganza,
allegri senza superficialità,
seri senza disperazione,
onesti senza presunzione,
severi senza cattiveria,
forti senza durezza,
buoni senza debolezza,
misericordiosi senza lasciare fare,
altruisti senza esibizione,
pacifici senza falsità,
vigilanti senza fissazioni,
sani senza indolenza,
sicuri senza imprudenza,
poveri senza miseria,
ricchi senza avarizia,
prudenti senza diffidenza.
Fa' che diventiamo
istruiti senza volerlo però sembrare,
concilianti ma inclini alla saggezza,
generosi ma non impazienti,
ospitali ma sobri;
fa' che lavoriamo con le nostre mani
ma senza confidare in noi stessi.
Manda in noi la luce, togli da noi
le tenebre dell'ignoranza.
Tu che vivi nei secoli dei secoli.

Lodi di Dio altissimo  S. Francesco d’Assisi
Tu sei santo, Signore, solo Dio,
che operi cose meravigliose.
Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo,
Tu sei re onnipotente, Tu, Padre santo,
re del cielo e della terra.
Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dèi,
Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene,
il Signore Dio vivo e vero.
Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza,
Tu sei umiltà, Tu sei pazienza,
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine,
Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.
Tu sei gaudio e letizia,
Tu sei la nostra speranza, Tu sei giustizia,
Tu sei temperanza,
Tu sei tutta la nostra ricchezza a sufficienza.
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore,
Tu sei custode e nostro difensore,
Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio.
Tu sei la nostra speranza,
Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza,
Tu sei la nostra vita eterna,                                                                                                        
grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.



Alcuni riferimenti biblici

Sap. 8,7    «Se uno ama la giustizia,
le virtù sono il frutto delle sue fatiche.
Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza,
la giustizia e la fortezza,
delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita».

Sir. 6,2-4   «Non ti abbandonare alla tua passione,
perchè non ti strazi come un toro furioso;
divorerà le tue foglie e tu perderai i tuoi frutti,
sì da renderti come un legno secco.
Una passione malvagia rovina chi la possiede
e lo fa oggetto di scherno per i nemici».

Lc 8,14  «Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione».

Lc 21,34-35  «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra».




IL DIAMANTE DELLA OBBEDIENZA
È credere all’Amore di Dio


Nel sogno Don Bosco ricorda che:
  • L’obbedienza è la piena disponibilità all’amore di Dio. Per questo l’obbedienza è tutto nella vita cristiana.
  • Obbedienza significa ascoltare e mettere in pratica la Parola di Dio, così come ha fatto Maria, Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei cristiani.
  • Un giovane che sa vivere in questo modo, mette la base per una vita ‘virtuosa’, ossia  una vita onesta e leale.
  • L’obbedienza, che è docilità alle richieste dell’Amore di Dio, è la strada sicura per giungere alla santità, alla gioia vera: «È la base e il coronamento - scrive don Bosco - dell’edificio della santità».

Il rischio, la tentazione….
Il rischio più forte per un giovane oggi è il ‘vuoto’ di riferimenti. Non si sa più a chi consegnarsi e di chi fidarsi. L’obbedienza cristiana ci suggerisce l’atteggiamento dell’abbandono in Colui al quale «nulla è impossibile».
Troppi giovani ‘rischiano’ lasciando senza contenuto la loro vita. Giustamente don Bosco, nel manto tutto tarlato, al posto dell’obbedienza non trova nulla, c’è il vuoto. È il simbolo di una vita senza significato e fondamento. Altra tentazione oggi a cui far fronte è la mancanza di disponibilità. Troppe persone non riescono a ‘gustare’ il bello della vita perché non sono disponibili  a vivere le esigenze del Vangelo.

