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sabato 5 febbraio 2022

LA PREGHIERA DEL "Padre nostro"





VOLUME III CAPITOLO 203



MT-6 7-13

CCIII. La preghiera del ‘Padre nostro’.

   28 giugno 1945.

   203.1 Gesù esce con i suoi da una casa prossima alle mura e credo sempre nel rione di Bezeta, perché per uscire dalle mura si deve ancora passare davanti alla casa di Giuseppe, che è presso la porta che ho sentito definire “di Erode”. La città è semideserta nella sera placida e lunare. Comprendo che è stata consumata la Pasqua in una delle case di Lazzaro, che però non è per nulla la casa del Cenacolo. Questa è proprio agli antipodi di quella. Una a nord, l’altra a sud di Gerusalemme.
   Sulla porta di casa Gesù si accomiata, col suo garbo gentile, da Giovanni di Endor, che Egli lascia a custodia delle donne e
   che ringrazia per questa custodia. Bacia Marjziam, che è venuto anche lui sulla porta, e poi si avvia fuori della porta detta di Erode.


   «Dove andiamo, Signore?».


   «Venite con Me. Vi porto a coronare con una perla rara e desiderata la Pasqua. Per questo ho voluto stare con voi soli. I miei apostoli! Grazie, amici, del vostro grande amore per Me. Se poteste vedere come esso mi consola, voi restereste stupiti. Vedete, Io procedo fra continui attriti e delusioni. Delusioni per voi. Per Me, persuadetevene, non ho nessuna delusione, non essendomi concesso il dono di ignorare… Anche per questo vi consiglio a lasciarvi guidare da Me. Se Io permetto questo o quello, non ostacolatelo. Se Io non intervengo a porre fine ad una cosa, non pensatevi di farlo voi. Ogni cosa a suo tempo.
   Abbiate fiducia in Me, su tutto».


   Sono all’angolo nord-est della cerchia delle mura; lo girano e costeggiano il monte Moria fino al punto in cui, per un ponticello, possono valicare il Cedron.


   «Andiamo al Getsemani?», chiede Giacomo d’Alfeo.
   «No. Più su. Sul monte degli Ulivi».
   «Oh! sarà bello!», dice Giovanni.
   «Sarebbe piaciuto anche al bambino», mormora Pietro.
   «Oh! ci verrà molte altre volte! Era stanco. Ed è bambino.
   Io voglio darvi una grande cosa, perché ormai è giusto che voi l’abbiate».


   203.2 Salgono fra gli ulivi, lasciando alla loro destra il Getsemani e elevandosi ancora, su per il monte, sino a raggiungerne la cresta su cui gli ulivi fanno un pettine frusciante.
   Gesù si ferma e dice: «Sostiamo… Miei cari, cari tanto, discepoli miei e miei continuatori in futuro, venite a Me vicino. Un giorno, e non uno solo, voi mi avete detto[72]: “Insegnaci a pregare come Tu preghi. Insegnaci come Giovanni lo insegnò ai suoi, acciò noi discepoli si possa pregare con le stesse parole del Maestro”. Ed Io vi ho sempre risposto: “Vi farò questo quando vedrò in voi un minimo di preparazione sufficiente, acciò la preghiera non sia formula vana di parole umane, ma vera conversazione col Padre”. A questo siamo giunti. Voi siete possessori di quanto basta per poter conoscere le parole degne di essere dette a Dio. E ve le voglio insegnare questa sera, nella pace e nell’amore che è fra noi, nella pace e nell’amore di Dio e con Dio, perché noi abbiamo ubbidito al precetto pasquale, da veri israeliti, e al comando divino sulla carità verso Dio e verso il prossimo.

