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giovedì 12 maggio 2016

Pellegrino della fede, della speranza e della carità.

VIAGGIO APOSTOLICO IN MESSICO E NELLA REPUBBLICA DI CUBA 
(23-29 MARZO 2012)

Il Santo Padre Benedetto XVI 

CERIMONIA DI BENVENUTO ALL’AEROPORTO INTERNAZIONALE DI GUANAJUATO, A LEÓN (MESSICO) 

All’arrivo all’aeroporto internazionale di Guanajuato, in località Silao di León in Messico, alle 16.30 (le 23.30, ora di Roma), il Santo Padre Benedetto XVI è accolto dal Presidente Federale, S.E. il Sig. Felipe de Jesús Calderón Hinojosa, con la consorte, e dall’Arcivescovo di León, S.E. Mons. José Guadalupe Martín Rábago.
Con il Nunzio Apostolico S.E. Mons. Christophe Pierre, sono presenti alcune Autorità politiche e civili, il Corpo Diplomatico, alcuni Vescovi del Messico, una rappresentanza di fedeli e gruppi musicali caratteristici detti "mariachi".
Nel corso della cerimonia di benvenuto, dopo il saluto del Presidente Federale, S.E. il Sig. Felipe de Jesús Calderón Hinojosa, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Eccellentissimo Signor Presidente della Repubblica,
Signori Cardinali,
Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Distinte autorità,
Amato popolo di Guanajuato e dell’intero Messico,


sono molto felice di essere qui, e rendo grazie a Dio per avermi concesso di realizzare il desiderio, presente nel mio cuore da molto tempo, di poter confermare nella fede il Popolo di Dio di questa grande nazione nella sua propria terra

È proverbiale il fervore del popolo messicano verso il Successore di Pietro, che lo ha sempre molto presente nella sua preghiera. Lo dico in questo luogo, considerato il centro geografico del suo territorio, nel quale desiderò venire, sin dal suo primo viaggio, il mio venerato Predecessore, il beato Giovanni Paolo II. Non potendolo fare, lasciò in quella occasione un messaggio di incoraggiamento e benedizione quando sorvolava il suo spazio aereo. Oggi sono felice di farmi eco delle sue parole, proprio in questo luogo e tra di voi: Sono grato – diceva nel suo messaggio – per l’affetto verso il Papa e la fedeltà al Signore dei fedeli del Bajío e di Guanajuato. Che Dio li accompagni sempre (cfr Telegramma, 30 gennaio 1979).

Con questo intimo ricordo, la ringrazio, Signor Presidente, per la sua calorosa accoglienza, e saluto con deferenza la sua distinta consorte e le altre autorità che hanno voluto onorarmi con la loro presenza. Un saluto molto speciale a Mons. José Guadalupe Martín Rábago, Arcivescovo di León, così come a Mons. Carlos Aguiar Retes, Arcivescovo di Tlalnepantla e Presidente della Conferenza Episcopale Messicana e del Consiglio Episcopale Latinoamericano. Con questa breve visita, desidero stringere la mano di tutti i messicani e raggiungere le nazioni e i popoli latinoamericani, ben rappresentati qui da tanti Vescovi, proprio in questo luogo nel quale il maestoso monumento a Cristo Re, nel “Cerro del Cubilete”, manifesta il radicamento della fede cattolica tra i messicani, che si mettono sotto la sua costante benedizione in tutte le loro vicissitudini.

Il Messico, e la maggior parte delle popolazioni latinoamericane, hanno commemorato il bicentenario della propria indipendenza, o lo stanno facendo in questi anni. Molte sono state le celebrazioni religiose per rendere grazie a Dio di questo momento così importante e significativo. E in esse, come si è fatto nella Santa Messa nella Basilica di San Pietro a Roma, nella Solennità di Nostra Signora di Guadalupe, si è invocata con fervore Maria Santissima, che fece vedere con dolcezza come il Signore ama tutti e si consegnò per tutti, senza distinzioni. La Nostra Madre del cielo ha continuato a vegliare sulla fede dei suoi figli anche nella formazione di queste nazioni, e continua a farlo oggi dinanzi alle nuove sfide che si presentano loro.

