O Iesu vivens in Maria
Jean-Jacques Olier, fondatore del Seminario di Saint-Sulpice, è una delle figure più coinvolgenti della pleiade di scrittori spirituali e di santi che, più tardi, si convenne di chiamare la scuola francese di spiritualità.
Figlio di un ricco consigliere al parlamento, condusse inizialmente una vita dissipata, mista dei piaceri del mondo con onori per una carriera ecclesiastica agli albori.
All’età di 22 anni, ritornando dalla fiera di Saint-Germain in compagnia di alcuni giovani sacerdoti, una popolana di nome Marie Rousseau, commerciante in vino, li avvicinò sulla strada e disse loro: «Purtroppo, signori, mi fate pena! È da tempo che prego per la vostra conversione. Spero che un giorno Dio mi esaudirà». Le preghiere di questa semplice donna non furono inutili.
«Dio permise – scriverà Olier – che numerosi sacerdoti (noi eravamo cinque o sei, di cui io sono il peggiore) presi in considerazione nel mondo abbandonassero, in seguito, ogni cosa per seguire Gesù Cristo e fare professione dei suoi insegnamenti. Riguardo a me, riconosco che la mia prima conversione dipende da questa anima santa» (Mémoires autobiographiques, t. II, p. 306).
Intraprese da allora a convertirsi e si diede agli studi e agli esercizi dovuti al suo stato con uno zelo esemplare. Ma ciò che contribuì di più a farlo avanzare nella vita interiore, fu il ritiro che seguì nel 1636 in una casa in campagna, vicino a Parigi, sotto la direzione del Padre Charles de Condren, allora superiore generale dell’Oratorio. Durante questo ritiro ricevette una grande grazia che gli fece gustare la presenza dell’inabitazione di Gesù Cristo nell’anima, e Padre de Condren gli insegnò a ridurre tutta la pratica della vita spirituale all’unione interiore con Gesù Cristo. Poi gli lasciò una formula di preghiera le cui prime parole erano: «Vieni, Signore Gesù, e vivi nel tuo servo».
Figlio di un ricco consigliere al parlamento, condusse inizialmente una vita dissipata, mista dei piaceri del mondo con onori per una carriera ecclesiastica agli albori.
All’età di 22 anni, ritornando dalla fiera di Saint-Germain in compagnia di alcuni giovani sacerdoti, una popolana di nome Marie Rousseau, commerciante in vino, li avvicinò sulla strada e disse loro: «Purtroppo, signori, mi fate pena! È da tempo che prego per la vostra conversione. Spero che un giorno Dio mi esaudirà». Le preghiere di questa semplice donna non furono inutili.
«Dio permise – scriverà Olier – che numerosi sacerdoti (noi eravamo cinque o sei, di cui io sono il peggiore) presi in considerazione nel mondo abbandonassero, in seguito, ogni cosa per seguire Gesù Cristo e fare professione dei suoi insegnamenti. Riguardo a me, riconosco che la mia prima conversione dipende da questa anima santa» (Mémoires autobiographiques, t. II, p. 306).
Intraprese da allora a convertirsi e si diede agli studi e agli esercizi dovuti al suo stato con uno zelo esemplare. Ma ciò che contribuì di più a farlo avanzare nella vita interiore, fu il ritiro che seguì nel 1636 in una casa in campagna, vicino a Parigi, sotto la direzione del Padre Charles de Condren, allora superiore generale dell’Oratorio. Durante questo ritiro ricevette una grande grazia che gli fece gustare la presenza dell’inabitazione di Gesù Cristo nell’anima, e Padre de Condren gli insegnò a ridurre tutta la pratica della vita spirituale all’unione interiore con Gesù Cristo. Poi gli lasciò una formula di preghiera le cui prime parole erano: «Vieni, Signore Gesù, e vivi nel tuo servo».
Commosso dall’ispirazione della grazia, Olier volle aggiungere a questa preghiera qualcosa che esprimesse la sua devozione per quello che chiamava l’«interiore di Maria». Lui stesso scrisse queste parole rivelatrici:
«Il cielo e la terra non hanno niente che avvicini a questa vita, a questa interiorità meravigliosa nella quale si trovano ogni adorazione, lode, amore della Chiesa, degli uomini e degli angeli» (La vie intérieure de la Très Sainte Vierge, cap. 23).
Olier modificò dunque la preghiera di Padre de Condren, e alla formula «Vieni, Signore Gesù, e vivi nel tuo servo», sostituì questa: «O Gesù, che vivi in Maria, vieni e vivi nei tuoi servi». Così nacque la famosa preghiera O Iesu vivens in Maria, in uso in tutti i seminari sulpiziani, che segnò così profondamente la pietà del clero francese.
Eccola esattamente come la scrisse:
O Jesu vivens in Maria, veni et vive in famulis tuis, in spiritu sanctitatis tuae, in plenitudine virtutis tuae, in perfectione viarum tuarum, in veritate virtutum tuarum, in communione mysteriorum tuorum, dominare omni adversae potestati in Spiritu tuo ad gloriam Patris. Amen.
