"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
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venerdì 19 agosto 2016
venerdì 17 maggio 2013
Il Corpo
- Il Corpo del Signore s'è fatto corpo nel seno di Maria, ed è mia Madre che con un sorriso ve lo porge come se vi offrisse il suo amatissimo Pargolo deposto nella cuna del suo purissimo e materno cuore.
GESU' MARIA AMOREVENITE INSIEME NEL MIO CUORE!
mercoledì 1 agosto 2012
CAPITOLO II Quanto merita Gesù Cristo d'esser amato da noi per l'amore che ci ha dimostrato nell'istituire il SS. Sagramento dell'altare.
CAPITOLO II |
Quanto merita Gesù Cristo
d'esser amato da noi per l'amore
che ci ha dimostrato nell'istituire
il SS. Sagramento dell'altare.
d'esser amato da noi per l'amore
che ci ha dimostrato nell'istituire
il SS. Sagramento dell'altare.
1. Sciens Iesus quia venit hora eius ut transeat ex hoc
mundo ad Patrem, cum dilexisset suos... in finem dilexit eos (Io. XIII, 1).
L'amantissimo nostro Salvatore, sapendo esser già arrivata l'ora di partirsi da
questa terra, prima di andare a morire per noi, volle lasciarci il segno più
grande che potea darci del suo amore, qual fu appunto questo dono del SS.
Sagramento. — Dice S. Bernardino da Siena che i segni d'amore che si dimostrano
in morte, più fermamente restano a memoria, e si tengono più cari: Quae in
fine in signum amicitiae celebrantur, firmius memoriae imprimuntur et cariora
tenentur. Onde sogliono gli amici, morendo, lasciare alle persone che hanno
amate in vita, qualche dono, una veste, un anello, in memoria del loro affetto.
Ma voi, Gesù mio, partendo da questo mondo che cosa ci avete lasciato in memoria
del vostro amore? Non già una veste, un anello, ma ci avete lasciato il vostro
corpo, il vostro sangue, l'anima vostra, la vostra divinità, tutto voi stesso,
senza riserbarvi niente. Totum tibi dedit, dice S. Giovanni Grisostomo,
nihil sibi reliquit.
2. Dice il Concilio di Trento che, in questo dono
dell'Eucaristia, Gesù Cristo volle quasi cacciar fuori tutte le ricchezze
dell'amore ch'egli serbava per gli uomini: Divitias sui erga homines amoris
velut effudit (Sess. XIII, c. 2). E nota l'Apostolo che Gesù volle far
questo dono agli uomini in quella stessa notte appunto in cui gli uomini gli
apparecchiavano la morte: In qua nocte tradebatur, accepit panem, et gratias
agens, fregit et dixit: Accipite et manducate, hoc est corpus meum (I Cor.
XI, 23, 24). Dice S. Bernardino da Siena che Gesù Cristo, ardendo per noi
d'amore e non contento di apparecchiarsi a dar la vita per noi, prima di morire
fu costretto dall'eccesso del suo amore a fare un'opera più grande, qual fu di
darci in cibo il suo medesimo corpo: In illo fervoris excessu, quando paratus
erat pro nobis mori, ab excessu amoris maius opus agere coactus est, quam umquam
operatus fuerat, dare nobis corpus in cibum (S. Bern. Sen., T. 2. serm. 54.
art. 1. cap. 1).
3. Ben dunque da S. Tommaso fu chiamato questo sagramento
sacramentum caritatis, pignus caritatis. Sagramento d'amore,
perchè il solo amore indusse Gesù Cristo a donarci in quello tutto se stesso; e
pegno d'amore, acciocchè se noi avessimo mai dubitato del suo amore, in
questo sagramento ne avessimo ricevuto il pegno. Come se avesse detto il nostro
Redentore nel lasciarci questo dono: Anime, se mai voi dubitate del mio amore,
ecco ch'io vi lascio me stesso in questo sagramento; con tal pegno in mano, non
potete aver più dubbio ch'io v'amo, e v'amo assai. — Ma inoltre da S. Bernardo
fu chiamato questo sagramento amor amorum, amore degli amori, perchè
questo dono comprende tutti gli altri doni che il Signore ci ha fatti, la
creazione, la redenzione, la predestinazione alla gloria; mentre l'Eucaristia
non solo è pegno dell'amore di Gesù Cristo, ma è pegno ancora del paradiso che
vuol darci: In quo, parla la Chiesa, futurae gloriae nobis pignus
datur. Quindi S. Filippo Neri non sapeva nominar Gesù Cristo nel sagramento
se non col nome di amore. Così appunto fu udito esclamare allorchè gli fu
portato il SS. Viatico: «Ecco l'amor mio, disse, datemi il mio amore».
