"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
venerdì 22 marzo 2024
sabato 9 marzo 2024
L'OMELIA DI QUESTA SANTA MESSA... UN VERO TESTAMENTO
https://www.youtube.com/watch?v=WDeRj2rN3Kc
OMELIA: 1:17:28 * 1:52:59
- "AVE, GIGLIO BIANCO DELLA TRINITA', Rosa splendente che abbellisci il Cielo, Ave. Da Te ha voluto nascere, da Te ha voluto prendere il latte Colui che governa il Cielo e la Terra. Deh! nutri le nostre anime con i Tuoi divini influssi, o Maria!" /
- * VIENI, SPIRITO SANTO, VIENI: PER LA POTENTE INTERCESSIONE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA, TUA SPOSA AMATISSIMA! /
- * Ven Espíritu Santo, ven: por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa! /
AMDG et D.V.MARIAE
mercoledì 1 novembre 2023
OMELIA PER LA SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Mercoledì, 1° novembre 2006
Il Santo Padre ha introdotto la Celebrazione e l'atto penitenziale con le seguenti parole:
Fratelli e sorelle amatissimi, noi oggi contempliamo il mistero della comunione dei santi del cielo e della terra. Noi non siamo soli, ma siamo avvolti da una grande nuvola di testimoni: con loro formiamo il Corpo di Cristo, con loro siamo figli di Dio, con loro siamo fatti santi dello Spirito Santo. Gioia in cielo, esulti la terra! La gloriosa schiera dei santi intercede per noi presso il Signore, ci accompagna nel nostro cammino verso il Regno, ci sprona a tenere fisso lo sguardo su Gesù il Signore, che verrà nella gloria in mezzo ai suoi santi. Disponiamoci a celebrare il grande mistero della fede e dell'amore, confessandoci bisognosi della misericordia di Dio.
Cari fratelli e sorelle,
la nostra celebrazione eucaristica si è aperta con l'esortazione "Rallegriamoci tutti nel Signore". La liturgia ci invita a condividere il gaudio celeste dei santi, ad assaporarne la gioia. I santi non sono una esigua casta di eletti, ma una folla senza numero, verso la quale la liturgia ci esorta oggi a levare lo sguardo. In tale moltitudine non vi sono soltanto i santi ufficialmente riconosciuti, ma i battezzati di ogni epoca e nazione, che hanno cercato di compiere con amore e fedeltà la volontà divina. Della gran parte di essi non conosciamo i volti e nemmeno i nomi, ma con gli occhi della fede li vediamo risplendere, come astri pieni di gloria, nel firmamento di Dio.
Quest'oggi la Chiesa festeggia la sua dignità di "madre dei santi, immagine della città superna" (A. Manzoni), e manifesta la sua bellezza di sposa immacolata di Cristo, sorgente e modello di ogni santità. Non le mancano certo figli riottosi e addirittura ribelli, ma è nei santi che essa riconosce i suoi tratti caratteristici, e proprio in loro assapora la sua gioia più profonda. Nella prima Lettura, l'autore del libro dell'Apocalisse li descrive come "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7, 9).
Questo popolo comprende i santi dell'Antico Testamento, a partire dal giusto Abele e dal fedele Patriarca Abramo, quelli del Nuovo Testamento, i numerosi martiri dell'inizio del cristianesimo e i beati e i santi dei secoli successivi, sino ai testimoni di Cristo di questa nostra epoca. Li accomuna tutti la volontà di incarnare nella loro esistenza il Vangelo, sotto l'impulso dell'eterno animatore del Popolo di Dio che è lo Spirito Santo.
Ma "a che serve la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità?". Con questa domanda comincia una famosa omelia di san Bernardo per il giorno di Tutti i Santi. È domanda che ci si potrebbe porre anche oggi. E attuale è anche la risposta che il Santo ci offre: "I nostri santi - egli dice - non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. Per parte mia, devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri" (Disc. 2; Opera Omnia Cisterc. 5, 364ss). Ecco dunque il significato dell'odierna solennità: guardando al luminoso esempio dei santi risvegliare in noi il grande desiderio di essere come i santi: felici di vivere vicini a Dio, nella sua luce, nella grande famiglia degli amici di Dio. Essere Santo significa: vivere nella vicinanza con Dio, vivere nella sua famiglia. E questa è la vocazione di noi tutti, con vigore ribadita dal Concilio Vaticano II, ed oggi riproposta in modo solenne alla nostra attenzione.