Eccone la traduzione:
O Gesù, che vivi in Maria, vieni e vivi nei tuoi servi, nello spirito della tua santità, nella pienezza della tua forza, nella perfezione delle tue vie, nella verità delle tue virtù, nella comunione dei tuoi misteri, esercita il tuo dominio su ogni potenza nemica nel tuo Spirito a gloria del Padre. Amen.
Fermiamoci sulle prime parole di questa preghiera: «O Gesù, che vivi in Maria». Il migliore commento è stato fatto da san Luigi Maria Grignion de Montfort nel suo Trattato della vera devozione alla Santa Vergine:
«Io dico con i santi: la divina Maria è il paradiso terrestre del nuovo Adamo, dove questi si è incarnato per opera dello Spirito Santo, per operarvi meraviglie inimmaginabili. È il grande e divino mondo di Dio, dove egli custodisce bellezze e tesori ineffabili; è la magnificenza dell’Altissimo, dove è nascosto come nel proprio seno il suo unico Figlio e, in lui, tutto ciò che egli ha di più grande e prezioso. Oh! quante cose grandi e nascoste ha compiuto il Dio potente in questa creatura meravigliosa; ella stessa si sente costretta a proclamarlo, nonostante la sua profonda umiltà: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”. Il mondo non le conosce, poiché non ne è capace né degno» (n. 6).
Questa vita di Gesù in Maria, è anzitutto la presenza terrena e carnale dell’Incarnazione. Il Verbo di Dio, racchiuso nel seno verginale di sua madre, immerso nella notte di questo mondo nel corso di nove mesi di gestazione, acconsente a essere nutrito e rivestito di carne, aspettando umilmente il suo giorno come tutti i figli degli uomini. E la corte celeste guarda con spavento questo nuovo stato della trascendenza divina: Non horruisti virginis uterum! Quando durante l’ufficio notturno, i monaci e le monache pronunciano questo versetto del Te Deum, fanno un inchino profondo in segno di riverenza verso questo Dio «che non ha avuto orrore del seno di una vergine».
Questa presenza carnale di Gesù in Maria è un mistero di cui si dovrebbe parlare con estrema delicatezza. I Padri vi hanno visto la fase iniziale della Chiesa – mai sarebbe stata così santa – e l’annuncio di una nuova economia della salvezza: Dio, attraverso il suo Verbo, tocca la sua creatura e la penetra più profondamente che nello stato dell’innocenza.
Hanno paragonato il seno purissimo di Maria tanto a un palazzo, suggerendo così la dignità incomparabile di questo luogo esente da sozzure, tanto a una camera nuziale, indicando allora il mistero ineffabile nel quale il Verbo divino si degnò di alzare l’anima di Maria e attrarla a sé, donandole la sua luce con effusioni e dimostrazioni d’affetto delle quali non esiste analogia con nessun altro ordine di creature. Mistero profondo che eleva Maria all’ordine ipostatico, un ordine a parte che appartiene solo a lei e che la pone ai confini della vita trinitaria.
Ma questa presenza di Gesù in sua madre non lo allontana da noi. Diventando il cielo di Dio, Maria diventa nello stesso tempo il modello e l’archetipo dell’anima-cielo al quale ogni creatura deve conformarsi per vivere a sua volta il mistero dell’inabitazione divina: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
La preghiera di Padre de Condren, con il ritocco del suo discepolo, si rischiara di una luce nuova e acquista una pienezza cui dovrà ispirarsi la dottrina mariana dei secoli successivi.
O Jesu vivens in Maria! - «O Gesù, che vivi in Maria, vieni e vivi nei tuoi servi!».
Gli elementi che seguono la dolce invocazione c’istruiscono brevemente sui diversi modi della presenza divina e suggeriscono un’attitudine spirituale.
Nello spirito della tua santità.
Per prima cosa è richiesto con audacia al Sovrano Maestro che Egli si manifesti in uno spirito di santità, affinché l’attitudine fondamentale di tutta l’anima interiore sia adorazione.
Adorare è riconoscere l’infinita grandezza e santità di Dio.
La santità è l’attributo divino per eccellenza. Qualcosa di ordinato e gerarchico regola le antiche formule di preghiera.
La prima domanda del Pater reclama, anch’essa, che sia riconosciuto santo, cioè trascendente, adorabile, impronunciabile il mistero del Nome divino.
L’adorazione, la soglia della preghiera cristiana, allontana da noi un’antica tentazione religiosa: ridurre Dio, servirsi di Dio.
Trattare Dio come Dio è la prima condizione per trattare con Dio.
Non si può domandare a Dio che si manifesti altrimenti che nella verità della sua essenza.
Nella pienezza della tua forza.