4. Voleva il profeta Isaia che si manifestassero a tutti le
invenzioni amorose che ha trovate Iddio per farsi amare dagli uomini. E chi mai
avrebbe potuto pensare, s'egli stesso non l'avesse fatto, che il Verbo Incarnato
si fosse posto sotto le specie di pane per farsi nostro cibo? Non sembra una
pazzia, dice S. Agostino, il dire: Mangiate la mia carne, bevete il mio sangue?
Nonne insania videtur dicere: Manducate meam carnem, bibite meum
sanguinem? Quando Gesù Cristo svelò ai suoi discepoli questo sagramento che
voleva lasciarci, essi non poterono giungere a crederlo, e si licenziarono da
lui dicendo: Quomodo potest hic carnem suam dare ad manducandum? (Io. VI,
53). Durus est hic sermo, et quis potest eum audire? (Io. VI, 61). Ma
quel che gli uomini non potevano pensare e credere, l'ha pensato e fatto il
grande amore di Gesù Cristo. Accipite et manducate, egli disse ai suoi
discepoli, e per essi a tutti noi, prima di andare a morire: Ricevete e
mangiate! Ma qual cibo sarà mai questo, o Salvatore del mondo, che prima di
morire volete donarci? Accipite et manducate: hoc est corpus meum (I Cor.
XI, 24). Questo cibo non è terreno: sono io stesso che mi do tutto a voi.
5. Ed oh con qual desiderio Gesù Cristo anela di venire
all'anime nostre nella santa comunione! Desiderio desideravi hoc pascha
manducare vobiscum (Luc. XXII, 15). Così egli disse in quella notte in cui
istituì questo sagramento d'amore. Desiderio desideravi: così gli fe'
dire, scrive S. Lorenzo Giustiniani, l'amore immenso che ci portava:
Flagrantissimae caritatis est vox haec. Ed acciocchè facilmente ognuno
avesse potuto riceverlo, volle lasciarsi sotto le specie di pane. Se si fosse
lasciato sotto le specie di qualche cibo raro o di gran prezzo, i poveri ne
sarebbero rimasti privi; ma no, Gesù ha voluto ponersi sotto le specie di pane
che poco costa e da per tutto si trova, affinchè tutti in ogni paese possan
trovarlo e riceverlo.
6. Acciocchè poi anche noi c'invogliassimo a riceverlo nella
santa comunione, non solo ci esorta a ciò con tanti inviti: Venite, comedite
panem meum et bibite vinum quod miscui vobis (Prov. IX, 5); comedite,
amici, et bibite, parlando di questo pane e vino celeste (Cant. V, 1), ma
anche ce l'impone per precetto: Accipite et manducate: hoc est corpus
meum (I Cor. XI, 24). Di più, acciocchè noi andiamo a riceverlo, ci alletta
colla promessa del paradiso: Qui manducat meam carnem, habet vitam
aeternam (Io. VI, 55). Qui manducat hunc panem vivet in aeternum
(Ibid. 59). Di più ci minaccia l'inferno coll'esclusione del paradiso, se noi
ricusiamo di comunicarci: Nisi manducaveritis carnem Filii hominis, non
habebitis vitam in vobis (Ibid. 54). Quest'inviti, queste promesse e queste
minacce, tutte nascono dal gran desiderio ch'egli ha di venire a noi in questo
sagramento.
