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domenica 21 ottobre 2018

Ricordando il PATRONO D'ITALIA



412 
52. Ovunque fosse ospitato di notte, non voleva materassi o coperte sul suo giaciglio, ma la nuda terra raccoglieva il suo nudo corpo avvolto solo nella tonaca. Quando poi concedeva un po' di riposo al suo corpo fragile spesso stava seduto e non disteso, servendosi per guanciale di un legno o di una pietra. E quando lo prendeva desiderio di mangiare qualche cosa, come suole accadere a tutti, a stento si concedeva poi di mangiarla. 

413 Avendo un giorno mangiato un po' di pollo, perché infermo, riacquistate le energie per camminare, si recò ad Assisi. Giunto alla porta della città, pregò un confratello che era con lui di legargli una fune attorno al collo e di trascinarlo per tutte le vie della città come un ladro, gridando: «Guardate questo ghiottone, che a vostra insaputa si è rimpinzato da gaudente di carne di gallina!». A tale spettacolo, molti, tra lacrime e sospiri, esclamavano: «Guai a noi miserabili che abbiamo vissuto tutta la vita solo per la carne, nutrendo il cuore e il corpo di lussuria e di crapule!». E tutti compunti, erano guidati a miglior condotta da quell'esempio straordinario.

mercoledì 20 luglio 2016

PENITENZA


Penitenza

  • Il Padre mi ha mandato nel mondo. 
  • Io mando voi nel mondo a continuare la mia evangelizzazione. 
  • Miserie di ogni sorta verranno a voi chiedendo sollievo. 
  • Siate buoni pensando alla miseria vostra quando rimaneste senza il vostro Gesù. 
  • Siate illuminati. Nelle tenebre non è lecito vedere. 
  • Siate mondi per dare mondezza. 
  • Siate amore per amare. Poi verrà Colui che è Luce, Purificazione e Amore. 
  • Intanto, per prepararvi a questo ministero, Io vi comunico lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi. A chi li riterrete, saranno ritenuti. 
  • L’esperienza vostra vi faccia giusti per giudicare. Lo Spirito Santo vi faccia santi per santificare. 627.17

domenica 19 gennaio 2014

Su questo luminoso cammino.

Piaccciono le indicazioni del seguente Messaggio del Mov. Sac. Mariano, 
sempre attuale dentro e fuori Quaresima



Dongo (Como), 4 marzo 1987. Mercoledì delle ceneri e inizio Quaresima.

Su questo luminoso cammino.

«Seguitemi sulla strada che Io vi ho tracciato, miei figli tanto amati e da Me 
difesi e protetti. È la strada della conversione e della penitenza.

La conversione che vi domando è quella che Gesù vi ha richiesto nel suo 
Vangelo.
Allontanatevi dalla via cattiva del male, della superbia, dell'egoismo e del peccato.

Nel mondo in cui vivete, dove la ribellione a Dio e alla sua Legge di amore 
è accolta, propagandata, esaltata ed eretta a nuovo modello di vita, quanti 
sono i miei poveri figli che ogni giorno diventano vittime del peccato e 
dell'odio, della violenza e della corruzione, dell'egoismo e della impurità.

Il peccato grave vi allontana da Dio, toglie dalle vostre anime il dono 
prezioso della sua vita e della sua Grazia, vi rende schiavi delle passioni 
e del vizio, vi indebolisce nel resistere alle tentazioni, apre grandi spazi all'azione 
di Satana, che prende così sempre più possesso della vostra esistenza e 
la rende strumento per la diffusione dell'egoismo sfrenato e della
superbia, dell'odio e della divisione, della lussuria e dell'empietà.

Operate in voi un vero impegno di conversione, se vi opponete, con 
coraggio e con forza, al mondo in cui vivete, per camminare sulla strada 
del bene e della grazia divina, dell'amore e della santità.

Occorre oggi che tutti i miei figli si convertano e tornino a credere al 
Vangelo, a vivere secondo il Vangelo, a lasciarsi guidare solo dalla 
Sapienza  del Vangelo.

Questi sono i giorni favorevoli per la vostra conversione.
Sono giorni di grazia e di misericordia, di speranza e di attesa.
Questi sono i giorni preparatori a quanto ormai vi attende, ai grandi 
avvenimenti che vi sono stati predetti.

Vi domando allora anche opere quotidiane di mortificazione e di penitenza.
La penitenza venga da voi offerta al mio Cuore in tre diverse maniere.

Anzitutto datemi la penitenza interiore, che dovete esercitare per giungere 
al dominio di voi stessi, delle vostre passioni e per diventare veramente docili, 
umili, piccoli, disponibili al mio disegno.
Talvolta il mio Cuore si addolora nel vedere come opponete resistenza ai 
miei inviti materni e così non riuscite a giungere a quella misura di docilità, 
di umiltà, di vero annientamento di voi stessi, che Io vi domando, perché mi 
è indispensabile per adoperarvi alla realizzazione del mio disegno di salvezza e 
di misericordia.

