"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
Visualizzazione post con etichetta Speranza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Speranza. Mostra tutti i post
mercoledì 26 aprile 2017
venerdì 30 gennaio 2015
Dalle Lettere di san Giovanni Bosco
Imitare Gesù e lasciarsi guidare dall'amore
Se vogliamo farci vedere amici del vero bene dei nostri allievi, e obbligarli a fare il loro dovere, bisogna che voi non dimentichiate mai che rappresentate i genitori di questa cara gioventù, che fu sempre tenero oggetto delle mie occupazioni, dei miei studi, del mio ministero sacerdotale, e della nostra Congregazione salesiana. Se perciò sarete veri padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore; e non veniate mai alla repressione o punizione senza ragione e senza giustizia, e solo alla maniera di chi vi si adatta per forza e per compiere un dovere.
Quante volte, miei cari figliuoli, nella mia lunga carriera ho dovuto persuadermi di questa grande verità! E' certo più facile irritarsi che pazientare, minacciare un fanciullo che persuaderlo: direi ancora che è più comodo alla nostra impazienza ed alla nostra superbia castigare quelli che resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità. La carità che vi raccomando è quella che adoperava san Paolo verso i fedeli di fresco convertiti alla religione del Signore, e che sovente lo facevano piangere e supplicare quando se li vedeva meno docili e corrispondenti al suo zelo.
Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma, che è necessaria per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità, o sfogare la propria passione.
Riguardiamo come nostri figli quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne ad ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l`aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere.
Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi lo scandalo, ed in molti la santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da lui ad essere mansueti ed umili di cuore (Mt 11, 29).
Dal momento che sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in maniera che sembri soffocata del tutto. Non agitazione dell'animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione per il momento, la speranza per l'avvenire, ed allora voi sarete i veri padri e farete una vera correzione.
In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall'altra parte non arrecano vantaggio a chi le merita.
Ricordatevi che l'educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l'arte, e non ce ne mette in mano le chiavi.
Studiamoci di farci amare, di insinuare il sentimento del dovere del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori ed unirsi a noi per cantare le lodi e le benedizioni di colui, che volle farsi nostro modello, nostra via, nostro esempio in tutto, ma particolarmente nell'educazione della gioventù.
Dalle «Lettere» di san Giovanni Bosco
(Epistolario, Torino, 1959, 4, 202. 294-205. 209)
Orazione
O Dio, che in san Giovanni Bosco hai dato alla tua Chiesa un padre e un maestro dei giovani, suscita anche in noi la stessa fiamma di carità a servizio della tua gloria per la salvezza dei fratelli. Per il nostro Signore.
COR JUSTISSIMUM,
ORA PRO NOBIS
sabato 7 dicembre 2013
OGGI ! - 10 -
Rubbio (Vicenza), 8 dicembre 1988. Festa della
Immacolata Concezione.
Segno di speranza e di consolazione.
«Oggi guardate tutti a Me, vostra Mamma Immacolata.
Unitevi alle schiere degli Angeli e dei Santi del Cielo, a tutte le anime che
pregano e soffrono nel Purgatorio, alla Chiesa terrena e pellegrina, che cammina
nel deserto del mondo e del tempo per contemplarmi come segno di speranza
e di consolazione.
L'esenzione da ogni macchia di peccato, anche di quello originale, ha consentito
alla mia anima di essere tutta ripiena della vita di Dio, alla mia mente di essere
ricolma dello Spirito di Sapienza, che mi ha aperta alla comprensione della divina
Parola, al mio cuore di essere formato alla forma più perfetta di amore, al mio
corpo di essere avvolto dalla luce immacolata di una verginale purezza.
corpo di essere avvolto dalla luce immacolata di una verginale purezza.
Guardate a Me, vostra Mamma Celeste, nel fulgore della mia sovrumana bellezza
e correte tutti dietro l'onda soave di questo mio profumo di Paradiso.
È nella mia bellezza la ragione profonda della vostra speranza e della vostra
consolazione.
Perché «tutta bella» - tota pulchra - sono per voi segno di speranza,
nei giorni che vivete, in cui il mio Avversario è riuscito a rendere brutta ogni
cosa con la macchia del peccato e della impurità. Voi vivete sotto il segno
della sua grande schiavitù, che toglie da voi il riflesso di ogni spirituale bellezza.
della sua grande schiavitù, che toglie da voi il riflesso di ogni spirituale bellezza.
Le anime sono oscurate dai peccati, che impediscono che giunga ad esse lo
splendore della vita e della comunione con Dio.
I corpi vengono abbruttiti dal sopravvento delle passioni e della impurità.
L'uomo è schiacciato sotto il peso di una civiltà senza Dio, che sfigura in lui
l'immagine della sua originaria dignità.
Il mondo è oscurato da un persistente rifiuto di Dio.
Una densa tenebra è ormai scesa ad oscurare ogni cosa.