Ma come possiamo divenire santi, amici di Dio?
All'interrogativo si può rispondere anzitutto in negativo: per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali. Viene poi la risposta in positivo: è necessario innanzitutto ascoltare Gesù e poi seguirlo senza perdersi d'animo di fronte alle difficoltà. "Se uno mi vuol servire - Egli ci ammonisce - mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà" (Gv 12, 26). Chi si fida di Lui e lo ama con sincerità, come il chicco di grano sepolto nella terra, accetta di morire a sé stesso. Egli infatti sa che chi cerca di avere la sua vita per se stesso la perde, e chi si dà, si perde, trova proprio così la vita (Cfr Gv 12, 24-25). L'esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità, pur seguendo tracciati differenti, passa sempre per la via della croce, la via della rinuncia a se stesso. Le biografie dei santi descrivono uomini e donne che, docili ai disegni divini, hanno affrontato talvolta prove e sofferenze indescrivibili, persecuzioni e martirio. Hanno perseverato nel loro impegno, "sono passati attraverso la grande tribolazione - si legge nell'Apocalisse - e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello" (v. 14). I loro nomi sono scritti nel libro della vita (cfr Ap 20, 12); loro eterna dimora è il Paradiso. L'esempio dei santi è per noi un incoraggiamento a seguire le stesse orme, a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio, perché l'unica vera causa di tristezza e di infelicità per l'uomo è vivere lontano da Lui.
La santità esige uno sforzo costante, ma è possibile a tutti perché, più che opera dell'uomo, è anzitutto dono di Dio, tre volte Santo (cfr Is 6, 3).
Nella seconda Lettura, l'apostolo Giovanni osserva: "Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!" (1 Gv 3, 1). È Dio, dunque, che per primo ci ha amati e in Gesù ci ha resi suoi figli adottivi. Nella nostra vita tutto è dono del suo amore: come restare indifferenti dinanzi a un così grande mistero? Come non rispondere all'amore del Padre celeste con una vita da figli riconoscenti? In Cristo ci ha fatto dono di tutto se stesso, e ci chiama a una relazione personale e profonda con Lui. Quanto più pertanto imitiamo Gesù e Gli restiamo uniti, tanto più entriamo nel mistero della santità divina. Scopriamo di essere amati da Lui in modo infinito, e questo ci spinge, a nostra volta, ad amare i fratelli. Amare implica sempre un atto di rinuncia a se stessi, il "perdere se stessi", e proprio così ci rende felici.
Così siamo arrivati al Vangelo di questa festa, all'annuncio delle Beatitudini che poco fa abbiamo sentito risuonare in questa Basilica. Dice Gesù: Beati i poveri di spirito, beati gli afflitti, i miti, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, beati i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia (cfr Mt 5, 3-10). In verità, il Beato per eccellenza è solo Lui, Gesù. È Lui, infatti, il vero povero di spirito, l'afflitto, il mite, l'affamato e l'assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l'operatore di pace; è Lui il perseguitato a causa della giustizia. Le Beatitudini ci mostrano la fisionomia spirituale di Gesù e così esprimono il suo mistero, il mistero di Morte e Risurrezione, di Passione e di gioia della Risurrezione. Questo mistero, che è mistero della vera beatitudine, ci invita alla sequela di Gesù e così al cammino verso di essa. Nella misura in cui accogliamo la sua proposta e ci poniamo alla sua sequela - ognuno nelle sue circostanze - anche noi possiamo partecipare della sua beatitudine. Con Lui l'impossibile diventa possibile e persino un cammello passa per la cruna dell'ago (cfr Mc 10, 25); con il suo aiuto, solo con il suo aiuto ci è dato di diventare perfetti come è perfetto il Padre celeste (cfr Mt 5, 48).
Cari fratelli e sorelle, entriamo ora nel cuore della Celebrazione eucaristica, stimolo e nutrimento di santità. Tra poco si farà presente nel modo più alto Cristo, vera Vite, a cui, come tralci, sono uniti i fedeli che sono sulla terra ed i santi del cielo. Più stretta pertanto sarà la comunione della Chiesa pellegrinante nel mondo con la Chiesa trionfante nella gloria.
