7 giugno 1943
Anzitutto metto qui il mio grazie per il suo caritatevole pensiero di portarmi copia della Supplica[35] e di esser stato così buono da aver accettato il mio foglietto così benignamente. Ma però non è la “mia” supplica. Di mio non c’è che la fatica di scriverla. Il pensiero non è mio. Non sono così sublime da saper estrarre dal mio cuore pensieri così sovrumani di perdono.
Le ho detto ieri che mentre li scrivevo, e sentivo che erano giusti, dovevo fare una vera fatica morale ad accettarli. Come lei avrà notato, leggendo gli appunti della mia vita, non possiedo proprio per nulla il carattere di Giobbe. Sono, come Maria Valtorta, molto umana con tutto quello che l’umanità porta con sé di suscettibilità, di orgoglio, di passioni ecc. ecc., e devo, per fare vivere la Maria della Croce, incenerire me stessa ogni momento per rinascere dalle mie ceneri umane, mistica fenice, in forma nuova e certamente più accetta al buon Dio.
Quando “la voce” mi dice[36]: «Tu non sei nulla; tu, da te stessa, non saresti mai capace di riuscire a nulla», io ne sono persuasissima. Non mi illudo sulla mia carnaccia e sulla mia embrionale natura spirituale. So che una è matta come un puledro in primavera e l’altra è così embrionale che è appena un debole abbozzo. Perciò conforto la mia debolezza e imbriglio la mia materia con la Croce di Cristo. Solo avvinghiata a Lui Crocifisso posso far stare ritta la mia anima e solo inchiodando con chiodi ben ribaditi e bene mortificatori la mia carne la posso tenere lì, soggiogata, impotente di compiere le sue mattane.
Perciò non diciamo “la mia supplica”. Essa è di un Altro. Non mi devo appropriare di quello che non è mio. Me ne insuperbirei mentendo a me stessa, al mondo e a Dio. Se quelle parole hanno servito - e non potevano non servire perché venivano da zone di luce, e di che luce! - rendiamone grazie al Signore e basta.
Due sono le cose che più mi fanno stare con le orecchie aperte e gli occhi vigilanti per spiare il più lieve movimento del Nemico delle anime che striscia, si insinua e fischia la sua seduttrice canzone così sottilmente per ipnotizzarci e renderci alla sua mercé. Una, sono le tendenze della carne, così proterva nonostante tutti i cilizi; l’altra, le ... lievitazioni della superbia che tenta sempre di gonfiare... Sento per istinto che le une e le altre muoiono tre giorni dopo di noi e che solo la bontà di Dio e una grande, grandissima volontà nostra, una volontà instancabile, alacre, vigilante, le può rendere innocue, sterilizzarle ad ogni nuova loro ondata di germi corruttori. E sento anche che se io mi lasciassi avvinghiare dalle spire del senso o da quelle della superbia, il presente stato di grazia cesserebbe di colpo, prima, molto prima di quello che vuole il mio Gesù, il quale non cessa di tenermi fra le braccia e mormorarmi parole di vita.
Si figuri se vorrei perdere questa beatitudine per mia colpa! È dessa che mi impedisce di sentire il mordente delle vicende umane che mi colpiscono, e il duplice mordente dei ricordi che si affollano. Tutto scorre su me, tutto si avventa su me come acqua, come flutto, come maroso, ma finché dura la presente beatitudine io sono come un blocco di cristallo sul quale tutto passa senza lasciare segno, senza poter penetrare.
Verrà il momento in cui Gesù tacerà e mi lascerà andare. Pazienza! E che perciò? Me ne dovrò lamentare? No. Soffrirò certo ma accetterò la nuova prova, continuando ad amarlo anche se Egli mi lascia sola. Se lo fa, saprà ben Lui perché lo fa. E certo avrò più merito, ad amarlo allora, che non ne abbia ora.
Bella forza esser amorosa adesso che Egli è così sensibilmente amoroso! A meno di non possedere il cuore di Giuda, chi si vede amato ama. Ma il più alto amore è quello che sa continuare ad amare anche quando ci sembra di non essere più amati. Quando lo si fa con gli uomini non ne ricaviamo costrutto, o ben raramente. Ma quando si fa così col buon Dio, allora si può esser certi che dopo viene un ancora più intenso periodo di amore, perché Dio premia sempre dopo averci provato, se abbiamo saputo esser fedeli.
