martedì 31 marzo 2020

IL CENTRO DELLA FEDE CRISTIANA:

L'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino.


1. « Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1 Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: « Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto ».



1. « DEUS CARITAS EST, et, qui manet in caritate, in Deo manet, et Deus in eo manet » (1 Io 4, 16). Haec Primae Epistulae Ioannis verba singulari quidem perspicuitate veluti fidei christianae centrum aperiunt: christianam Dei imaginem atque etiam congruentem hominis imaginem eiusque itineris. Praeterea eodem hoc in versiculo nobis concedit Ioannes compendiariam, ut ita dicamus, christianae vitae formulam: « Et nos cognovimus et credidimus caritati quam habet Deus in nobis ».

La Sacra Famiglia, Gaudi, Barcellona

AMDG et DVM

Con la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio


La preghiera attraversa tutta la vita di Gesù

Cari fratelli e sorelle,
nelle ultime catechesi abbiamo riflettuto su alcuni esempi di preghiera nell’Antico Testamento, oggi vorrei iniziare a guardare a Gesù, alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre. Gesù è il maestro anche delle nostre preghiere, anzi Egli è il sostegno attivo e fraterno di ogni nostro rivolgerci al Padre. Davvero, come sintetizza un titolo del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, «la preghiera è pienamente rivelata ed attuata in Gesù» (541-547). A Lui vogliamo guardare nelle prossime catechesi.

Un momento particolarmente significativo di questo suo cammino è la preghiera che segue il battesimo a cui si sottopone nel fiume Giordano. L'Evangelista Luca annota che Gesù, dopo aver ricevuto, insieme a tutto il popolo, il battesimo per mano di Giovanni il Battista, entra in una preghiera personalissima e prolungata: «Mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo» (Lc 3,21-22). Proprio questo «stare in preghiera», in dialogo con il Padre illumina l'azione che ha compiuto insieme a tanti del suo popolo, accorsi alla riva del Giordano. Pregando, Egli dona a questo suo gesto, del battesimo, un tratto esclusivo e personale.

Il Battista aveva rivolto un forte appello a vivere veramente come «figli di Abramo», convertendosi al bene e compiendo frutti degni di tale cambiamento (cfr Lc 3,7-9). E un gran numero di Israeliti si era mosso, come ricorda l’Evangelista Marco, che scrive: «Accorrevano… [a Giovanni] tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati» (Mc 1,5). Il Battista portava qualcosa di realmente nuovo: sottoporsi al battesimo doveva segnare una svolta determinante, lasciare una condotta legata al peccato ed iniziare una vita nuova. Anche Gesù accoglie questo invito, entra nella grigia moltitudine dei peccatori che attendono sulla riva del Giordano. Ma, come ai primi cristiani, anche in noi sorge la domanda: perché Gesù si sottopone volontariamente a questo battesimo di penitenza e di conversione? Non ha da confessare peccati, non aveva peccati, quindi anche non aveva bisogno di convertirsi. Perché allora questo gesto? L’Evangelista Matteo riporta lo stupore del Battista che afferma: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3,14) e la risposta di Gesù: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia» (v. 15). Il senso della parola «giustizia» nel mondo biblico è accettare pienamente la volontà di Dio. Gesù mostra la sua vicinanza a quella parte del suo popolo che, seguendo il Battista, riconosce insufficiente il semplice considerarsi figli di Abramo, ma vuole compiere la volontà di Dio, vuole impegnarsi perché il proprio comportamento sia una risposta fedele all’alleanza offerta da Dio in Abramo. Discendendo allora nel fiume Giordano, Gesù, senza peccato, rende visibile la sua solidarietà con coloro che riconoscono i propri peccati, scelgono di pentirsi e di cambiare vita; fa comprendere che essere parte del popolo di Dio vuol dire entrare in un’ottica di novità di vita, di vita secondo Dio.

In questo gesto Gesù anticipa la croce, dà inizio alla sua attività prendendo il posto dei peccatori, assumendo sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità, adempiendo la volontà del Padre. Raccogliendosi in preghiera, Gesù mostra l’intimo legame con il Padre che è nei Cieli, sperimenta la sua paternità, coglie la bellezza esigente del suo amore, e nel colloquio con il Padre riceve la conferma della sua missione. Nelle parole che risuonano dal Cielo (cfr Lc 3,22) vi è il rimando anticipato al mistero pasquale, alla croce e alla risurrezione. La voce divina lo definisce «Il Figlio mio, l’amato», richiamando Isacco, l'amatissimo figlio che il padre Abramo era disposto a sacrificare, secondo il comando di Dio (cfr Gen 22,1-14). Gesù non è solo il Figlio di Davide discendente messianico regale, o il Servo di cui Dio si compiace, ma è anche il Figlio unigenito, l’amato, simile a Isacco, che Dio Padre dona per la salvezza del mondo. Nel momento in cui, attraverso la preghiera, Gesù vive in profondità la propria figliolanza e l’esperienza della paternità di Dio (cfr Lc 3,22b), discende lo Spirito Santo (cfr Lc 3,22a), che lo guida nella sua missione e che Egli effonderà dopo essere stato innalzato sulla croce (cfr Gv 1,32-34; 7,37-39), perché illumini l’opera della Chiesa. Nella preghiera, Gesù vive un ininterrotto contatto con il Padre per realizzare fino in fondo il progetto di amore per gli uomini.