Poi offritemi la penitenza silenziosa e quotidiana, che vi deriva dal fare bene, 
in ogni circostanza della vostra vita, la sola Volontà del Signore, con l'umile, 
fedele e perfetto adempimento di tutti i vostri doveri.
Se fate così, quante preziose occasioni di soffrire e di offrire vi si presentano 
durante il corso di una intera giornata!
Il vostro sorriso, la serenità, la calma, la pazienza, l'accettazione, l'offerta 
sono vere penitenze silenziose, che danno più valore e luce ad ogni circostanza 
della vostra esistenza.

Vi domando anche la penitenza esteriore, che si esercita sempre nel 
dominare le passioni, nel mortificare i vostri sensi, specialmente quelli degli 
occhi, della lingua, dell'udito e della gola.

Non guardate al grande male che vi circonda e a tanta impurità che ammorba 
le vostre strade.
Rinunciate a guardare la televisione, per conservare nell'anima la Luce e per 
dare, nella vostra vita, maggiore spazio al raccoglimento, alla meditazione e 
alla preghiera.
Sappiate tenere a freno la lingua e fare silenzio dentro di voi ed attorno a voi, 
perché possiate parlare solo per la diffusione del bene, in spirito di amore 
e di umile servizio verso tutti.

Fuggite le critiche e le mormorazioni; le maldicenze e le cattiverie.
Non cedete alla facile tentazione del giudizio e della condanna.
Chiudete orecchie e mente al frastuono di voci, che oggi diventa sempre 
più assordante e vi porta a vivere nel rumore, nella confusione e nell'aridità.
Mortificate la gola con l'astenervi da ciò che maggiormente sollecita il 
vostro piacere e con il praticare anche il digiuno corporale, richiesto da 
Gesù nel suo Vangelo e che ancora oggi Io vi domando.

Se camminate su questa strada, che Io traccio per voi, allora i giorni 
della vostra vita saranno benedetti dal Signore e vi porteranno alla pace 
del cuore ed alla purezza dell'anima.

Diventerete voi stessi la mia parola vissuta e porterete ovunque la luce 
della mia presenza nella grande tenebra che si è addensata sul mondo.
Su questo luminoso cammino di conversione e di penitenza Io sempre vi 
conduco, specialmente in questi giorni preparatori al grande miracolo 
della divina misericordia, che ormai sta per compiersi».

sabato 7 dicembre 2013

E' l'ora tenebrosa del Principe della notte,... ma Io vi invito a Vivere nella fiducia e in una grande speranza... - 9 -


Rubbio (Vicenza), 8 dicembre 1987. Festa della Immacolata Concezione.

Non lasciatevi illudere.


«Il mio candore di Cielo scende oggi su di voi e vuole avvolgere tutto il mondo.

Camminate nella mia Luce se volete giungere alla pace.

La luce della grazia divina, della purezza, della santità, della preghiera, di una 
sempre più perfetta carità deve penetrare la vostra esistenza, figli consacrati al 
mio Cuore Immacolato.

Vivete i tempi dolorosi del castigo.
Vivete l'ora tenebrosa della vittoria del mio Avversario, che è il Principe della notte.
Vivete i momenti più difficili della purificazione.

Allora vi invito a rifugiarvi dentro la dimora sicura del mio Cuore Immacolato ed 
a lasciarvi avvolgere dal manto celeste della mia purissima Luce.
Camminate sulla strada, che in questi anni vi ho tracciato, per diventare oggi gli 
strumenti della mia pace.

Non lasciatevi illudere.
La pace non verrà al mondo dagli incontri di coloro che voi chiamate i grandi di 
questa terra, né dai loro reciproci patteggiamenti.

La pace può giungere a voi solo dal ritorno dell'umanità al suo Dio per mezzo 
della conversione, alla quale in questo mio giorno ancora vi chiamo, e per mezzo 
della preghiera, del digiunodella penitenza.
Altrimenti, nel momento in cui si griderà da tutti alla pace ed alla sicurezza, 
piomberà all'improvviso la sciagura.

Per questo vi domando di assecondare i miei pressanti richiami a camminare 
sulla strada del bene, dell'amore, della preghiera, della mortificazione dei sensi, 
del disprezzo del mondo e di voi stessi.

Oggi accolgo con gioia il vostro omaggio di amore, lo associo al canto di gloria 
del Paradiso, alle invocazioni delle anime purganti, al coro di lode della Chiesa 
militante e pellegrina, vi invito a vivere nella fiducia e in una grande speranza 
del  mio vicino e straordinario intervento».


giovedì 7 novembre 2013

«Povero fanciullo! ... Torna qui, Giovanni, al fianco del tuo Maestro e ascolta la lezione.