7. Ma perchè mai tanto desidera Gesù Cristo che noi lo
riceviamo nella santa comunione? Ecco la ragione. Dice S. Dionisio che l'amore
aspira sempre e tende all'unione; e, come si dice presso S. Tommaso: Amantes
desiderant ex ambobus fieri unum (1. 2. q. 28. a. 1. ad 2): gli amici che si
amano di cuore vorrebbero talmente esser uniti che fossero un solo uomo. Or ciò
ha fatto che l'immenso amore di Dio verso gli uomini non solo si desse tutto
loro nel regno eterno, ma che in questa terra ancora si lasciasse dagli uomini
possedere coll'unione più intima che possa darsi, dandosi tutto loro sotto le
apparenze di pane nel Sagramento. Ivi egli sta come dietro un muro, e di là ci
guarda come per mezzo di stretti cancelli: En ipse stat post parietem
nostrum, respiciens per fenestras, prospiciens per cancellos (Cant. II, 9).
Sì che noi non lo vediamo, ma egli di là ci guarda, ed ivi è realmente presente:
è presente per lasciarsi da noi possedere, ma si nasconde per farsi da noi
desiderare; e finchè noi non perveniamo alla patria, Gesù vuol darsi a noi
tutto, e star tutto unito con noi.
8. Ei non potè contentare il suo amore con darsi tutto al
genere umano colla sua Incarnazione e Passione, morendo per tutti gli uomini; ma
volle trovare il modo di darsi tutto a ciascuno di noi; e perciò istituì il
Sagramento dell'altare, affin di unirsi tutto con ognuno di noi. Qui manducat
meam carnem, egli disse, in me manet et ego in eo (Io. VI, 57). Nella
santa comunione Gesù si unisce all'anima, e l'anima a Gesù, e questa unione non
è di mero affetto, ma è vera e reale. Quindi ebbe a dire S. Francesco di Sales:
«In niun'altra azione può considerarsi il Salvatore nè più tenero nè più
amoroso, che in questa, in cui si annichila, per così dire, e si riduce in cibo
per penetrar l'anime nostre, ed unirsi al cuore de' suoi fedeli». Dice S.
Giovanni Grisostomo che Gesù Cristo, per l'ardente amore che ci portava, volle
talmente con noi unirsi che diventassimo la stessa cosa con esso: Semetipsum
nobis immiscuit ut unum quid simus: ardenter enim amantium hoc est
(Chrysost. Hom. 61, ad Pop. Ant.).
9. Volesti in somma, soggiunge S. Lorenzo Giustiniani, o Dio
innamorato delle anime nostre, con questo Sagramento far che il tuo Cuore col
nostro divenisse un solo cuore inseparabilmente unito: O mirabilis dilectio
tua, Domine Iesu, qui tuo corpori taliter nos incorporari voluisti, ut tecum
unum Cor et animam unam haberemus inseparabiliter colligatam! Aggiunge S.
Bernardino da Siena che il darsi Gesù Cristo a noi in cibo fu l'ultimo grado
d'amore, poichè si diede a noi per unirsi totalmente con noi, come si unisce
insieme il cibo con chi lo mangia: Ultimus gradus amoris est, cum se dedit
nobis in cibum, quia dedit se nobis ad omnimodam unionem, sicut cibus et cibans
invicem uniuntur (S. Bern. Sen., T. 2. serm. 54). Oh quanto Gesù Cristo si
compiace di stare unito colle anime nostre! Disse egli un giorno dopo la
comunione alla sua diletta serva Margarita d'Ipres: «Vedi, figlia mia, la bella
unione fatta tra me e te; orsù amami, e stiamoci sempre uniti in amore, e non ci
separiamo più».
10. Quindi dobbiam persuaderci che un'anima non può fare nè
pensare di far cosa più grata a Gesù Cristo, che di andare a comunicarsi colla
disposizione conveniente ad un tanto ospite che ha da ricevere nel suo petto;
mentre così si unisce a Gesù Cristo, ch'è l'intento di questo innamorato
Signore. Ho detto: colla disposizione conveniente, non già colla
degna, perchè se bisognasse la degna, e chi mai potrebbe più comunicarsi?