Sullo sfondo di questa straordinaria preghiera sta l’intera esistenza di Gesù vissuta in una famiglia profondamente legata alla tradizione religiosa del popolo di Israele. Lo mostrano i riferimenti che troviamo nei Vangeli: la sua circoncisione (cfr Lc 2,21) e la sua presentazione al tempio (cfr Lc 2,22-24), come pure l’educazione e la formazione a Nazaret, nella santa casa (cfr Lc 2,39-40 e 2,51-52). Si tratta di «circa trent’anni» (Lc 3,23), un tempo lungo di vita nascosta e feriale, anche se con esperienze di partecipazione a momenti di espressione religiosa comunitaria, come i pellegrinaggi a Gerusalemme (cfr Lc 2,41). Narrandoci l'episodio di Gesù dodicenne nel tempio, seduto in mezzo ai maestri (cfr Lc 2,42-52), l'evangelista Luca lascia intravedere come Gesù, che prega dopo il battesimo al Giordano, ha una lunga abitudine di orazione intima con Dio Padre, radicata nelle tradizioni, nello stile della sua famiglia, nelle esperienze decisive in essa vissute. La risposta del dodicenne a Maria e Giuseppe indica già quella filiazione divina, che la voce celeste manifesta dopo il battesimo: «Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Uscito dalle acque del Giordano, Gesù non inaugura la sua preghiera, ma continua il suo rapporto costante, abituale con il Padre; ed è in questa unione intima con Lui che compie il passaggio dalla vita nascosta di Nazaret al suo ministero pubblico.

L’insegnamento di Gesù sulla preghiera viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia, ma ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica risponde alla domanda: Da chi Gesù ha imparato a pregare?, così: «Gesù, secondo il suo cuore di uomo, ha imparato a pregare da sua Madre e dalla tradizione ebraica. Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente più segreta, poiché è il Figlio eterno di Dio che, nella sua santa umanità, rivolge a suo Padre la preghiera filiale perfetta» (541).

Nella narrazione evangelica, le ambientazioni della preghiera di Gesù si collocano sempre all'incrocio tra l’inserimento nella tradizione del suo popolo e la novità di una relazione personale unica con Dio. «Il luogo deserto» (cfr Mc 1,35; Lc 5,16) in cui spesso si ritira, «il monte» dove sale a pregare (cfr Lc 6,12; 9,28), «la notte» che gli permette la solitudine (cfr Mc 1,35; 6,46-47; Lc 6,12) richiamano momenti del cammino della rivelazione di Dio nell’Antico Testamento, indicando la continuità del suo progetto salvifico. Ma al tempo stesso, segnano momenti di particolare importanza per Gesù, che consapevolmente si inserisce in questo piano, fedele pienamente alla volontà del Padre.

Anche nella nostra preghiera noi dobbiamo imparare, sempre di più, ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore per noi.

La preghiera di Gesù tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate. Le fatiche non la bloccano. I Vangeli, anzi, lasciano trasparire una consuetudine di Gesù a trascorrere in preghiera parte della notte. L'Evangelista Marco racconta una di queste notti, dopo la pesante giornata della moltiplicazione dei pani e scrive: «E subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra» (Mc 6,45-47). Quando le decisioni si fanno urgenti e complesse, la sua preghiera diventa più prolungata e intensa. Nell’imminenza della scelta dei Dodici Apostoli, ad esempio, Luca sottolinea la durata notturna della preghiera preparatoria di Gesù: «In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli» (Lc 6,12-13).

Guardando alla preghiera di Gesù, deve sorgere in noi una domanda: come prego io? come preghiamo noi? Quale tempo dedico al rapporto con Dio? Si fa oggi una sufficiente educazione e formazione alla preghiera? E chi può esserne maestro?

Nell’Esortazione apostolica Verbum Domini ho parlato dell’importanza della lettura orante della Sacra Scrittura. Raccogliendo quanto emerso nell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi, ho posto un accento particolare sulla forma specifica della lectio divina. Ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un'arte, che si impara praticandola con costanza. Certamente la preghiera è un dono, che chiede, tuttavia, di essere accolto; è opera di Dio, ma esige impegno e continuità da parte nostra; soprattutto, la continuità e la costanza sono importanti.

Proprio l’esperienza esemplare di Gesù mostra che la sua preghiera, animata dalla paternità di Dio e dalla comunione dello Spirito, si è approfondita in un prolungato e fedele esercizio, fino al Giardino degli Ulivi e alla Croce.

Oggi i cristiani sono chiamati a essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio. Nell’amicizia profonda con Gesù e vivendo in Lui e con Lui la relazione filiale con il Padre, attraverso la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio. Anzi, nel percorrere la via della preghiera, senza riguardo umano, possiamo aiutare altri a percorrerla: anche per la preghiera cristiana è vero che, camminando, si aprono cammini.