   203.3 Uno fra voi ha molto sofferto in questi giorni. Sofferto per un atto immeritato, e sofferto per lo sforzo fatto su se stesso per contenere lo sdegno che quell’atto aveva eccitato. Sì, Simone di Giona, vieni qui. Non c’è stato un fremito del tuo cuore onesto che mi sia stato ignoto, e non c’è stata pena che Io non abbia condivisa con te. Io e i tuoi compagni…».
   «Ma Tu, Signore, sei stato ben più offeso di me! E questa era per me una sofferenza più… più grande, no, più sensibile… neppure… più… più… Ecco: che Giuda abbia avuto schifo di partecipare alla mia festa mi ha fatto male come uomo. Ma di vedere che Tu eri addolorato e offeso mi ha fatto male in un altro modo e ne ho sofferto il doppio… Io… non mi voglio vantare e fare bello usando le tue parole… Ma devo dire, e se faccio superbia dimmelo Tu, devo dire che ho sofferto con la mia anima… e fa più male».
   «Non è superbia, Simone. Hai sofferto spiritualmente perché Simone di Giona, pescatore di Galilea, si sta mutando in Pietro di Gesù, Maestro dello spirito, per cui anche i suoi discepoli divengono attivi e sapienti nello spirito. È per questo tuo progredire nella vita dello spirito, è per questo vostro progredire che Io vi voglio questa sera insegnare l’orazione. Quanto siete mutati dalla sosta solitaria[73] in poi!».
   «Tutti, Signore?», chiede Bartolomeo un poco incredulo.
   «Comprendo ciò che vuoi dire… Ma Io parlo a voi undici.
   Non ad altri…».
   «Ma che ha Giuda di Simone, Maestro? Noi non lo comprendiamo più… Pareva tanto cambiato, e ora, da quando abbiamo lasciato il lago…», dice desolato Andrea.
   «Taci, fratello. La chiave del mistero ce l’ho io! Ci si è attaccato un pezzettino di Belzebù. È andato a cercarlo nella caverna di Endor per stupire e… e è stato servito! Il Maestro lo ha detto quel giorno… A Gamala i diavoli sono entrati nei porci. A Endor i diavoli, usciti da quel disgraziato di Giovanni, sono entrati in lui… Si capisce che… si capisce… Lasciamelo dire, Maestro! Tanto è qui, in gola, e se non lo dico non esce, e mi ci avveleno…».
   «Simone, sii buono!».
   «Sì, Maestro… e ti assicuro che non farò sgarbi a lui. Ma dico e penso che essendo Giuda un vizioso – tutti lo abbiamo capito – è un poco affine al porco… e si capisce che i demoni scelgono volentieri i porci per i loro… cambi di dimora. Ecco, l’ho detto».
   «Tu dici che è così?», chiede Giacomo di Zebedeo.
   «E che vuoi che altro sia? Non c’è stata nessuna ragione per diventare così intrattabile. Peggio che all’Acqua Speciosa! E là potevo pensare che era il luogo e la stagione che lo innervosivano. Ma ora…».

   203.4 «C’è un’altra ragione, Simone…».
   «Dilla, Maestro. Sono contento di ricredermi sul compagno».
   «Giuda è geloso. È inquieto per gelosia».
   «Geloso? Di chi? Non ha moglie e, anche l’avesse e fosse con le donne, io credo che nessuno di noi userebbe spregio al condiscepolo…».
   «È geloso di Me. Considera: Giuda si è alterato dopo Endor e dopo Esdrelon. Ossia quando ha visto che Io mi sono occupato di Giovanni e di Jabé. Ma ora che Giovanni, soprattutto Giovanni, verrà allontanato passando da Me a Isacco, vedrai che torna allegro e buono».
   «E… bene! Non mi vorrai però dire che non è preso da un demonietto. E soprattutto… No, lo dico! E soprattutto non mi vorrai dire che si è migliorato in questi mesi. Ero geloso anche io l’anno scorso… Non avrei voluto nessuno più di noi sei, i primi sei, lo ricordi? Ora, ora… lasciami invocare Dio una volta tanto a testimonio del mio pensiero. Ora dico che sono felice più aumentano i discepoli intorno a Te. Oh! vorrei avere tutti gli uomini e portarli a Te e tutti i mezzi per poter sovvenire chi ne ha bisogno, perché la miseria non sia a nessuno di ostacolo per venire a Te. Dio vede se dico il vero. Ma perché sono così ora? Perché mi sono lasciato cambiare da Te. Lui… non è cambiato. Anzi… Va’ là, Maestro… Un demonietto lo ha preso…».
   «Non lo dire. Non lo pensare. Prega perché guarisca. La gelosia è una malattia…».
   «Che al tuo fianco guarisce se uno lo vuole. Ah! lo sopporterò, per Te… Ma che fatica!…».
   «Ti ho dato il premio per essa: il bambino. E ora ti insegno a pregare…».
   «Oh! sì, fratello. Parliamo di questo… e il mio omonimo sia ricordato solo come uno che ha bisogno di questo. Mi pare che ha già il suo castigo. Non è con noi in quest’ora!», dice Giuda Taddeo.

   203.5 «Udite. Quando pregate dite così:

   “Padre nostro che sei nei Cieli,
   sia santificato il Nome tuo,
   venga il Regno tuo in Terra come lo è in Cielo,
   e in Terra come in Cielo sia fatta la Volontà tua.
   Dàcci oggi il nostro pane quotidiano,
   rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
   non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”».