Solo un altro Dio sarebbe degno di ricevere un Dio. Intendo conveniente
quella che conviene ad una misera creatura vestita dell'infelice carne di Adamo.
Basta che la persona, ordinariamente parlando, si comunichi in grazia, e con
vivo desiderio di crescere nell'amore verso Gesù Cristo. «Solo per amore dee
riceversi Gesù Cristo nella comunione, dicea S. Francesco di Sales, giacch'egli
solo per amore a noi si dona». Del resto quanto spesso poi ciascuno debba
comunicarsi, in ciò dee regolarsi secondo il giudizio del suo padre spirituale.
Sappiasi non però, che niuno stato o impiego, anche di maritato o negoziante,
impedisce la comunione frequente, quando il direttore la stima opportuna, come
dichiarò il Pontefice Innocenzo XI nel suo decreto dell'anno 1679, ove si disse:
Frequens accessus — ad Eucharistiam — confessariorum iudicio est
relinquendus, qui... laicis negotiatoribus et coniugatis, quod prospiciunt eorum
saluti profuturum, id illis praescribere debebunt.
11. Bisogna poi intendere che non vi è cosa da cui possiam
cavar tanto profitto quanto dalla comunione. L'Eterno Padre ha fatto padrone
Gesù Cristo di tutte le sue ricchezze divine: Omnia dedit ei Pater in
manus (Io. XIII, 3). Onde quando viene Gesù in un'anima colla santa
comunione, egli le porta seco immensi tesori di grazie. E perciò ben può dire
una persona che si è comunicata: Venerunt autem mihi omnia bona pariter cum
illa (Sap. VII, 11). Dice S. Dionisio che il sagramento dell'Eucaristia ha
una somma virtù di santificare l'anime, più che tutti gli altri mezzi
spirituali: Eucharistia maximam vim habet perficiendae sanctitatis. E S.
Vincenzo Ferreri scrisse che più profitta l'anima con una comunione, che con una
settimana di digiuni in pane ed acqua.
12. Primieramente, come insegna il Concilio di Trento, la
comunione è quel gran rimedio che ci libera dai peccati veniali e ci preserva
dai mortali: Antidotum quo a culpis quotidianis liberemur et a mortalibus
praeservemur (Trid. Sess. XIII, cap. 2). Dicesi liberemur a culpis
quotidianis, perchè, secondo S. Tommaso (3 p. q. 79. a. 4), per mezzo di
questo Sagramento l'uomo viene eccitato a far atti d'amore, per cui poi si
cancellano i peccati veniali. E dicesi a mortalibus praeservemur, perchè
la comunione conferisce l'aumento della grazia che ci preserva dalle colpe
gravi. Quindi scrisse Innocenzo III che Gesù Cristo colla sua Passione ci liberò
dalla podestà del peccato, ma coll'Eucaristia ci libera dalla podestà di
peccare: Per crucis mysterium liberavit nos a potestate peccati; per
Eucharistiae sacramentum liberat nos a potestate peccandi.
13. Di più questo Sagramento principalmente infiamma l'anime
del divino amore. Iddio è amore: Deus caritas est (I Io. IV, 8). Ed è
fuoco che consuma ne' nostri cuori tutti gli affetti terreni: Ignis consumens
est (Deut. IV, 24). Or questo fuoco d'amore venne appunto il Figlio di Dio
ad accendere in terra: Ignem veni mittere in terram; e soggiunse che
altro non bramava che di vedere acceso questo santo fuoco nell'anime nostre:
Et quid volo, nisi ut accendatur? (Luc. XII, 49). Ed oh quali fiamme di
divino amore accende Gesù Cristo in ognuno che divotamente lo riceve in questo
Sagramento! S. Caterina da Siena vide un giorno in mano d'un sacerdote Gesù
sagramentato come un globo di fuoco da cui la santa si ammirava come da quella
fiamma non restassero arsi ed inceneriti tutti i cuori degli uomini. S. Rosa di
Lima dopo la comunione mandava tali raggi dalla faccia che abbagliavano la
vista, ed usciva tal calore dalla sua bocca che chi vi accostava la mano sentiva
scottarsi. Narrasi di S. Venceslao che col solo andar visitando le chiese ove
stava il Sagramento, s'infiammava di tanto ardore che il servo il quale
l'accompagnava, camminando sulla neve e mettendo i piedi sulle pedate del santo,
non sentiva più freddo. Dicea per tanto il Grisostomo che il SS. Sagramento è
fuoco che c'infiamma, acciocchè partendo dall'altare spiriamo tali fiamme
d'amore che ci rendano terribili all'inferno: Carbo est Eucharistia, quae nos
inflammat, ut tamquam leones ignem spirantes ab illa mensa recedamus, facti
diabolo terribiles (Hom. 61, ad Pop.).