Cari fratelli e sorelle, educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso, ad una preghiera che non sia saltuaria, ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesù. E chiediamo a Lui di poter comunicare alle persone che ci stanno vicino, a coloro che incontriamo sulla nostra strada, la gioia dell’incontro con il Signore, luce per la nostra l’esistenza. Grazie.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

I MIRACOLI DELLA MISERICORDIA!

di P. Antonio Maria Sicari ocd
ritratto beata Elisabetta
UNA SPOSA TUTTA MISERICORDIOSA

Oggi si parla molto della misericordia di cui avrebbero bisogno molte famiglie ferite e molti coniugi, sopraffatti da problemi e conflitti che non riescono più a sopportare. Forse, però, bisognerebbe parlare anzitutto della misericordia che gli stessi coniugi in crisi potrebbero umilmente esercitare fin da quando la famiglia comincia a vacillare. A volte, per salvarla, basterebbe anche soltanto la misericordia pazientemente esercitata da un suo solo membro, capace di sperare e di amare con speranza. Tale fu la vicenda di Elisabetta Canori Mora (1774-1825)1 che Giovanni Paolo II – nel 1994, Anno Internazionale della Famiglia – ha voluto beatificare assieme a Gianna Beretta Molla, definendole entrambe «donne d’eroico amore».
Il matrimonio tra Elisabetta, di nobile famiglia romana, col giovane e ricco avvocato Cristoforo Mora sembrò all’inizio l’avverarsi di una favola. Lui si diceva folgorato dalla bellezza di lei, tanto che giurava e spergiurava che non avrebbe mai e poi mai cercato alcun’altra donna, se ella si fosse degnata di accettarlo. E s’inquietava al pensiero che qualcosa potesse offuscarla: la sua sposa non doveva né stancarsi, né fare un qualsiasi lavoro che potesse sciuparla. Non ammetteva nemmeno che cucisse e ricamasse, perché non le si indurissero le dita. Ed era anche di una gelosia ossessiva, tanto da impedire alla moglie ogni contatto con i parenti.
Ma ecco che, dopo pochi mesi, alla gelosia ossessiva, seguì una freddezza glaciale: divenne sempre più spesso distratto, assente; prese a disertare la casa, a passare le notti altrove, finché fu sulla bocca di tutti la notizia che s’era legato a una donna di bassa condizione, che lo andava letteralmente dissanguando. Al giovane avvocato il denaro sembrava non bastare mai, le perdite al gioco si moltiplicavano, finché si ridusse sul lastrico.
Per pagare i debiti crescenti di Cristoforo, Elisabetta giunse a privarsi di tutti i gioielli, ma il ricavato sembrava cadere in un pozzo senza fondo. Così, impossibilitati a mantenere il ménage familiare a cui erano abituati, i due dovettero trasferirsi in un appartamentino attiguo alla ricca dimora dei suoceri. Nel più totale disinteresse del marito, Elisabetta doveva mantenersi e provvedere ai figli con il lavoro delle sue mani, ed era sempre più sola. Oltretutto la attanagliavano indicibili sofferenze di stomaco.
Ma iniziò qui la sua splendida avventura mistica. Di tale “avventura” si potrebbe dare una lettura facile, banale perfino, che ci lascerebbe banalmente tranquilli: una donna tradita dal marito, impossibilita perfino ad allevare i suoi figli, gravemente ammalata, privata di ogni affetto, sublima le sue angosce costruendosi un mondo affettivo spirituale, intenso ma fittizio.
Per chi crede, c’è invece una spiegazione più semplice e luminosa. Sappiamo che il matrimonio cristiano, con tutto il suo corredo di doni e di grazie, è un sacramento, cioè un mezzo, un segno di una realtà più grande e profonda. La realtà in esso indicata è quella dell’Amore di Gesù, Amante e Amato, che abbraccia assieme i due coniugi. Ma se uno dei due viene meno, perché negare che Lui possa decidere di mostrare (come chi dallo sfondo viene sul proscenio) la realtà delle «sacre nozze»?