Ecco allora che la Mamma Immacolata, in questo tempo, si presenta come
il segno della vostra sicura speranza.
il segno della vostra sicura speranza.
Perché è mio compito materno quello di riportare le anime alla Grazia, i
cuori all'amore, i corpi alla purezza, l'uomo alla grande dignità di figlio di
Dio, il mondo alla perfetta glorificazione della Santissima Trinità.
cuori all'amore, i corpi alla purezza, l'uomo alla grande dignità di figlio di
Dio, il mondo alla perfetta glorificazione della Santissima Trinità.
Perché "tutta bella" - tota pulchra - sono per voi anche segno di consolazione.
Vivete il tempo della grande tribolazione ed aumentano per tutti le sofferenze e
le prove.
le prove.
I cattivi continuano con ostinazione sulla strada del male e del peccato, senza
accogliere i miei ripetuti inviti alla conversione ed al ritorno al Signore.
I buoni sono resi tiepidi e come paralizzati dal malsano ambiente in cui vivono.
Le persone consacrate sono dedite alla ricerca dei piaceri e vengono attirate
dallo spirito del mondo a cui, per vocazione, avevano rinunciato.
dallo spirito del mondo a cui, per vocazione, avevano rinunciato.
I Sacerdoti languono, molti sono cattivi e infedeli e dissipano i tesori della
santa Chiesa di Dio.
santa Chiesa di Dio.
L'ora del castigo è ormai giunta.
Allora più che mai avete bisogno di affidarvi a Me, vostra Mamma Celeste,
perché ho il compito dal Signore di condurvi tutti sulla strada del bene, della
salvezza e della pace.
perché ho il compito dal Signore di condurvi tutti sulla strada del bene, della
salvezza e della pace.
Oggi vi invito a guardare tutti a Me, vostra Mamma Immacolata,
come segno di sicura speranza e di consolazione, ed a lasciarvi avvolgere
dalla mia luce, in questi giorni di profonda tenebra e di universale oscurità,
perché, condotti e guidati da Me, possiate andare in ogni parte ad illuminare
la terra».
come segno di sicura speranza e di consolazione, ed a lasciarvi avvolgere
dalla mia luce, in questi giorni di profonda tenebra e di universale oscurità,
perché, condotti e guidati da Me, possiate andare in ogni parte ad illuminare
la terra».
lunedì 23 settembre 2013
SPERANZA: grande virtù che ... sorregge la fede e la carità. ... La fede i gradini, la speranza la ringhiera; in alto ecco la carità alla quale si sale mediante le altre due.
«Avevo promesso di parlare della speranza ai miei discepoli. La parabola eccola: questo vecchio israelita.
Me lo dà il Padre dei Cieli il soggetto per insegnare a voi tutti la grande virtù che, come le braccia di un giogo, sorregge la fede e la carità.
Dolce giogo. Patibolo dell’umanità come il braccio traverso della croce, trono della salvezza come appoggio del serpente salutare alzato nel deserto. Patibolo dell’umanità. Ponte dell’anima per spiccare il volo nella Luce. Ed è messa in mezzo fra l’indispensabile fede e la perfettissima carità, perché senza la speranza non può esservi fede, e senza speranza muore la carità.
Fede presuppone speranza sicura.
Come credere di giungere a Dio se non si spera nella sua bontà? Come
sorreggersi nella vita se non si spera in un’eternità? Come poter persistere nella giustizia se non ci anima la speranza che ogni nostra buona azione è da Dio vista e per darci di essa premio?
Ugualmente, come fare vivere la carità se non c’è speranza in noi? La speranza precede la carità e la prepara. Perché un uomo ha bisogno di sperare per poter amare. I disperati non amano più.
La scala è questa, fatta di scalini e di ringhiera: La fede i gradini, la speranza la ringhiera; in alto ecco la carità alla quale si sale mediante le altre due.
L’uomo spera per credere, crede per amare.
Quest’uomo ha saputo sperare. È nato. Un bambino di Israele come tutti gli altri. È cresciuto con gli stessi ammaestramenti degli altri. È divenuto figlio della Legge come tutti gli altri. Si è fatto uomo, sposo, padre, vecchio, sempre sperando nelle promesse fatte ai patriarchi e ripetute dai profeti.
Nella vecchiaia sono scese le ombre sulle sue pupille ma non nel suo cuore. In esso è rimasta accesa la speranza. Speranza di vedere Iddio. Vedere Iddio nell’altra vita. E, nella speranza di questa vista eterna, una, più intima e cara: “vedere il Messia”.
E mi ha detto, non sapendo chi era il giovane che gli parlava: “Se abbandonerai la Legge sarai cieco in terra e in Cielo. Non vedrai Dio e non riconoscerai il Messia”. Ha detto da saggio.
Troppi sono ora in Israele che sono ciechi.
Non hanno più speranza perché l’ha uccisa in loro la ribellione alla Legge, che è sempre ribellione, anche se velata da paramenti sacri, se non è accettazione integrale della parola di Dio, dico di Dio, non delle soprastrutture che vi sono state messe dall’uomo e che per essere troppe, e tutte umane, vengono trascurate da quelli stessi che le hanno messe, e fatte macchinalmente, sforzatamente, stancamente, sterilmente, dagli altri.