Nel Prefazio proclameremo che i santi sono per noi amici e modelli di vita. Invochiamoli perché ci aiutino ad imitarli e impegniamoci a rispondere con generosità, come hanno fatto loro, alla divina chiamata. Invochiamo specialmente Maria, Madre del Signore e specchio di ogni santità. Lei, la Tutta Santa, ci faccia fedeli discepoli del suo figlio Gesù Cristo! Amen.
© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana
AMDG et D. V. MARIAE
martedì 22 agosto 2023
"Tutto può essere"
I MISTERI DEL
"DE GLORIA OLIVAE"
Nel
recente libro di Peter Seewald su Benedetto XVI è presente una domanda curiosa
al papa emerito che ha a che fare con la profezia dei papi di S. Malachia.
“Lei
conosce la profezia di Malachia, che nel medioevo compilò una lista di futuri
pontefici, prevedendo anche la fine del mondo, o almeno la fine della Chiesa.
Secondo tale lista il papato terminerebbe con il suo pontificato. E se lei
fosse effettivamente l’ultimo a rappresentare la figura del papa come l’abbiamo
conosciuto finora?”.
“Tutto
può essere” risponde Ratzinger “Probabilmente
questa profezia è nata nei circoli intorno a Filippo Neri. A
quell’epoca i protestanti sostenevano che il papato fosse finito e lui voleva
solo dimostrare con una lista lunghissima che non era così. Non per questo però
si deve dedurre che finirà davvero”
A parte
il fatto che la domanda contiene di per se un errore in quanto il motto De
Gloria Olivae non annuncia la fine del papato, è invece interessante la
risposta del papa emerito che è allo stesso tempo seria ed ironica. San Filippo
Neri era un santo romano famoso per predicare ai giovani e per aver istituito
gli oratori. Per quale motivo avrebbe dovuto dedicarsi alla composizione di un
simile testo?
Non si
capisce bene se Ratzinger creda o meno a questa profezia, tuttavia non è la
prima volta che nel suo entourage viene fuori il tema.
Già a
Luglio infatti, in un’intervista concessa da Mons. Gaenswein ad EWTN,
l’intervistatore chiese cosa ne pensasse della profezia di S. Malachia (la
attribuì anche lui a S. Filippo Neri) e al fatto che Francesco risulterebbe
essere l’ultimo papa.
Anche in
questo caso c’è un errore di fondo. Dopo il De Gloria Olivae c’è infatti una
predizione generale che descrive la tribolazione della Chiesa, sul cui trono
siederà un Romano Pietro, ma senza specificare quanto tempo comprenderà e se ci
saranno più papi che vivranno questa tribolazione.
Già in
passato ho avuto modo di affrontare il tema e di mettere in relazione l’ultimo
motto latino sia con la predizione dei 4 papi di Garabandal (prima dell’inizio
del tempo delle profezie) sia con la visione di Fatima del vescovo vestito di
bianco. Tutte e tre le profezie (Fatima, Garabandal e Malachia) infatti sembrano
concordare sull’inizio della tribolazione o della via crucis con la fine del
pontificato di Benedetto XVI. E visto come tale fine è avvenuta c’è da credere
che sia proprio così. Come Mons. Gaenswein ha più volte detto, il Cielo stesso
ha testimoniato i tempi con il pauroso fulmine sulla cupola di S. Pietro.
La
risposta del segretario di Benedetto XVI è stata comunque più diretta:
“Guardando
alla profezia e considerando come questa abbia sempre avuto dei riferimenti ai
papi storici ammetto onestamente che mi da i brividi. Tuttavia non è parte del
Libro della Rivelazione e a nessuno è richiesto di crederle. Ma da una
prospettiva storica si dovrebbe dire: beh è una chiamata a stare all’erta.”
In
precedenti articoli ho cercato di dimostrare come sia probabile che l’estensore
di questa profezia sia stato lo stesso Nostradamus, contemporaneo di S.
Filippo Neri. A differenza del Santo di Roma il veggente francese ha spesso
concentrato la sua attenzione sulla Chiesa e la successione dei papi (basta vedere
il Vaticinia Nostradami). In più, almeno con un papa (Pio IV), ha avuto una
corrispondenza “profetica”.