Giungo come pellegrino della fede, della speranza e della carità. Desidero confermare nella fede i credenti in Cristo, consolidarli in essa e incoraggiarli a rivitalizzarla con l’ascolto della Parola di Dio, i Sacramenti e la coerenza di vita. Così potranno condividerla con gli altri, come missionari tra i propri fratelli, ed essere fermento nella società, contribuendo a una convivenza rispettosa e pacifica, basata sulla incomparabile dignità di ogni persona umana, creata da Dio, e che nessun potere ha il diritto di dimenticare o disprezzare. Questa dignità si manifesta in modo eminente nel diritto fondamentale alla libertà religiosa, nel suo genuino significato e nella sua piena integrità.


Come pellegrino della speranza, vi dico con San Paolo: «Non siate tristi come gli altri che non hanno speranza» (1Ts 4,13). La fede in Dio offre la certezza di incontrarlo, di ricevere la sua Grazia, e su questo si basa la speranza di chi crede. Sapendo ciò, il credente si sforza di trasformare anche le strutture e gli avvenimenti presenti poco piacevoli, che sembrano immutabili e insuperabili, aiutando chi nella vita non trova né senso, né avvenire. Sì, la speranza cambia l’esistenza concreta di ogni uomo e di ogni donna in maniera reale (cf. Spe salvi, 2). La speranza addita «un cielo nuovo e una terra nuova» (Ap 21,11), cercando di rendere palpabili già ora alcuni dei loro riflessi. Inoltre, quando si radica in un popolo, quando viene condivisa, essa si diffonde come la luce che disperde le tenebre che offuscano e attanagliano. Questo Paese, questo Continente, sono chiamati a vivere la speranza in Dio come una convinzione profonda, trasformandola in un atteggiamento del cuore e in un impegno concreto di camminare uniti verso un mondo migliore. Come già dissi a Roma, «continuate ad avanzare senza scoraggiarvi nella costruzione di una società fondata sullo sviluppo del bene, il trionfo dell’amore e la diffusione della giustizia» (Omelia nella solennità di Nostra Signora di Guadalupe, Roma, 12 dicembre 2011).


Insieme alla fede e alla speranza, il credente in Cristo, e la Chiesa nel suo insieme, vivono e praticano la carità come elemento essenziale della loro missione. Nella sua accezione primaria, la carità «è anzitutto e semplicemente la risposta a una necessità immediata in una determinata situazione» (Deus caritas est, 31a), come è soccorrere coloro che patiscono la fame, sono privi di dimora, sono infermi o bisognosi in qualche aspetto della loro esistenza. Nessuno rimane escluso per la sua origine o le sue convinzioni da questa missione della Chiesa, che non entra in competizione con altre iniziative private o pubbliche, anzi, essa collabora volentieri con coloro che perseguono questi stessi fini. Tantomeno pretende altra cosa che non sia fare del bene, in maniera disinteressata e rispettosa, al bisognoso, a chi, molte volte, manca più di tutto proprio di una prova di amore autentico.


Signor Presidente, amici tutti: in questi giorni chiederò vivamente al Signore e alla Vergine di Guadalupe che questo popolo faccia onore alla fede ricevuta e alle sue migliori tradizioni; e pregherò specialmente per coloro che più ne hanno bisogno, particolarmente quanti soffrono a causa di antiche e nuove rivalità, risentimenti e forme di violenza. Già so che mi trovo in un Paese orgoglioso della sua ospitalità e desideroso che nessuno si senta estraneo nella sua terra. Lo so, già lo sapevo, però ora lo vedo e lo sento in modo molto profondo nel cuore. Spero con tutta la mia anima che lo sentano anche tanti messicani che vivono fuori della propria patria natìa, ma che mai la dimenticano e desiderano vederla crescere nella concordia e in un autentico sviluppo integrale. Molte grazie.
© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana


Sii Tu la nostra Scala al Regno dei Cieli
e la Via diritta al Paradiso


lunedì 10 agosto 2015

Rose, in pieno inverno!