Non hanno più speranza. Ma irrisione delle verità eterne. Non hanno perciò più fede e più carità. Il divino giogo da Dio dato all’uomo perché se ne facesse ubbidienza e merito, la celeste croce che Dio ha dato all’uomo a scongiuro contro i serpenti del Male perché se ne facesse salute, ha perduto il suo braccio traverso, quello che sorreggeva la fiamma candida e la fiamma rossa: la fede e la carità; e le tenebre sono scese nei cuori.
Il vecchio mi ha detto: “È grande sventura non credere e non eseguire ciò che Dio ci ha detto”. È vero. Io ve lo confermo. È peggio della cecità materiale, che ancora può essere guarita per dare ad un giusto la gioia di rivedere il sole, i prati, i frutti della terra, i volti dei figli e nipoti, e soprattutto ciò che era la speranza della sua speranza: “Vedere il Messia del Signore”.
Io vorrei che fosse viva nell’animo di tutto Israele, e specie in quelli che sono i più istruiti nella Legge. Non basta essere stato nel Tempio o del Tempio, non basta sapere a memoria le parole del Libro. Occorre saperle fare vita della nostra vita mediante le tre virtù divine. Voi ne avete un esempio: dove esse sono vive tutto è facile, anche la sventura. Perché il giogo di Dio è sempre giogo leggero, che preme solo sulla carne ma non abbatte lo spirito.
Andate in pace, voi che restate in questa casa da buoni israeliti. Vai in pace, vecchio padre. Che Dio ti ami ne hai la certezza. Chiudi la tua giusta giornata deponendo la tua saggezza nel cuore dei pargoli del tuo sangue.
Non posso rimanere, ma la mia benedizione resta fra queste mura pingue di grazie come i grappoli di questa vigna».
E Gesù vorrebbe andarsene. Ma deve almeno fermarsi tanto da conoscere questa tribù di tutte le età, e di ricevere quanto gli vogliono dare fino a rendere le sacche da viaggio panciute come otri… Poi può riprendere il cammino per una scorciatoia fra le viti che gli indicano i vignaiuoli, che non lo lasciano altro che alla via maestra, già in vista di un paesello dove Gesù e i suoi potranno sostare per la notte.
Maria Valt., L'Evang. come mi è..., n.255
venerdì 19 aprile 2013
I due caratteri distintivi del suo amore per Gesù: l'orrore per il peccato e uno zelo ardente per la gloria di Dio.
«Un giorno, eravamo sbarcati, ed io non sapevo che fare, non avevo mangiato niente da molto tempo; avevo fame, e niente per comprare qualsiasi cosa; non conoscevo né il posto, né qualcuno, e non potevo restare nella strada. Seguii i pas- 1 seggeri ed entrai con essi in un albergo e trovai ivi una camera aperta, vi entrai e mi trovai sola. La fame che avevo era tale che stavo per piangere, ma mi dissi: è meglio pregare. Vedo qualcuno che entra e che prepara sul tavolo un buon pasto; mi si dice di mangiare. Penso: è la Santa Vergine, e mangiai.
La padrona dell'albergo venne da me con molta bontà e mi mise nella mano un pezzo d'oro della sua acconciatura` e mi disse: quando uscirai, lo darai a mio marito per pagare il tuo pasto, se non lo vorrà, lo terrai per te. Il proprietario dell'albergo non volle in nessun modo essere pagato.
Insieme alla speranza, un'altra virtù che distingue questa bella anima e che le riassume tutte, è l'amore di Gesù. Amava Dio di un amore puro, disinteressato, costante ed eroico. Il suo cuore era come un braciere ardente. Il solo nome di Gesù faceva battere questo cuore e le provocava dei trasporti. Spesso cadeva in estasi sentendolo pronunciare, e siccome, con sua grande confusione, ciò le accadeva in presenza delle suore, le scongiurava di non ripetere davanti a lei questo nome adorabile.
Per amore di Dio aveva fatto i più duri sacrifici: sacrificio delle ricchezze, dei piaceri, della sua patria, dei suoi agi, della sua libertà! Non conosceva che Gesù e Gesù Crocifisso.
Gli testimoniava il suo amore con una delicatezza verginale di coscienza la quale faceva in modo che lei avesse paura, non soltanto del peccato, ma ancora dell'ombra stessa del peccato. Se le accadeva di cadere in una imperfezione nella quale temeva che vi fosse qualche volontà da parte sua, ne provava una desolazione estrema. Si può dire, in effetti, che, durante la sua vita e soprattutto al termine del corso della sua vita il carattere distintivo del suo amore per Gesù fosse l'orrore per il peccato.
Il secondo carattere del suo amore per Gesù, era uno zelo ardente per la gloria di Dio. E qui ancora, rassomigliava molto alla sua serafica Madre santa Teresa, che fu consumata, fino all'ultimo giorno della sua vita, nelle fiamme dello zelo più ardente.