14. Diceva la sposa de' Cantici: Introduxit me rex in cellam
vinariam, ordinavit in me caritatem (Cant. II, 4). Scrive S. Gregorio
Nisseno che appunto la comunione è quella cella di vino ove l'anima resta
talmente inebriata di divino amore, che si dimentica e perde di vista tutte le
cose create; e questo è quel languire d'amore, del quale poi parla dicendo:
Fulcite me floribus, stipate me malis, quia amore langueo (ibid. 5). —
Dirà taluno: Ma perciò io non mi comunico spesso, perchè mi vedo freddo nel
divino amore. Risponde a costui il Gersone e dice: «Dunque perchè ti vedi
freddo, per questo vuoi allontanarti dal fuoco?» Anzi perchè ti senti freddo,
tanto più dei accostarti spesso a questo Sagramento, sempre che hai vero
desiderio di amar Gesù Cristo. Licet tepide, scrisse S. Bonaventura,
tamen confidens de misericordia Dei accedas; tanto magis eget medico, quanto
quis senserit se aegrotum (De prof. rel., c. 78). Parimente dicea S.
Francesco di Sales nella sua Filotea (cap. 21): «Due sorte di persone debbono
comunicarsi spesso: i perfetti per conservarsi nella perfezione, e gl'imperfetti
per giungere alla perfezione». Ma per comunicarsi spesso, almeno è necessario
avere un gran desiderio di farsi santo e crescere nell'amore verso Gesù Cristo.
Disse un giorno il Signore a S. Metilde: «Quando dei comunicarti, desidera tutto
quello amore che mai un cuore ha avuto verso di me, ed io riceverò un tale amore
come tu vorresti che fosse» (Ap. Blos., in Conc. an. fidel. c. 6, n. 6).
Affetti e preghiere.
O Dio d'amore, o amante infinito, degno d'infinito amore,
ditemi, ci è più che inventare per farvi amare da noi? Non vi è bastato di farvi
uomo e soggettarvi a tante nostre miserie. Non vi è bastato il dare per noi
tutto il sangue a forza di tormenti, e poi morire consumato da' dolori sovra
d'un tronco destinato a' rei più scellerati. Vi siete ridotto in fine a mettervi
sotto le specie di pane per farvi nostro cibo, e così unirvi tutto con ciascuno
di noi. Ditemi, replico, ci è più che inventare per farvi amare? Ah miseri noi
se in questa vita non vi amiamo! Quando saremo entrati nell'eternità, qual
rimorso ci apporterà il non avervi amato!
Gesù mio, io non voglio morire senza amarvi, ed amarvi
assai.
Troppo mi rincresce e mi dà pena l'avervi dati tanti disgusti;
me ne pento e vorrei morirne di dolore.
Ora v'amo sopra ogni cosa, v'amo più di me stesso, e vi
consagro tutti gli affetti miei. Voi che mi date già questo desiderio, datemi la
forza di eseguirlo.
Gesù mio, Gesù mio, io non voglio da voi altro che voi. Or che
mi avete tirato al vostro amore, io lascio tutto, rinunzio a tutto, ed a voi mi
stringo; voi solo mi bastate.
O madre di Dio Maria, pregate Gesù per me, e fatemi santo.
Aggiungete quest'altro a tanti prodigi da voi operati di mutare i peccatori in
santi.
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