Lettera spirituale



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agosto 2004



Carissimo/a Amico/a 
       Un giorno in cui contemplava una riproduzione dell'Immagine di Nostra Signora di Guadalupe, Papa Giovanni Paolo II fece questa confidenza: «Mi sento attirato da quest'Immagine, perchè il viso è pieno di tenerezza e di semplicità; mi chiama...». Più tardi, il 6 maggio 1990, in occasione di un pellegrinaggio in Messico, il Santo Padre beatificava il messaggero di Nostra Signora, Juan Diego, e diceva: «La Vergine ha scelto Juan Diego fra i più umili, per ricevere quella manifestazione affabile e benigna che fu l'apparizione di Nostra Signora di Guadalupe. Il suo viso materno sulla santa Immagine che ci lasciò in dono ne è un ricordo imperituro».

Nel secolo XVI, la Santa Vergine, piena di pietà per il popolo azteco che, vivendo nelle tenebre dell'idolatria, offriva agli idoli innumerevoli vittime umane, si è degnata di prender in mano essa medesima l'evangelizzazione degli Indiani dell'America centrale che erano anch'essi suoi figli. Un dio degli Aztechi, cui era attribuita la fertilità, si era trasformato, con l'andar del tempo, in dio feroce. Simbolo del sole, quel dio, in lotta permanente con la luna e le stelle, aveva bisogno – così si credeva – di sangue umano per restaurare le proprie forze, poichè, se fosse perito, la vita si sarebbe spenta. Sembrava dunque indispensabile offrigli, in perpetuo sacrificio, sempre nuove vittime.


Un'aquila su un cactus


I sacerdoti aztechi avevano profetizzato che il loro popolo nomade si sarebbe insediato nel luogo in cui si fosse mostrata un'aquila che, appollaiata su un cactus, divorasse un serpente. L'aquila figura sulla bandiera del Messico attuale. Giunti su un'isola palustre, in mezzo al lago Texcoco, gli Aztechi vedono compiersi il preannunciato presagio: un'aquila, appollaiata su un cactus, sta divorando un serpente; siamo nel 1369. Fondano quindi lì la città di Tenochtitlán, che diventerà Città del Messico. Essa si sviluppa fino a diventare una vasta città su palafitte con numerosi giardini in cui abbondano fiori, frutti e verdure. L'organizzazione progressiva del regno azteco fa di esso un impero gerarchizzato e molto strutturato. Le conoscenze dei matematici, degli astronomi, filosofi, architetti, medici, artisti ed artigiani sono molto avanzate per l'epoca. Ma le leggi fisiche rimangono poco note. La potenza e la prosperità di Tenochtitlán sono dovute soprattutto alla guerra. Le città conquistate devono pagare un tributo di derrate varie e di uomini per la guerra e per i sacrifici. I sacrifici umani e l'antropofagia degli Aztechi hanno pochi riscontri analoghi nel corso della storia.

Nel 1474, nasce un bambino cui vien dato il nome di Cuauhtlatoazin («aquila parlante»). Alla morte di suo padre, è lo zio che si incarica del piccolo. Fin dall'età di tre anni, gli si insegna, come a tutti i bambini aztechi, a partecipare ai lavori domestici ed a comportarsi dignitosamente. A scuola, impara il canto, la danza e soprattutto la religione coi suoi molteplici dei. I sacerdoti hanno una grande influenza sulla popolazione, che mantengono in una sottomissione che va fino al terrore. Cuauhtlatoazin ha tredici anni, quando si procede alla consacrazione del gran Tempio di Tenochtitlán. Nel corso di quattro giorni, i sacerdoti sacrificano al loro dio 80.000 vittime umane. Dopo il servizio militare, Cuauhtlatoazin si sposa con una ragazza della sua condizione. Insieme, conducono una modesta vita di agricoltori.