Suor Maria di Gesù Crocifisso non si contentava di nutrire zelo per la sua perfezione, voleva ancora che attorno a lei si amasse Dio. Era gelosa della perfezione delle sue suore, nelle quali vedeva altrettante spose di Gesù. Leggendo nelle loro anime, come in un libro aperto, e seguendo perfino il volo rapido e capriccioso dell'immaginazione, le avvertiva con forza e bontà di tutto ciò che scorgeva di difettoso nella loro vita; ma non lo faceva che dopo averne ricevuto il permesso della Madre Priora.
La sua parola era nello stesso tempo, terribile come quella di un giudice, dolce e carezzevole come quella di una madre. Un atto di umiltà da parte della colpevole la disarmava e la rendeva sorridente. Rispose un giorno ad una suora che aveva mancato al silenzio e che le domandava in lacrime se Gesù le avesse perdonato: «Gesù non rimprovera che per perdonare».
da "Il piccolo nulla", capitolo 17:
Virtù di suor Maria di Gesù Crocifisso
AMDG et BVM
sabato 2 marzo 2013
Questa mia amatissima figlia
“APRITE i cuori alla speranza perché
sono vera Madre di tutta la Chiesa.
Nel corso degli anni sono sempre stata accanto a questa
mia figlia prediletta, con l’ansia e la tenerezza del mio amore materno.
Sono particolarmente accanto alla Chiesa in questi ultimi
tempi, in cui essa deve vivere l’ora sanguinosa della sua purificazione e della
grande tribolazione.
Anche per lei deve compiersi il disegno del Padre Celeste
ed è così chiamata a salire il Calvario della sua immolazione.
Questa mia amatissima figlia sarà percossa e ferita,
tradita e spogliata, abbandonata e condotta al patibolo, ove verrà crocifissa.
Nel suo interno entrerà l’uomo iniquo, che porterà al
culmine l’abominio della desolazione, predetta dalle divine Scritture (2 Tess.2, 3; Daniele 12, 11)
Non perdetevi di coraggio, figli prediletti.
Sia forte la vostra fiducia. … Aprite i cuori alla speranza.
… Io sono l’aurora che precede il grande giorno del Signore. Sono la voce che diventa forte in questi tempi, per diffondere in ogni parte della terra il mio profetico annuncio: - preparatevi tutti a ricevere mio figlio Gesù, che sta ormai ritornando fra voi sulle nubi del cielo, nello splendore della sua gloria divina -”.
AVE MARIA!
mercoledì 1 agosto 2012
CAPITOLO XVI: Caritas omnia sperat. Chi ama Gesù Cristo spera tutto da Gesù Cristo.
Caritas omnia sperat.
Chi ama Gesù Cristo
spera tutto da Gesù Cristo.
1. La speranza fa crescere la carità, e la carità fa crescere
la speranza. Certamente la speranza nella divina bontà fa crescere l'amore verso
Gesù Cristo. Scrive S. Tommaso che nello stesso tempo che noi speriamo qualche
bene da alcuno, cominciamo ancora ad amarlo: Ex hoc enim quod per aliquem
speravimus nobis posse provenire bona, movemur in ipsum sicut bonum nostrum et
sic incipimus ipsum amare (S. Thom. 2. 2. q. 40. a. 7). Perciò il Signore
non vuole che mettiamo confidenza nelle creature: Nolite confidere in
principibus (Ps. CXLV, 2); e maledice chi confida nell'uomo: Maledictus
homo qui confidit in homine (Ier. XVII, 5). Non vuole Dio che confidiamo
nelle creature, perchè non vuole che noi mettiamo in esse il nostro amore.
Quindi S. Vincenzo de' Paoli dicea: «Avvertiamo di non molto fondarci sulla
protezione degli uomini, perchè il Signore quando ci vede appoggiati ad essi si
ritira da noi. All'incontro quanto più noi confidiamo in Dio, tanto più ci
avanziamo in amarlo». Viam mandatorum tuorum cucurri cum dilatasti cor
meum (Ps. CXVIII, 32).
Oh come corre nella via della perfezione colui che ha il cuor dilatato dalla confidenza in Dio! Non solo corre, ma vola, perchè, avendo riposta tutta la sua speranza nel Signore, lascierà di esser debole qual era e diventerà forte colla fortezza di Dio che vien comunicata a tutti coloro che in Dio confidano. Qui confidunt in Domino mutabunt fortitudinem, assument pennas ut aquilae, current et non laborabunt, ambulabunt et non deficient (Is. XL, 31). L'aquila volando in alto più si avvicina al sole; e così l'anima, confortata dalla confidenza, si stacca dalla terra e più si unisce a Dio coll'amore.