....................
Oh! ieri notte poco ho dormito per fame e freddo, e questa notte mai ho dormito... 
e non ho saputo resistere più questa mattina... e sono venuto perché ho avuto 
paura di morire d’inedia... ed è questo quello che più mi fa male: di non avere 
saputo vegliare per pregare e vegliare su Te, ma di averlo saputo fare per i 
morsi della fame... Sono un servo sciocco e vile. Castigami, Gesù!».

«Povero fanciullo! Vorrei che tutto il mondo avesse a gridare queste tue
colpe! Ma ascolta, alzati e ascoltami, ed il tuo cuore tornerà in pace. Hai 
disubbidito anche a Simone di Giona?».

«No, Maestro. Non lo avrei mai fatto, perché Tu hai detto che dovevamo 
stare a lui soggetti come a fratello maggiore. Ma egli, quando io gli ho 
detto: “Il mio cuore non sta tranquillo a vederlo andar solo”, ha risposto:
“Hai ragione. Ma io non posso andare perché ho l’ubbidienza di guidare 
voi tutti. Vai tu, e Dio sia teco”. Gli altri hanno alzato la voce e Giuda 
più degli altri. Hanno ricordato l’ubbidienza e hanno anche rimproverato 
Simone Pietro».

«Hanno? Sii sincero, Giovanni».
«È vero, Maestro. È stato Giuda che ha rimproverato Simone e trattato 
male me. Gli altri hanno soltanto detto:
“Il Maestro ha ordinato di stare insieme”. E a me, non al capo nostro, 
lo dicevano. Ma Simone ha risposto: “Dio vede il fine dell’atto e perdonerà. 
E il Maestro perdonerà, perché questo è amore”, e mi ha benedetto e 
baciato e mandato dietro di Te, come quel giorno che Tu andasti con 
Cusa oltre il lago». (Vedi Vol 7 Cap 464)

«E allora Io di questa colpa non ho da assolverti...».
«Perché è troppo grave?».

«No. Perché non esiste. Torna qui, Giovanni, al fianco del tuo Maestro e 
ascolta la lezione. Bisogna saper applicare gli ordini con giustizia e 
discernimento, sapendo comprendere lo spirito dell’ordine, non soltanto le
lettere che compongono l’ordine. Io ho detto: “Non dividetevi”. Ti sei 
diviso e perciò avresti peccato. Ma prima Io avevo detto: “State uniti 
di corpo e di spirito, soggetti a Pietro”. Con quelle parole Io ho eletto lui mio
legittimo rappresentante fra voi, con facoltà piena di giudicare e di comandare 
su voi. Perciò, quanto Pietro ha fatto o farà in mia assenza, sarà ben fatto. 
Perché, avendolo Io investito del potere di guidarvi, lo Spirito del
Signore, che è in Me, sarà anche con lui e lo guiderà nel dare quegli ordini 
che le circostanze impongono e che la Sapienza suggerirà all’Apostolo capo 
per il bene di tutti. Se Pietro ti avesse detto: “Non andare” e se tu fossi
ugualmente venuto, neppure il movente buono del tuo atto - il volermi seguire 
per amore che vuol difendere ed essere con Me nei pericoli - sarebbe stato 
sufficiente ad annullare la tua colpa. Ci sarebbe proprio voluto il mio
perdono. Ma Pietro, il tuo Capo, ti ha detto: “Va”. L’ubbidienza a lui ti 
giustifica completamente. Ne sei persuaso?».
«Sì, Maestro».


«Devo assolverti dalla colpa di presunzione? Dimmi, senza riflettere se 
Io vedo il tuo cuore. Hai tu presunto con superbia di volermi imitare per 
poter dire: “Colla mia volontà ho abolito le necessità della carne, perché io 
posso ciò che voglio”? Pensaci bene...».

Giovanni riflette. Poi dice: «No, Signore. Esaminandomi bene no, non l’ho 
fatto per questo. Speravo poterlo fare perché ho capito che la penitenza è 
sofferenza della carne, ma è luce dello spirito. Ho capito che è un mezzo 
di fortificare la nostra debolezza e ottenere tanto da Dio. Tu lo fai per questo. 
Io per questo lo volevo fare. E credo di non errare dicendo che, se lo fai Tu 
forte, Tu potente, Tu santo, io, noi, lo dovremmo fare sempre, se sempre
fosse possibile farlo, per essere meno deboli e materiali. Ma non l’ho potuto 
fare. Ho sempre fame io, e sonno tanto...», e il pianto riprende a gocciare 
lento,  umile, vera confessione della limitatezza delle capacità umane.

