domenica 31 ottobre 2021

BELLO AFFIDARCI A MARIA, MADRE E REGINA DIVINA


 

  CON L'INVOCAZIONE CHE USAVA SAN BERNARDO:


<< Memorare, o piissima Virgo Maria,

non esse auditum a sæculo,

quemquam ad tua currentem præsidia,

tua implorantem auxilia,

tua petentem suffragia, esse derelictum.

Ego tali animatus confidentia,

ad te, Virgo Virginum, Mater, curro,

ad te venio, coram te gemens peccator assisto.

Noli, Mater Verbi, verba mea despicere;

sed audi propitia et exaudi. >>

AMDG et DVM

TESTO ITALIANO DI UN DOCUMENTO CHE FA LUCE SULLA LETTERA APOSTOLICA Summorum Pontificum di S.S.Benedetto PP.XVI

 PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI

ISTRUZIONE
sull’applicazione della Lettera Apostolica
Motu Proprio data
 Summorum Pontificum di
S.S. BENEDETTO PP. XVI

 

I.
Introduzione

1. La Lettera Apostolica, Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice Benedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana.

2. Con tale Motu Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di dare una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962.

3. Il Santo Padre, dopo aver richiamato la sollecitudine dei Sommi Pontefici nella cura per la Sacra Liturgia e nella ricognizione dei libri liturgici, riafferma il principio tradizionale, riconosciuto da tempo immemorabile e necessario da mantenere per l’avvenire, secondo il quale "ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede" [1].

4. Il Sommo Pontefice ricorda inoltre i Pontefici Romani che, in modo particolare, si sono impegnati in questo compito, specificamente San Gregorio Magno e San Pio V. Il Papa sottolinea altresì che, tra i sacri libri liturgici, particolare risalto nella storia ha avuto il Missale Romanum, che ha ricevuto nuovi aggiornamenti lungo il corso dei tempi fino al Beato Papa Giovanni XXIII. Successivamente, in seguito alla riforma liturgica posteriore al Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI nel 1970 approvò per la Chiesa di rito latino un nuovo Messale, poi tradotto in diverse lingue. Papa Giovanni Paolo II nell’anno 2000 ne promulgò una terza edizione.

5. Diversi fedeli, formati allo spirito delle forme liturgiche precedenti al Concilio Vaticano II, hanno espresso il vivo desiderio di conservare la tradizione antica. Per questo motivo, Papa Giovanni Paolo II con lo speciale Indulto Quattuor abhinc annos, emanato nel 1984 dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, concesse a determinate condizioni la facoltà di riprendere l’uso del Messale Romano promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII. Inoltre, Papa Giovanni Paolo II, con il Motu Proprio Ecclesia Dei del 1988, esortò i Vescovi perché fossero generosi nel concedere tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedevano. Nella medesima linea si pone Papa Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum, nel quale vengono indicati alcuni criteri essenziali per l’Usus Antiquior del Rito Romano, che qui è opportuno ricordare.

6. I testi del Messale Romano di Papa Paolo VI e di quello risalente all’ultima edizione di Papa Giovanni XXIII, sono due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito Romano, che si pongono l’uno accanto all’altro. L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore.

7. Il Motu Proprio Summorum Pontificum è accompagnato da una Lettera del Santo Padre ai Vescovi, con la stessa data del Motu Proprio (7 luglio 2007). Con essa vengono offerte ulteriori delucidazioni sull’opportunità e sulla necessità del Motu Proprio stesso; si trattava, cioè, di colmare una lacuna, dando una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962. Tale normativa si imponeva particolarmente per il fatto che, al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non era sembrato necessario emanare disposizioni che regolassero l’uso della Liturgia vigente nel 1962. In ragione dell’aumento di quanti richiedono di poter usare la forma extraordinaria, si è reso necessario dare alcune norme in materia.

Tra l’altro Papa Benedetto XVI afferma: "Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso" [2].

8. Il Motu Proprio Summorum Pontificum costituisce una rilevante espressione del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa [3] e manifesta la Sua sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale [4].

Esso si propone l’obiettivo di:

a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare;

b) garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari;

c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa.

II.
Compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei

9. Il Sommo Pontefice ha conferito alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei potestà ordinaria vicaria per la materia di sua competenza, in modo particolare vigilando sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 12).

10. § 1. La Pontificia Commissione esercita tale potestà, oltre che attraverso le facoltà precedentemente concesse dal Papa Giovanni Paolo II e confermate da Papa Benedetto XVI (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, artt. 11-12), anche attraverso il potere di decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati, quale Superiore gerarchico, avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’Ordinario che sembri contrario al Motu Proprio.

§ 2. I decreti con i quali la Pontificia Commissione decide i ricorsi, potranno essere impugnati ad normam iuris presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.

11. Spetta alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, previa approvazione da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il compito di curare l’eventuale edizione dei testi liturgici relativi alla forma extraordinaria del Rito Romano.

III.
Norme specifiche

12. Questa Pontificia Commissione, in forza dell’autorità che le è stata attribuita e delle facoltà di cui gode, a seguito dell’indagine compiuta presso i Vescovi di tutto il mondo, con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, emana la seguente Istruzione, a norma del can. 34 del Codice di Diritto Canonico.

La competenza dei Vescovi diocesani

13. I Vescovi diocesani, secondo il Codice di Diritto Canonico, devono vigilare in materia liturgica per garantire il bene comune e perché tutto si svolga degnamente, in pace e serenità nella loro Diocesi [5], sempre in accordo con la mens del Romano Pontefice chiaramente espressa dal Motu Proprio Summorum Pontificum [6]. In caso di controversia o di dubbio fondato circa la celebrazione nella forma extraordinaria, giudicherà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei.

14. È compito del Vescovo diocesano adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano, a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum.

Il coetus fidelium (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 1)

15. Un coetus fidelium potrà dirsi stabiliter exsistens ai sensi dell’art. 5 § 1 del Motu Proprio Summorum Pontificum, quando è costituito da alcune persone di una determinata parrocchia che, anche dopo la pubblicazione del Motu Proprio, si siano unite in ragione della loro venerazione per la Liturgia nell’Usus Antiquior, le quali chiedono che questa sia celebrata nella chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella; tale coetus può essere anche costituito da persone che provengano da diverse parrocchie o Diocesi e che a tal fine si riuniscano in una determinata chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella.

16. Nel caso di un sacerdote che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale o in un oratorio con alcune persone ed intenda celebrare nella forma extraordinaria, come previsto dagli artt. 2 e 4 del Motu Proprio Summorum Pontificum, il parroco o il rettore di chiesa o il sacerdote responsabile di una chiesa, ammettano tale celebrazione, seppur nel rispetto delle esigenze di programmazione degli orari delle celebrazioni liturgiche della chiesa stessa.