2. Or siccome la speranza giova ad aumentar l'amore verso Dio,
così l'amore aumenta la speranza; poichè la carità ci rende figli di Dio
adottivi. Nell'ordine naturale noi siamo fatture delle sue mani, ma nell'ordine
sovrannaturale, per li meriti di Gesù Cristo, noi siam fatti figliuoli di Dio e
partecipi della natura divina, come scrive S. Pietro: Ut... efficiamini
divinae consortes naturae (II Pet. I, 4). E se la carità ci rende figliuoli
di Dio, per conseguenza ci rende ancora eredi del paradiso, come parla S. Paolo:
Si autem filii, et heredes (Rom. VIII, 17). Or a' figliuoli tocca
l'abitare in casa del padre, agli eredi tocca l'eredità, e perciò la carità fa
crescere la speranza del paradiso; onde l'anime amanti non lasciano di
continuamente esclamare a Dio: Adveniat, adveniat regnum tuum.
3. In oltre Dio ama chi l'ama: Ego diligentes me diligo
(Prov. VIII, 17); e colma di grazie chi con amore lo cerca: Bonus est
Dominus... animae quaerenti illum (Theren. III, 25). Onde per conseguenza
chi più ama Dio, più spera nella sua bontà. E da tal confidenza nasce ne' santi
quella inalterabile tranquillità che gli fa stare sempre lieti ed in pace anche
in mezzo alle avversità; perchè, amando essi Gesù Cristo e sapendo quanto egli è
liberale de' suoi doni con chi l'ama, in lui solo confidano e trovano riposo.
Questa è la ragione per cui la sagra sposa abbondava di delizie, perchè, non
amando ella altri che il suo diletto, solo a lui si appoggiava; e sapendo quanto
egli è grato con chi l'ama, stava tutta contenta: onde di lei fu scritto:
Quae est ista quae ascendit de deserto deliciis affluens, innixa super
dilectum suum? (Cant. VIII, 5). Troppo è vero quel che diceva il Savio:
Venerunt autem mihi omnia bona pariter cum illa (Sap. VII, 11): insieme
colla carità viene all'anima ogni bene.
4. L'oggetto primario della speranza cristiana è Dio che
dall'anime si gode nel regno beato. Ma non crediamo che la speranza di godere
Dio nel paradiso sia di ostacolo alla carità; poichè la speranza del paradiso è
inseparabilmente annessa alla carità, la quale nel paradiso si perfeziona e
trova il suo pieno compimento. La carità è quel tesoro infinito, come dice il
Savio, che ci rende amici di Dio: Infinitus enim thesaurus est hominibus quo
qui usi sunt participes facti sunt amicitiae Dei (Sap. VII, 14). — Scrive S.
Tommaso l'Angelico (2. 2. q. 65, a. 5) che l'amicizia ha per fondamento la
comunicazione de' beni, perchè non essendo altro l'amicizia che un amor
reciproco tra gli amici, è necessario ch'essi reciprocamente si faccian del bene
quanto a ciascuno conviene. Onde dice il santo: Si nulla esset communicatio,
nulla esset amicitia. Che perciò disse Gesù Cristo a' suoi discepoli: Vos
autem dixi amicos, quia omnia quaecumque audivi a Patre meo nota feci vobis
(Io. XV, 15). Perchè gli avea fatti suoi amici, avea lor comunicati tutti i suoi
segreti.
5. Dice S. Francesco di Sales: «Che se per impossibile vi fosse
una bontà infinita, cioè un Dio, a cui non appartenessimo in alcun modo e con
cui non potessimo avere alcuna unione e comunicazione, noi certamente la
stimeremmo più di noi stessi; onde potremmo aver desideri di poterla amare, ma
non l'ameremmo, perchè l'amore riguarda l'unione; mentre la carità è
un'amicizia, e l'amicizia ha per fondamento la comunicazione e per fine
l'unione». Per tanto insegna S. Tommaso che la carità non esclude il desiderio
della mercede che Iddio ci prepara nel cielo, ma anzi ce la fa riguardare come
principale oggetto del nostro amore, quale è Dio che da' beati si fa godere;
poichè l'amicizia importa che l'amico goda scambievolmente dell'altro:
Amicorum est, quod quaerant invicem perfrui; sed nihil aliud est merces
nostra quam perfrui Deo videndo ipsum: ergo caritas non solum non excludit, sed
etiam facit habere oculum ad mercedem (S. Thom. in III Sen. Dist. 29. q. 1.
a. 4).
6. E questa è quella scambievol comunicazione di doni della
quale parlava la sposa de' Cantici: Dilectus meus mihi et ego illi (Cant.