Nel 1519, lo spagnolo Cortés sbarca nel Messico, alla testa di più di 500 soldati. Conquista il paese per conto della Spagna, ma non senza zelo per l'evangelizzazione degli Aztechi; nel 1524, ottiene la venuta a Città del Messico di dodici Francescani. I missionari s'integrano facilmente nella popolazione; la loro bontà contrasta con la durezza dei sacerdoti aztechi e con quella di certi conquistatori. Si cominciano a costruire chiese. Tuttavia, gli Indiani si mostrano assai refrattari al Battesimo, soprattutto a causa della poligamia che dovrebbero abbandonare.

Cuauhtlatoazin e sua moglie sono fra i primi a ricevere il Battesimo, ed assumono rispettivamente i nomi di Juan Diego e María Lucía. Alla morte di quest'ultima, nel 1529, Juan Diego si ritira a Tolpetlac, a 14 km da Città del Messico, presso lo zio Juan Bernardino, diventato pure lui cristiano. Il 9 dicembre 1531, come sempre il sabato, egli parte prestissimo la mattina per assistere alla Messa celebrata in onore della Santa Vergine, presso i Frati francescani, vicino a Città del Messico. Passa ai piedi della collina di Tepeyac. Improvvisamente, sente un canto dolce e sonoro che gli sembra provenga da una gran moltitudine di uccelli. Alzando gli occhi verso la cima della collina, vede una nuvola bianca e sfavillante. Guarda intorno a sè e si chiede se non stia sognando. Improvvisamente il canto tace ed una voce di donna, dolce e delicata, lo chiama: «Juanito! Juan Dieguito!» S'inerpica rapidamente sulla collina e si trova davanti ad una giovane bellissima, le cui vesti brillano come il sole.


«Un tempio in cui manifesterò il mio amore»


Rivolgendosi a lui in nahuatl, la sua lingua materna, gli dice: «Figlio mio, Juanito, dove vai? – Nobile Signora, mia Regina, vado a Messa a Città del Messico per apprendervi le cose divine che ci insegna il sacerdote. – Voglio che tu sappia con certezza, caro figlio, che io sono la perfetta e sempre Vergine Maria, Madre del vero Dio da cui proviene ogni vita, il Signore di tutte le cose, Creatore del cielo e della terra. Ho un grandissimo desiderio: che si costruisca, in mio onore, un tempio in cui manifesterò il mio amore, la mia compassione e la mia protezione. Sono vostra madre, piena di pietà e d'amore per voi e per tutti coloro che mi amano, hanno fiducia in me e a me ricorrono. Ascolterò le loro lamentele e lenirò la loro afflizione e le loro sofferenze. Perchè possa manifestare tutto il mio amore, va' ora dal vescovo, a Città del Messico, e digli che ti mando da lui per fargli conoscere il grande desiderio che provo di veder costruire, qui, un tempio a me consacrato».

Juan Diego si reca immediatamente al vescovado. Monsignor Zumárraga, religioso francescano, primo vescovo di Città del Messico, è un uomo pio e pieno di zelo il cui cuore trabocca di bontà per gli Indiani; ascolta attentamente il pover'uomo, ma, temendo un'illusione, non gli dà credito. Verso sera, Juan Diego prende la via del ritorno. In cima alla collina di Tepeyac, ha la felice sorpresa di ritrovare l'Apparizione; rende conto della sua missione, poi aggiunge: «Vi supplico di affidare il vostro messaggio a qualcuno di più noto e rispettato, affinchè si possa crederci. Io sono solo un modesto Indiano che avete mandato da una persona altolocata in qualità di messaggero. Perciò non sono stato creduto ed ho potuto soltanto causarvi una gran delusione. – Figlio carissimo, risponde la Signora, devi capire che vi sono persone molto più nobili cui avrei potuto affidare il mio messaggio, e tuttavia è grazie a te che il mio progetto si realizzerà. Torna domani dal vescovo... digli che sono io in persona, la Santa Vergine Maria, Madre di Dio, che ti manda».