È quello che accadde a Elisabetta: aveva accolto sacramentalmente (cioè come segno) il suo sposo che poi l’ha rinnegata e tradita. Allora il vero Sposo, l’Unico, ha deciso di riprendere il posto che gli spettava, e ha deciso di farlo anche «sensibilmente», cioè con qualche manifestazione straordinaria della sua presenza. Ma si noti bene: certe esperienze mistiche, vissute dai santi, sono sì uniche e straordinarie, ma Dio «le dona ad alcuni per rendere manifesto quale sia il dono gratuito fatto a tutti» (CCC n. 2014), quale sia, cioè, la grazia ordinaria che è concessa in tutti in tutti i matrimoni sacramentali. Ogni coniuge cristiano, infatti, deve, prima o poi, – parte nella sofferenza, parte nella gioia– imparare la distanza che c’è, in amore, tra la creatura e il Creatore.
La vita mistica di Elisabetta fu, dunque, ricca di preghiere, di visioni, d’irresistibili trasporti amorosi: ella viveva le sue giornate in totale unione col Signore, a partire da quando la mattina prestissimo si recava alla S. Messa e riceveva, ogni giorno, la Comunione; il resto del tempo lo dedicava alla cura delle sue bimbe, ai lavori domestici e alla preghiera. 
elisabetta trinitariaCristoforo non si faceva vedere quasi mai, ritornava a notte fonda, ed Elisabetta era sempre lì, sveglia, ad aspettarlo: aveva deciso di non litigare mai e di rivolgergli soltanto parole buone e qualche esortazione a cambiar vita. Nel tempo libero che le restava, si dedicava alle tradizionali «opere di misericordia»: col permesso della suocera (l’unica che la comprendeva e sosteneva) raccoglieva per i poveri il cibo che avanzava nelle cucine, andava negli ospedali a visitare i malati, non rifuggendo dagli uffici più umili e ripugnanti.
Denunciato per comportamento immorale dalle sorelle che volevano garantirsi l’eredità familiare, Cristoforo rischiò la prigione e riuscì a evitarla solo promettendo di ravvedersi, ma tornò in famiglia ancora più inferocito, al punto da tentare di uccidere la moglie. Racconterà poi che, ogni volta, sentiva una forza superiore che gli fermava il braccio.
Tutti consigliavano Elisabetta di lasciare la casa e nascondersi in qualche luogo, ma ella non volle. E gli stessi parenti non riuscivano a capire come facesse a restar sola la notte con un marito che minacciava d’ucciderla. Elisabetta aveva interrogato in proposito il suo Signore Gesù e ne aveva avuto la risposta “che non dovevo abbandonare queste tre anime, cioè le due figlie e il consorte, mentre per mezzo mio le voleva salvare”… Perfino il confessore, dato il rischio che ella correva, le suggeriva di separarsi dal marito, ma ella rispose: “Io antepongo la salvezza di queste tre anime al mio profitto spirituale”; e lo tranquillizzò raccontandogli che si addormentava pregando come una bambina: «Il mio spirito riposava dolcemente nelle braccia del Signore e un raggio di luce mi circondava e mi rendeva sicuro quel riposo».
Quel che c’è di più incredibile nel racconto non è l’accenno al raggio di luce che la proteggeva, ma il fatto di due anime a così stretto contatto coniugale: una immersa nelle minacciose tenebre del vizio, l’altra immersa nella luce protettiva della sua sponsale amicizia con Cristo. E non si tratta di due storie che si oppongono e si elidono, ma di un misterioso congiungimento.
Così la vita di Elisabetta scorreva in relativa serenità – tra lavoro, preghiera e bambine – tutta trapuntata di momenti di grazia in cui Gesù le illustrava, con visioni simboliche, le più belle verità della fede. E quando, crescendo le figlie, il loro mantenimento e comportamento cominciarono a darle qualche preoccupazione, Gesù le disse: “Non temere, da oggi in poi verrò io in persona a fare da padre e da padrone di casa; da qui in avanti non solo avrai il necessario per te e la tua famiglia, ma il sovrabbondante”. Così, per un concorso straordinario di circostanze, quella casa che non era potuta diventare una «chiesa domestica» a causa delle assenze del marito donnaiolo e spendaccione, divenne una «chiesa vera e propria» per l’intervento dello Sposo celeste che aveva deciso di sostituire personalmente il coniuge inadempiente. E i miracoli erano innumerevoli.