«Ebbene, anche questa piccola miseria della carne credi tu che sia stata inutile? 
Oh! come te la ricorderai in futuro, quando sarai tentato ad essere severo ed 
esigente coi tuoi discepoli e fedeli! Essa ti riaffiorerà alla mente dicendoti: 
“Ricordati che tu pure hai ceduto alla stanchezza, alla fame. Non volere gli 
altri più forti di te. Sii padre dei tuoi fedeli come il tuo Maestro fu un padre 
per te quella mattina”. Tu avresti potuto benissimo vegliare e non sentire poi 
questa gran fame. Ma il Signore ha permesso che tu soggiacessi a questi bisogni 
della carne per farti umile, sempre più umile e sempre più compassionevole ai 
tuoi simili. 
Molti non sanno distinguere fra tentazione e colpa consumata. La prima è una 
prova che dà merito e non leva grazia, la seconda è caduta che leva merito e 
grazia. Altri non sanno distinguere fra eventi naturali e colpe, e si fanno scrupolo 
di aver peccato mentre, ed è il tuo caso, non hanno che ubbidito a leggi naturali 
buone. Distinguo, dicendo “buone”, le leggi naturali dagli istinti sfrenati. Perché 
non tutto ciò che ora si dice “legge di natura” è tale ed è buona. Buone erano
tutte le leggi connesse alla natura umana, che Dio aveva date ai progenitori: 
il bisogno del cibo, del riposo, della bevanda. Poi, col peccato, sono subentrati 
e si sono mescolati alle leggi naturali, inquinando con la smoderatezza
ciò che era buono, gli istinti animali, le sregolatezze, le sensualità d’ogni specie. 
E Satana ha tenuto vivo il fuoco, il fomite dei vizi col suo tentare. 
Ora lo vedi che, se non è peccato cedere al bisogno di riposo e di cibo, è
invece peccato la gozzoviglia, l’ebrietà, l’ozio prolungato. Anche il bisogno 
di coniugarsi e procreare non è peccato, anzi Dio ha dato l’ordine di farlo 
per popolare la Terra di uomini. Ma non è più buono l’atto del
congiungimento per sola soddisfazione del senso. Sei persuaso anche 
di questo?».

«Sì, Maestro. Ma allora dimmi una cosa. Coloro che non vogliono 
procreare, peccano ad un ordine di Dio? Tu dicesti una volta che lo stato 
di vergine è buono».

«È il più perfetto. Come è il più perfetto quello di chi, non pago di fare 
buon uso delle ricchezze, se ne spoglia del tutto. Sono le perfezioni 
alle quali può giungere una creatura. E gran premio avranno. Tre sono 
le cose più perfette: la povertà volontaria, la castità perpetua, l’ubbidienza 
assoluta in tutto ciò che non è peccato. 
Queste tre cose rendono l’uomo simile agli angeli. E una è 
perfettissima:  dare la propria vita per amore di Dio e dei fratelli.
Questa cosa rende la creatura simile a Me, perché la porta all’assoluto 
amore. E chi ama perfettamente è simile a Dio, è assorbito e fuso con Dio. 
Sta’ dunque in pace, mio diletto. Non c’è colpa in te. Io te lo dico. Perché
dunque aumenti il tuo pianto?».

«Perché una colpa c’è sempre. Quella di aver saputo venire da Te per 
bisogno e aver saputo vegliare per fame, e non per amore. Non me lo 
perdonerò mai. Non mi accadrà più. Non dormirò più mentre Tu soffri. 
Non ti dimenticherò dormendo mentre Tu piangi».

«Non impegnare il futuro, Giovanni. La tua volontà è pronta, ma ancora 
potrebbe essere sopraffatta dalla carne.
E ne avresti profondo e inutile avvilimento se poi ti sovvenissi di questa 
promessa fatta a te stesso, non mantenuta poi per fralezza di carne. Guarda. 
Io ti dico ciò che devi dire per essere in pace, qualunque cosa ti avvenga. 
Di’ con Me: “Io, con l’aiuto di Dio, propongo, per quanto mi sarà possibile, 
di non più cedere alle pesantezze della carne”. E sta’ fermo in questo volere. 
Se poi un giorno, pur non volendolo, la carne stanca e afflitta vincerà la 
tua volontà, ebbene, allora come ora dirai: “Riconosco di essere un povero 
uomo come tutti i miei fratelli, e ciò mi serva per tener mozzo il mio orgoglio”. 
Oh! Giovanni, Giovanni! Non è il tuo sonno innocente quel che può darmi 
dolore! Tieni. Queste ti riconforteranno del tutto. Le dividiamo insieme,
benedicendo chi me le ha offerte», e prende le mele ormai cotte e bollenti, 
e ne dà tre a Giovanni e tre le tiene per Sé.