   Gesù si è alzato per dire la preghiera e tutti lo hanno imitato, attenti, commossi.
   «Non occorre altro, amici miei. In queste parole è chiuso come in un cerchio d’oro tutto quanto abbisogna all’uomo per lo spirito e per la carne e il sangue. Con questo chiedete ciò che è utile a quello e a questi. E se farete ciò che chiedete, acquisterete la vita eterna. È una preghiera tanto perfetta che i marosi delle eresie e il corso dei secoli non l’intaccheranno. Il cristianesimo sarà spezzettato dal morso di Satana e molte parti della mia carne mistica verranno staccate, separate, facenti cellule a sé, nel vano desiderio di crearsi a corpo perfetto come sarà il Corpo mistico del Cristo, ossia quello dato da tutti i fedeli uniti nella Chiesa apostolica che sarà, finché sarà la Terra, l’unica vera Chiesa. Ma queste particelle separate, prive perciò dei doni che Io lascerò alla Chiesa Madre per nutrire i miei figli, si chiameranno però sempre cristiane, avendo culto al Cristo, e sempre si ricorderanno, nel loro errore, di essere venute dal Cristo. Ebbene, esse pure pregheranno con questa universale preghiera. Ricordatevela bene. Meditatela continuamente. Applicatela alle vostre azioni. Non occorre altro per santificarsi. Se uno fosse solo, in un posto di pagani, senza chiese, senza libri, avrebbe già tutto lo scibile da meditare in questa preghiera e una chiesa aperta nel suo cuore per questa preghiera.
   Avrebbe una regola e una santificazione sicura.

   203.6 “Padre nostro”.
   Io lo chiamo: “Padre”. Padre è del Verbo, Padre è dell’Incarnato. Così voglio lo chiamiate voi, perché voi siete uni con Me se voi in Me permanete. Un tempo era che l’uomo doveva gettarsi volto a terra per sospirare, fra i tremori dello spavento: “Dio!”. Chi non crede in Me e nella mia parola ancora è in questo tremore paralizzante… Osservate nel Tempio. Non Dio, ma anche il ricordo di Dio è celato dietro triplice velo agli occhi dei fedeli. Separazioni di distanze, separazioni di velami, tutto è stato preso e applicato per dire a chi prega: “Tu sei fango. Egli è Luce. Tu sei abbietto. Egli è Santo. Tu sei schiavo. Egli è Re”. Ma ora!… Alzatevi! Accostatevi! Io sono il Sacerdote eterno. Io posso prendervi per mano e dire: “Venite”. Io posso afferrare le tende del velario e aprirle, spalancando l’inaccessibile luogo chiuso fino ad ora. Chiuso? Perché? Chiuso per la Colpa, sì. Ma ancor più serrato dall’avvilito pensiero degli uomini. Perché chiuso, se Dio è Amore, se Dio è Padre? Io posso, Io devo, Io voglio portarvi non nella polvere, ma nell’azzurro; non lontani, ma vicini; non in veste di schiavi, ma di figli sul cuore di Dio.
   “Padre! Padre!”, dite. E non stancatevi di dire questa parola. Non sapete che ogni volta che la dite il Cielo sfavilla per la gioia di Dio? Non diceste che questa, e con vero amore, fareste già orazione gradita al Signore. “Padre! Padre mio!”, dicono i piccoli al padre loro. È la parola che dicono per prima: “Madre, padre”. Voi siete i pargoli di Dio. Io vi ho generati dal vecchio uomo che eravate e che Io ho distrutto col mio amore per far nascere l’uomo nuovo, il cristiano. Chiamate dunque con la parola che per prima conoscono i pargoli, il Padre Ss. che è nei Cieli.

 7 "Sia santificato il Tuo Nome".
   Oh! Nome più di ogni altro santo e soave. Nome che il terrore del colpevole vi ha insegnato a velare sotto un altro. No, non più Adonai, non più. E' Dio. E' il Dio che in un eccesso di amore ha creato l'Umanità. L'Umanità, d'ora in poi, con le labbra mondate dal lavacro che Io preparo, lo chiami col suo Nome, riservandosi di comprendere con pienezza di sapienza il vero significato di questo Incomprensibile quando, fusa con Esso, l'Umanità, nei suoi figli migliori, sarà assurta al Regno che Io sono venuto a stabilire.