Intanto Elisabetta si era iscritta al Terz’Ordine dei Trinitari – un antico Ordine nato per la liberazione dei cristiani ridotti in schiavitù – e dalla sua spiritualità traeva una crescente passione per i più poveri e i più derelitti. La salvezza di tutti era diventata la sua ansia e perciò chiedeva con sempre maggiore insistenza la salvezza del marito che continua a vivere con la sua amante. Un giorno che le figlie, esasperate, auguravano il castigo divino a quella donna che aveva tolto loro il padre, Elisabetta intervenne “con forza ed energia” spiegando alle ragazze che lei «pregava sempre il Signore dicendogli che desiderava avere accanto a sé in paradiso quella donna che le aveva frastornato il marito e cagionato tanti danni». Al marito rivolgeva, invece, uno strano augurio e gli diceva: «Verrà anche per te la notte di Natale», come se la colpa del poverino fosse soltanto quella di non essere stato ancora avvolto dalla tenerezza dell’Incarnazione. Da più di un anno lei aveva previsto il giorno esatto della propria morte; anzi Dio glielo aveva fatto pregustare attimo per attimo in visione, e lei l’aveva così raccontato: «Mi pareva di spirare tra le braccia di Gesù e di Maria, godendo un paradiso di contento». Quando si avvicinò il fatidico giorno, alle figlie disse: «Vi lascio per andare da vostro padre, Gesù Nazareno», poi raccomandò loro che rispettassero sempre il papà e lo aiutassero sempre.
Morì nella data prevista, verso le due di notte, ed aveva appena compiuto i cinquant’anni. Quando Cristoforo tornò a casa, verso le quattro del mattino, non riusciva a credere che Elisabetta non vivesse più. Se ne stette lì, appoggiato al muro a singhiozzare, come istupidito. Da quel giorno, non fu più lo stesso. Non aveva detto nulla a nessuno, ma, poco tempo prima che spirasse Elisabetta, gli era già morta tra le braccia, anche l’amante. Era cambiato: finalmente mostrava interesse a tutto ciò che aveva fino ad allora disprezzato. Non si curava più della sua eleganza e del suo abbigliamento, passava lunghe ore in chiesa e si rigirava sempre tra le mani, piangendo, un suo vecchio cappello. Si può dire che pregava col cappello sul volto. Il fatto è che, all’interno di esso, sul fondo, aveva incollato un ritratto di Elisabetta e continuava a guardarlo e a piangere. Diceva che «l’aveva fatta santa con i suoi strapazzi».
Passarono nove anni dalla morte di Elisabetta, ed ecco si diffuse a Roma una notizia inattesa: nell’Ordine dei frati minori conventuali celebrava la prima Messa, un certo p. Antonio, ordinato sacerdote eccezionalmente a sessantun’anni, dopo che aveva espletato, a quella veneranda età, tutti gli studi di teologia. Il nome Antonio era quello assunto nella vita religiosa, ma nel mondo era conosciuto come «l’avvocato Cristoforo Mora»: secondo la promessa di Elisabetta, aveva finalmente avuto anche lui «la sua notte di Natale». E anche lui sarebbe morto – dopo undici anni di rimorsi, preghiere e penitenze trascorsi in convento – con la fama di un santo.
Riassumiamo ora l’insegnamento che tutto il racconto ci trasmette. La misericordia, di cui la famiglia ha bisogno, è anzitutto quella di capire che in un matrimonio cristiano è sacramento tutto: l’amore che i due coniugi riescono a comunicarsi è la parte bella del sacramento (del «segno sacro»); l’amore che un coniuge non vuole o non riesce a dare (con le pene che ne conseguono) deve diventare la parte verginale del sacramento (del «segno sacro»), quella che rimanda direttamente a Cristo e direttamente invoca la Sua presenza. Se anche un solo coniuge ne prende coscienza, la vita si riempie di misericordia e può riempirsi di miracoli.
elisabetta firmaFirma di Elisabetta con il suo nome di terziaria
Note:
1 Per tutta la vicenda cfr. P. Redi, Elisabetta Canori Mora. Un amore fedele tra le mura di casa, Città Nuova, Roma 1994.