Per un cammino nella obbedienza
  • Impara ad avere ogni giorno il Vangelo come riferimento delle tue giornate. Leggilo volentieri e in modo costante.
  • Riconosci l’Amore di Dio in te e attorno a te. Prova a ‘rispondere’ a questo amore, obbedendo alla logica dell’amore.
  • Sii obbediente alla guida spirituale come mediazione del Signore. Se non possiedi ancora una guida, è arrivato il momento di trovarla!
  • Vivi parte del tuo tempo in ginocchio, davanti al Signore, per ascoltarlo e rafforzare la tua disponibilità ad obbedire alla sua Parola.
  • Renditi disponibile. Non lasciarti sfuggire le occasioni per vivere le esigenze del Vangelo e della vita cristiana.


Azione
Rileggi alcuni brani evangelici e mettili a confronto con la tua vita, chiedendoti se sei obbediente, «consegnato» a queste richieste:

Gv 21,15-23  «Mi ami tu?»
Mt 8, 23-27  «Perché avete paura?»
Mt 11, 28-30  «Venite a me»
Mt 14, 22-23  «Sono io, non abbiate paura»
Lc 10,38-42 «Una sola è la cosa di cui c'è bisogno»
Gv 10,1-18 «Io sono il buon pastore»
Gv 14, 1-11 «Io sono la via, la verità e la vita»
Gv 15, 1-17 «Rimanete in me»




Preghiera
Rifletti e medita su queste affermazioni ai giovani del Beato Giovanni Paolo II.

«Ascoltate la voce di Gesù nel profondo dei vostri  cuori! Le sue parole vi dicono chi siete in quanto cristiani. Vi insegnano che cosa dovete fare per rimanere nel suo amore»

«Se, nel profondo del vostro cuore, sentite risuonare la chiamata al sacerdozio o alla vita consacrata, non abbiate paura di seguire Cristo sulla strada della Croce».

«Anche se sono vissuto fra molte tenebre, sotto duri regimi totalitari, ho visto abbastanza per essere convinto in maniera incrollabile che nessuna difficoltà, nessuna paura è così grande da poter soffocare completamente la speranza che zampilla eterna nel cuore dei giovani».

«Scegliete tra la vita e la morte, fra la verità e la menzogna. Non lasciate che la speranza muoia! Noi non siamo la somma delle nostre debolezze e dei nostri fallimenti; al contrario, siamo la somma dell'Amore del Padre per noi e della nostra reale capacità di divenire l'immagine del Figlio suo».

«Il sale condisce e dà sapore al cibo. Nel seguire Cristo, voi dovete cambiare e migliorare il 'gusto' della storia umana. Con la vostra fede, speranza e amore, con la vostra intelligenza, coraggio e perseveranza, dovete umanizzare il mondo nel quale viviamo».




Salmo 130  «Il salmo della consegna»
Signore, non si inorgoglisce il mio cuore
e non si leva con superbia il mio sguardo;
non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze.
            Io sono tranquillo e sereno
            come un bimbo in braccio a sua madre,
            come un bimbo svezzato è l'anima mia.
Speri Israele nel Signore,
ora e sempre.



IL DIAMANTE DELLA POVERTÀ
È l’atteggiamento del cuore di semplicità e fiducia


Nel sogno Don Bosco ricorda che:
  • La povertà è quell’atteggiamento del cuore che mi fa essere vicino ai poveri, non con le parole ma con i fatti.
  • Esige uno stile di vita fatto di sobrietà e semplicità. È necessario amare l’essenzialità per assomigliare al Signore Gesù.
  • È amare la semplicità per concentrarsi su ciò che veramente ha valore: «Essa ci apre le porte del Cielo!».
  • «Letto , vestito, bevande e denaro». È il ritratto del ‘ricco’ che pensa solo a se stesso e non ha tempo e risorse per gli altri. Guardati dall’essere eccessivamente rilassato nel concederti ogni comodità.


Il rischio, la tentazione….
Seguire Gesù, come cristiani, comporta uno stile di vita semplice e sobrio che rende capaci di rinunciare al superfluo, di dominare gli istinti e di aprirsi agli altri. È proprio questa la fatica e la tentazione di oggi. Abbiamo tutto e facciamo fatica a rinunciare a qualcosa. Preferiamo il ‘rilassamento’ alla essenzialità. Troppi giovani sono legati a quello che hanno più che a quello che sono! Vivono così nell’avarizia e non nella generosità, nell’avidità e nello spreco, piuttosto che nella condivisione. I troppi beni addormentano il senso della riconoscenza. Consideriamo tutto come dovuto, tutto come scontato e, invece, «che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?» (1 Cor 4,7). Forse occorre che torniamo a dire grazie, ad essere riconoscenti, a meravigliarci delle cose, a non lagnarci troppo se ci manca qualcosa.