Riflettendo
nei giorni scorsi sull’ultimo motto latino, il De Gloria Olivae, oltre a tutto
quanto ho già esposto in precedenza, mi sono soffermato a considerare ulteriori
aspetti. L’attribuzione classica è quella con l’ordine di S. Benedetto tramite
il ramo degli Olivetani. Mi chiedevo se per caso non si nascondesse nell’ordine
Olivetano qualche altro riferimento al pontificato di Benedetto XVI.
Con mia
grande sorpresa ho trovato interessanti coincidenze.
–
I monaci Olivetani a differenza dei Benedettini classici indossano un abito
bianco.
–
Prendono il nome dal principale monastero, quello della Vergine di Monte
Oliveto. Questo monte ricorda il Monte degli Ulivi, dove cominciò la passione
di Gesù Cristo. Nella visione di Fatima il vescovo vestito di bianco (Benedetto
XVI) comincia la Via Crucis della Chiesa.
–
L’Ordine raggiunse la massima diffusione nel ‘500, al tempo di Nostradamus.
–
L’Ordine si espanse soprattutto in Italia e in Francia.
–
Ma la cosa più importante è che l’Ordine Olivetano era l’unico ad avere l’Abate
“a tempo” e non eletto a vita. Curioso davvero alla luce di un papa eletto a
vita e che invece sceglie di far posto ad un successore.
Nelle
quartine Nostradamus gioca a volte con la parola “monaco” in riferimento a
Benedetto XVI (San Benedetto monaco e Monaco di Baviera dove Ratzinger è stato
vescovo). Ma nella quartina 812 compare anche “l’abate di Foix” che potrebbe
avere un riferimento con il papa emerito. Un abate di Foix, Paolo, frequentava
la corte di Caterina de’ Medici al tempo di Nostradamus. Visse fino al tempo in
cui l’abazia fu distrutta dai protestanti nelle guerre di religione, nel 1580.
Nella 812 Nostradamus descrive un abate di Foix che fugge travestito da
popolano. Potrebbe trattarsi di una duplice profezia: la prima riferita
all’abate Paolo (forse si travestì per fuggire), la seconda ad un papa che allo
stesso modo dovrà fuggire nel nascondimento.
Potrebbe
essere il papa emerito o anche un suo successore identificabile con la parola
“abate”.
Di certo
il motto malachiano De Gloria Olivae mostra sorprendenti nuove corrispondenze
con Benedetto XVI.
Remox
Andrè
MITI E LEGGENDE NELLA STORIA DELL’ULIVO
Di
seguito ti parliamo dell’Ulivo e dei suoi 6.000 anni di storia
La storia dell’ulivo e delle sue caratteristiche è
profondamente legata a quella dell’umanità; nelle origini di questo prezioso
liquido dorato, l’olio extravergine d’oliva, storia e mitologia
si intrecciano strettamente, fino a confondersi.
Comparsa per la prima volta probabilmente nell’Asia
occidentale, la pianta dell’ulivo si diffuse in tutta l’area mediterranea, dove
il suo culto fu consacrato da tutte le religioni.
Fin dai tempi più remoti l’ulivo fu considerato un
simbolo trascendente di spiritualità e sacralità. Sinonimo di fertilità e
rinascita, di resistenza alle ingiurie del tempo e delle guerre, simbolo di
pace e valore, l’olivo rappresentava nella mitologia, come nella religione, un
elemento naturale di forza e di purificazione.
E’ ormai accertato che la coltivazione dell’ulivo ha
origini ad almeno 6.000 anni fa: ne fanno fede racconti tradizionali, testi
religiosi e rinvenimenti archeologici.
Probabilmente
la pianta ebbe il suo habitat originario in Siria ed i primi che pensarono a
trasformare una pianta selvatica in una specie domestica furono senza dubbio
popoli che parlavano una lingua semitica.
Dalla Siria facile fu il suo trapianto in Grecia dove
trovò una inaspettata fortuna e applicazione che la resero, poi, indispensabile
ai popoli antichi del Mediterraneo.
A conferma della millenaria storia dell’ulivo
ricordiamo come la tradizione pone di fronte all’antica Gerusalemme il “Monte
degli Ulivi”, o come la bellezza di questa pianta sia cantata spesso nell’
“Antico Testamento” (v. libro del profeta Osea dove il Dio d’Israele è
paragonato alla magnificenza dell’olivo). Sono circa settanta le citazioni che
se ne fanno nella bibbia.