AMDG et DVM

sabato 28 marzo 2020

“Un caminho sob o olhar de Maria” - UN CAMMINO SOTTO LO SGUARDO DI MARIA

QUELLO CHE NESSUNO HA DETTO SU FATIMA E CHE FA TREMARE

14 Mag, 2017

A cento anni dalla prima apparizione di Fatima, tutti i media tornano a occuparsi di quella profezia sul XX secolo e dei misteri connessi.
Però qual è il punto oggi? Ho studiato per anni quella vicenda, soprattutto il giallo del “terzo segreto”, la sua pubblicazione del 2000 e le polemiche sulla sua completezza.
Credo che la svolta più clamorosa sia accaduta pochi mesi fa nella disattenzione generale e sia tuttora ignorata.
Ne ho scritto il 17 agosto 2014, sulle colonne di “Libero”, dando notizia di un libro uscito in Portogallo proprio a cura delle suore carmelitane del monastero di Coimbra dov’è vissuta e morta, nel 2005, suor Lucia dos Santos, l’ultima veggente.
Una pubblicazione ufficiale intitolata “Un caminho sob o olhar de Maria”, una biografia della religiosa che attingeva ai suoi scritti inediti fino ad allora segretati.
Il volume era passato pressoché inosservato. Ma io ricevetti una segnalazione (autorevole) secondo cui in quelle pagine era celata un’autentica bomba.
Verificai che era vero. Quella clamorosa rivelazione di fatto veniva a risolvere l’annosa polemica attorno al Terzo segreto di Fatima: il nuovo documento pubblicato dalle suore fa capire infatti che c’è qualcosa che manca alla pubblicazione del 2000 e anche cosa c’è scritto.
C’ENTRA BENEDETTO
Ma com’è possibile che le suore di Coimbra abbiano deciso di fare una tale rivelazione che, tratta dalle pagine autografe di suor Lucia, è incontestabile e va a minare la versione vaticana? Una decisione di tale portata non si può attribuire a loro.
Poteva essere stata suor Lucia ad aver chiesto di pubblicare quel documento dopo la sua morte, considerata la sua importanza anche come avvertimento all’umanità. Ma non bastava il mandato di Lucia che, peraltro, se avesse avuto questa facoltà, avrebbe fatto uscire prima questo testo.
Evidentemente una tale pubblicazione ha avuto un “placet” molto più in alto e sappiamo che su Fatima il “placet” può arrivare solo dal Vaticano.
Essendo uscito tale libro nel 2013 (quindi essendo stato deliberato e realizzato negli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI), oltretutto essendo stato pubblicato con tutti i sigilli dell’ufficialità ecclesiastica, è ragionevole ipotizzare che il “placet” sia arrivato direttamente dalle stanze di papa Ratzinger.
Colui che da cardinale dovette fare il commento teologico alla rivelazione del 2000 sul “vescovo vestito di bianco”.
Considerati i tempi si può anche individuare una data che segna una svolta nel pensiero di Benedetto XVI su Fatima: il 13 maggio 2010.
LA SVOLTA
In quel periodo la Chiesa era davvero sotto pesante attacco e per l’anniversario della prima apparizione il Pontefice decise – molto in fretta e a sorpresa – di andare pellegrino al santuario portoghese.
Lì, durante il viaggio e durante la permanenza, pronunciò parole sorprendenti che di fatto contraddicevano quanto si era andato dicendo fino ad allora in Vaticano.
Benedetto dichiarò: “Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa”. Poi, riferendosi alla “visione” pubblicata nel 2000, spiegò che – insieme alle sofferenze del Papa, che “possiamo in prima istanza riferire a Giovanni Paolo II” – nel Messaggio di Fatima c’è molto di più, perché sono indicate realtà del futuro della Chiesache man mano si sviluppano e si mostrano… e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano… una passione della Chiesa”.
Fra le “novità” del Messaggio “vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi… ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa”, anzi, aggiunse, “la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa”.
Benedetto XVI concludeva che dobbiamo tornare all’essenziale: “la conversione, la preghiera, la penitenza e le tre virtù teologali”.
Il Papa lanciava l’allarme perché “la fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata”. E questo, aggiungeva il Pontefice, ha pure un riverbero terribile sul mondo perché “l’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce ad interromperlo”.
In sintesi il papa, quel 13 maggio 2010, fa capire: che il messaggio di Fatima non si esaurisce nel passato (per esempio nell’attentato a Giovanni Paolo II da parte di Alì Agca), quindi che è necessario ascoltare l’esortazione della Madonna alla conversione, alla penitenza e alla preghiera perché la Chiesa è sotto attacco (anche dall’interno) e la fede si sta spegnando in tante parti del mondo; infine perché l’umanità rischia di finire in un baratro.
E’ plausibile che il libro, completato e pubblicato tre anni dopo dal monastero di Coimbra, sia stato deciso con il placet di Benedetto XVI non solo perché su temi scottanti come gli scritti di suor Lucia si decide in alto loco, ma anche perché la “rivelazione” contenuta nel volume è in perfetta concordanza con le preoccupazioni che il Papa manifestò quel 13 maggio 2010.
E costituisce un drammatico avvertimento alla Chiesa e all’umanità su cui pare gravare una tremenda spada di Damocle.
L’INEDITO
Ecco dunque il testo inedito pubblicato dalle suore. In quella pagina di diario Lucia riferisce come superò la difficoltà che aveva nello scrivere il “terzo segreto” richiesto dall’autorità ecclesiastica.
Era il 3 gennaio 1944. Alle 16 la suora va nella cappella a pregare e chiede a Gesù di manifestarle la sua volontà: “sento allora che una mano amica, affettuosa e materna mi tocca la spalla”.
E’ “la Madre del Cielo” che le dice: “stai in pace e scrivi quello che ti comandano, non però quello che ti è stato dato di comprendere del suo significato”.
Parole che già confermano l’ipotesi – provata da molti altri indizi – che il Terzo Segreto sia composto da due testi: quello che riporta la visione (reso noto nel 2000) e quello in cui suor Lucia (successivamente) trascrive l’interpretazione della visione stessa fatta dalla Madonna.
E’ questo secondo testo che impressionò Giovanni XXIII il quale lo segretò ritenendo che potesse essere solo un pensiero della veggente, non di origine soprannaturale.
E’ la parte che non è mai stata resa nota e di cui, ufficialmente, si nega l’esistenza.
Probabilmente verte sulla figura del “vescovo vestito di bianco” e sul “Santo Padre, mezzo tremulo, con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena”.
Quello che sappiamo con certezza – perché rivelato negli anni da alti ecclesiastici e da sacerdoti vicinissimi a suor Lucia – è che quel testo parla dell’apostasia nella Chiesa e di un grave pericolo che incombe sull’umanità.
Ecco perché il seguito della pagina inedita di suor Lucia, pubblicata dalle suore, diventa molto eloquente.
Infatti, dopo aver ascoltato quelle parole della Madonna che la invitava a scrivere, la veggente riferisce:
“ho sentito lo spirito inondato da un mistero di luce che è Dio e in Lui ho visto e udito: la punta della lancia come fiamma che si allunga, tocca l’asse della terra ed essa trema: montagne, città, paesi e villaggi con i loro abitanti sono sepolti. Il mare, i fiumi e le nubi escono dai limiti, traboccano, inondano e trascinano con sé in un turbine, case e persone in un numero che non si può contareè la purificazione del mondo dal peccato nel quale sta immerso. L’odio, l’ambizione, provocano la guerra distruttrice. Dopo ho sentito nel palpitare accelerato del cuore e nel mio spirito una voce leggera che diceva: ‘nel tempo, una sola fede, un solo battesimo, una sola Chiesa, Santa, Cattolica, Apostolica. Nell’eternità il Cielo!’ ”.
Molto eloquente sia per capire il pericolo che incombe sull’umanità, sia per comprendere quello che sta accadendo nella Chiesa dove oggi il più alto vertice, papa Bergoglio, è arrivato ad affermare che “non esiste un Dio cattolico”.
La Madonna proclama l’opposto: “nel tempo, una sola fede, un solo battesimo, una sola Chiesa, Santa, Cattolica, Apostolica. Nell’eternità il Cielo!”
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Antonio Socci
Da “Libero”, 13 maggio 2017

LE 12 STELLE DI MARIA SANTISSIMA


Cor Mariae Immaculatum
intercede pro nobis!