La domenica mattina dopo la Messa, Juan Diego si reca dal vescovo. Il prelato gli fa molte domande, poi chiede un segno tangibile della realtà dell'apparizione. Quando Juan Diego se ne torna a casa, il vescovo lo fa seguire discretamente da due domestici. Sul ponte de Tepeyac, Juan Diego scompare ai loro occhi, e, malgrado tutte le ricerche effettuate sulla collina e nei dintorni, essi non lo ritrovano più. Furenti, dichiarano al vescovo che egli è un impostore e che non bisogna assolutamente credergli. Durante il medesimo tempo, Juan Diego riferisce alla bella Signora, che lo aspettava sulla collina, il nuovo colloquio avuto con il vescovo. «Torna domattina a prendere il segno che reclama», risponde l'Apparizione.


Rose, in pieno inverno!


Tornando a casa, l'Indiano trova lo zio malato e il giorno seguente deve rimanere al suo capezzale per curarlo. Poiché la malattia si aggrava, lo zio chiede al nipote di andar a cercare un sacerdote. All'alba, il martedì 12 dicembre, Juan Diego si avvia verso la città. Quando si avvicina alla collina di Tepeyac, giudica preferibile fare una deviazione per non incontrare la Signora. Ma, improvvisamente, la vede venirgli incontro. Tutto confuso, le espone la situazione e promette di tornare non appena avrà trovato un sacerdote per dare l'olio santo allo zio. «Figliolo caro, replica l'Apparizione, non affliggerti per la malattia di tuo zio, perchè egli non morirà. Ti assicuro che guarirà... Va' fin in cima alla collina, cogli i fiori che ci vedrai e portameli». Arrivato in cima, l'Indiano è stupefatto di trovarvi un gran numero di fiori sbocciati, rose di Castiglia, che spandono un profumo quanto mai soave. In questa stagione invernale, infatti, il freddo non lascia sussistere nulla, ed il luogo è troppo arido per permettere la coltura dei fiori. Juan Diego coglie le rose, le deposita nel mantello, o tilma, poi ridiscende dalla collina. «Figlio caro, dice la Signora, questi fiori sono il segno che darai al vescovo... Questo lo disporrà a costruire il tempio che gli ho chiesto».

Juan Diego corre al vescovado. Quando arriva, i domestici lo fanno aspettare per lunghe ore. Stupiti che sia tanto paziente, e incuriositi da quel che porta nella tilma, finiscono per avvertire il vescovo, il quale, malgrado si trovi in compagnia di parecchie persone, lo fa entrare immediatamente. L'Indiano racconta la sua avventura, apre la tilma e lascia sparpagliarsi per terra i fiori ancora brillanti di rugiada. Con le lacrime agli occhi, Monsignor Zumárraga cade in ginocchio, ammirando le rose del suo paese. Ad un tratto, scorge, sulla tilma, il ritratto di Nostra Signora. Vi è Maria, come impressa sul mantello, bellissima e piena di dolcezza. I dubbi del vescovo lasciano il posto ad una solida fede e ad una speranza incantata. Prende la tilma e le rose, e le deposita rispettosamente nel suo oratorio privato. Il giorno dopo, si reca con Juan Diego sulla collina delle apparizioni. Dopo aver esaminato i luoghi, lascia che il veggente torni dallo zio. Juan Bernardino è effettivamente guarito. La guarigione si è prodotta all'ora stessa in cui Nostra Signora appariva a suo nipote. Racconta: «L'ho vista anch'io. È venuta proprio qui e mi ha parlato. Vuole che le si eriga un tempio sulla collina di Tepeyac e che si chiami il suo ritratto «Santa Maria di Guadalupe». Ma non mi ha spiegato perchè». Il nome di Guadalupe è ben noto agli Spagnoli, poichè esiste nel loro paese un antichissimo santuario consacrato a Nostra Signora di Guadalupe.