D’altra parte che questo fosse un simbolo è chiarito
anche dall’episodio della colomba che torna all’arca di Noè tenendo nel becco
un rametto d’olivo. Lo stesso nome di Gesù, christos, vuol dire semplicemente
unto. La Bibbia racconta che fu un Angelo a dare a Seth, il figlio di Adamo,
tre semi da mettere fra le labbra del padre dopo la sua morte. Dalle ceneri di
Adamo germogliarono così un cedro, un cipresso e un olivo.
Nella tradizione cristiana, da secoli, viene usato
olio d’oliva per la celebrazione di alcuni Sacramenti, Cresima, ordinamento
sacerdotale, Estrema Unzione. Ed è un rametto di olivo benedetto che viene
distribuito a tutti i fedeli la Domenica delle Palme, in ricordo della
resurrezione e come simbolo pace.
Nell’antica Grecia agli Ateniesi vincitori venivano
offerti una corona di ulivo ed un’ampolla d’olio; mentre gli antichi Romani
intrecciavano ramoscelli di ulivo per farne corone con le quali premiare i
cittadini più valorosi.
Sappiamo che ad Atene fu sacro alla dea Athena e
costituisce fatto indubbiamente interessante che esso sia stato considerato sacro
da molte popolazioni e forse non soltanto per il suo apporto calorico, ma per
la sua stessa natura di pianta resistente e longeva.
L’olio spremuto dalle olive non era soltanto,
nell’antichità, una risorsa alimentare; era usato anche come cosmetico e come
coadiuvante nei massaggi.
Inoltre, gli atleti, in particolare coloro che si
dedicavano alla lotta, usavano cospargere i muscoli di purissimo olio, sia per
il riscaldamento degli stessi, sia per contrastare la presa degli avversari.
I Romani, che coltivarono l’olivo a partire dal 580
A.C., ne fecero un uso che si potrebbe qualificare smodato; Gaio Plinio Secondo
afferma che esistono quindici specie di olivo, e ne elenca i pregi, oggi si
denominano i vari cultivar con nomi diversi, come taggiasca, casalina, nebiot,
gargnan, trillo, carpellese, punteruolo, augellina, cellina del Nardò,
colombino, ciccinella, moraiola, leccina, monopolese, ogliarolo del Gargano e
tante altre che spesso prendono il nome dalla località in cui crescono.
Nelle culture occidentali la parola olio può
sicuramente essere ricondotta alla parola latina oleum e alla greca elaion, sin
ancora all’antica semitica ulu.
In un pur breve excursus
storico non possiamo dimenticare che la cultura
dell’olio di oliva è giunta sino a noi, attraverso il Medioevo, per opera di
alcuni Ordini religiosi, fra cui in particolare i Benedettini ed i Cistercensi.
Benedettini, devoti al credo della preghiera e del lavoro, persuadevano
contadini ed operai agricoli a non abbandonare le terre ma a dedicarsi a
colture redditizie quali l’olivo.
Il grande animatore dei Cistercensi fu Bernardo
Chiaravalle, detto: “l’ultimo dei padri della Chiesa”. I suoi monaci
insegnarono ai contadini, delusi dallo stato di semi-schiavitù in cui si
trovavano, a dissodare i campi, a piantare colture da reddito, a rendersi
indipendenti come fattori di produzione.
Non si videro forse mai tanti oliveti e vigne come dal
Mille al Quattrocento, gli anni d’oro dei monaci Benedettini e Cistercensi
AMDG et DVM
alle 21:20
Etichette: Benedetto XVI, De Gloria Olivae, l'ulivo della pace, San Malachia, ulivo
mercoledì 19 luglio 2023
Papa Benedetto XVI e San Francesco d'Assisi
Papa Benedetto XVI e San Francesco d'Assisi
Cari fratelli e sorelle,
in una recente catechesi, ho già illustrato il ruolo provvidenziale che l’Ordine dei Frati Minori e l’Ordine dei Frati Predicatori, fondati rispettivamente da san Francesco d’Assisi e da san Domenico da Guzman, ebbero nel rinnovamento della Chiesa del loro tempo. Oggi vorrei presentarvi la figura di Francesco, un autentico "gigante" della santità, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione.