Le dodici stelle della Madonna 

(i 12 privilegi di Maria SS.)


La serva di Dio Madre M. Costanza Zauli (1886-1954) fondatrice delle Ancelle Adoratrici del SS. Sacramento di Bologna, ebbe l’ispirazione di praticare e diffondere la devozione dei dodici privilegi di Maria Santissima, fin dal 1924, durante un periodo di grandi sofferenze fisiche e morali. Scrive a proposito, nel suo diario (30-06-1939): “In quella benedetta visita, la SS Vergine mi insegnò la pratica dei dodici privilegi e mi ordinò di farla conoscere e di diffonderla, perché graditissima al suo cuore: farne il ricordo, meditandoli mentalmente e recitando ad ognuno un’Ave Maria e la seguente preghiera di lode: Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.


1° PRIVILEGIO: Predestinazione di Maria.
“Quando non esistevano gli abissi, io fui generata” . (Prv 8,24).
“Quando non c’erano ancora gli abissi, la Madre di Dio già esisteva nella mente del Creatore”. (Prv 8,24).
Contemplazione: Il Divin Padre, dall’eternità ideava la sua opera creatrice, ammirando la perfezione che avrebbe impressa nelle sue creature, e si compiaceva del capolavoro sommo, della gemma più preziosa, vagheggiando nel suo pensiero la Madre che avrebbe preparato al suo Figlio.
Invocazione: O Gloria della Trinità Santissima: aiutami ad accogliere e a portare a compimento il disegno d’amore che il Padre ha su di me. Ave Maria.
“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

2° PRIVILEGIO: L’Immacolata concezione di Maria.
“Io porrò inimicizia tra te e la donna”. (Gn 3,15).
“Nel giardino di Eden Iddio annuncia il futuro Redentore che, con la Madre, calcherà la testa al serpente”. (Gn 3,15).
Contemplazione: I primissimi chiarori dell’alba della Redenzione, dopo la promessa fatta nell’Eden, eccoli nell’immacolato concepimento di Maria. Al primo apparire della stella del mattino, l’umanità cominciò a godere le primizie della riconciliazione con Dio, poiché la cortina di separazione da lui, in forza del primo palpito della Creaturina eletta, si strappò, lasciando traboccare dall’alto la misericordia dell’Altissimo.
Invocazione: O piena di grazia: sii la mia forza per vincere il peccato e crescere in sapienza e grazia. Ave Maria.
“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

3° PRIVILEGIO: La perfetta conformità di Maria al volere di Dio.
“Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. (Lc 1,38).
“La scala di Giacobbe, che unisce la terra al cielo, può raffigurare la volontà di Maria legata amorevolmente al Signore”. (Gv 3,15).
Contemplazione: L’anima di Maria era un vero paradiso di delizia per il Figlio e il più bell’ornamento di gloria per la SS. Trinità. Ella sapeva innalzarsi nelle limpide regioni della fede ove vedeva il suo Dio e adorava la sua volontà santissima ripetendogli il “fiat” di una dedizione piena e perfetta.
Invocazione: Madre della Fede: fa che io sia pronto e gioioso nei miei Si quotidiani alla santa volontà del Padre. Ave Maria.
“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

4° PRIVILEGIO: L’eminente Santità di Maria.
“Senza macchia né ruga… ma Santa e Immacolata”. (Ef 5,27 b).
“La casa fondata sulla roccia”. (Mt 7,25).
Contemplazione: La santità della Madonna è tutta un tessuto d’oro sulla semplice trama della perfetta fedeltà ai suoi doveri e nello stato di vita più semplice e comune, quali si presta ad essere imitata.
Invocazione: O modello di santità: salvami dall’ipocrisia della virtù apparente, insegnami umiltà, amore, preghiera profonda. Ave Maria.
“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

5° PRIVILEGIO: L’Annunciazione.
“Ave, o piena di grazia, il Signore è con te”. (Lc 1,28).
“La nube, segno della presenza di Dio”. (1 Re 8,10).
Contemplazione: Maria, nel momento in cui venne annunziata all’Arcangelo, era assorta nella preghiera. La sua anima diede tre splendori: adorazione – amore – dedizione, così perfetti ed elevati da attrarre le compiacenze di Dio, che di quella meravigliosa Creatura formò la Sede dell’Eterna Sapienza.
Invocazione: O Eletta fra le donne: donami la semplicità del tuo cuore, la tua generosità, la tua fiducia incrollabile nella Parola del Signore. Ave Maria.
“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

6° PRIVILEGIO: La maternità divina di Maria.
“Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. (Lc 1,31).
Il tronco di Jesse che fiorisce”. (Is 11,1).
Contemplazione: Nel gran momento in cui il Verbo si vestì di carne in Maria, la sua anima benedetta e tutto l’essere suo rimasero adombrati dallo Spirito Santo che la consacrava Madre di Dio. Quale estasi fu la sua! La felicità del Padre la compenetrava e si arricchiva della sua gioia materna.
Invocazione: O Madre del Verbo: disponimi ad accogliere i doni dello Spirito Santo, affinché io diventi conforme a Gesù e figlio ubbidiente della Chiesa. Ave Maria.
“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