17. § 1. Per decidere in singoli casi, il parroco o il rettore, o il sacerdote responsabile di una chiesa, si regolerà secondo la sua prudenza, lasciandosi guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza.

§ 2. Nei casi di gruppi numericamente meno consistenti, ci si rivolgerà all’Ordinario del luogo per individuare una chiesa in cui questi fedeli possano riunirsi per ivi assistere a tali celebrazioni, in modo tale da assicurare una più facile partecipazione e una più degna celebrazione della Santa Messa.

18. Anche nei santuari e luoghi di pellegrinaggio si offra la possibilità di celebrare nella forma extraordinaria ai gruppi di pellegrini che lo richiedano (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 3), se c’è un sacerdote idoneo.

19. I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale.

Il sacerdos idoneus (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 4)

20. In merito alla questione di quali siano i requisiti necessari, affinché un sacerdote sia ritenuto "idoneo" a celebrare nella forma extraordinaria, si enuncia quanto segue:

a) Ogni sacerdote che non sia impedito a norma del Diritto Canonico è da ritenersi idoneo alla celebrazione della Santa Messa nella forma extraordinaria [7].

b) Per quanto riguarda l’uso della lingua latina, è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato.

c) Per quanto riguarda la conoscenza dello svolgimento del Rito, si presumono idonei i sacerdoti che si presentano spontaneamente a celebrare nella forma extraordinaria, e l’hanno usato precedentemente.

21. Si chiede agli Ordinari di offrire al clero la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari, dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino [8] e, se le esigenze pastorali lo suggeriscono, offrire la possibilità di apprendere la forma extraordinaria del Rito.

22. Nelle Diocesi dove non ci siano sacerdoti idonei, i Vescovi diocesani possono chiedere la collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sia in ordine alla celebrazione, sia in ordine all’eventuale apprendimento della stessa.

23. La facoltà di celebrare la Messa sine populo (o con la partecipazione del solo ministro) nella forma extraordinaria del Rito Romano è data dal Motu Proprio ad ogni sacerdote sia secolare sia religioso (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 2). Pertanto in tali celebrazioni, i sacerdoti a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum, non necessitano di alcun permesso speciale dei loro Ordinari o superiori.

La disciplina liturgica ed ecclesiastica

24. I libri liturgici della forma extraordinaria vanno usati come sono. Tutti quelli che desiderano celebrare secondo la forma extraordinaria del Rito Romano devono conoscere le apposite rubriche e sono tenuti ad eseguirle correttamente nelle celebrazioni.

25. Nel Messale del 1962 potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi [9], secondo la normativa che verrà indicata in seguito.

26. Come prevede il Motu Proprio Summorum Pontificum all’art. 6, si precisa che le letture della Santa Messa del Messale del 1962 possono essere proclamate o esclusivamente in lingua latina, o in lingua latina seguita dalla traduzione in lingua vernacola, ovvero, nelle Messe lette, anche solo in lingua vernacola.

27. Per quanto riguarda le norme disciplinari connesse alla celebrazione, si applica la disciplina ecclesiastica, contenuta nel vigente Codice di Diritto Canonico.

28. Inoltre, in forza del suo carattere di legge speciale, nell’ambito suo proprio, il Motu Proprio Summorum Pontificum, deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962.

Cresima e Ordine sacro

29. La concessione di usare la formula antica per il rito della Cresima è stata confermata dal Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 9 § 2). Pertanto non è necessario utilizzare per la forma extraordinaria la formula rinnovata del Rito della Confermazione promulgato da Papa Paolo VI.

30. Con riguardo alla tonsura, agli ordini minori e al suddiaconato, il Motu Proprio Summorum Pontificum non introduce nessun cambiamento nella disciplina del Codice di Diritto Canonico del 1983; di conseguenza, negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il professo con voti perpetui oppure chi è stato incorporato definitivamente in una società clericale di vita apostolica, con l’ordinazione diaconale viene incardinato come chierico nell’istituto o nella società, a norma del canone 266 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

31. Soltanto negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei e in quelli dove si mantiene l’uso dei libri liturgici della forma extraordinaria, è permesso l’uso del Pontificale Romanum del 1962 per il conferimento degli ordini minori e maggiori.

Breviarium Romanum

32. Viene data ai chierici la facoltà di usare il Breviarium Romanum in vigore nel 1962, di cui all’art. 9 § 3 del Motu Proprio Summorum Pontificum. Esso va recitato integralmente e in lingua latina.

Il Triduo sacro

33. Il coetus fidelium, che aderisce alla precedente tradizione liturgica, se c’è un sacerdote idoneo, può anche celebrare il Triduo Sacro nella forma extraordinaria. Nei casi in cui non ci sia una chiesa o oratorio previsti esclusivamente per queste celebrazioni, il parroco o l’Ordinario, d’intesa con il sacerdote idoneo, dispongano le modalità più favorevoli per il bene delle anime, non esclusa la possibilità di ripetere le celebrazioni del Triduo Sacro nella stessa chiesa.

I Riti degli Ordini Religiosi

34. È permesso l’uso dei libri liturgici propri degli Ordini religiosi in vigore nel 1962.

Pontificale Romanum e Rituale Romanum

35. È permesso l’uso del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum, così come del Caeremoniale Episcoporum in vigore nel 1962, a norma del n. 28 di questa Istruzione e fermo restando quanto disposto nel n. 31 della medesima.

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’ Udienza concessa il giorno 8 aprile 2011 al sottoscritto Cardinale Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dato a Roma, dalla Sede della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il 30 aprile 2011, nella memoria di san Pio V.

William Cardinale Levada
Presidente

Mons. Guido Pozzo
Segretario

_______________

[1] BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica Summorum Pontificum Motu Proprio data, AAS 99 (2007) 777cf. Ordinamento generale del Messale Romanoterza ed. 2002, n. 397.

[2] BENEDETTO XVILettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 798.

[3] Cf. C.I.C. can. 838 §1 e §2.

[4] Cf. C.I.C. can. 331.

[5] Cf. C.I.C. cann. 223 § 2; 838 §1 e § 4.

[6] Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 799.

[7] Cf. C.I.C. can. 900 § 2.

[8] Cf. C.I.C. can. 249; cf. Conc. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Dich. Optatam totius, n. 13.

[9] Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 797.



DUNQUE, TUTTI A ROMA!


Cari Amici,

si avvicina la festa di Cristo Re, che celebreremo il prossimo 31 ottobre, e, con essa, il Pellegrinaggio Internazionale ad Petri Sedem del Populus Summorum Pontificum, che raggiunge così la sua decima edizione. Come sapete, qualche settimana fa il CISP – il comitato promotore – ne ha confermato il programma, che comprende la celebrazione della S. Messa Pontificale nella Basilica di S. Pietro sabato 30 ottobre.