«Chi te le ha date, Signore? Chi è venuto da Te? Chi sapeva che qui eri? 
Io non ho sentito voci né passi. Eppure, dopo la prima notte, ho sempre 
vegliato...».
«Sono uscito alla prima luce. Vi erano fasci di legna davanti l’entrata e 
sopra pane, formaggi e mele. Non ho visto nessuno. Ma solo alcuni 
possono aver avuto desiderio di ripetere un pellegrinaggio e un gesto 
d’amore...», dice lentamente Gesù.

«È vero! I pastori! Lo avevano detto: “Andremo nella terra di Davide... 
Sono giorni di ricordi...”. Ma perché non si sono fermati?».
«Perché! Hanno adorato e...».
«E hanno compatito. Adorato Te e compatito me... Sono migliori 
di noi quegli uomini».
«Sì. Hanno serbato buona, sempre più buona la loro volontà. Per loro 
non fu danno il dono che Dio ha loro dato...». Gesù non sorride più. 
Pensa e si fa triste.
Poi si scuote. Guarda Giovanni, che lo guarda, e dice: «Ebbene? 
Vogliamo andare? Non sei più sfinito?».
«No, Maestro. Non sarò molto resistente, credo, perché ho le 
membra indolenzite. Ma credo che posso camminare».
«E allora andiamo. Va’ a prendere la tua sacca, mentre Io raccolgo 
gli avanzi nella mia, e andiamo. Prenderemo la via che va verso il 
Giordano per evitare Gerusalemme».
E al ritorno di Giovanni si rimettono in cammino, rifacendo la via fatta 
nel venire e allontanandosi per la campagna che si riscalda al mite sole 
decembrino.  
(M.Valt. 539: La perfezione spiegata a Giovanni di Zebedeo 
che si è accusato di colpe inesistenti.)

MANE NOBISCUM, DOMINE

lunedì 4 novembre 2013

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI









MESSAGGIO DEL SANTO PADRE ALL’ARCIVESCOVO DI MILANO IN OCCASIONE DEL IV CENTENARIO DELLA CANONIZZAZIONE DI SAN CARLO BORROMEO, 04.11.2010



Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato all’Arcivescovo di Milano, Em.mo Card. Dionigi Tettamanzi, in occasione della celebrazione del IV Centenario della Canonizzazione di San Carlo Borromeo:


MESSAGGIO DEL 
SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Al venerato Fratello
Cardinale DIONIGI TETTAMANZI
Arcivescovo di Milano

Lumen caritatis. La luce della carità di san Carlo Borromeo ha illuminato tutta la Chiesa e, rinnovando i prodigi dell’amore di Cristo, nostro Sommo ed Eterno Pastore, ha portato nuova vita e nuova giovinezza al gregge di Dio, che attraversava tempi dolorosi e difficili. Per questo mi unisco con tutto il cuore alla gioia dell’Arcidiocesi ambrosiana nel commemorare il quarto centenario della canonizzazione di questo grande Pastore, avvenuta il 1° novembre 1610.

1. L’epoca in cui visse Carlo Borromeo fu assai delicata per la Cristianità. In essa l’Arcivescovo di Milano diede un esempio splendido di che cosa significhi operare per la riforma della Chiesa. Molti erano i disordini da sanzionare, molti gli errori da correggere, molte le strutture da rinnovare; e tuttavia san Carlo si adoperò per una profonda riforma della Chiesa, iniziando dalla propria vita. È nei confronti di se stesso, infatti, che il giovane Borromeo promosse la prima e più radicale opera di rinnovamento. La sua carriera era avviata in modo promettente secondo i canoni di allora: per il figlio cadetto della nobile famiglia Borromeo si prospettava un futuro di agi e di successi, una vita ecclesiastica ricca di onori, ma priva di incombenze ministeriali; a ciò si aggiungeva anche la possibilità di assumere la guida della famiglia dopo la morte improvvisa del fratello Federico.

Eppure, Carlo Borromeo, illuminato dalla Grazia, fu attento alla chiamata con cui il Signore lo attirava a sé e lo voleva consacrare al servizio del suo popolo. Così fu capace di operare un distacco netto ed eroico dagli stili di vita che erano caratteristici della sua dignità mondana, e di dedicare tutto se stesso al servizio di Dio e della Chiesa. In tempi oscurati da numerose prove per la Comunità cristiana, con divisioni e confusioni dottrinali, con l’annebbiamento della purezza della fede e dei costumi e con il cattivo esempio di vari sacri ministri, Carlo Borromeo non si limitò a deplorare o a condannare, né semplicemente ad auspicare l’altrui cambiamento, ma iniziò a riformare la sua propria vita, che, abbandonate le ricchezze e le comodità, divenne ricolma di preghiera, di penitenza e di amorevole dedizione al suo popolo. San Carlo visse in maniera eroica le virtù evangeliche della povertà, dell’umiltà e della castità, in un continuo cammino di purificazione ascetica e di perfezione cristiana.