Per un cammino nella povertà
Ti indico alcuni passi per vivere concretamente e personalmente la povertà evangelica: 
  • possiedo sempre troppo per me stesso?
  • sono convinto che nulla mi è dovuto?
  • normalmente scelgo per me quello che è comune e ordinario?
  • mi ricordo di chi è nelle strettezze quando uso i beni di questo mondo?
  • sono disponibile al servizio del prossimo in modo disinteressato?
  • sono sensibile ai bisogni del prossimo, anche se non espressi?
  • conto sull’aiuto di Dio quando si tratta di servirlo? (“Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato come sovrappiù”)

Azione
«Anche se uno è nell’abbondanza, la sua felicità non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15). Continuamente i vangeli ci mettono in guardia dai pericoli della ricchezza. Davvero c’è il pericolo di perdersi nell’abbondanza e di fallire la vita.
Imposta la tua giornata sull’essenzialità: prova a fare un elenco di cose di cui puoi fare a meno. Prova ad accontentarti del necessario e verifica la tua capacità di condivisione.


Preghiera di san Charle de Foucauld  (Opere Spirituali)

«O mio Signore Gesù, come sarà presto povero colui che amandoti con tutto il suo cuore non potrà sopportare d’essere più ricco del suo Beneamato. O mio Signore Gesù, come sarà presto povero colui che, pensando che tutto ciò che si fa ad uno di questi piccoli lo si fa a Te, che tutto ciò che ad essi non si fa, non lo si fa a Te, allevierà tutte le miserie alla sua portata. Come sarà presto povero colui che accoglierà con fede le tue parole: «Se vuoi essere perfetto, vendi quanto hai e dallo ai poveri... Beati i poveri… chiunque avrà abbandonato i suoi beni per me, riceverà quaggiù cento volte di più e in cielo la vita eterna…» e tante altre…O mio Dio, io non so se è possibile a certe anime vederti povero e restare volentieri ricche, vedersi talmente più grandi dei loro Maestro, del loro Beneamato, non voler rassomigliarTi in tutto, per quanto dipende da esse, e soprattutto nelle tue umiliazioni; io voglio, sì, che esse Ti amino, o mio Dio, ma tuttavia credo che manchi qualcosa al loro amore, e che comunque io non posso concepire l’amore senza un bisogno, un bisogno imperioso di conformità, di rassomiglianza e soprattutto di partecipazione a tutte le pene, a tutte le difficoltà, a tutte le asprezze della vita…Essere ricco, a mio agio, vivere dolcemente coi miei beni, quando Tu sei stato povero, in ristrettezze, vivendo penosamente di un faticoso lavoro in quanto a me non lo posso, o mio Dio…, io non posso amare così».



DIAMANTE DELLA CASTITÀ
È la capacità di amare in modo ordinato


Nel sogno Don Bosco ricorda che:
  • I puri di cuore  vedono i segreti di Dio e contemplano Dio stesso.
  • Chi vive l’amore in modo ‘ordinato’ emana una luce tutta speciale che attira, affascina e rimanda a Dio.
  • La castità è per un giovane necessaria se vuole educare il suo cuore ad amare in modo pieno e duraturo.
  • Tutti i giovani capaci di impegno in questo campo sono in grado di costruire amicizie profonde e costruttive.
  • Imparare ad amare esige un cammino di educazione del cuore, lottando contro la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita.