Anche quest’anno, come nel 2020, il Pellegrinaggio si svolge in un clima particolare.

In primo luogo, stiamo ancora attraversando l’emergenza sanitaria. Se l’anno scorso essa ci costrinse alla sostanziale sostituzione del pellegrinaggio vero e proprio con una celebrazione che lo propose quasi simbolicamente, oggi possiamo riprenderlo in pienezza, anche se nel rispetto delle disposizioni precauzionali tuttora in vigore. L’organizzazione ci comunica che nei prossimi giorni verranno fornite tutte le informazioni necessarie in merito: vi invitiamo, pertanto, a tenere sotto controllo il sito ufficiale dell’evento. Sin d’ora, però, possiamo riferire che per partecipare alle funzioni religiose non sarà necessario il green pass (occorrerà rispettare, però, le note norme sul distanziamento e sull’uso dei presidi di protezione personale).

Quest’anno, poi – ed è questa la seconda particolarità, ma per noi di primaria importanza – il pellegrinaggio si svolge a pochi mesi dalla promulgazione, lo scorso 16 luglio, del Motu Proprio Traditionis Custodes.

Conosciamo bene, e condividiamo, l’apprensione che esso ha ingenerato in tutti i fedeli del Populus Summorum Pontificum. Abbiamo constatato con sollievo che la gran parte dei Vescovi, pur con le inevitabili e dolorose eccezioni, ha sostanzialmente confermato la situazione antecedente, e le celebrazioni della S. Messa tradizionale stanno proseguendo per lo più come prima, conoscendo addirittura, in molti casi, l’incremento del numero dei fedeli che vi assistono. 

Nello stesso tempo, non sono mancati segnali preoccupanti, e proprio in questi giorni emergono all’attenzione dell’opinione pubblica notizie che lasciano talora sconcertati, e che  possono ispirare un senso di smarrimento e di insicurezza.

È proprio questo sentimento di sconforto che i nemici della liturgia tradizionale contano di poter suscitare nel nostro animo, ed è a questo tentativo di demoralizzarci che abbiamo tutti il dovere di reagire oggi più prontamente che mai, con l’aiuto dei nostri Santi protettori e, soprattutto, della Beata Vergine Maria, cui rivolgiamo la nostra fervente preghiera, con le parole ispirate di S. Bernardo di Chiaravalle:

Memorare, o piissima Virgo María, non esse auditum a sæculo, quemquam ad tua currentem præsedia, tua implorantem auxilia, tua petentem suffragia, esse derelictum.

Per questo, oggi più che mai, ci pare attuale l’appello che abbiamo ripetuto con entusiasmo in questi anni:

TUTTI A ROMA!

Tutti a Roma, anche se ci sono in questi strani tempi difficoltà speciali e inusuali; anche se forse non riusciremo a partecipare proprio a tutti gli eventi del pellegrinaggio; anche se dovremo adattarci alle particolari condizioni imposte dalla situazione. Tutti a Roma, anche per poche ore, anche solo nella giornata di sabato, anche solo per la Messa della festa di Cristo Re: perché ora come non mai il Populus Summorum Pontificum deve dare il segno della sua perseveranza, della sua fede, del suo amore per la liturgia tradizionale, della sua ferma volontà di rimanere ben saldo nella Chiesa, e ben radicato nella sua immutabile Tradizione.

A noi, fedeli italiani, cui è dato il dono di una particolare vicinanza, di una contiguità singolare alla tomba dell’Apostolo, tocca in modo speciale la responsabilità di dimostrare che le angustie presenti non ci abbattono e non fanno venir meno il nostro impegno; anzi, lo consolidano e lo rafforzano. Abbiamo il tempo necessario per riempire lo zaino e metterci in cammino. Dunque: tutti a Roma!

AVE MARIA PURISSIMA!

LA VOCE DELLE CAMPANE

 Paolo VI Discorsi 1965

IT ]

DISCORSO DI PAOLO VI ALLA REGGENZA
DELL'OPERA INTERNAZIONALE DELLA «CAMPANA DEI CADUTI»

Sabato, 30 ottobre 1965

 

Riceviamo con particolare considerazione - l’orario insolito dell’udienza ne è già una prova! - la Reggenza dell’Opera Internazionale della Campana dei Caduti, ideata dal compianto Sacerdote Don Antonio Rossaro (mancato ai vivi nel gennaio del 1952), e custodita dalla Città di Rovereto.

Siamo pertanto onorati dalla visita di S. Ecc. Monsignor Alessandro Maria Gottardi, Arcivescovo di Trento; del Padre Eusebio Jori, Presidente del Consiglio dell’Opera della Campana dei Caduti e continuatore dell’iniziativa di Don Rossaro, come pure del Signor Sindaco di Rovereto, Cav. Guido Benedetti, e di molte altre ed insigni Personalità della Regione Trentina, fra cui l’on. Signor Ministro Spagnolli, oriundo Roveretano, con i membri della Reggenza dell’Opera e dei Promotori e Benefattori dell’Opera stessa.

A tutti il Nostro cordiale saluto, accompagnato dall’espressione della Nostra compiacenza per questo incontro, che offre a Noi l’opportunità di benedire la nuova e monumentale Campana, nonché di fare Nostri gli alti pensieri, che in tale Campana vogliono essere simboleggiati.

Ricordo di guerra essa è, ma segno di pace.

Segno di pace per la sua stessa composizione materiale, risultante dalla fusione del metallo dei cannoni di eserciti nemici; e derivante dalla trasformazione di strumenti micidiali di guerra in un bronzo sacro alla pietà religiosa, alla concordia dei popoli e alla pace fra gli uomini.

Segno di pace per la voce grave e ammonitrice che la Campana con i suoi quotidiani rintocchi diffonde nella valle e fra le montagne, che ne accolgono l’austera sua sede, e che quasi facendo propria l’eco mestissima dell’addio dei Caduti ammonisce i vivi a non dimenticare chi per la libertà, per il dovere, per la concordia fra gli uomini ha sacrificato la vita.

Segno di pace infine per il titolo piissimo che alla Campana è stato dato di «Maria Dolens», quasi a riunire nel più puro e nel più alto, nel più santo dolore materno, quello della Madonna addolorata, il dolore immenso e umanissimo che inondò la terra inondata di sangue. Il pianto umano nella Campana si fa perenne, quasi a perpetuare la deprecazione e, insieme, la virtù espiatrice delle sofferenze generate dalle guerre; il pianto umano si fa sacro per il senso religioso che gli si attribuisce, capace perciò di svegliare nei cuori di chi fu partecipe e testimonio di quella storia crudele e specialmente nei cuori delle nuove generazioni innocenti e avide di vita e di pace, sentimenti nuovi, non certo vili ed infingardi, ma generosi e forti per un’energia migliore che non quella dell’odio, l’energia della bontà e dell’amore.