"Nacque al mondo un sole". Con queste parole, nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI), il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco, avvenuta alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi. Appartenente a una ricca famiglia – il padre era commerciante di stoffe –, Francesco trascorse un’adolescenza e una giovinezza spensierate, coltivando gli ideali cavallereschi del tempo.
A vent’anni prese parte ad una campagna militare, e fu fatto prigioniero. Si ammalò e fu liberato. Dopo il ritorno ad Assisi, cominciò in lui un lento processo di conversione spirituale, che lo portò ad abbandonare gradualmente lo stile di vita mondano, che aveva praticato fino ad allora. Risalgono a questo periodo i celebri episodi dell’incontro con il lebbroso, a cui Francesco, sceso da cavallo, donò il bacio della pace, e del messaggio del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano.
Per tre volte il Cristo in croce si animò, e gli disse: "Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina". Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali.
Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo.
Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III. Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. E’ interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita.
Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio. Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento.
Ritorniamo alla vita di san Francesco. Poiché il padre Bernardone gli rimproverava troppa generosità verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di Assisi, con un gesto simbolico si spogliò dei suoi abiti, intendendo così rinunciare all’eredità paterna: come nel momento della creazione, Francesco non ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle cui mani egli si consegna.
Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe luogo un altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione.
Ascoltando un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli inviati in missione –, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a dedicarsi alla predicazione. Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco.
Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo.
In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. E’ anche vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai "mio", ma è sempre "nostro", che il Cristo non posso averlo "io" e ricostruire "io" contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio.
E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi. Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l'Eucaristia, dove il Corpo di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. Tramite il Sacerdozio, l'Eucaristia è la Chiesa. Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa vanno insieme, solo qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni.
Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono alla Porziuncola, o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza della spiritualità francescana.
Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile famiglia, si mise alla scuola di Francesco.
Ebbe così origine il Secondo Ordine francescano, quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre frutti insigni di santità nella Chiesa.
Anche il successore di Innocenzo III, il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo dei primi Frati Minori, che andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa, e persino in Marocco.
Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in Egitto, con il sultano musulmano Melek-
Rientrato in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario, fra Pietro Cattani, mentre il Papa [Onorio] affidò alla protezione del Cardinal Ugolino, il futuro Sommo Pontefice Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più aderenti. Da parte sua il Fondatore, tutto dedito alla predicazione che svolgeva con grande successo, redasse una Regola, poi approvata dal Papa.
Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede il Crocifisso nella forma di un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso, ricevette le stimmate; egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi, che esprime la sua intima identificazione col Signore.
La morte di Francesco – il suo transitus -
Due anni più tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse nell’albo dei santi. Poco tempo dopo, una grande basilica in suo onore veniva innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini, che possono venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto, pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco.
È stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente un’icona viva di Cristo. Egli fu chiamato anche "il fratello di Gesù". In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali. La prima beatitudine del Discorso della Montagna -
In Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Nelle Fonti francescane si leggono espressioni commoventi, come questa: "Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane" (Francesco di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401).
In quest’anno sacerdotale, mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: "Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo" (Francesco di Assisi, Scritti, 399).
Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. Portava come motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia. Cari fratelli nel sacerdozio, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo.
Dall’amore per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le creature di Dio. Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di Francesco: il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle creature. È un messaggio molto attuale. Come ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente (cfr nn. 48-
Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto. Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio!
Ci ottenga la Vergine, teneramente amata da Francesco, questo dono. Ci affidiamo a Lei con le parole stesse del Poverello di Assisi: "Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signor nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi... presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro" (Francesco di Assisi, Scritti, 163).
Papa Benedetto XVI, Udienza Generale -
Mercoledì, 27 gennaio 2010
© Copyright 2010 -
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2010/documents/hf_ben-
AMDG et D.V. MARIAE
domenica 28 maggio 2023
Cari ragazzi e ragazze!
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Stadio "Meazza", San Siro
Sabato, 2 giugno 2012
[Video]
Cari ragazzi e ragazze!
E’ una grande gioia per me potervi incontrare durante la mia visita alla
vostra Città. In questo famoso stadio di calcio, oggi i protagonisti siete voi!