Egli era consapevole che una seria e credibile riforma doveva cominciare proprio dai Pastori, affinché avesse effetti benefici e duraturi sull’intero Popolo di Dio. In tale azione di riforma seppe attingere alle sorgenti tradizionali e sempre vive della santità della Chiesa cattolica: la centralità dell’Eucaristia, nella quale riconobbe e ripropose la presenza adorabile del Signore Gesù e del suo Sacrificio d’amore per la nostra salvezza; la spiritualità della Croce, come forza rinnovatrice, capace di ispirare l’esercizio quotidiano delle virtù evangeliche; l’assidua frequenza ai Sacramenti, nei quali accogliere con fede l’azione stessa di Cristo che salva e purifica la sua Chiesa; la Parola di Dio, meditata, letta e interpretata nell’alveo della Tradizione; l’amore e la devozione per il Sommo Pontefice, nell’obbedienza pronta e filiale alle sue indicazioni, come garanzia di vera e piena comunione ecclesiale.

Dalla sua vita santa e conformata sempre più a Cristo nasce anche la straordinaria opera di riforma che san Carlo attuò nelle strutture della Chiesa, in totale fedeltà al mandato del Concilio di Trento. Mirabile fu la sua opera di guida del Popolo di Dio, di meticoloso legislatore, di geniale organizzatore. Tutto questo, però, traeva forza e fecondità dall’impegno personale di penitenza e di santità. In ogni tempo, infatti, è questa l’esigenza primaria e più urgente nella Chiesa: che ogni suo membro si converta a Dio. 

Anche ai nostri giorni non mancano alla Comunità ecclesiale prove e sofferenze, ed essa si mostra bisognosa di purificazione e di riforma. L’esempio di san Carlo ci sproni a partire sempre da un serio impegno di conversione personale e comunitaria, a trasformare i cuori, credendo con ferma certezza nella potenza della preghiera e della penitenza. 

Incoraggio in modo particolare i sacri ministri, presbiteri e diaconi, a fare della loro vita un coraggioso cammino di santità, a non temere l’ebbrezza di quell’amore fiducioso a Cristo per cui il Vescovo Carlo fu disposto a dimenticare se stesso e a lasciare ogni cosa. Cari fratelli nel ministero, la Chiesa ambrosiana possa trovare sempre in voi una fede limpida e una vita sobria e pura, che rinnovino l’ardore apostolico che fu di sant’Ambrogio, di san Carlo e di tanti vostri santi Pastori!

2. Durante l’episcopato di san Carlo, tutta la sua vasta Diocesi si sentì contagiata da una corrente di santità che si propagò al popolo intero. In che modo questo Vescovo, così esigente e rigoroso, riuscì ad affascinare e conquistare il popolo cristiano? È facile rispondere: san Carlo lo illuminò e lo trascinò con l’ardore della sua carità. "Deus caritas est", e dove c’è l’esperienza viva dell’amore, lì si rivela il volto profondo di Dio che ci attira e ci fa suoi.

Quella di san Carlo Borromeo fu anzitutto la carità del Buon Pastore, che è disposto a donare totalmente la propria vita per il gregge affidato alle sue cure, anteponendo le esigenze e i doveri del ministero ad ogni forma di interesse personale, comodità o tornaconto. Così l’Arcivescovo di Milano, fedele alle indicazioni tridentine, visitò più volte l’immensa Diocesi fin nei luoghi più remoti, si prese cura del suo popolo nutrendolo continuamente con i Sacramenti e con la Parola di Dio, mediante una ricca ed efficace predicazione; non ebbe mai timore di affrontare avversità e pericoli per difendere la fede dei semplici e i diritti dei poveri.

San Carlo fu riconosciuto, poi, come vero padre amorevole dei poveri. La carità lo spinse a spogliare la sua stessa casa e a donare i suoi stessi beni per provvedere agli indigenti, per sostenere gli affamati, per vestire e dare sollievo ai malati. Fondò istituzioni finalizzate all’assistenza e al recupero delle persone bisognose; ma la sua carità verso i poveri e i sofferenti rifulse in modo straordinario durante la peste del 1576, quando il santo Arcivescovo volle rimanere in mezzo al suo popolo, per incoraggiarlo, per servirlo e per difenderlo con le armi della preghiera, della penitenza e dell’amore.

La carità, inoltre, spinse il Borromeo a farsi autentico e intraprendente educatore. Lo fu per il suo popolo con le scuole della dottrina cristiana. Lo fu per il clero con l’istituzione dei seminari. Lo fu per i bambini e i giovani con particolari iniziative loro rivolte e con l’incoraggiamento a fondare congregazioni religiose e confraternite laicali dedite alla formazione dell’infanzia e della gioventù.