Voi, Signori, conoscete assai bene questo linguaggio della vostra campana, la quale ha certamente fatto vibrare i vostri spiriti con tutti i suoi commoventi ed evocatori significati. Noi Ci rallegriamo con voi che siete i primi ad ascoltare la sua voce e che per bontà e fierezza dei vostri animi e per la fede religiosa, che educa ancora e nobilita le popolazioni Trentine, siete quant’altri mai idonei ad accogliere il richiamo storico, morale e spirituale del vostro bronzo gemente ed ammonitore.

Non spenderemo altre parole di commento sul significato di simbolo reso tanto solenne. Se non forse ancora una: quella che augura a voi, cari Figli della Montagna, d’essere anche i primi a godere dei beni che la profetica Campana va auspicando: la pace, con la novità di sentimenti che deve scaturire dalle dolorose esperienze sofferte, quella novità dei sentimenti umani e cristiani, per cui, composte e superate le ragioni dei dissidi e dei conflitti, che fanno gli uomini nemici fra di loro, si diventa capaci di perdono reciproco, di rispetto, di concordia, e di collaborazione; di vita fraterna, in una parola. Pace, dica ancora la Campana agli animi afflitti ed esacerbati; pace alle vostre valli laboriose, oggi accoglienti il flusso della vita moderna; pace alle vostre chiese veglianti dall’alto su tutta la vostra cattolica regione.

E poiché la vostra Campana simbolica tre volte ha dovuto essere rifusa e rigenerata, sapremo trarne lezione sapiente anche a questo riguardo, dal momento ch’essa ci vuol essere maestra di pace. Sì, la pace fra gli uomini è sovente fragile e precaria; non basta fare la pace una volta, bisogna rifarla e due e tre volte, se occorre; cioè dobbiamo generare la pace come virtù, che si afferma e si rinnova con volontaria coscienza, piuttosto che pensare di goderla come bene permanente, che da sé si conserva.

E dal momento che voi avete voluto dare alla fatidica Campana un senso universale, onorando in essa non solo i Caduti della vostra terra e quelli della guerra ch’ebbe nelle vostre valli e sulle vostre montagne il suo tragico teatro, ma i Caduti di tutte le guerre e di tutti i Paesi, vada l’augurio di pace anche al di là d’ogni confine e rechi, sulle ali dei venti, vogliamo dire dello spirito, l’invito alla Fratellanza a tutti gli uomini di buona volontà. Vorremmo anzi che la Campana squillasse ancor oggi con voce potente per far sentire il suo grido di deprecazione e di amore dove ancora gli uomini incrociano le armi micidiali per cercare invano nel sangue e nell’odio quella giustizia e quell’ordine, che solo nella carità, di cui Cristo ci è maestro, possono finalmente trovarsi.

Possa la Nostra Benedizione Apostolica dare efficacia a questi voti e rimeritare voi tutti, che li avete nel cuore e che dal Nostro filialmente qui venite per trarli.

                                          



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AMDG et DVM

sabato 30 ottobre 2021

IX CORO: ANGELI. Oggi : S. Ridanael che ci dice come "la gioia deve riempire tutte le nostre azioni"




IX Coro
30 ottobre
“Colui che porta la gioia nel servizio di Dio”San Gerardo di Potenza

S. Ridanael

Nella casa di Dio – che è nella creazione – entrano ed escono i santi angeli. Essi tessono e costruiscono, puliscono e producono, affinché tutto possa sempre sostenere lo sguardo di Dio. Di contro il nemico maligno semina la rabbia e la malavoglia, la insoddisfazione e l’insufficienza, il disordine e la smoderatezza nei cuori degli uomini come un erbaccia e la custodisce affinché essa possa solo arrecare molti danni nel regno di Dio.

Ma Dio anche per questo ha stabilito e mandato un suo angelo per respingere il malvagio nemico e gettarlo fuori dal cuore degli uomini, soltanto che questi lo voglia, e quindi impiantarvi la gioia e il valore e la forza e le tre virtù divine della fede, della speranza e della carità.

Un tale angelo, inviato da Dio per contrastare l’operato del nemico malvagio nel cuore degli uomini, è

S. Ridanael,

che porta la gioia nel servizio di Dio. Egli è come angelo assegnato al coro delle virtù, ed esattamente a S. Zephiriel dalle virtù della carità, che porta la chiarezza e l’obiettività dell’amore di Dio. Chi comprende Dio, egli sa che l’amore di Dio verso gli uomini non verrà ritornato eccessivamente, come fantasia, come sentimentale consolazione e ristoro, ma piuttosto come un’obiettiva e chiara forza, che al contempo è fondamento e direzione della meta: “Muori e nasci!” Più chiaramente riusciamo a conoscere Dio – anche nel suo amore – più chiaramente possiamo anche riconoscere in questa acuta luce noi stessi nella nostra piccolezza e attaccamento alla terra. Affinché non veniamo gettati a terra da questa chiarezza, Dio ha insieme stabilito di nuovo un angelo, che ci porge la gioia. Sì, l’amore di Dio è gioia. E vi è gioia, quando amiamo Dio e lo possiamo servire, lui, il migliore, il più amabile, il più misericordioso e buono Signore. La gioia deve riempire tutte le nostre azioni, gioia dobbiamo e possiamo avere nel servizio di Dio; allora sarà il nostro servizio santificato e inizierà ad infiammarsi davanti a Dio. L’obiettivo dell'amore di Dio è la più limpida carità. Egli ci aiuta massimamente nelle cose di tutti i giorni e nell’educazione di noi stessi. Però deve essere sempre riconosciuta gioiosa e gioiosamente approvata e gioiosamente portata con noi in tutte le nostre attività, e S. Ridanael ci aiuterà in ciò. Egli è già di per se stesso, nella sua mobilità, come un campanello nella mano, argenteo e luminoso; egli rispecchia l’intera casa di Dio in colori luminosi e il suo tono risuona in tutti gli angoli e porta con sé il valore e la gioia, la certezza e la pace del cuore.

Preghiera: Signore, fa che sempre riconosciamo quanto tu, o Dio, sei buono e quanto paziente e misericordioso, affinché ti amiamo con tutta la nostra forza e con gioia ti serviamo. Amen.

 
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Semplicità e profondità dell'eloquio di Papa Benedetto XVI che parla della "correzione fraterna" !

 Benedetto XVI Angelus 2011

DE  -  EN  -  ES  -  FR  -  HR  -  IT  -  PT ]

BENEDETTO XVI

ANGELUS DOMINI

Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Domenica, 4 settembre 2011

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Cari fratelli e sorelle!