Dice Gesù:
«Continuo a parlarti della grazia[37], la quale dà la vita dello spirito.
Quando Iddio creò il primo uomo, infuse in esso, oltre che la vita della materia, fino ad allora inanimata, anche la vita dello spirito. Altrimenti non avrebbe potuto dire che vi aveva fatti a sua immagine e somiglianza.
Quello che era di perfetto la prima creatura nessuno di voi lo può immaginare. Solo Noi possiamo vedere, nell’eterno presente che è la nostra eternità, la perfezione dell’opera regale della nostra Intelligenza creatrice. Il seme di Adamo, se Adamo avesse saputo rimanere re quale Noi lo avevamo fatto, con potestà su tutte le cose e con dipendenza solo da Dio - una dipendenza di figlio amatissimo - sarebbe stato un seme di perpetua perfezione. Ma vi era un vinto che vegliava per trarre vendetta.
Tu, Maria, che dici che dal tuo cuore non potrebbero uscire spontaneamente pensieri di perdono perché la tua natura umana ti porta allo spirito di vendetta e solo per riguardo mio sai perdonare, ci hai mai pensato che è stato lo spirito di vendetta che ha rovinato voi, figli di Adamo, e mandato Me, Figlio di Dio, sulla croce?
Lucifero - ed era il bello fra i belli creati da Me - dal baratro dove era piombato, brutto in eterno dopo la blasfema rivolta al suo Creatore, fu assetato di vendetta. Al primo peccato di superbia unì così una serie interminabile di delitti, vendicandosi nei secoli dei secoli. E la prima vendetta fu sui miei creati Adamo ed Eva. Nella perfezione della mia creazione il suo dente avvelenato mise il segno della sua bestialità comunicandovi la sua stessa libidine di lussuria, di vendetta, di superbia. E da allora il vostro spirito duella in voi contro i veleni del morso infernale.
Qualche rarissima volta lo spirito vince sulla carne e il sangue, e dà alla Terra e al Cielo un nuovo santo. Qualche volta lo spirito vive stentatamente, con stasi di letargo in cui è come fosse morto e nelle quali vivete e agite come creature prive di luce, della mia Luce. Qualche altra viene letteralmente ucciso dalla creatura che volontariamente decade dal suo trono di figlia di Dio e diventa peggio di un bruto. Diventa demonio, figlio di demonio.
In verità ti dico che oltre due terzi della razza umana appartengono a questa categoria che vive sotto il segno della Bestia. Per questa inutilmente Io sono morto.
La legge dei segnati dalla Bestia è in antitesi con la Legge mia. In una domina la carne e genera opere di carne. Nell’altra domina lo spirito e genera opere di spirito. Quando lo spirito domina, là è regno di Dio. Quando domina la carne, là è regno di Satana.
L’infinita Misericordia che anima la Triade ha dato al vostro spirito tutti gli aiuti per rimanere dominatore. Ha dato il sacramento che leva il segno della Bestia nella vostra carne di figli di Adamo e imprime il mio Segno. Ha dato la mia Parola di Vita, ha dato Me, Maestro e Redentore, ha dato il mio Sangue nell’Eucarestia e sulla Croce, ha dato il Paraclito: lo Spirito di verità.
Colui che sa stare nello Spirito genera opere dello spirito. Dalla creatura posseduta dallo Spirito sgorga carità, mitezza, purezza, scienza e ogni opera buona unita a umiltà grande. Dagli altri escono, come serpi sibilanti, vizi, frodi, lussurie, delitti, poiché il loro cuore è nido di serpi infernali.
Ma dove sono quelli che sanno tendere alla vita dello spirito e rendersi degni di accogliere in sé l’infusione vitale del Consolatore, che viene con tutti i suoi doni ma vuole per trono uno spirito pronto, desideroso di Lui? No, che il mondo non lo vuole questo Spirito che vi fa buoni. Il mondo vuole il potere a qualunque costo, la ricchezza a qualunque costo, l’appagamento del senso a qualunque costo, tutte le gioie della Terra a qualunque costo, e respinge e bestemmia lo Spirito Santo e impugna la sua Verità, e si paluda di vesti profetiche parlando parole che non escono dal seno della Trinità Ss. ma dall’antro di Satana.
