DISCORSO DI PAOLO VI ALLA REGGENZA
DELL'OPERA INTERNAZIONALE DELLA «CAMPANA DEI CADUTI»
Sabato, 30 ottobre 1965
Riceviamo con particolare considerazione - l’orario insolito dell’udienza ne è già una prova! - la Reggenza dell’Opera Internazionale della Campana dei Caduti, ideata dal compianto Sacerdote Don Antonio Rossaro (mancato ai vivi nel gennaio del 1952), e custodita dalla Città di Rovereto.
Siamo pertanto onorati dalla visita di S. Ecc. Monsignor Alessandro Maria Gottardi, Arcivescovo di Trento; del Padre Eusebio Jori, Presidente del Consiglio dell’Opera della Campana dei Caduti e continuatore dell’iniziativa di Don Rossaro, come pure del Signor Sindaco di Rovereto, Cav. Guido Benedetti, e di molte altre ed insigni Personalità della Regione Trentina, fra cui l’on. Signor Ministro Spagnolli, oriundo Roveretano, con i membri della Reggenza dell’Opera e dei Promotori e Benefattori dell’Opera stessa.
A tutti il Nostro cordiale saluto, accompagnato dall’espressione della Nostra compiacenza per questo incontro, che offre a Noi l’opportunità di benedire la nuova e monumentale Campana, nonché di fare Nostri gli alti pensieri, che in tale Campana vogliono essere simboleggiati.
Ricordo di guerra essa è, ma segno di pace.
Segno di pace per la sua stessa composizione materiale, risultante dalla fusione del metallo dei cannoni di eserciti nemici; e derivante dalla trasformazione di strumenti micidiali di guerra in un bronzo sacro alla pietà religiosa, alla concordia dei popoli e alla pace fra gli uomini.
Segno di pace per la voce grave e ammonitrice che la Campana con i suoi quotidiani rintocchi diffonde nella valle e fra le montagne, che ne accolgono l’austera sua sede, e che quasi facendo propria l’eco mestissima dell’addio dei Caduti ammonisce i vivi a non dimenticare chi per la libertà, per il dovere, per la concordia fra gli uomini ha sacrificato la vita.
Segno di pace infine per il titolo piissimo che alla Campana è stato dato di «Maria Dolens», quasi a riunire nel più puro e nel più alto, nel più santo dolore materno, quello della Madonna addolorata, il dolore immenso e umanissimo che inondò la terra inondata di sangue. Il pianto umano nella Campana si fa perenne, quasi a perpetuare la deprecazione e, insieme, la virtù espiatrice delle sofferenze generate dalle guerre; il pianto umano si fa sacro per il senso religioso che gli si attribuisce, capace perciò di svegliare nei cuori di chi fu partecipe e testimonio di quella storia crudele e specialmente nei cuori delle nuove generazioni innocenti e avide di vita e di pace, sentimenti nuovi, non certo vili ed infingardi, ma generosi e forti per un’energia migliore che non quella dell’odio, l’energia della bontà e dell’amore.
Voi, Signori, conoscete assai bene questo linguaggio della vostra campana, la quale ha certamente fatto vibrare i vostri spiriti con tutti i suoi commoventi ed evocatori significati. Noi Ci rallegriamo con voi che siete i primi ad ascoltare la sua voce e che per bontà e fierezza dei vostri animi e per la fede religiosa, che educa ancora e nobilita le popolazioni Trentine, siete quant’altri mai idonei ad accogliere il richiamo storico, morale e spirituale del vostro bronzo gemente ed ammonitore.
Non spenderemo altre parole di commento sul significato di simbolo reso tanto solenne. Se non forse ancora una: quella che augura a voi, cari Figli della Montagna, d’essere anche i primi a godere dei beni che la profetica Campana va auspicando: la pace, con la novità di sentimenti che deve scaturire dalle dolorose esperienze sofferte, quella novità dei sentimenti umani e cristiani, per cui, composte e superate le ragioni dei dissidi e dei conflitti, che fanno gli uomini nemici fra di loro, si diventa capaci di perdono reciproco, di rispetto, di concordia, e di collaborazione; di vita fraterna, in una parola. Pace, dica ancora la Campana agli animi afflitti ed esacerbati; pace alle vostre valli laboriose, oggi accoglienti il flusso della vita moderna; pace alle vostre chiese veglianti dall’alto su tutta la vostra cattolica regione.
E poiché la vostra Campana simbolica tre volte ha dovuto essere rifusa e rigenerata, sapremo trarne lezione sapiente anche a questo riguardo, dal momento ch’essa ci vuol essere maestra di pace. Sì, la pace fra gli uomini è sovente fragile e precaria; non basta fare la pace una volta, bisogna rifarla e due e tre volte, se occorre; cioè dobbiamo generare la pace come virtù, che si afferma e si rinnova con volontaria coscienza, piuttosto che pensare di goderla come bene permanente, che da sé si conserva.
E dal momento che voi avete voluto dare alla fatidica Campana un senso universale, onorando in essa non solo i Caduti della vostra terra e quelli della guerra ch’ebbe nelle vostre valli e sulle vostre montagne il suo tragico teatro, ma i Caduti di tutte le guerre e di tutti i Paesi, vada l’augurio di pace anche al di là d’ogni confine e rechi, sulle ali dei venti, vogliamo dire dello spirito, l’invito alla Fratellanza a tutti gli uomini di buona volontà. Vorremmo anzi che la Campana squillasse ancor oggi con voce potente per far sentire il suo grido di deprecazione e di amore dove ancora gli uomini incrociano le armi micidiali per cercare invano nel sangue e nell’odio quella giustizia e quell’ordine, che solo nella carità, di cui Cristo ci è maestro, possono finalmente trovarsi.
Possa la Nostra Benedizione Apostolica dare efficacia a questi voti e rimeritare voi tutti, che li avete nel cuore e che dal Nostro filialmente qui venite per trarli.
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