   203.8 “Venga il Regno tuo in Terra come in Cielo”.
   Desideratelo con tutte le vostre forze questo avvento. Sarebbe la gioia sulla Terra se esso venisse. Il Regno di Dio nei cuori, nelle famiglie, fra i cittadini, fra le nazioni. Soffrite, faticate, sacrificatevi per questo Regno. Sia la Terra uno specchio che riflette nei singoli la vita dei Cieli. Verrà. Un giorno tutto questo verrà. Secoli e secoli di lacrime e sangue, di errori, di persecuzioni, di caligine rotta da sprazzi di luce irraggianti dal Faro mistico della mia Chiesa – che, se barca è, e non verrà sommersa, è anche scogliera incrollabile ad ogni maroso, e alta terrà la Luce, la mia Luce, la Luce di Dio – precederanno il momento in cui la Terra possederà il Regno di Dio. E sarà allora come il fiammeggiare intenso di un astro che, raggiunto il perfetto del suo esistere, si disgrega, fiore smisurato dei giardini eterei, per esalare in un rutilante palpito la sua esistenza e il suo amore ai piedi del suo Creatore. Ma venire verrà. E poi sarà il Regno perfetto, beato, eterno del Cielo.

   203.9 “E in Terra come in Cielo sia fatta la tua Volontà”.
   L’annullamento della volontà propria in quella di un altro si può fare solamente quando si è raggiunto il perfetto amore verso quella creatura. L’annullamento della volontà propria in quella di Dio si può fare solo quando si è raggiunto il possesso delle teologali virtù in forma eroica. In Cielo, dove tutto è senza difetti, si fa la volontà di Dio. Sappiate, voi, figli del Cielo, fare ciò che in Cielo si fa.

   203.10 “Dacci il nostro pane quotidiano”.
   Quando sarete nel Cielo vi nutrirete soltanto di Dio. La beatitudine sarà il vostro cibo. Ma qui ancora abbisognate di pane. E siete i pargoli di Dio. Giusto dunque dire: “Padre, dacci il pane”.
   Avete timore di non essere ascoltati? Oh, no! Considerate. Se uno di voi ha un amico e, accorgendosi di essere privo di pane per sfamare un altro amico o un parente, giunto da lui sulla fine della seconda vigilia, va ad esso dicendo: “Amico, prestami tre pani perché m’è venuto un ospite e non ho che dargli da mangiare”, può mai sentirsi rispondere dal di dentro della casa: “Non mi dare noia perché ho già chiuso l’uscio e assicurati i battenti e i miei figli dormono già al mio fianco. Non posso alzarmi e darti quanto vuoi”? No. Se egli si è rivolto ad un vero amico e se insiste, avrà ciò che chiede. L’avrebbe anche se colui a cui si è rivolto fosse un amico poco buono. Lo avrebbe per la sua insistenza, perché il richiesto di tal favore, pur di non essere più importunato, si affretterà a dargliene quanti ne vuole. Ma voi, pregando il Padre, non vi rivolgete ad un amico della Terra, ma vi rivolgete all’Amico perfetto che è il Padre del Cielo. Perciò Io vi dico: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto”. Infatti a chi chiede viene dato, chi cerca finisce col trovare, e a chi bussa si apre la porta.
   Chi fra i figli degli uomini si vede porre in mano un sasso se chiede al proprio padre un pane? E chi si vede dare un serpente al posto di un pesce arrostito? Delinquente sarebbe quel padre se così facesse alla propria prole. Già l’ho detto[75] e lo ripeto per persuadervi a sensi di bontà e di fiducia. Come dunque uno di sana mente non darebbe uno scorpione al posto di un uovo, con quale maggiore bontà non vi darà Dio ciò che chiedete! Poiché Egli è buono, mentre voi, più o meno, malvagi siete. Chiedete dunque con amore umile e figliale il vostro pane al Padre.

   203.11 “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
   Vi sono i debiti materiali e quelli spirituali. Vi sono anche i debiti morali. È debito materiale la moneta o la merce che avuta in prestito va restituita. È debito morale la stima carpita e non resa e l’amore voluto e non dato. È debito spirituale l’ubbidienza a Dio dal quale molto si esigerebbe salvo dare ben poco, e l’amore verso di Lui. Egli ci ama e va amato, così come va amata una madre, una moglie, un figlio da cui si esigono tante cose. L’egoista vuole avere e non dà. Ma l’egoista è agli antipodi del Cielo. Abbiamo debiti con tutti. Da Dio al parente, da questo all’amico, dall’amico al prossimo, dal prossimo al servo e allo schiavo, essendo tutti esseri come noi. Guai a chi non perdona! Non sarà perdonato. Dio non può, per giustizia, condonare il debito dell’uomo a Lui Ss. se l’uomo non perdona al suo simile.