II, 16). L'anima in cielo si dà tutta a Dio, e Dio si dà tutto all'anima per
quanto ella n'è capace, secondo la misura dei suoi meriti. Ma conoscendo l'anima
il suo niente a rispetto dell'infinita amabilità di Dio, e per conseguenza
vedendo che Iddio ha un merito infinitamente maggiore di essere amato che non è
il merito suo di essere amata da Dio, desidera ella più il gusto di Dio che il
suo godimento; e perciò più gioisce in darsi ella tutta a Dio per compiacerlo,
che in darsi Dio tutto a lei; ed in tanto si compiace che Dio tutto a lei si
dona, in quanto ciò l'infiamma a darsi tutta a Dio con amore più intenso. Gode
già della gloria che Dio le comunica, ma ne gode per riferirla allo stesso Dio e
così accrescergli gloria per quanto ella può. In cielo l'anima, in veder Dio,
non può non amarlo con tutte le forze: all'incontro Iddio non può odiare chi
l'ama; ma se per impossibile potesse Dio odiare un'anima che l'ama, e l'anima
beata potesse vivere senza amare Dio, più presto ella si contenterebbe di patire
tutte le pene dell'inferno, purchè le fosse concesso di amare Dio quantunque Dio
l'odiasse, che vivere senza amare Dio, ancorchè potesse godere tutte le altre
delizie del paradiso. Sì, perchè l'anima, conoscendo che Dio merita d'essere
amato infinitamente più di lei, desidera molto più di amare Dio che di essere
amata da Dio.
7. Caritas omnia sperat. La speranza cristiana, come
insegna S. Tommaso col Maestro delle sentenze, si definisce un'aspettazione
certa della felicità eterna: Spes est expectatio certa beatitudinis. E la
certezza nasce dall'infallibil promessa di Dio di dar la vita eterna a' servi
fedeli. Or la carità, siccome toglie il peccato, così toglie insieme
l'impedimento a conseguir la beatitudine; e perciò la carità quanto è più
grande, ella rende più grande e ferma la nostra speranza; la quale all'incontro
certamente non può esser di ostacolo alla purità dell'amore, perchè l'amore,
come dice S. Dionigi l'Areopagita, naturalmente tende all'unione dell'oggetto
amato. Anzi, come dice S. Agostino, lo stesso amore è come un laccio d'oro che
unisce insieme i cuori dell'amante e dell'amato: Amor est quasi iunctura
quaedam duo copulans. E perchè quest'unione non può farsi da lontano, perciò
chi ama desidera sempre la presenza dell'amato. La sagra sposa stando lontana
dal suo diletto languiva, e pregava le sue compagne che gli facessero intendere
la sua pena, acciocch'egli venisse a consolarla colla sua presenza: Adiuro
vos, filiae Ierusalem, si inveneritis dilectum meum, ut nuncietis ei quia amore
langueo (Cant. V, 8). Un'anima che ama assai Gesù Cristo non può, vivendo in
questa terra, non desiderare e sperare di presto andar al cielo ad unirsi col
suo amato Signore.
8. Sicchè il desiderare di andare a veder Dio nel cielo, non
tanto per lo contento nostro che ivi proveremo in amare Dio, quanto per lo
contento che daremo a Dio in amarlo, è puro e perfetto amore. Nè il gaudio che
si prova da' beati in cielo in amare Dio osta alla purità del loro amore; un tal
gaudio è inseparabile dall'amore; ma i beati si compiacciono principalmente
assai più dell'amore ch'essi portano a Dio, che del gaudio che provano in
amarlo. — Dirà taluno: Ma il desiderar la mercede è amor di concupiscenza, non
già d'amicizia. Ma bisogna distinguere le mercedi temporali promesse dagli
uomini, dalla mercede del paradiso promessa da Dio a chi l'ama. Le mercedi che
danno gli uomini son distinte dalle loro persone, poichè gli uomini, nel
rimunerare gli altri, non danno già se stessi, ma solamente i loro beni; la
principal mercede all'incontro che Dio dà a' beati è il dar loro se stesso:
Ego... merces tua magna nimis (Gen. XV, 1); onde è lo stesso desiderar il
paradiso che desiderar Dio, il quale è l'ultimo nostro fine.
9. Voglio qui proponere un dubbio che facilmente può venire in
mente di un'anima che ama Dio e che cerca di uniformarsi in tutto a' suoi santi
voleri. Se mai a costei fosse rivelata la sua dannazione eterna, è obbligata
ella ad accettarla per uniformarsi alla volontà di Dio? No, insegna S. Tommaso:
anzi dice che pecca se vi acconsente, perchè acconsentirebbe a vivere in uno
stato che va unito col peccato ed è contrario al suo ultimo fine datogli da Dio,
il quale non crea l'anime per l'inferno, ove l'odiano, ma per lo paradiso ove
l'amano: e perciò egli non vuole la morte neppure del peccatore, ma vuol che
tutti si convertano e si salvino. Dice il S. Dottore che il Signore non vuole
alcuno dannato se non per lo peccato; e per tanto se uno acconsentisse alla sua
dannazione, non già si uniformerebbe alla volontà di Dio, ma alla volontà del
peccato. Unde velle suam damnationem absolute non esset conformare suam
voluntatem voluntati divinae, sed voluntati peccati (S. Thom., De verit. q.