Il rischio, la tentazione….
La realtà della sessualità è buona, bella e santa, perché Dio l’ha iscritta nella nostra corporeità: non bisogna avere paura. È, nello stesso tempo, una realtà molto fragile, delicata, costruita su equilibri sottilissimi, che è molto facile alterare e qualche volta sbilanciare, con ripercussioni serie sull’equilibrio della persona. Troppi giovani in questo campo ‘si fanno del male’. Il rischio è quello di banalizzare la sessualità, oppure ridurla a consumo innocuo. Una sessualità soltanto «genitale», vissuta selvaggiamente, in qualche modo dissocia la persona e ne soffoca le energie più alte, quali il pensare, il decidere, il perseverare, l’amare.
Non stupisce allora l’insistenza cristiana perché si stia lontano da occasioni di peccato e si coltivi la purezza anche sensuale, affettiva, psicologica e spirituale.

Per un cammino nella castità

Qualche mezzo pratico per crescere nella castità:

*Prima di tutto e sopra di tutto, coltivare una relazione assidua di amore forte con Gesù.

*In secondo luogo promuovere tutto quello che ci aiuta a elevare la nostra affettività. Per essere concreti:
  • Rispetto per il prossimo, specie quello dell’altro sesso;
  • Amicizia e comunione con persone e gruppi che condividono il valore della castità;
  • Creatività in ciò che facciamo e nel nostro lavoro;
  • Sapere dire di no a gratificazioni immediate e passeggere al fine di raggiungere beni più stabili.


Azione
Esercitati nel dono totale. Cerca di vivere con più impegno e ordine la gratuità nell’amare Dio e gli altri. L’educazione del tuo cuore passa attraverso l’impegno a lottare, quotidianamente e coraggiosamente, contro le forme di consumo immediato ed egoistico della tua sessualità.
Sii moderato e prudente nell’uso di internet! Ricordati: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio!».

Preghiera

Vieni, Spirito di fortezza  (Madre Anna Maria Canopi)

Vieni, Spirito di fortezza,
e accompagnaci nel nostro cammino,
perché vasto e pauroso è il deserto della prova,
dove il nemico ci assale
sorprendendoci con armi subdole e sleali.
Vieni, Spirito di fortezza,
a sostenere ogni nostro passo,
a ispirare ogni nostro pensiero,
a purificare ogni nostro desiderio,
affinché, seguendo Gesù,
la nostra fame altro cibo non cerchi
che la Parola di Dio,
la nostra fede non voglia trovare certezze
se non nel totale abbandono;
la nostra sete di grandezza
si appaghi unicamente
nella ricerca della gloria del Padre,
e il nostro cuore si apra a ricevere dal suo gratuito amore
la pura gioia del Regno dei cieli.
Amen.

Ci viene chiesto di amare in questo modo. 
Confrontati, prega e medita con la Parola di Dio  (1 Cor 13)

«Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
 E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità.  Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà».




DIAMANTE DEL PREMIO
È la gioia del Paradiso!


Nel sogno Don Bosco ricorda che:
  • «Un pezzo di Paradiso aggiusta tutto!». Non possiamo dimenticare la gioia del Paradiso come coronamento di ogni nostro sforzo.
  • È Dio stesso che ci vuole in Paradiso! Un giovane non può non guardare al Cielo per ravvivare la gioia del suo cristianesimo.
  • La gioia del Premio rafforza l’impegno e dona nuova energia a tutta l’azione caritativa, spirituale e umana.
  • La certezza che Dio ci vuole tutti in Paradiso rende il giovane capace di vigilanza e di attesa operosa nella carità.


Il rischio, la tentazione….
«Nostra eredità saranno i beni della terra», si legge nel manto tutto tarlato e consumato. La tentazione più ricorrente oggi è quella dell’orizzontalismo, cioè il vedere tutte le cose soltanto da un punto di vista umano. Molti giovani non sanno alzare lo sguardo e avere prospettive e orizzonti di senso! La qualità di una vita dipende anche dal senso che uno riesce ad attribuire ad ogni cosa che compie, compreso il soffrire e il morire.

Per un cammino nell’attesa del Paradiso
Prova ad impostare la tua vita su questi tre semplici registri, scoprirai la gioia, non solo dell’attesa del Paradiso, ma anche quella dell’incontro personale con Colui che ti attende nel Regno dei Cieli.