   203.12 “Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”.
   L’uomo che non ha sentito il bisogno di spartire con noi la cena di Pasqua mi ha chiesto, or è men di un anno: “Come? Tu hai chiesto di non essere tentato e di essere aiutato, nella tentazione, contro la stessa?”. Eravamo noi due soli… e ho risposto[76]. Eravamo poi in quattro, in una solitaria plaga, ed ho risposto ancora. Ma non è ancora servito, perché in uno spirito tetragono occorre fare breccia demolendo la mala fortezza della sua caparbietà. E perciò lo dirò ancora una, dieci, cento volte, fino a che tutto sarà compiuto.
   Ma voi, non corazzati di infelici dottrine e di ancora più infelici passioni, vogliate pregare così. Pregate con umiltà perché Dio impedisca le tentazioni. Oh! l’umiltà! Conoscersi per quello che si è! Senza avvilirsi, ma conoscersi. Dire: “Potrei cedere anche se non mi sembra poterlo fare, perché io sono un giudice imperfetto di me stesso. Perciò, Padre mio, dàmmi, possibilmente, libertà dalle tentazioni col tenermi tanto vicino a Te da non permettere al Maligno di nuocermi”. Perché, ricordatelo, non è Dio che tenta al Male, ma è il Male che tenta. Pregate il Padre perché sorregga la vostra debolezza al punto che essa non possa essere indotta in tentazione dal Maligno.

   203.13 Ho detto, miei diletti. Questa è la mia seconda Pasqua fra voi. Lo scorso anno spezzammo soltanto il pane e l’agnello. Quest’anno vi dono la preghiera. Altri doni avrò per le altre mie Pasque fra voi, acciò, quando Io sarò andato dove il Padre vuole, voi abbiate un ricordo di Me, Agnello, in ogni festa dell’agnello mosaico. Alzatevi e andiamo. Rientreremo in città all’aurora. Anzi, domani tu, Simone, e tu, fratello mio (indica Giuda), andrete a prendere le donne e il bambino. Tu, Simone di Giona, e voi altri, starete con Me finché costoro tornano. Poi andremo insieme a Betania».
   E scendono fino al Getsemani nella cui casa entrano per il riposo.

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[72] mi avete detto, per esempio in 62.2, 119.10, 149.3.

[73] sosta solitaria, quella di 164.3/4, i cui effetti vengono evidenziati in 165.5.

[74] sono venuto a stabilire. Così annota MV  su una copia dattiloscritta: Come Gesù “ha rivelato il Padre” (Giovanni 1, 18) durante il su

o ministero di Maestro e nel modo che poteva rivelarlo ai viventi, così sarà sempre per il Verbo, Figlio del Padre, che i cittadini del Regno di Dio conosceranno Dio.

[75] l’ho detto, in 172.7
.
[76] ho risposto, in 69.5;ho risposto ancora, in 80.8/10
AMDG et DVM

giovedì 17 dicembre 2020

Papa Benedetto XVI e IL FASCINO DELLA VOCE UMANA... e del cuore divino della Parola

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La più emblematica cantante d’opera spagnola è morta il 6 ottobre

Sabato 6 ottobre è morta Montserrat Caballé, icona del bel canto spagnolo e donna che non esitava a esprimere pubblicamente la sua fede e la devozione che nutriva per la Vergine Maria.

Nel corso della sua lunga carriera operistica ha interpretato molte opere di musica sacra. Vale la pena di riascoltare lo straordinario Padre Nostro che ha affascinato Papa Benedetto XVI in occasione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie 2006 a Valencia, composto da José María Cano, uno dei membri del gruppo pop Mecano.

Il famoso soprano spagnolo ha interpretato come nessun altro l’Ave Maria. “Cantando La Vierge o Marie-Magdeleine, di Jules Massenet, o qualche altro oratorio simbolico è quasi come se si sperimentasse il profondo dolore della Madre di Dio”, diceva.

TRATTO DA  https://it.aleteia.org/2018/10/08/quando-montserrat-caballe-affascino-benedetto-xvi-cantando-il-padre-nostro/
Aleteia | Ott 08, 2018

domenica 5 aprile 2020

PATER NOSTER / Sintesi conclusiva


Sintesi conclusiva del Pater noster

Volendo riassumere in breve quanto è stato detto sul Pater noster, bisogna rilevare che nella Preghiera del Signore sono contenute tutte le cose da desiderare e tutte quelle da fuggire.
Tra le cose da desiderare, si desidera di più quella che più si ama, cioè Dio.

Ecco perché chiediamo per prima cosa la gloria di Dio dicendo “sia santificato il tuo nome”.
A Dio vengono poi richiesti tre beni che riguardano te.