3. a. 8). — Ma se Dio, prevedendo già il peccato di alcuno, avesse fatto il
decreto della sua dannazione, ed un tal decreto fosse a lui rivelato, è tenuto
egli ad acconsentirvi? Neppure, dice l'Angelico nel luogo citato; poichè
dovrebbe intender quella rivelazione non come decreto irrevocabile, ma fatto
per modum comminationis, come minaccia se egli persiste nel peccato.
10. Ma ognuno procuri di scacciar dalla mente pensieri così
funesti che non servono ad altro che a raffreddare la confidenza e l'amore.
Amiamo Gesù Cristo quanto possiamo quaggiù, sospiriamo ogni momento di andarlo a
vedere in paradiso per amarlo ivi perfettamente; e questo sia il principale
oggetto di tutte le nostre speranze, l'andare ivi ad amarlo con tutte le nostre
forze. Abbiamo sì bene anche in questa vita il precetto di amare Dio con tutte
le forze: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, et ex tota anima tua,
et ex omnibus viribus tuis etc. (Luc. X, 27), ma dice l'Angelico che questo
precetto non può dagli uomini perfettamente adempirsi in questa terra. Solamente
Gesù Cristo che fu uomo e Dio, e Maria SS. che fu piena di grazia e libera dalla
colpa originale, perfettamente l'adempirono; ma noi, miseri figli di Adamo
infetti dalla colpa, non possiamo amar Dio senza qualche imperfezione, e solo in
cielo, allorchè vedremo Dio da faccia a faccia, l'ameremo, anzi saremo
necessitati ad amarlo con tutte le forze.
11. Ecco dunque lo scopo ove han da tendere i nostri desideri,
tutti i sospiri, tutti i pensieri e tutte le nostre speranze, di andare a goder
Dio in paradiso per amarlo con tutte le forze e godere del godimento di Dio.
Godono sì i beati della loro felicità in quel regno di delizie, ma il lor
godimento principale, che assorbisce tutti gli altri diletti, sarà quello di
conoscere la felicità infinita che gode il loro amato Signore, mentre essi amano
Dio immensamente più che se stessi. Ogni beato, per l'amore che porta a Dio, si
contenterebbe di perdere tutti i suoi godimenti e di patire ogni pena, purchè
non mancasse a Dio, se mai potesse mancare, una minima particella della felicità
che gode. Onde, vedendo che Dio è infinitamente felice nè mai la sua felicità
può mancare in eterno, questo è tutto il suo paradiso. Così s'intende quel che
dice il Signore ad ogni anima nel possesso che le dà della gloria: Intra in
gaudium Domini tui (Matth. XXV, 21). Non già il gaudio entra nel beato, ma
il beato entra nel gaudio di Dio, mentre il gaudio di Dio è l'oggetto del gaudio
del beato. Sicchè il bene di Dio sarà il bene del beato, la ricchezza di Dio
sarà la ricchezza del beato, e la felicità di Dio sarà la felicità del
beato.
12. Subito che un'anima entra in cielo e vede alla scoperta col
lume della gloria l'infinita bellezza di Dio, si troverà tutta presa e consumata
dall'amore. Allora avviene che il beato resta felicemente perduto e sommerso in
quel mare infinito della divina bontà. Allora si dimentica di se stesso, ed
inebriato dell'amore di Dio, non pensa ad altro che ad amare il suo Dio:
Inebriabuntur ab ubertate domus tuae (Ps. XXXV, 9). Gli ubbriachi non
pensano più a sè, e così l'anima beata non pensa che ad amare ed a compiacere
l'amato: desidera di possederlo tutto, e già tutto lo possiede senza timore di
poterlo più perdere; desidera di darsegli tutta per amore ogni momento, e già
l'ottiene poichè in ogni momento si dà tutta a Dio senza riserba: e Dio con
amore l'abbraccia, e così abbracciata la tiene e la terrà per tutta
l'eternità.
13. Sicchè in cielo l'anima sta unita tutta a Dio e l'ama con
tutte le sue forze, con un amor consumato e compito, il quale sebbene è finito,
perchè la creatura non è capace di amore infinito, nondimeno è tale che la rende
appieno contenta e sazia, sì ch'ella niente più desidera. Iddio all'incontro si
comunica e si unisce tutto all'anima, riempiendola di se stesso, per quanto ella
n'è capace secondo i suoi meriti; e si unisce a lei, non già per mezzo de' soli
suoi doni, lumi ed attratti amorosi, come fa con noi in questa vita, ma colla
sua medesima essenza. Siccome il fuoco penetra un ferro e par che tutto in sè lo
converta, così Dio penetra l'anima e di sè la riempie; ond'ella benchè non perda
il suo essere, non però viene ad essere talmente ripiena ed assorbita in quel
mare immenso della sostanza divina, che resta come annientata e più non fosse.
Questa era la sorte felice che implorava l'Apostolo a' suoi discepoli: Ut
impleamini in omnem plenitudinem Dei (Eph. III, 19).