  • Vedere il Risorto: è un’esperienza di conversione continua e profonda.
  • Incontrare il Risorto: è un’esperienza di missione. Lo riconosci nelle pieghe delle tue giornate e delle tue relazioni.
  • Testimoniare il Risorto: è un’esperienza di relazione spirituale. È in gioco la tua capacità di essere segno credibile dell’amore di Dio.

Azione

La vita del cristiano è dunque vissuta “nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo”.  Ecco l’impegno quotidiano:

Un’attesa che si fa vigilanza per non lasciarsi prendere dal sonno, ma per tenersi pronti per accogliere il Signore che viene.
Un’attesa che è distacco. «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano» (Lc 21,34).
Un’attesa che è lotta contro ogni tentazione: «Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede» (1 Pt 5,8-9).
Un’attesa che è preghiera, per essere virtuosi: «Vegliate e pregate in ogni momento» (Lc 21,36).
Un’attesa operosa che è vita vissuta con impegno nello svolgimento dei propri doveri e nella carità verso il prossimo:  «Bene servo buono e fedele. Sei stato fedele nel poco… »(Lc 19, 12-26).



Preghiera

Dio della Vita,
Tu ci hai chiamato
alla comunione con Te
nella fedeltà
di un alleanza eterna
e personale,
donaci di vivere
il tempo presente
nella speranza
della vita senza fine,
dando ad ogni scelta
di questa vita che passa
la dignità e il sapore
di un atto che prepari
la gioia infinita
della partecipazione
al giorno senza tramonto
del Tuo Amore.
Allora, nella pace del Tuo Spirito,
canteremo per sempre
il cantico dei risorti,
uniti al Figlio Tuo,
Signore della nostra vita
e della storia,
unico vincitore
del peccato e della morte.
Amen.

Lettera a Diogneto
Medita questa meravigliosa pagina dei primi secoli e raccogli alcuni spunti per vivere la tua giornata in “attesa” e in “vigilanza”.

I cristiani non si distinguono dagli altri uomini, né per il territorio, né per la lingua, né per vestiti. Essi non abitano città loro proprie, non usano un linguaggio particolare, né conducono uno speciale genere di vita. Abitando in città greche o barbare, come a ciascuno è toccato in sorte, ed adattandosi agli usi del paese nel vestito, nel cibo e in tutto il resto del vivere, danno esempio di una loro forma di vita sociale meravigliosa, che, a confessione di tutti, ha dell'incredibile. Abitano la loro rispettiva patria, ma come gente straniera; partecipano a tutti i doveri come cittadini, e sopportano tutti gli oneri come stranieri. Ogni terra straniera è patria loro, e ogni patria è terra straniera. 

Si sposano come tutti gli altri e generano figli, ma non espongono i neonati. Vivono nella carne ma non secondo la carne. Passano la loro vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro tenore di vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti e sono condannati; si dà loro la morte, ed essi ne ricevono la vita. Sono poveri e fanno ricchi molti; sono privi di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nel disprezzo trovano gloria; si fa oltraggio alla loro fama, e si aggiunge testimonianza alla loro innocenza. Insultati benedicono; si insolentisce contro di loro, ed essi trattano con riverenza. Fanno del bene, e sono puniti come malfattori; e, puniti, godono, quasi si dia loro vita. I giudei fanno loro guerra come razza straniera e gli Elleni li perseguitano; ma coloro che li odiano non sanno dire il motivo del loro odio. Per dirla con una parola, i cristiani sono nel mondo ciò che l'anima è nel corpo. L'anima è diffusa in tutte le parti del corpo: anche i cristiani sono disseminati nelle città del mondo. L'anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo: anche i cristiani abitano nel mondo, ma non provengono dal mondo.