Il primo è quello di poter pervenire alla vita eterna, e tu glielo chiedi quando dici: “venga il tuo regno”.

Il secondo è che tu faccia la volontà e adempia la giustizia di Dio, e glielo chiedi quando dici: “sia fatta la tua volontà”.

Il terzo è che tu abbia le cose necessarie alla vita, e gliele chiedi quando dici: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

A questi tre beni allude il Signore quando dice:
circa il primo “Cercate prima il regno di Dio”;
circa il secondo: “la sua giustizia”,
e circa il terzo: “e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).
Le cose invece da evitare e da fuggire sono quelle contrarie al bene.

E il bene che noi dobbiamo desiderare è quadruplice.

Il primo è la gloria di Dio. E ad essa nessun male è contrario perché risulta sia dal bene che dal male: dal male in quanto Dio lo punisce, dal bene perché lo premia. Perciò è detto: “Se pecchi, che gli fai?... Se tu sei giusto, che cosa gli dai?” (Gb 35,67).

Il secondo è la vita eterna, e ad essa è contrario il peccato, perché col peccato si perde.
Per rimuoverlo diciamo perciò: “rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Il terzo bene è costituito dalla giustizia e dalle opere buone, e a questo bene sono contrarie le tentazioni, perché esse ci impediscono di fare il bene. Per rimuovere questo male chiediamo: “non ci indurre in tentazione”.
Il quarto bene sono le cose necessarie alla vita, alle quali si oppongono le avversità e le tribolazioni. Per rimuoverle chiediamo: “liberaci dal male. Amen”.

Da: San Tommaso: Commento al Pater Noster

AMDG et DVM

domenica 16 dicembre 2018

Gesù Ss. nell'insegnarvi la orazione domenicale del Pater vi ha detto di dire "Dacci oggi", non "Dacci per tutto l'anno o per tutta la vita".

LIBRO DI AZARIA CAPITOLO 44


Terza domenica d'Avvento


15 dicembre 1946

   Introito: Salmo 85 (84), 2; Filippesi 4, 4-6.
   Orazione: Deh, Signore, piega il tuo orecchio alle nostre preghiere e con la grazia della tua venuta rischiara le tenebre della nostra mente.
   Epistola: Filippesi 4, 4-7.
   Graduale: Salmo 80 (79), 2-3.
   Vangelo: Giovanni 1, 19-28.
   Offertorio: Salmo 85 (84), 2.
   Segreta: Fa', o Signore, te ne preghiamo, che la nostra devozione ti immoli sempre quest'ostia, in modo che essa rinnovi gli effetti stabiliti al sacro mistero ed operi mirabilmente in noi la tua salute.
   Comunione: Isaia 35, 4.
   Dopocomunione: Imploriamo, Signore, la tua clemenza, affinché questi divini aiuti, dopo averci purificati dai vizi, ci preparino alle feste che s'avvicinano.
  

   Dice Azaria:

  « Il Ss. Signor Nostro ti ha anticipato il gaudio che la liturgia canta oggi. È venuto a consolarti e a raffermarti1, povera anima che sei scrollata senza pietà per piegarti a dire il non vero.

   Non lo dire mai. Ti ricordo le parole del Maestro: "Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". Là si riferiva ad un'imposta, qui si riferisce ad un'opera. Ma sia nell'uno che nell'altro caso va sempre dato a Dio ciò che è di Dio. Anche se insistendo a voler riconosciuta l'origine soprannaturale dell'opera tu ottenessi che nessuno più se ne occupasse - parlo di sacerdoti - lasciali fare. Di tre cose avranno a rispondere a Dio: di non aver riconosciuta la Parola, di avere dato scandalo a molte anime, di aver mancato di carità verso di te, e anche verso gli affamati della Parola per i quali, avendone misericordia, Gesù Ss. aveva dettato l'Opera. Tu, per tuo conto, volendo fare ciò che Dio vuole, hai fatto, anche se ti è impedito di fare. Davanti agli occhi di Dio tu hai fatto, sia come portavoce che come esecutrice degli ordini di Dio. E ti deve bastare. Al resto e agli altri pensa Iddio. Oh! che parole sono nel Vangelo applicabili a questo caso!
   Ma sempre beati i piccoli che servono con semplicità e amore il Signore, e guai sempre a coloro che col loro modo di agire, opposto alle bontà del Signore, accumulano sul loro capo i rigori della Giustizia!

   E preghiamo ancora e sempre perché colla grazia della venuta del Cristo siano rischiarate le tenebre dalla mente di molti.