La notizia del miracolo si sparge rapidamente; in poco tempo, Juan Diego diventa popolare: «Accrescerò la tua fama», gli aveva detto Maria; ma l'Indiano rimane sempre altrettanto umile. Per facilitare la contemplazione dell'Imagine, Monsignor Zumárraga fa trasportare la tilma nella cattedrale. Poi intraprende la costruzione di una chiesetta e di un eremo, per Juan Diego, sulla collina delle apparizioni. Il 25 dicembre seguente, il vescovo consacra la cattedrale alla Santissima Vergine, al fine di ringraziarla per i favori insigni di cui Essa ha colmato la diocesi, poi, in una magnifica processione, l'Immagine miracolosa viene portata verso il santuario di Tepeyac, che è appena stato ultimato. Per manifestare la loro gioia, gli Indiani tirano frecce. Una di esse, lanciata senza precauzioni, trafigge la gola di uno dei presenti che cade a terra, ferito mortalmente. Subentra un silenzio impressionante ed una supplica intensa sale verso la Madre di Dio. Improvvisamente, il ferito, che è stato depositato ai piedi dell'Immagine miracolosa, riprende i sensi e si rialza, pieno di vigore. L'entusiasmo della folla è al colmo.


Milioni d'Indiani diventati Cristiani


Juan Diego si sistema nel piccolo eremo e veglia alla manutenzione ed alla pulizia del luogo. La sua vita rimane molto modesta: coltiva con cura un campo messo a sua disposizione presso il santuario. Riceve i pellegrini, sempre più numerosi, parlando loro con molto piacere della Santa Vergine e raccontando senza stancarsi i particolari delle apparizioni. Gli vengono affidate intenzioni di preghiere di ogni genere. Ascolta, compatisce, riconforta. Passa una gran parte del suo tempo libero in contemplazione davanti all'immagine della sua Signora; i suoi progressi sulla via della santità sono rapidi. Un giorno dopo l'altro, compie la sua missione di testimone, fino alla morte che avverrà il 9 dicembre 1548, diciassette anni dopo la prima apparizione.

Quando gli Indiani appresero la notizia delle apparizioni di Nostra Signora, si sparsero fra loro un entusiasmo ed una gioia indicibili. Rinunciando agli idoli, alle superstizioni, ai sacrifici umani ed alla poligamia, molti chiesero il Battesimo. Nei nove anni che seguirono le apparizioni, nove milioni di loro furono convertiti alla fede cristiana, vale a dire 3.000 al giorno! I particolari dell'Immagine di Maria colpiscono profondamente gli Indiani: quella donna è più grande del dio-sole, poichè appare in piedi davanti al sole; supera il dio-luna, poichè tiene la luna sotto ai suoi piedi; non è più di questo mondo, poichè è circondata di nuvole ed è tenuta al di sopra del mondo da un angelo; le mani giunte la mostrano in preghiera, il che significa che c'è qualcuno di più grande di lei...

Ma, ancora oggi, il mistero dell'Immagine miracolosa non è chiarito. La tilma, vasto grembiule tessuto a mano con fibre di cactus, porta l'Immagine sacra di un'altezza di 1 m. 43. Il viso della Vergine è perfettamente ovale e di un color grigio che tende al rosa. Gli occhi hanno un'intensa espressione di purezza e di dolcezza. La bocca sembra sorridere. La bellissima faccia, simile a quella di un'Indiana meticcia, è incorniciata da una chioma nera che, vista da vicino, comporta capelli di seta. Un'ampia tunica, di un rosa incarnato che non si è mai potuto riprodurre, la copre fino ai piedi. Il mantello, azzurro-verde, è bordato di un gallone d'oro e cosparso di stelle. Un sole di vari toni forma uno sfondo magnifico in cui brillano raggi d'oro.