7° PRIVILEGIO: La verginità perfetta di Maria.
“Come avverrà questo? Non conosco uomo”. (lc 1,35).
“Il giglio tra i cardi”. (Ct 2,2).
Contemplazione: La Vergine benedetta è la gloria più fulgida delle creature, che ha straordinariamente nobilitato innalzando per prima il candido vessillo della verginità. Le anime che a lei si affidano imitandola, possono divenire a loro volta templi vivi di Dio. Invocazione: Sei Madre e sei vergine, o Maria: a Dio nulla è impossibile. Trasfigura la mia anima e il mio corpo con la tua dolce e candida luce. Ave Maria.
“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

8° PRIVILEGIO: Il martirio del cuore.
“Stava presso la Croce la Madre di Gesù”. (Gv 19,25).
“Il cuore trafitto di Maria”. (Lc 2,35).
Contemplazione: Maria per la forza e la delicatezza dell’amore materno, precedeva i passi di Gesù, tenendosi in una perfetta dedizione a tutte le disposizioni del Padre in ordine al compimento dell’opera redentivi, perfino a donarsi senza riserve insieme a Lui, immedesimata agli stessi palpiti del suo cuore in maniera da formare una sola vittima di espiazione.
Invocazione: Nel dolore mi hai generato, Regina dei martiri. Sostieni la mia incostanza nel perseverare e insegnami a consolare chi soffre. Ave Maria.
“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

9° PRIVILEGIO: Il gaudio di Maria alla Resurrezione e Ascensione di Gesù.

“L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore”. (Lc 1,46). “L’incensiere d’oro (Ap 8,3) fra i due simboli: il Cero per la resurrezione e il Monogramma di Cristo sulla nube, per l’ascensione”.
Contemplazione: Gesù riversò con radiosa pienezza il suo gaudio in Maria nel momento della resurrezione. Per una Madre come lei, il vedere con i propri occhi l’esaltazione del Figlio che adorava, la felicità e le ricchezze del Regno del quale entrava in possesso, era motivo di grande gioia.
Invocazione: Madre di Gesù, Agnello immolato, sei ora esultante con Lui nella gloria. Portami ad adorare lo splendore della sua divinità nel dono dell’Eucarestia. Ave Maria.
“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

10° PRIVILEGIO: L’Assunzione in cielo di Maria.
“Oggi l’arca sacra e vivente del Dio vivo ha trovato il riposo nel tempio del Signore” (1 Cr 16).
“L’arca del Signore portata in trionfo è simbolo del trasporto in cielo della Tuttasanta”. (1 Cr 15,3).
Contemplazione: Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, rapiti di amore per la loro figlia, madre e sposa, finito il corso della sua vita terrena, la assunsero alla celeste gloria in anima e corpo, accompagnata dagli angeli osannati, fino alle altezze del trono di Dio, dal quale ricevette la massima glorificazione.
Invocazione: Non sei lontana, Donna vestita di sole: sei qui, operante con tenerezza materna, accanto a ciascuno di noi in cammino verso il cielo. Ave Maria.
“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

11° PRIVILEGIO: La Regalità di Maria.
“Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre, e il suo regno non avrà mai fine”. (Lc 1,32-33).
“Il segno della donna vestita di sole” . (Ap 12,1).
Contemplazione: In Cielo Maria è il Paradiso della Trinità santa, nel quale il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono le loro compiacenze. Di quale potere è insignita questa gran Regina! E tutto a vantaggio nostro. Quale inestimabile dono ci ha fatto Iddio dandocela per Madre!
Invocazione: Sei Regina e sei Ancella: per te e per Gesù regnare non ha significato altro che servire. Educami, o madre, ad essere regale nel testimoniare verità e giustizia.
Ave Maria.
“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

12° PRIVILEGIO: La Mediazione di Maria e la potenza della sua intercessione.
“Chi trova me trova la vita e ottiene favore dal Signore”. (Prv 8,35).
“Maria riceve la grazia di Gesù e la effonde su tutte le creature”. (Gv 7,37-38).
“La corona delle dodici stelle richiama i 12 privilegi di Maria Santissima”.
(Ap 12,1).

Contemplazione: Vedo Maria Santissima davanti all’Altissimo per ottenere la salvezza dei suoi figli peccatori. Ricevendo tutte le grazie discendenti della Prima Sorgente, fatta dal Mediatore vera mediatrice, ella trasmette le grazie ai suoi figli e la sua larghezza nel dare aumenta continuamente le sue ricchezze.

Invocazione: La SS. Trinità ti ha affidato la missione della maternità universale: io ti accolgo, come Giovanni, con amore filiale e spontaneo, consacrandomi al tuo Cuore Immacolato. Ave Maria.

“Sia benedetta, lodata e ringraziata la SS. Trinità per le grazie concesse alla Vergine Maria”.

AVE MARIA PURISSIMA!

Miserere nostri, fulgentissima Regina coeli:
et praesta consolationem de gloria Tua. Amen