   E voi, anime fedeli, che con semplicità e amore servite e seguite Dio e la sua Volontà, state sempre ilari nel Signore. Il gaudio di questo amore reciproco e della pace che viene dal dire: "Io faccio ciò che Dio vuole" vi accompagni sempre, fra le croci e le prove. Quale che sia la giustizia alla quale pervenite, quale ne sia il riflesso tralucente dalle vostre azioni e palesante agli uomini le operazioni congiunte di Dio in voi e di voi per amor di Dio, quali che siano le grazie che la Bontà eterna vi concede, siate modesti, di modo che gli uomini guardandovi possano dire: "Egli è un vero figlio di Dio, perché ai suoi meriti congiunge la modestia in ogni atto o parola o sguardo".

   Siate molto vigilanti perché vi sono sguardi che tradiscono un'imperfetta virtù meglio di aperte parole. Veramente alcuni, che per tutte le altre cose sono virtuosi, mancano in questa virtù della perfetta umiltà. La perfetta umiltà non carezza, neppure nel segreto del cuore, il compiacimento per essere buoni e beneficati da Dio. La perfetta umiltà non si turba per lode altrui e non assume quelle ipocrite pose di umiltà che sono raffinata superbia e studio volto a farsi più ancora lodare. Vi sono sguardi, sorrisi, atti che senza parola dicono chiaramente che godete della lode. E allora non è più vera umiltà.

   Voi, anime che tendete alla perfezione per amore di Dio, siate veramente modeste in ogni cosa. L'occhio di Dio è sempre su voi e vede la realtà dei vostri cuori. Ricordatevelo sempre. E ancora il Signore può essere vicino col suo giudizio, perché nessuno sa quando verrà la morte a liberare le vostre anime e a indirizzarle al giudizio di Dio. Vivete sempre come se il Signore fosse per apparirvi chiamandovi all'altra vita.

   Non vi affannate di niente, memori delle parole del Cristo: "Il Padre vostro sa di che avete bisogno. Ad ogni giorno il suo affanno". Perché mettervi in tristezza e tedio per cose future e che forse vedete solo per suggestione e opera demoniaca volta a spaurirvi e farvi dubitare della Provvidenza? L'affanno del domani è come acqua gettata sul dolce fuoco della speranza nella divina bontà, e come della rena gettata a distruggere le tenere pianticelle della vostra giornaliera fiducia in Dio.

   Gesù Ss. nell'insegnarvi la orazione domenicale2 vi ha detto di dire "Dacci oggi", non "Dacci per tutto l'anno o per tutta la vita". Perché il Pater è, deve essere un atto giornaliero di carità, di fede, di speranza, di dolore che chiede perdono. Non lo avete mai riflettuto che nel Pater sono i quattro atti di fede, speranza, carità e dolore che la Chiesa mette fra parti dell'orazione che un buon cristiano deve giornalmente fare per aiutarsi a raggiungere queste virtù, ad accrescerle nella propria anima, e a professarle eroicamente contro il rispetto umano e lo scherno del mondo, mentre l'atto di dolore è utile riparazione e mezzo a maggiore virtù nel dì successivo, perché si presuppone che in chi prega sia presente l'attenzione a ciò che dice, altrimenti non sarebbe pregare, ma balbettare suoni senza valore, e perciò l'atto di dolore sia il termine ad un giornaliero ed utilissimo esame di coscienza durante il quale l'uomo umilmente riconosce i peccati e le omissioni fatte durante il giorno e se ne accusa con sincero dolore di aver offeso Dio?

   Meditate e vedrete che nel Pater sono inseriti questi quattro atti, doverosi verso Dio e necessari al vostro crescere in sapienza e grazia. Non vi affannate perciò del domani per non cadere in tristezza e paura. Le vane preoccupazioni allontanano da Dio. Sono come schermi opachi e tetri messi fra voi e il vostro eterno Sole. Sono come catene che vi tengono prigionieri qui in basso, mentre senza di esse e con la bella fiducia in Dio volereste con lo spirito a Dio. Sono feritoie aperte a Lucifero che può entrare di lì a ferirvi e attossicarvi.

   Non vi affannate, ma in ogni cosa rivolgetevi a Dio con preghiere e suppliche unite a rendimento di grazie. E rimanete nella pace. La carità, la fede, la speranza, l'umiltà, la fiducia in Dio e a Dio, l'ubbidienza ai suoi voleri, danno questa pace che sorpassa ogni intelligenza. Sia essa in voi. E voi con essa in cuore pregusterete il Paradiso, perché avere pace è avere Gesù Cristo ed essere stabiliti in Lui.

   Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo».
 
  1 È venuto a consolarti e a raffermarti, come ha fatto Gesù con il "dettato" del giorno avanti, 14 dicembre 1946, riportato nel volume I quaderni del 1945-1950.