La conservazione della tilma, dal 1531 ad oggi, rimane inspiegata. In capo a più di quattro secoli, la stoffa, di qualità mediocre, conserva la stessa freschezza, la stessa vivacità di toni che aveva in origine. In confronto, una copia dell'Immagine di Nostra Signora di Guadalupe, dipinta con gran cura nel secolo XVIII e conservata nelle stesse condizioni climatiche di quella di Juan Diego, si è completamente degradata in pochi anni.

All'inizio del secolo XX, periodo doloroso di rivoluzioni per il Messico, una carica di dinamite fu depositata da miscredenti sotto l'Immagine, in un vaso pieno di fiori. L'esplosione ha distrutto i gradini di marmo dell'altar maggiore, i candelabri, tutti i portafiori; il retablo di marmo dell'altare fu fatto a pezzi, il Cristo di ottone del tabernacolo si piegò in due. I vetri della maggior parte delle case circostanti la basilica si ruppero, ma quello che proteggeva l'Immagine non fu nemmeno incrinato; l'Immagine rimase intatta.


L'esperienza più sconvolgente della mia vita


Nel 1936, uno studio realizzato su due fibre della tilma, una rossa ed una gialla, giunse a conclusioni stupefacenti: le fibre non contengono nessun colorante noto. L'oftalmologia e l'ottica confermano la natura insiegabile dell'immagine: essa assomiglia ad una diapositiva proiettata sul tessuto. Un esame approfondito mostra che non vi è nessuna traccia di disegno o di schizzo sotto il colore, anche se ritocchi perfettamente riconoscibili sono stati realizzati sull'originale, ritocchi che, del resto, si degradano con l'andar del tempo; inoltre, il supporto non ha ricevuto nessun appretto, il che sembrerebbe inspiegabile se si trattasse veramente di una pittura, poichè, anche su una tela più fine, si mette sempre un rivestimento, non fosse che per evitare che la tela assorba la pittura e che i fili affiorino alla superficie. Non si distingue nessuna pennellata. A seguito di un esame a raggi infrarossi, effettuato il 7 maggio 1979, un professore della NASA scrive: «Non c'è nessun modo di spiegare la qualità dei pigmenti utilizzati per la veste rosa, il velo azzurro, il volto e le mani, nè la persistenza dei colori, nè la freschezza dei pigmenti in capo a parecchi secoli durante i quali avrebbero dovuto normalmente degradarsi... L'esame dell'Immagine è stata l'esperienza più sconvolgente della mia vita».

Certi astronomi hanno constatato che tutte le costellazioni presenti nel cielo nel momento in cui Juan Diego apre la tilma davanti al vescovo Zumárraga, il 12 dicembre 1531, si trovano al loro posto sul mantello di Maria. Si è anche scoperto che, applicando una carta topografica del Messico centrale sulla veste della Vergine, le montagne, i fiumi ed i laghi principali coincidono con l'ornamentazione della veste medesima.

Esami oftalmologici giungono alla conclusione che l'occhio di Maria è un occhio umano che sembra vivo, ivi inclusa la retina in cui si riflette l'immagine di un uomo con le mani aperte: Juan Diego. L'immagine nell'occhio ubbidisce alle leggi note dell'ottica, in particolare a quella che afferma che un oggetto in piena luce può riflettersi tre volte nell'occhio (legge di Purkinje-Samson). Uno studio posteriore ha permesso di scoprire nell'occhio, oltre al veggente, Monsignor Zumárraga e parecchi altri personaggi, presenti quando l'immagine di Nostra Signora è apparsa sulla tilma. Infine, la rete venosa normale microscopica sulle palpebre e la cornea degli occhi della Vergine è perfettamente riconoscibile. Nessun pittore umano avrebbe potuto riprodurre simili particolari.