Le Letture Bibliche della Messa di questa domenica convergono sul tema della carità fraterna nella comunità dei credenti, che ha la sua sorgente nella comunione della Trinità. L' apostolo Paolo afferma che tutta la Legge di Dio trova la sua pienezza nell'amore, così che, nei nostri rapporti con gli altri, i dieci comandamenti e ogni altro precetto si riassumono in questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” ( cfr Rm 13,8-10 ). 

Il testo del Vangelo, tratto dal capitolo 18° di Matteo, dedicato alla vita della comunità cristiana, ci dice che l'amore fraterno comporta anche  un senso di responsabilità reciproca, per cui, se il mio fratello commette una colpa contro di me, io devo usare carità verso di lui e, prima di tutto, parlargli personalmente, facendogli presente che ciò che ha detto o fatto non è buono. 

Questo modo di agire si chiama correzione fraterna: essa non è una reazione all'offesa subita, ma è mossa dall'amore per il fratello. Sant'Agostino commenta: “Colui che ti ha offeso, offendendoti, ha inferto a se stesso una grave ferita, e tu non ti curi della ferita di un tuo fratello? ... Devi dimenticare l'offesa che hai ricevuto, non la ferita di un tuo fratello” ( Discorsi 82, 7).

E se il fratello non mi ascolta? Gesù nel Vangelo odierno indica una gradualità: prima tornare a parlargli con altre due o tre persone, per aiutarlo meglio a rendersi conto di quello che ha fatto; se, malgrado questo, egli respinge ancora l'osservazione, bisogna dirlo alla comunità; e se non ascolta neppure la comunità, occorre fargli percepire  il distacco che lui stesso ha provocato, separandosi dalla comunione della Chiesa. 

Tutto questo indica che c'è una corresponsabilità nel cammino della vita cristiana: ciascuno, consapevole dei proprietà limiti e difetti, è chiamato ad accogliere la correzione fraterna e ad aiutare gli altri con questo particolare servizio.

Un altro frutto della carità nella comunità à la preghiera concorde. Dice Gesù: “Se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”( Mt 18,19-20). La preghiera personale è certamente importante, anzi, indispensabile, ma il Signore assicura la sua presenza alla comunità che - pur se molto piccola - è unita e unanime, perché essa riflette la realtà stessa di Dio Uno e Trino, perfetta comunione d'amore. 

Dice Origene che “dobbiamo esercitarci in questa sinfonia” ( Commento al Vangelo di Matteo 14, 1), cioè in questa concordia all'interno della comunità cristiana. Dobbiamo esercitarci sia nella correzione fraterna, che richiedono molta umiltà e semplicità di cuore, sia nella preghiera, perché salga a Dio da una comunità veramente unita in Cristo. 

Domandiamo tutto questo per intercessione di Maria Santissima, Madre della Chiesa, e di San Gregorio Magno, Papa e Dottore, che ieri abbiamo ricordato nella liturgia.


Dopo l'Angelus

Curry fratelli e sorelle,

Oggi, ad Ancona, si after il XXV Congresso Eucaristico Nazionale, con la Santa Messa presieduta dal mio Legato il Cardinale Giovanni Battista Re. Domenica prossima, a Dio piacendo, avrò la gioia di recarmi ad Ancora per la giornata culminante del Congresso. Fin da ora rivolgo il mio saluto cordiale e la mia benedizione a quanti parteciperanno a questo evento di grazia, che nel santissimo Sacramento dell'Eucaristia adora e loda Cristo, sorgente di vita e speranza per ogni uomo e per il mondo intero.

Saluto cordialmente i pellegrini francofoni, in particolare il gruppo delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Vi invito oggi a familiarizzare sempre di più con la Parola di Dio! Ci chiama all'amore reciproco. E questo amore si vive in modo molto concreto nella vita di tutti i giorni, vale a dire: prendersi del tempo per un dialogo vero con l'altro, rispettandolo, perdonandolo, pregando insieme e per l'altro. In questo modo può nascere e crescere la fraternità che Gesù è venuto a stabilire nelle famiglie, nelle comunità e nei paesi. Affido questo augurio alla Vergine Maria e di tutto cuore vi benedico.

Sono lieto di accogliere i pellegrini ei visitatori di lingua inglese presenti a questa preghiera dell'Angelus. Saluto i medici convenuti per il Convegno internazionale Matercare sulla dignità delle madri e delle ostetriche, nonché gli studenti presenti dell'Università Maria, Campus di Roma. Il brano evangelico di oggi ci ricorda che Dio è presente quando la Chiesa si riunisce per adorare nel suo nome. Possa noi trarre sempre grazia e forza dai nostri incontri di preghiera con Dio in comunione con i nostri fratelli e sorelle nella fede. Che Dio vi benedica tutti!

Mit Freude grüße ich alle deutschsprachigen Besucher hier a Castel Gandolfo. Im Evangelium des heutigen Sonntags spricht der Herr von der gemeinsamen Verantwortung, die Menschen füreinander haben. Herausforderungen und Irrwege einzelner müssen zur Sorge und zum Gebetsanliegen go werden. Jesus ruft jene, die ihm nachfolgen, in die Gemeinschaft und gibt ihnen Verantwortungssinn und den Mut zur Wahrheit. Gott will, daß wir füreinander Diener des Segens seien. Es erfüllt uns alle mit Freude, daß wir als Zeugen der Wahrheit am Heil der Welt mitwirken dürfen. Ich wünsche euch allen einen gesegneten Sonntag und eine gute Woche.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentato in esta oración mariana. Nella liturgia di este día, Gesù hace saber ha conosciuto un discepolo che nella comunidad de hermanos ha de existir ante todo el amor. Amar al hermano no sólo es acogerle en su necesidad; también, a veces, es saber decirle una palabra de corrección. Si algún hermano peca, no dejemos de amarle, invitándolo a volver al buen camino. Esortare a todos a encomendar alla Santísima Virgen María los propósitos di conformare l'auténtica vida fraterna al que el Señor nos lama. Feliz Domingo.

Słowa pozdrowienia kieruję do Polaków, a szczególnie do dzieci i młodzieży rozpoczynających nowy rok szkolny i katechetyczny. Niech ten rok będzie dla was wszystkich czasem wzrastania „w mądrości, w latach i łasce u Boga iu ludzi” (Łk 2, 52). Modlę się o światło i moc Ducha Świętego dla wychowawców, aby ich trud wydawał obfite owoce w młodych sercach. Niech Bóg wam błogosławi!

[Espressioni di saluto rivolgo ai polacchi, e in modo particolare ai bambini e ai giovani che iniziano un nuovo anno scolastico e catechistico. Quest'anno sia per tutti see a tempo per crescere “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 51). Invoco la luce e la forza dello Spirito Santo per gli educatori, raffinato il loro impegno porti abbondanti frutti nei giovani cuori. Dio vi benedica!]

Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare al folto gruppo delle ACLI - Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani -, alla fine dell'Incontro di studio sul tema del lavoro, a 30 anni dall'Enciclica Laborem exercens del Beato Papa Giovanni Paolo II Ho molto apprezzato, cari amici, l' attenzione a questo Documento, che rimane come una delle pietre miliari della dottrina sociale della Chiesa. Saluto il gruppo dei nuovi Seminaristi del Pontificio Collegio Internazionale Maria Mater Ecclesiae, l' Associazione Collegium Liberianum, che opera nella Basilica di Santa Maria Maggiore al servizio delle celebrazioni liturgiche, come pure i fedeli provenienti da Abbazia, in Diocesi di Bergamo. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie a voi tutti.

 

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SANTA MARIA GORETTI E I PAPI DEL NOSTRO TEMPO

 Giovanni Paolo II Discorsi 2002 Luglio

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
IN OCCASIONE DEL CENTENARIO DELLA MORTE
DI SANTA MARIA GORETTI

 

Al venerato Fratello
Mons. AGOSTINO VALLINI
Vescovo di Albano

1. Cento anni or sono, il 6 luglio 1902, nell'ospedale di Nettuno moriva Maria Goretti, barbaramente pugnalata il giorno prima nel piccolo borgo di Le Ferriere, nell'Agro pontino. Per la sua vicenda spirituale, per la forza della sua fede, per la capacità di perdonare il suo aguzzino, essa si pone tra le sante più amate del secolo ventesimo. Opportunamente, pertanto, la Congregazione della Passione di Gesù Cristo, a cui è affidata la cura del Santuario nel quale riposano le spoglie della Santa, ha voluto celebrare con particolare solennità la ricorrenza.

Santa Maria Goretti fu una ragazza alla quale lo Spirito di Dio donò il coraggio di restare fedele alla vocazione cristiana sino al supremo sacrificio della vita. La giovane età, la mancanza di istruzione scolastica e la povertà dell'ambiente in cui viveva non impedirono alla grazia di manifestare in lei i suoi prodigi. Anzi, proprio in tali condizioni apparve in modo eloquente la predilezione di Dio per le persone umili. Tornano alla mente le parole con le quali Gesù benedice il Padre celeste per essersi svelato ai piccoli e ai semplici, piuttosto che ai sapienti e ai dotti del mondo (cfr Mt 11, 25).

È stato giustamente osservato che il martirio di santa Maria Goretti aprì quello che sarebbe stato chiamato il secolo dei martiri. E proprio in tale prospettiva, al termine del Grande Giubileo dell'Anno 2000 ho sottolineato come "la viva coscienza penitenziale non ci ha impedito di rendere gloria al Signore per quanto ha operato in tutti i secoli, e in particolare nel secolo che ci siamo lasciati alle spalle, assicurando alla Chiesa una grande schiera di santi e di martiri" (Novo millennio ineunte, 7).

2. Maria Goretti, nata a Corinaldo, nelle Marche, il 16 ottobre 1890, dovette ben presto intraprendere, con la sua famiglia, la via dell'emigrazione, giungendo, dopo varie tappe, a Le Ferriere di Conca nell'Agro pontino. Nonostante i disagi della povertà, che non le permisero neppure di andare a scuola, la piccola Maria viveva in un ambiente familiare sereno e unito, animato da fede cristiana, dove i figli si sentivano accolti come un dono e venivano educati dai genitori al rispetto per sé e per gli altri, oltre che al senso del dovere compiuto per amore di Dio. Ciò consentì alla bambina di crescere serena alimentando in sé una fede semplice, ma profonda. La Chiesa ha sempre riconosciuto alla famiglia il ruolo di primo e fondamentale luogo di santificazione per quanti ne fanno parte, a cominciare dai figli.

In tale contesto familiare Maria assimilò una salda fiducia nel provvido amore di Dio, fiducia manifestatasi particolarmente nel momento della morte del padre, colpito dalla malaria. "Mamma, fatti coraggio, Dio ci aiuterà", ebbe a dire la piccola in quei momenti difficili, reagendo con forza al grave vuoto prodotto in lei dalla morte del papà.

3. Nell'omelia per la canonizzazione, il Papa Pio XII di v.m. indicò Maria Goretti come "la piccola e dolce martire della purezza" (cfr Discorsi e Radiomessaggi, XII [1950-1951], 121), perché, nonostante la minaccia di morte, non venne meno al comandamento di Dio.

Quale fulgido esempio per la gioventù! La mentalità disimpegnata, che pervade non poca parte della società e della cultura del nostro tempo, fatica talora a comprendere la bellezza e il valore della castità. Dal comportamento di questa giovane Santa emerge una percezione alta e nobile della propria e dell'altrui dignità, che si riverberava nelle scelte quotidiane conferendo loro pienezza di senso umano. Non v'è forse in ciò una lezione di grande attualità? Di fronte a una cultura che sopravvaluta la fisicità nei rapporti tra uomo e donna, la Chiesa continua a difendere e a promuovere il valore della sessualità come fattore che investe ogni aspetto della persona e che deve quindi essere vissuto in un atteggiamento interiore di libertà e di reciproco rispetto, alla luce dell'originario disegno di Dio. In tale prospettiva, la persona si scopre destinataria di un dono e chiamata a farsi, a sua volta, dono per l'altro.

Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte osservavo che "nella visione cristiana del matrimonio, la relazione fra un uomo e una donna, - relazione reciproca e totale, unica e indissolubile - risponde al disegno originario di Dio, offuscato nella storia dalla 'durezza del cuore', ma che Cristo è venuto a restaurare nel suo splendore originario, svelando ciò che Dio ha voluto fin 'dal principio' (Mt 19, 8). Nel matrimonio, elevato alla dignità di Sacramento, è espresso poi il 'grande mistero' dell'amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa (cfr Ef 5, 32)" (n. 47).

È innegabile che molte sono le minacce odierne all'unità e alla stabilità della famiglia. Fortunatamente, però, accanto ad esse si riscontra una rinnovata coscienza dei diritti dei figli ad essere allevati nell'amore, custoditi da ogni genere di pericoli e formati in modo da poter affrontare a loro volta la vita con fiducia e fortezza.

4. Meritevole di particolare attenzione, nella testimonianza eroica della Santa di Le Ferriere, è poi il perdono offerto all'uccisore e il desiderio di poterlo ritrovare, un giorno, in paradiso. Si tratta di un messaggio spirituale e sociale di straordinario rilievo per questo nostro tempo.

Il recente Grande Giubileo dell'Anno 2000, tra gli altri aspetti, è stato caratterizzato da un profondo richiamo al perdono, nel contesto della celebrazione della misericordia di Dio. L'indulgenza divina per le miserie umane si pone come esigente modello di comportamento per tutti i credenti. Il perdono, nel pensiero della Chiesa, non significa relativismo morale o permissivismo. Al contrario, esso richiede il pieno riconoscimento della propria colpa e l'assunzione delle proprie responsabilità, come condizione per ritrovare vera pace e riprendere fiduciosamente il proprio cammino sulla strada della perfezione evangelica.