La quinta antifona alle Lodi di Natale canta: «È nato un bambino. Lo si chiamerà Dio, forte». È descritta l’energia divina che emanava dal Verbo incarnato: «Una virtù usciva da Lui che guariva tutti». Una virtù, cioè una forza medicinale. In Maria, Gesù non aveva niente da guarire; Egli la sopraelevava solamente e rifiniva un universo di grazia di una bellezza già incomparabile. In noi purtroppo il Dio forte trova non pochi ostacoli. Vieni, Dio forte, sii più forte di me; fai che mi pieghi: flecte quod est rigidum (sequenza di Pentecoste). Forza la barriera delle mie volontà di ribellione: ad te nostras etiam rebelles compelle propitius voluntates (secreta della Messa della IV domenica dopo Pentecoste). Bisogna sottolineare che quando la liturgia canta l’anima di una Vergine, la descrive salda perché Dio si è stabilito al suo centro: Deus in medio ejus non commovebitur (versetto di Sesta, comune delle Vergini). Così sarà Gesù nell’anima di sua Madre e nella nostra, se solo lo vogliamo.
Nella perfezione delle sue vie.
Le vie di Dio sono i disegni della sua Provvidenza. Le vie della Sapienza sono immutabili, dice la Scrittura: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie, dice il Signore». La sottomissione dolce, gioiosa, risoluta al governo di Dio, è la sapienza umana accordata alla Sapienza divina. O Gesù, maestro interiore, conducici sulla via stretta che porta alla vita.
Nella verità delle sue virtù.
Con il pericolo di cadere in errore di stoicismo, diciamo apertamente che non ci sono altre virtù se non quelle di Gesù Cristo riprodotte nelle nostre anime. Non domandiamo un qualsiasi vigore ma la virtù del Figlio. La sola vera. Vieni, Signore Gesù; imprimi in noi i tratti della tua somiglianza. Abbiamo sete di rivestire l’uomo nuovo e di presentare agli occhi del Padre il viso di suo Figlio prediletto.
Nella comunione dei suoi misteri.
Si starà attenti a imitare Gesù Cristo dal di fuori come si copia un modello esterno. L’imitazione di Gesù Cristo è la riproduzione della sua vita in noi attraverso la comunione, l’adesione, l’applicazione della nostra anima a quella che il cardinale de Bérulle chiamava i misteri della vita di Cristo o gli stati del Verbo Incarnato. Ecco quello che dice il cardinale de Bérulle sul permanere dei misteri: «Sono passati quanto all’esecuzione ma sono presenti quanto alla virtù… Lo Spirito di Dio attraverso il quale questo mistero è stato operato, lo stato interiore del mistero esteriore, l’efficacia e la virtù che rende questo mistero vivo e operante in noi… anche il gusto attuale, la disposizione viva con la quale Gesù ha operato questo mistero è sempre vivo, attuale e presente a Gesù… questo ci obbliga a trattare le cose e i misteri di Gesù non come cose passate ed estinte, ma come cose vive, presenti e anche eterne, di cui dobbiamo raccogliere anche un frutto presente ed eterno».
Esercita il tuo dominio.
Le ultime parole della preghiera di Olier hanno il vigore di un ordine militare, invitano al combattimento, alla pratica delle virtù, all’azione condotta contro tutte le potenze nemiche, nello Spirito, a gloria del Padre.
In che modo si riconoscono le grandi preghiere cattoliche? Rigore, concisione, equilibrio, ricchezza dottrinale, ne assicurano l’eccellenza. Ma l’apice è il sapore contemplativo dell’invocazione iniziale. Tutto dipende dalla qualità di questo primo tratto: O Jesu vivens in Maria! - «O Gesù, che vivi in Maria, vieni e vivi nei tuoi servi». Beata richiesta che si basa sulla contemplazione dell’anima di Maria inondata dalla presenza del Verbo: la vita di Gesù in sua Madre diviene non solo oggetto di una contemplazione ammirativa, ma una fonte luminosa alla quale l’anima cristiana regolerà i suoi moti interiori.
Più tardi, Bossuet con le sue Élévations sur les Mystères, alle quali darà una forma abbagliante, e soprattutto Padre de Montfort, saranno debitori a Olier, che seppe parlare dell’interiorità di Maria con accenti di una soavità senza precedenti.
«Non si può conoscere né l’estensione della preferenza di Gesù verso Maria, né la forza e la purezza dell’amore di Maria verso Gesù: è una prova di fede, e più è di fede, più è santa e divina, e dà più sapore all’interiorità dell’anima. O soggiorno adorabile, quello di Gesù in Maria! O segreto meritevole di silenzio! O mistero profondo degno di adorazione! O commercio incomprensibile! O società di Gesù e di Maria inaccessibile agli occhi di tutte le creature!» (La vie intérieure de la Très Sainte Vierge, cap. 23).
È un gran guadagno per l’anima frequentare tali autori. Il loro entusiasmo comunicativo, la loro pietà ammirativa ma discreta e il loro gusto interiore per le cose divine ne fanno dei degni rappresentanti di quel XVII secolo, classico anche per la spiritualità.
[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Méditations pour l’Avent, in Benedictus. Ecrits Spirituels. Tome I, Editions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2009, pp. 42-50, trad. it. delle monache benedettine del Monastero San Benedetto di Bergamo]