L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile; anche i cristiani si sa che sono nel mondo; ma la loro pietà rimane invisibile. La carne odia l'anima e le fa guerra, senza averne ricevuto ingiuria, ma solo perché le proibisce di godere dei piaceri: anche il mondo odia i cristiani, che non gli hanno fatto alcun torto, solo perché essi s'oppongono ai piaceri. L'anima ama la carne, che l'odia, e le membra: anche i cristiani amano coloro che li odiano. L'anima è racchiusa nel corpo, ma essa stessa sostiene il corpo: anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. L'anima immortale abita in una tende mortale: anche i cristiani dimorano come pellegrini tra le cose che si corrompono, in attesa dell'incorruttibilità dei cieli. Maltrattata nei cibi e nelle bevande, l'anima si fa migliore: anche i cristiani, puniti si moltiplicano di giorno in giorno. Tanto alto è il posto che ad essi assegnò Dio, né è loro lecito abbandonarlo.





DIAMANTE DEL DIGIUNO
È uno strumento per rinvigorire lo spirito


Nel sogno Don Bosco ricorda che:
  • Il digiuno è un elemento necessario per  camminare nella vita spirituale, nell’ascesi.
  • ti permette di dare, con più facilità, ‘morte’ a tutto ciò che ti allontana da Dio (mortificazione). La mortificazione scaccia ogni sorta di nemico. E’ «la sentinella di tutte le virtù».
  • aiuta a vivere la solidarietà e la condivisione.
  • aiuta a fare discernimento e ad avere una più lucida capacità di vedere le cose con gli occhi di Dio, quindi di decidere qualcosa di grande per la vita.

Il rischio, la tentazione….
Oggi assistiamo alla incapacità quasi assoluta di rinunciare a qualcosa e a fare digiuno. La società, soprattutto quella giovanile, è troppo indebolita e fiacca.  Non si crede più al valore del “digiuno” come arma potente per rafforzare la volontà e crescere interiormente. L’eccesso ha preso il posto alla sobrietà, l’apatia al vigore, la stanchezza alla fortezza.
Chi è capace di non essere schiavo delle cose, riesce a vivere nella libertà, nella freschezza  e nella gioia.

Per un cammino nel digiuno
Elenco alcuni comportamenti che possono facilmente rendere schiavi del superfluo e che possono rappresentare, a rovescio,  un cammino di educazione alla sobrietà:
§  il consumo alimentare senza moderazione;
§  l'uso eccessivo di bevande alcoliche e di fumo;
§  la ricerca incessante di cose superflue, accettando acriticamente ogni moda;
§  le spese abnormi che talvolta accompagnano le feste popolari e persino quelle religiose;
§  la ricerca smodata di forme di divertimento che non servono al necessario recupero psicologico e fisico;
§  l'occupazione frenetica, che non lascia spazio al silenzio, alla riflessione e alla preghiera;
§  il ricorso esagerato alla TV, internet, ecc…


Azione
I cristiani sono chiamati ad offrire una preziosa testimonianza di fede circa i veri valori della vita umana, favorendo la nostalgia e la ricerca di quella spiritualità di cui ogni persona ha grande bisogno.
Il digiuno dei cristiani deve diventare un segno concreto di comunione con chi soffre la fame e una forma di condivisione e di aiuto con chi si sforza di costruire una vita sociale più giusta e più umana. Prova a fissare nella tua giornata alcuni ‘digiuni’ che ti aiutano a crescere nella condivisione e nella solidarietà (Fatti aiutare dall’elenco di possibilità riportato qui sotto).


Preghiera

Signore, Dio della gioia e fonte della vita,
Tu solleciti il digiuno
perché ci educa a riconoscere il bisogno di te,
ci fa sentire fame e sete di te e della tua parola di vita (cf Mt 4, 4),
ci dispone alla preghiera e alla  supplica (Mt 17,21;Dn 9,3)
e ci rende forti contro lo spirito maligno (cf Mc 9,29).
Noi vogliamo e desideriamo ardentemente
che tu abbia il primato nella nostra vita
e nulla ci riempia e ci piaccia più di Te.  Amen.