Saluto il vostro Arcivescovo, il Cardinale Angelo Scola, e lo ringrazio per le
parole che mi ha rivolto. Grazie anche a Don Samuele Marelli. Saluto il vostro
amico che, a nome di tutti voi, mi ha rivolto il benvenuto. Sono lieto di
salutare i Vicari episcopali che, a nome dell’Arcivescovo, vi hanno
amministrato o amministreranno la Cresima. Un grazie particolare alla
Fondazione Oratori Milanesi che ha organizzato questo incontro, ai vostri
sacerdoti, a tutti i catechisti, agli educatori, ai padrini e alle madrine, e a
quanti nelle singole comunità parrocchiali si sono fatti vostri compagni di
viaggio e vi hanno testimoniato la fede in Gesù morto e risorto, e vivo.
Voi, cari ragazzi, vi state preparando a ricevere il Sacramento della Cresima, oppure l’avete ricevuto da poco. So che avete compiuto un bel percorso formativo, chiamato quest’anno «Lo spettacolo dello Spirito».
Aiutati da questo itinerario, con diverse tappe, avete imparato a riconoscere le cose stupende che lo Spirito Santo ha fatto e fa nella vostra vita e in tutti coloro che dicono «sì» al Vangelo di Gesù Cristo. Avete scoperto il grande valore del Battesimo, il primo dei Sacramenti, la porta d’ingresso alla vita cristiana. Voi lo avete ricevuto grazie ai vostri genitori, che insieme ai padrini, a nome vostro hanno professato il Credo e si sono impegnati a educarvi nella fede.
Questa è stata per voi – come anche per me, tanto tempo fa! – una grazia
immensa. Da quel momento, rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo, siete
entrati a far parte della famiglia dei figli di Dio, siete diventati cristiani,
membri della Chiesa.
Ora siete cresciuti, e potete voi stessi dire il vostro personale «sì» a Dio, un «sì» libero e consapevole.
Il sacramento della Cresima conferma il Battesimo ed effonde su di voi con abbondanza lo Spirito Santo. Voi stessi ora, pieni di gratitudine, avete la possibilità di accogliere i suoi grandi doni che vi aiutano, nel cammino della vita, a diventare testimoni fedeli e coraggiosi di Gesù.
I doni dello Spirito sono realtà stupende, che vi permettono di
formarvi come cristiani, di vivere il Vangelo e di essere membri attivi della
comunità. Ricordo brevemente questi doni, dei quali già ci parla il profeta
Isaia e poi Gesù:
– il primo dono è la sapienza, che vi fa scoprire quanto è
buono e grande il Signore e, come dice la parola, rende la vostra vita piena di
sapore, perché siate, come diceva Gesù, «sale della terra»;
– poi il dono dell’intelletto, così che possiate comprendere in
profondità la Parola di Dio e la verità della fede;
– quindi il dono del consiglio, che vi guiderà alla scoperta
del progetto di Dio sulla vostra vita, vita di ognuno di voi;
– il dono della fortezza, per vincere le tentazioni del male e
fare sempre il bene, anche quando costa sacrificio;
– viene poi il dono della scienza, non scienza nel senso
tecnico, come è insegnata all'Università, ma scienza nel senso più profondo che
insegna a trovare nel creato i segni le impronte di Dio, a capire come Dio
parla in ogni tempo e parla a me, e ad animare con il Vangelo il lavoro di ogni
giorno; capire che c’è una profondità e capire questa profondità e così dare
sapore al lavoro, anche quello difficile;
– un altro dono è quello della pietà, che tiene viva nel cuore
la fiamma dell’amore per il nostro Padre che è nei cieli, in modo da pregarLo
ogni giorno con fiducia e tenerezza di figli amati; di non dimenticare la
realtà fondamentale del mondo e della mia vita: che c’è Dio e che Dio mi
conosce e aspetta la mia risposta al suo progetto;
- il settimo e ultimo dono è il timore di Dio - abbiamo
parlato prima della paura -; timore di Dio non indica paura, ma sentire per Lui
un profondo rispetto, il rispetto della volontà di Dio che è il vero disegno
della mia vita ed è la strada attraverso la quale la vita personale e
comunitaria può essere buona; e oggi, con tutte le crisi che vi sono nel mondo,
vediamo come sia importante che ognuno rispetti questa volontà di Dio impressa
nei nostri cuori e secondo la quale dobbiamo vivere; e così questo timore di
Dio è desiderio di fare il bene, di fare la verità, di fare la volontà di Dio.
AMDG et D.V.MARIAE