E ciò non è e non sarà perdonato[38]. M a i. E che non sia perdonato lo vedete. Dio si ritira nell’alto dei suoi Cieli perché l’uomo respinge il suo amore e vive per e nella carne. Ecco le cause della vostra rovina e del nostro silenzio. Dal profondo escono i tentacoli di Satana, sulla Terra l’uomo si proclama dio e bestemmia il vero Dio, in alto il Cielo si chiude. Ed è già pietà, perché chiudendosi rattiene le folgori che voi meritate.
Una nuova Pentecoste troverebbe i cuori più duri e sozzi di un macigno sprofondato in uno stagno di fango. State perciò nel fango che avete voluto, in attesa che un comando, che non conosce ribellioni, ve ne tragga per giudicarvi e separare i figli dello spirito dai figli della carne.»
E ora, Gesù buono, lascia che parli io. Hai detto tante cose oggi che neppure le posso copiare tutte. E nelle prime ore ero così stanca e sofferente che facevo fatica a seguire la tua dolce voce. Dopo è andato meglio. Ma ora il dolore mi prende. È un’ora di Getsemani.
Per chi soffro? Quale è l’anima alla quale occorre questa mia agonia per guarire, per sperare, per tornare a Te? Non lo saprò mai su questa Terra, ma sono convinta che esiste e che questa amarezza mia la devo bere per uno scopo di espiazione. Lo faccio volentieri anche se il pianto mi riga le guance. Ma lasciami piangere sul tuo Cuore perché, se su esso è dolce amare, su esso è dolce soffrire.
Tutte le tristezze vengono a ondate. Tu le sai tutte senza che io te le enumeri, e tanto Tu che io sappiamo anche cosa si nasconde dietro questo schermo nero che mi vuole avviluppare. Per non vederlo chiudo gli occhi. Faccio come i bambini paurosi del buio. E questa sera sono proprio come una povera bambina sola in un luogo senza luce. Ogni angolo è un ricettacolo di ombre che assumono aspetti terrorizzanti. Se chiudo ben stretti gli occhi, dopo averti guardato fisso fisso come si guarda il sole, non mi resta sullo sfondo della rétina che la tua Immagine; se mi stringo stretta stretta a Te, non mi accorgo più della solitudine che ho intorno e dalla quale possono sorgere per me tanti pericoli. Sento le tue braccia intorno a me e anche se piango non ho più paura.
Prenditi il mio pianto questa sera. Non ho che questo da darti in questa notte di pena. Non ti dico neppure: “Levami questa pena”; ti dico solo: “Sia fatta la tua Volontà, ma aiutami, Gesù”.
Sì, aiutami, Maestro buono. Non mi lasciare andare. Tutto il dolore che vuoi, Signore, ma la tua vicinanza sempre. So, credo che non è senza uno scopo di bene questo tormento morale; so, spero che non è senza utilità; so che se soffrirò con pace, sul tuo Cuore, la pace resterà in me e l’astio del demonio non la potrà turbare. Perciò ti dico: eccomi, per tuo amore, a fare la tua Volontà...
Non più tardi di questa mattina dicevo che la mia presente beatitudine mi impedisce di sentire il mordente delle vicende umane. Invece questa sera ho sentito l’acre delle necessità dell’ora. E ne ho sofferto tanto. Avessi sofferto sola sarebbe stato uno spasmodico soffrire. Ma ben sapendo che nessuna creatura umana mi poteva consolare, mi sono rivolta a Te con fede. Tu li vuoi questi atti di fede amorosa per compensarti di tutti i disamori che negano. E premi subito l’anima generosa dandole consolazione.
Ora ho imparato. E vengo subito a rifugiarmi in Te; non m’accontento di pregarti, spingo oltre il mio osare e vengo fra le tue braccia. Tu sei il mio Dio, ma sei anche il mio Fratello e Sposo, perciò oltre che pregarti posso anche abbracciarti per non sentirmi così sola di fronte a un futuro triste per tutti, ma per me carico di incognite ancor più penose.
Tienimi così per tutto questo tristissimo mese, tienimi così fino alla morte. Anche se non parli, mi basta che Tu mi lasci stare sul tuo Cuore. Ricordati della tua agonia, Signore, e per la tua piccolissima ostia sii Tu l’Angelo che conforta...
[35] Supplica, scritta il 5 giugno.
[36] mi dice, il 28 maggio.
[37] grazia, della quale ha già parlato il 6 giugno; creò… infuse… come si legge in Genesi 1, 26; 2, 7.
[38] non sarà perdonato, come è detto in Matteo 12, 31-32; Marco 3, 28-29; Luca 12, 10.
AMDG et DVM