  2 la orazione domenicale, cioè la preghiera del Padre nostro, negli scritti valtortiani è sempre citata come Pater noster, perché a quei tempi si usava pregare in latino sia in chiesa che in casa.

AMDG et DVM

domenica 19 agosto 2018

ASCOLTA FIGLIO MIO


118. «Ascolta, figlio mio, riponilo nel tuo cuore. Non temere e non affliggerti. Non si turbi il tuo cuore e non preoccuparti né di questa né di qualsiasi altra infermità.

119. Non sto forse qui io, che sono tua Madre? Non stai forse sotto la mia protezione? Non sono forse io la fonte della tua gioia? Non sei forse nel cavo del mio manto, nella croce delle mie braccia? Cosa vuoi di più?

120. Niente deve affliggerti e turbarti. Non angustiarti per l'infermità di tuo zio, perché per ora non morirà. Sappi anzi con certezza che è già perfettamente guarito».

***

PREGA:

<<Padre Nostro che sei nei Cieli
sia santificato il Tuo Nome
venga il Tuo Regno
sia fatta la Tua Volontà
come in Cielo così in Terra.
Dacci oggi il nostro pane
che è la Tua Parola
e perdonaci di tutti i peccati
come noi perdoniamo ai nostri fratelli.
Facciamo questo...
poiché sappiamo quanto è facile cadere
nelle tentazioni che il nemico ci pone davanti.
Onore… Lode e Gloria a Te o Padre.
Amen.>> 

AVE MARIA, piena di Grazia,...

***


Testo Ebraico Testo AramaicoTesto GrecoLatino (Vulgata)
Traduzione Traslitterazione   Traduzione Traslitterazione   Traduzione Traduzione

Per approfondire: "Dal Qaddish al Pater"
 Le radici ebraiche del Padre nostro



Pater - Testo Ebraico
Traduzione



Pater - Testo Aramaico
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Pater - Testo Aramaico Traslitterazione / Traduzione            torna su
Legenda dei simboli usati per la trascrizione
`  - non si pronuncia (glottal stop), come lo spirito dolce del greco
´  - indica un suono profondamente gutturale e sonoro
w - w come nell'inglese well
ŝ  - suono sh come l'inglese shop o l'italiano sciare
s  - s come nell'italiano sole
ç  - s "enfatica" tz o più o meno come la zz dell'italiano pazzo 
h  - h come nell'inglese hand
h  - suono molto aspirato come ch nel tedesco nasch
j   - i come nell'inglese yes
΄  - sta ad indicare un relitto vocalico simile al simbolo fonetico a utilizzato per l'inglese
b`- indica la b spirante, come nel sardo soßl sole
k`- indica la k spirante come nel toscano la Xasa
Gli altri segni valgono come in italiano

Pater - Testo Greco (Mt 6, 5-15)Traslitterazione / Traduzione       torna su


         KURIAKE PROSEUKE
Pàter hemòn ho en tòis uranòis:
Haghiasthéto tò onomà su;
elthéto he basilèia su;
ghenethéto tò thelemà su,
hos en uranò kài epì ghés.
Tòn àrton hemòn tòn epiùsion dòs hemìn sémeron;
kài àfes hemìn tà ofeilémata hemòn,
hos kài hemèis  afìemen (afékamen in Mt 6,12) tòis ofeilètais hemòn;
kài mé eisenènkes hemàs eis peirasmòn,
allà rüsai hemàs apò tu ponerù. Amén.


         PREGHIERA DEL SIGNORE
Padre nostro che sei nei cieli:
sia santificato il tuo nome;
venga il tuo regno
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Il pane nostro quello supersostanziale dacci oggi;
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male. Amen



Pater - Testo Latino (Vulgata)Traduzione                    torna su
9-b
Pater noster, qui es in caelis,
Padre nostro, che sei nei cieli
9-c
sanctificetur nomen tuum.
sia santificato il tuo nome.
10-a
Adveniat regnum tuum.
Venga il tuo regno.
10-b
Fiat voluntas tua,
Sia fatta la tua volontà
10-c
sicut in caelo, et in terra.
come in cielo così in terra.
11
Panem nostrum supersubstantialem da nobis hodie.
Dacci oggi il nostro pane soprasostanziale.
12-a
Et dimitte nobis debita nostra,
E rimetti a noi i nostri debiti,
12-b
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris.
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori.
13-a
Et ne nos inducas in tentationem;
E non ci indurre in tentazione;
13-b
Sed libera nos a malo.





ma liberaci dal male