Sempre la carità fu la motivazione profonda delle asprezze con cui san Carlo viveva il digiuno, la penitenza e la mortificazione. Per il santo Vescovo non si trattava solo di pratiche ascetiche rivolte alla propria perfezione spirituale, ma di un vero strumento di ministero per espiare le colpe, invocare la conversione dei peccatori e intercedere per i bisogni dei suoi figli.

In tutta la sua esistenza possiamo dunque contemplare la luce della carità evangelica, la carità longanime, paziente e forte che "tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (1Cor 13,7). Rendo grazie a Dio perché la Chiesa di Milano è sempre stata ricca di vocazioni particolarmente consacrate alla carità; lodo il Signore per gli splendidi frutti di amore ai poveri, di servizio ai sofferenti e di attenzione ai giovani di cui può andare fiera. L’esempio e la preghiera di san Carlo vi ottengano di essere fedeli a questa eredità, così che ogni battezzato sappia vivere nella società odierna quella profezia affascinante che è, in ogni epoca, la carità di Cristo vivente in noi.

3. Non si potrebbe comprendere, però, la carità di san Carlo Borromeo se non si conoscesse il suo rapporto di amore appassionato con il Signore Gesù. Questo amore egli lo ha contemplato nei santi misteri dell’Eucaristia e della Croce, venerati in strettissima unione con il mistero della Chiesa. L’Eucaristia e il Crocifisso hanno immerso san Carlo nella carità di Cristo, e questa ha trasfigurato e acceso di ardore tutta la sua vita, ha riempito le notti passate in preghiera, ha animato ogni sua azione, ha ispirato le solenni liturgie celebrate con il popolo, ha commosso il suo animo fino a indurlo sovente alle lacrime.

Lo sguardo contemplativo al santo Mistero dell’Altare e al Crocifisso risvegliava in lui sentimenti di compassione per le miserie degli uomini e accendeva nel suo cuore l’ansia apostolica di portare a tutti l’annuncio evangelico. D’altra parte, ben sappiamo che non c’è missione nella Chiesa che non sgorghi dal "rimanere" nell’amore del Signore Gesù, reso presente a noi nel Sacrificio eucaristico. Mettiamoci alla scuola di questo grande Mistero! Facciamo dell’Eucaristia il vero centro delle nostre comunità e lasciamoci educare e plasmare da questo abisso di carità! Ogni opera apostolica e caritativa prenderà vigore e fecondità da questa sorgente!

4. La splendida figura di san Carlo mi suggerisce un’ultima riflessione rivolta, in particolare, ai giovani. La storia di questo grande Vescovo, infatti, è tutta decisa da alcuni coraggiosi "sì" pronunciati quando era ancora molto giovane. A soli 24 anni egli prese la decisione di rinunciare a guidare la famiglia per rispondere con generosità alla chiamata del Signore; l’anno successivo accolse come una vera missione divina l’ordinazione sacerdotale e quella episcopale. A 27 anni prese possesso della Diocesi ambrosiana e dedicò tutto se stesso al ministero pastorale. Negli anni della sua giovinezza, san Carlo comprese che la santità era possibile e che la conversione della sua vita poteva vincere ogni abitudine avversa. Così egli fece della sua giovinezza un dono d’amore a Cristo e alla Chiesa, diventando un gigante della santità di tutti i tempi.

Cari giovani, lasciate che vi rinnovi questo appello che mi sta molto a cuore: Dio vi vuole santi, perché vi conosce nel profondo e vi ama di un amore che supera ogni umana comprensione. Dio sa che cosa c’è nel vostro cuore e attende di vedere fiorire e fruttificare quel meraviglioso dono che ha posto in voi. Come san Carlo, anche voi potete fare della vostra giovinezza un’offerta a Cristo e ai fratelli. Come lui, potete decidere, in questa stagione della vostra vita, di "scommettere" su Dio e sul Vangelo. Voi, cari giovani, non siete solo la speranza della Chiesa; voi fate già parte del suo presente! E se avrete l’audacia di credere alla santità, sarete il tesoro più grande della vostra Chiesa ambrosiana, che si è edificata sui Santi.

Con gioia Le affido, venerato Fratello, queste riflessioni, e, mentre invoco la celeste intercessione di san Carlo Borromeo e la costante protezione di Maria Santissima, di cuore imparto a Lei e all’intera Arcidiocesi una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 1° novembre 2010, IV Centenario della Canonizzazione di san Carlo Borromeo.