Possa l'umanità introdursi con decisione nella via della misericordia e del perdono! L'uccisore di Maria Goretti riconobbe la colpa commessa, domandò perdono a Dio e alla famiglia della Martire, espiò con convinzione il proprio crimine e per tutta la vita si mantenne in queste disposizioni di spirito. La mamma della Santa, per parte sua, gli offrì senza reticenze il perdono della famiglia nell'aula del tribunale dove si tenne il processo. Non sappiamo se sia stata la mamma a insegnare il perdono alla figlia o il perdono offerto dalla Martire sul letto di morte a determinare il comportamento della mamma. È tuttavia certo che lo spirito del perdono animava i rapporti all'interno dell'intera famiglia Goretti, e per questo con tanta spontaneità poté esprimersi sia nella Martire che nella mamma.

5. Quanti conoscevano la piccola Maria, nel giorno del suo funerale ebbero a dire: "È morta una santa!". Il suo culto è andato diffondendosi in ogni Continente, suscitando ovunque ammirazione e sete di Dio. In Maria Goretti risplende la radicalità delle scelte evangeliche, non impedita, anzi avvalorata dagli inevitabili sacrifici richiesti dalla fedele appartenenza a Cristo.

Addito l'esempio di questa Santa specialmente ai giovani, che sono la speranza della Chiesa e dell'umanità. In prossimità, ormai, della XVII Giornata Mondiale della Gioventù, desidero ricordare loro quanto scrivevo nel Messaggio ad essi indirizzato in preparazione di questo tanto atteso evento ecclesiale: "Nel cuore della notte ci si può sentire intimoriti e insicuri; si attende allora con impazienza l'arrivo dell'aurora. Cari giovani, tocca a voi essere le sentinelle del mattino (cfr Is 21, 11-12), che annunciano l'avvento del sole, che è Cristo risorto!" (n. 3).

Camminare sulle orme del divino Maestro comporta sempre una decisa presa di posizione per Lui. Occorre impegnarsi a seguirlo dovunque Egli vada (cfr Ap 14, 4). In questo cammino, tuttavia, i giovani sanno di non essere soli. Santa Maria Goretti e i tanti adolescenti, che nel corso dei secoli hanno pagato con il martirio l'adesione al Vangelo, sono accanto ad essi per infondere nei loro animi la forza di restare saldi nella fedeltà. È così che potranno essere le sentinelle di un radioso mattino, illuminato dalla speranza. La Vergine Santissima, Regina dei Martiri, interceda per loro!

Nell'elevare questa preghiera, mi unisco spiritualmente a tutti coloro che prenderanno parte alle celebrazioni giubilari nel corso di quest'anno centenario ed invio a Lei, venerato Pastore diocesano, ai benemeriti Padri Passionisti impegnati nel Santuario di Nettuno, ai devoti di Santa Maria Goretti e in particolare ai giovani una speciale Benedizione Apostolica, auspicio di abbondanti favori celesti.

Dal Vaticano, 6 Luglio 2002 

IOANNES PAULUS II

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https://www.corrispondenzaromana.it/il-messaggio-al-nostro-tempo-di-santa-maria-goretti/

http://www.korazym.org/46177/p-rungi-maria-goretti-e-una-santa-per-i-nostri-tempi/

http://www.100libripernettuno.it/OPERE/SANTA%20MARIA%20GORETTI%20%20ICONOGRAFIA/pagine/cap%2004%20i.htm

https://lanuovabq.it/it/maria-goretti-una-santita-testimoniata-dai-fatti

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AMDG et DVM




"ECCO SAN GAETANO CHE PASSA"!

 2008


12 ottobre
XXVIII Domenica "per annum"
Piazza S. Pietro, ore 10.00


CAPPELLA PAPALE


Canonizzazione dei Beati:
- Gaetano Errico, sacerdote
- Maria Bernarda Bütler, vergine
- Alfonsa dell'Immacolata Concezione, vergine
- Narcisa de Jesús Martillo Morán, laica






SAN GAETANO ERRICO (1791 – 1860)


GAETANO ERRICO, fondatore dei Missionari dei Sacri Cuori, nasce il 19 ottobre 1791 a Secondigliano, antico casale a nord della città di Napoli. È il terzogenito di dieci figli di Pasquale e Maria Marseglia. Il papà gestisce un modesto laboratorio artigianale per la produzione dei maccheroni, la mamma tesse la felpa. 
Viene battezzato il giorno dopo la nascita nella chiesa parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano con i nomi di Gaetano, Cosma e Damiano. Frequenta la scuola comunale con due maestri sacerdoti, Tagliamonte e Vitagliano. A sette anni è ammesso alla prima comunione e ad undici al sacramento della confermazione. A quattordici anni chiede di entrare prima tra i Cappuccini e, poi, tra i Redentoristi, ma la domanda è respinta a causa dell’età.

A sedici anni chiede di essere ammesso al seminario arcivescovile di Napoli. Nel gennaio del 1808 indossa l’abito talare e poiché la famiglia non è in grado di sostenere i costi per il suo mantenimento
da interno, segue gli studi da esterno, raggiungendo a piedi il seminario. Ogni giorno, tra andata e ritorno, sono 8 chilometri, con il freddo, il caldo e la pioggia, attirando l’ammirazione delle persone,
che al vederlo passare esclamano: «Ecco San Gaetano che passa!». Nel tempo della sua formazione seminaristica segue con grande profitto la scuola, partecipa tutte le mattine alla Messa, riceve la comunione, aiuta in famiglia, visita ogni giovedì gli ammalati dell’ospedale «Incurabili» di Napoli, portando loro qualche regalo, frutto dei suoi risparmi settimanali, e la domenica va in giro per le strade con il crocefisso per raccogliere i fanciulli per il catechismo.

È ordinato sacerdote il 23 settembre del 1815 dal Card. Ruffo Scilla nella Cappella di Santa Restituta, nella Cattedrale di Napoli.
A don Gaetano, diventato sacerdote, viene subito assegnato il compito di maestro comunale, che esercita, per quasi vent’anni, con diligenza, vigilanza e zelo, preoccupandosi, con la cultura, di insegnare, soprattutto, i principi cristiani. Si dedica con amore al servizio pastorale nella chiesa parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano.

Sviluppa la sua attività apostolica secondo quattro direzioni: annuncio della Parola, ministero della riconciliazione, assistenza materiale e spirituale ai malati, servizio della carità. Quattro modi distinti per dire agli uomini che Dio è Padre e li ama.
Ha una vita d’intensa preghiera e di rigorosa penitenza, da far dire alla mamma, che lava le sue camicie intrise di sangue: «Adesso mi fai sentire quel dolore che non intesi quando ti portai in seno e ti partorii».