14. E questo è l'ultimo fine che il Signore per sua bontà ci ha
dato a conseguire nell'altra vita. Onde finchè l'anima non giunge ad unirsi con
Dio in cielo ove si fa l'unione perfetta, non può avere qui in terra il suo
pieno riposo. È vero che gli amanti di Gesù Cristo nell'uniformarsi alla divina
volontà trovano la loro pace; ma non possono trovare in questa vita il lor pieno
riposo, perchè questo si ottiene coll'ottenere l'ultimo fine, qual è di vedere
Dio da faccia a faccia ed esser consumati dall'amor divino; e fintanto che
l'anima non conseguisce tal fine, sta inquieta e geme, e sospirando dice:
Ecce in pace amaritudo mea amarissima (Is. XXXVIII, 17).
15. Sì, mio Dio, io vivo in pace in questa valle di lagrime,
perchè questa è la vostra volontà, ma non posso non provare un'inesplicabile
amarezza vedendomi da voi lontano e non ancor perfettamente unito con voi che
siete il mio centro, il mio tutto e 'l pieno mio riposo.
E perciò i santi benchè ardessero d'amore verso Dio in questa
terra pure non faceano che sospirare il paradiso. Davide esclamava: Heu mihi,
quia incolatus meus prolongatus est! (Ps. CXIX, 5). Satiabor cum
apparuerit gloria tua (Ps. XVI, 15). S. Paolo dicea di sè: Desiderium
habens... esse cum Christo (Phil. I, 23). S. Francesco d'Assisi dicea:
«Tanto è grande il ben che aspetto, che ogni pena mi è diletto». Questi erano
tutti atti di carità perfetta. — Insegna l'Angelico che il grado più alto di
carità a cui può ascendere un'anima in questa vita è il desiderare intensamente
di andare ad unirsi con Dio ed a goderlo in cielo: Tertium autem studium est,
ut homo ad hoc principaliter intendat, ut Deo inhaereat et eo fruatur, et hoc
pertinet ad perfectos qui cupiunt dissolvi et esse cum Christo (S. Thom. 2.
2. q. 24. a. 9). Ma questo godere di Dio in cielo, come abbiam detto, non tanto
consiste nel ricevere l'anima il godimento che ivi Iddio le dona, quanto nel
godere del godimento di Dio, amato dall'anima assai più che se stessa.
16. La maggior pena delle anime sante del purgatorio è il
desiderio che hanno di possedere Dio che non ancora possedono. E questa pena
specialmente affliggerà quelle anime che poco in vita han desiderato il
paradiso. Anzi dice il cardinal Bellarmino (Lib. II. De Purgat. c. 7) che nel
purgatorio vi è un certo carcere detto carcer honoratus, ove alcune anime
non patiscono alcuna pena di senso, ma solamente la privazione della vista di
Dio. Di ciò ne riferiscono più esempi S. Gregorio, il Ven. Beda, S. Vincenzo
Ferrerio e S. Brigida. E questa pena si dà non per li peccati commessi, ma per
la freddezza nel desiderare il paradiso. Molte anime aspirano alla perfezione, e
poi sono troppo indifferenti all'andare a veder Dio o al seguire a vivere in
questa terra. Ma la vita eterna è un bene troppo grande che Gesù Cristo ci ha
meritato colla sua morte, ond'egli castiga poi quelle anime che poco l'han
desiderato nella lor vita.
Affetti e preghiere.
O Dio, mio Creatore e mio Redentore, voi mi avete creato per lo
paradiso, mi avete redento dall'inferno per condurmi in paradiso, ed io tante
volte con offendervi vi ho rinunziato in faccia il paradiso, e mi son contentato
di vedermi condannato all'inferno! Ma sia sempre benedetta la vostra
misericordia infinita che perdonandomi, come spero, tante volte mi ha cacciato
dall'inferno. Ah, Gesù mio, non vi avessi mai offeso! oh vi avessi sempre amato!
Mi consolo che ancora mi resta tempo di farlo.
V'amo, o amore dell'anima mia, v'amo con tutto il mio cuore,
v'amo più di me stesso.
Vedo che voi mi volete salvo, acciocch'io v'ami per tutta
l'eternità in quel regno di amore. Vi ringrazio, e vi prego ad assistermi nella
vita che mi resta, nella quale voglio amarvi assai per amarvi assai poi in
eterno.
Ah Gesù mio, quando sarà quel giorno ch'io mi vedrò libero dal
pericolo di potervi più perdere, e consumato dall'amore verso di voi in vedere
alla scoverta la vostra infinita bellezza, sì ch'io sarò necessitato ad amarvi?
Oh dolce necessità! oh felice, oh amata, oh desiderata necessità, che mi esimerà
da ogni timore di darvi disgusto e mi costringerà ad amarvi con tutte le mie
forze!
La mia coscienza mi spaventa, e mi dice: Come tu puoi
pretendere il paradiso? Ma i meriti vostri, caro mio Redentore, sono la speranza
mia.
O regina del paradiso Maria, la vostra intercessione è
onnipotente appresso Dio, in voi
confido.
|
Iscriviti a:
Post (Atom)