Spirito Santo,
che hai condotto Gesù nel deserto,
dove Egli ha digiunato per 40 giorni e 40 notti ,
per l’intercessione di Maria SS., 
Madre di Gesù e Madre mia,
aiutaci a DIGIUNARE

1-     dal lamentarmi
2-     dal mormorare
3-     dal criticare
4-     dalle parole inutili e velenose
5-     dalle malignità
6-     dalle insinuazioni
7-     dai sospetti malevoli e maliziosi
8-     dalle inerzie
9-     dalle pigrizie
10- dai cibi più piacevoli e abbondanti
11- dagli hobby
12- dalla TV
13- dal PC
14- dalle curiosità
15- dai rimandi
16- da cose superflue
17- da bere cose diverse dall’acqua
18- dal prendere più caffé
19- da mezz’ora di sonno per la preghiera
20- da spese vane
21- da telefonate non necessarie
22- da visite inopportune
23- dal parlare di me per vanagloria
24- dall’aprire subito una lettera
25- dal raggiungere subito una cosa che mi piace
26- da sogni vanitosi
27- da invidie
28- da gelosie,
29- da risentimenti,
30- da disimpegni
31- da piaceri sensuali
32- da relazioni possessive
33- da amicizie pericolose
34- da discorsi e battute frivole e sconce
35- da relazioni esclusive ed escludenti
36- da abitudini che rovinano e bloccano
37- da passatempi dispersivi
38- da gesti di ricerca di me
39- dal far convergere l’attenzione su di me
40- dalla loquacità
41- dal disordine
42- dall’attivismo a scapito della preghiera
43- dai giudizi temerari e cattivi
44- dalla maldicenza
45- dai pettegolezzi
46- dalle evasioni deresponsabilizzanti
47- dalle bugie
48- dai bisogni falsi
49- dagli sguardi e atti impuri
50- dalle letture nocive


CONCLUSIONE

Una favola per riepilogare …

Un professore  terminò la lezione, poi pronunciò le parole di rito: «Ci sono delle domande?». Uno studente gli chiese: «Professore, quale è il significato della vita?». Qualcuno tra i presenti che si apprestavano ad uscire si mise a ridere. Il professore guardò a lungo lo studente, chiedendo con lo sguardo se era una domanda seria. Comprese che lo era e allora disse: «Le risponderò». Estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, ne tirò fuori un pezzetto di specchio. Poi disse: «Ero bambino durante la guerra. Un giorno, sulla strada, vidi uno specchio andato in frantumi. Ne conservai il frammento più grande. Eccolo. Cominciai a giocarci e mi lasciai incantare dalla possibilità di riflettere la luce del sole negli angoli bui dove il sole non brillava mai: buche profonde, crepacci, ripostigli … conservai il piccolo specchio. Diventando uomo finii per capire che quello non era soltanto il gioco di un bambino, ma la metafora di quello che avrei potuto fare nella vita. Anch’io sono il frammento di uno specchio che non conosco nella sua interezza. Con quello che sono posso mandare la luce di quel Sole che è Gesù negli angoli bui del cuore degli uomini affinché qualcosa cambi in loro. In questo per me sta il significato della vita».

È una semplice storia, ma può illuminare maggiormente il messaggio che il sogno dei dieci diamanti ha voluto consegnarci: vivere la vita cristiana in modo luminoso e contagioso! Viverla senza scoraggiamenti e paure.
«Ieri comprendevi un poco; oggi comprendi di più; domani comprenderai ancora meglio: la luce di Dio cresce in te».
Questa affermazione di S. Agostino riassume in modo appropriato la logica di un percorso progressivo che ha come risultato lo splendore di quella luce, che è Dio, diamante di unica bellezza.

Caro giovane, la vita  è un’avventura troppo bella!

Non puoi e non devi renderla opaca per la tua superficialità o mediocrità. Non avere paura di faticare per cercare, conoscere e amare il diamante che dona un senso alla tua vita. Non perdere la gioia e l’entusiasmo della tua giovinezza, non arrenderti di fronte alle incertezze, ma affronta ogni ostacolo con serietà e responsabilità. Apprezzerai sempre più la chiarezza e la luminosità di Colui che ti ama, ti sceglie e ha cura di te, sempre!