Ogni anno, da sacerdote, si ritira a Pagani (Salerno), nella casa dei padri Redentoristi, per gli esercizi spirituali. Nell’anno 1818, mentre prega nel coro, avviene un fatto destinato a segnare ed a cambiare il corso della sua vita: gli appare Sant’Alfonso per comunicargli che Dio lo vuole fondatore di una Congregazione religiosa, dandogli come «segno» la costruzione in Secondigliano di una chiesa in onore della Vergine Addolorata. L’annuncio che è Dio a volere la costruzione di una chiesa in onore dell’Addolorata, in Secondigliano è accolto con entusiasmo dalla maggior parte del popolo, ma c’è anche chi si dimostra diffidente ed ostile. Gli avversari, pochi, ma molto agguerriti e combattivi, giurano che impediranno la costruzione della chiesa. Quando il progetto sembra definitivamente destinato a fallire, don Gaetano continua a credervi ed assicura la gente: «La chiesa si farà, perché è Dio a volerla». Il 9 dicembre del 1830 la chiesa è benedetta.

Terminata la costruzione, Gaetano Errico commissiona a Francesco Verzella, scultore napoletano, una statua in legno della Madonna Addolorata. La tradizione vuole che egli abbia fatto rifare più volte il volto, esclamando alla fine: «Così era». L’aveva vista in visione?

La statua fa il suo ingresso in Secondigliano nel maggio del 1835 e da allora continuano ininterrotti il pellegrinaggio e la devozione dei fedeli verso l’Addolorata di Gaetano Errico.

Negli anni seguenti, mentre don Gaetano prega nel medesimo coro di Pagani, davanti al Santissimo Sacramento, il Signore gli manifesta che la nuova Congregazione « dev’essere istituita in onore dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria».

Da allora i Sacri Cuori diventano per Gaetano Errico il centro della sua azione apostolica e missionaria ed egli l’apostolo del loro amore misericordioso in tutto il Meridione d’Italia. L’amore dei Sacri Cuori lo spinge a cercare il fratello peccatore per portarlo al Padre, anche a costo della vita e a donarsi senza soste e misura, soprattutto, ai fratelli delle categorie meno protette: malati, operai, artigiani, contadini, analfabeti, ragazze senza dote e in pericolo, carcerati. Si propone di far sentire a tutti la presenza di un Padre amoroso, pronto al perdono e lento all’ira.

Terminata la chiesa, don Gaetano comincia a costruire in un luogo adiacente la casa che dovrà ospitare i futuri religiosi, i Missionari dei Sacri Cuori. Costruisce dapprima una piccola casa, dove nel 1833 si ritira ad abitare insieme ad un laico, che cura il servizio della chiesa.

Con il trasferimento dalla casa paterna, inizia « ufficialmente » la realizzazione dell’incarico più importante ricevuto da Dio: la fondazione della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori.
 Ingrandita la casa, fonda il «Ritiro sacerdotale dei Sacri Cuori», per accogliere i sacerdoti disposti ad impegnarsi soprattutto nel lavoro delle missioni popolari.

Don Gaetano è un uomo di Dio, è un « santo». Come ha fatto a diventarlo?
Il primo segreto della sua santità è «consumare le ginocchia nella preghiera e... anche nel pavimento». Che don Gaetano sia un uomo di preghiera lo testimoniano le tante persone che l’hanno conosciuto e le due «fossette » nel pavimento della sua stanza, scavate dalle sue ginocchia.

La penitenza è il secondo segreto della sua « santità ». Nei venerdì e sabati limita i suoi pasti ad un solo piatto di minestra. Tutti i mercoledì ed in molte vigilie digiuna a pane ed acqua. Spesso dorme per terra. Porta «un cilicio che cinge la sua persona: petto, braccia e gambe». «Usa discipline di cordicella e di ferro di varie specie».

Don Gaetano nel 1833 inoltra al Re la domanda per il riconoscimento di un Ritiro, che è approvato insieme al regolamento il 14 marzo 1836. Il 1° ottobre 1836 apre il noviziato, ammettendovi nove giovani. Nel maggio 1838 chiede il riconoscimento pontificio della Congregazione ed il 30 giugno riceve dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari il decreto di lode. Il 6 aprile del 1839, allo scopo di consolidare lo sviluppo della Congregazione, chiede il riconoscimento governativo, che il Re concede il 13 maggio, dichiarando « la Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori legittimamente esistente e capace di godere dei corrispondenti effetti civili e canonici».

Nell’aprile 1846 ritorna a Roma per chiedere la definitiva approvazione.
La Congregazione è cresciuta: è aumentato il numero dei congregati e sono state aperte diverse case. Il 7 agosto 1846 il Beato Papa Pio IX emette il decreto di approvazione ed il 15 settembre il Breve apostolico.

Gaetano Errico, dopo l’approvazione, è unanimemente eletto Superiore Generale. Fino alla morte lavora per lo sviluppo della Congregazione, curando in modo particolare la formazione dei soggetti.
S’impegna nell’attività missionaria, nella predicazione al popolo e degli esercizi spirituali in numerosi conventi di suore, nella direzione spirituale e, specialmente, nell’amministrazione del sacramento della riconciliazione.
Muore a Secondigliano, all’età di 69 anni, il 29 ottobre 1860, alle 10 del mattino.

«Amatevi scambievolmente e siate osservantissimi delle Regole».
È il testamento che lascia ai suoi congregati. «È morto un santo» è l’unanime commento di tutto il popolo. L’eco di questa espressione continua ancora. Per i secondiglianesi e per tutti i suoi devoti, Gaetano Errico, chiamato e conosciuto come «O Superiore», continua ad essere un « santo», cioè un esempio, un punto di riferimento, un intercessore, una freccia puntata che indica a tutti la strada di Dio, che i Sacri Cuori, per amore, hanno vissuto e tracciato.

Nel 1866 il Card. Riario Sforza introduce il processo ordinario diocesano. Nel dicembre 1884 il Papa Leone XIII lo dichiara Venerabile ed il 4 ottobre 1974 il Papa Paolo VI emette il decreto di eroicità delle virtù. Il 24 aprile 2001 Giovanni Paolo II firma il Decreto d’approvazione del miracolo ottenuto dal signor Salvatore Cacciappoli per intercessione di Gaetano Errico.

Il 14 aprile 2002 Giovanni Paolo II lo proclama Beato. Il 6 luglio 2007 Benedetto XVI firma il decreto di approvazione del miracolo per la canonizzazione e il 1° marzo 2008 nel corso del Concistoro decreta che il 12 ottobre 2008 il Beato Gaetano Errico sia iscritto nell’Albo dei Santi.




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