Incinta di tre mesi


Misure ginecologiche hanno stabilito che la Vergine dell'Immagine ha le dimensioni fisiche di una donna incinta di tre mesi. Sotto la cintura che trattiene la veste, al posto stesso dell'embrione, spicca un fiore con quattro petali: il Fiore solare, il più familiare dei geroglifici degli Aztechi che simboleggia per loro la divinità, il centro del mondo, del cielo, del tempo e dello spazio. Dal collo della Vergine pende una spilla il cui centro è adorno di una piccola croce, che ricorda la morte di Cristo sulla Croce per la salvezza di tutti gli uomini. Vari altri particolari dell'Immagine di Maria fanno di essa uno straordinario documento per la nostra epoca, che li può constatare grazie alle tecniche moderne.

Così la scienza, che ha spesso servito quale pretesto per l'incredulità, oggi ci aiuta a mettere in evidenza segni che erano rimasti sconosciuti per secoli e secoli e che non può spiegare.

L'immagine di Nostra Signora di Guadalupe porta un messaggio di evangelizzazione: la Basilica di Città del Messico è un centro «dal quale scorre un fiume di luce del Vangelo di Cristo, che si diffonde su tutta la terra attraverso l'Immagine misericordiosa di Maria» (Giovanni Paolo II, 12 dicembre 1981). Inoltre, con il suo intervento in favore del popolo azteco, la Vergine ha contribuito alla salvezza di innumerevoli vite umane, e la sua gravidanza può esser interpretata come un appello speciale in favore dei nascituri e della difesa della vita umana; tale appello è di grande attualità ai giorni nostri, in cui si moltiplicano e si aggravano le minacce contro la vita delle persone e dei popoli, soprattutto quando si tratta di una vita debole ed inerme. Già il Concilio Vaticano II deplorava con forza i crimini contro la vita umana: «Tutto quel che si oppone alla vita medesima, come qualsiasi specie d'omicidio, il genocidio, l'aborto voluto, l'eutanasia... tutte queste pratiche ed altre analoghe sono, in verità, infami. Mentre corrompono la civiltà, disonorano coloro che vi procedono ancor più di quelli che le subiscono, e sono un insulto grave all'onore del Creatore» (Gaudium et spes, 27). Di fronte a tali flagelli, che si sviluppano grazie ai progressi scientifici e tecnici, e che beneficiano di un ampio consenso sociale e di riconoscimenti legali, invochiamo Maria con fiducia. Essa è un «modello incomparabile di accoglienza della vita e di sollecitudine per la vita... Mostrandoci suo Figlio, ci assicura che in Lui le forze della morte sono già state vinte» (Giovanni Paolo II,Evangelium vitæ, 25 marzo 1995, nn. 102, 105). «In gigantesco duello si sono battute la morte e la vita. Il Signore della vita, già morto, ora vive e regna» (Sequenza di Pasqua).

Domandiamo a san Juan Diego, canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 31 luglio 2002, di ispirarci una vera devozione per la nostra Madre Celeste, poichè «la compassione di Maria si estende a tutti coloro che la chiedono, non fosse che con un semplice saluto: «Ave, Maria...»» (Sant'Alfonso de Liguori). Lei, che è Madre di Misericordia, ci otterrà la Misericordia di Dio, specialmente se saremo caduti in peccati gravi.
Dom Antoine Marie osb

AVE MARIA!

lunedì 28 gennaio 2013

CRISTEROS I martiri cristiani del Messico... di cui nessuno parla...

Ricevo e imposto. Sia benedetto il Signore per la libertà che ci dona.

Da: Pamela
Oggetto: Cristeros


Cari amici, ecco i veri cristiani. Vi invito tutti a fare il piccolo sforzo di guardare questo film per intero, in Europa non lo fanno entrare...  Guardate, ascoltate e capirete il perchè. E' da diffondere il più possibile, ora è su internet!


CRISTEROS
I martiri cristiani del Messico... di cui nessuno parla...

Primo tempo:

Secondo tempo:


<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>

 Domine Iesu,
Noverim me, noverim te,
Nec aliquid cupiam nisi te.