BENEDICTUS PP. XVI

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana


venerdì 18 ottobre 2013

SAN PIETRO D'ALCANTARA


19 OTTOBRE
SAN PIETRO D'ALCANTARA, CONFESSORE

La beata penitenza.
"O felice penitenza, che mi ha meritata tanta gloria!" Così si esprimeva il santo di oggi in procinto di salire al cielo, mentre santa Teresa di Gesù in terra faceva eco: "Quale perfetto imitatore di Gesù Cristo ci ha rapito Iddio, chiamando alla gloria questo religioso benedetto, Fratel Pietro d'Alcantara! Si dice che il mondo non è più capace di tanta perfezione, che le anime sono più deboli, che non siamo ai tempi di una volta, ma questo santo era del nostro tempo e il suo maschio fervore non ha nulla da invidiare a quello di altri tempi e non manca in lui un totale disprezzo delle cose della terra. Senza andare a piedi nudi come lui, senza fare penitenze cosi aspre, in mille modi possiamo praticare il disprezzo del mondo e il Signore ce li fa conoscere, se in noi c'è del coraggio. Come dovette essere grande il coraggio del santo del quale io parlo, se resistette quarantasette anni nella penitenza austera che ora è nota a tutti!

Penitenza di san Pietro.
Più di tutte le mortificazioni, da principio gli costò vincere il sonno e a questo scopo restava sempre in ginocchio o in piedi. Lo scarso riposo concesso alla natura lo prendeva seduto, con la testa appoggiata ad un pezzo di legno infisso nel muro e, se avesse voluto coricarsi non l'avrebbe potuto, perché la sua cella era lunga soltanto quattro piedi e mezzo. Per tutti quegli anni non si coprì mai col cappuccio, per quanto ardente fosse il sole o per quanto forte piovesse; non usò mai calzature e non portò che un abito di stoffa grossolana, senza sottovesti. Ho saputo però che egli per vent'anni ha portato un cilicio di filo di ferro bianco senza deporlo mai. L'abito era più stretto possibile e sopra di esso portava un mantello della stessa stoffa, ma nei tempi più freddi lo deponeva e lasciava per qualche tempo aperte porta e finestra della sua cella, che chiudeva quando, riprendendo il mantello, ci diceva che quello era il modo di scaldarsi e di procurare al corpo una migliore temperatura.

Spesso non mangiava che ogni tre o quattro giorni e, mostrandomene io sorpresa, mi disse che era cosa facile per chi vi si era abituato. La sua povertà era estrema e la sua mortificazione tale che mi confidò di aver passato tre anni della sua giovinezza in una casa dell'Ordine senza conoscere alcuno dei religiosi, fuorché al suono della voce, perché non aveva mai alzati gli occhi; onde non avrebbe mai saputo portarsi dove la regola chiamava, se non avesse seguito gli altri. Altrettanta modestia aveva per la strada e quando lo conobbi il suo corpo era così estenuato che pareva fatto di radici d'albero" (Santa Teresa. Vita, c. xvii, xxx).

"Se non farete penitenza... ".
Tanta austerità, che l'illustre fondatrice del Carmelo pare trovare naturale ed essere dolente di non praticar in eguale misura, forse ci scoraggerebbe, e ripetiamo per questo che i Santi sono tutti ammirabili, ma non tutti imitabili. Ripetiamo ancora, con i contemporanei di santa Teresa, che il mondo non è più capace di tanta perfezione e che gli organismi sono indeboliti, per poterla pretendere. E tuttavia il Vangelo, che è eterno e dà consigli sempre attuali, insiste: "Se non farete penitenza, perirete tutti!". Facendo eco al suo divino Figliolo, la Madonna in tutti i messaggi e soprattutto da un secolo in qua si compiace di ridire le stesse parole: "Penitenza, penitenza, penitenza!".

La penitenza richiesta a noi.
Bernadette a Lourdes e poi i piccoli veggenti di Fatima hanno trasmesso il messaggio celeste e questi ultimi lo hanno anche spiegato recentemente. Non è senza interesse conoscere che cosa voglia da noi il Signore per perdonarci e per allontanare dal mondo i castighi anche troppo meritati da peccati numerosi e gravi:

"Il Buon Dio desidera molto il ritorno alla pace, ma soffre vedendo un numero così piccolo di anime in grazia e disposte a rinunciare a tutto, per aderire alla sua legge. Quello che Dio esige è là penitenza, il sacrificio che ciascuno deve imporsi, per vivere secondo la sua legge.
La mortificazione che egli chiede consiste nell'adempimento dei quotidiani doveri e nell'accettazione delle tribolazioni e delle sofferenze. Desidera che alle anime sia rivelata chiaramente questa strada, perché molti pensano che penitenza voglia dire 'grandi austerità' e, non avendo né forza né coraggio per affrontarle, cadono scoraggiate nella indifferenza e nel peccato.
... Nostro Signore dice: Il sacrificio di ciascuno è il compimento del proprio dovere e l'osservanza della mia legge: ecco la penitenza che oggi io chiedo".

Praticare questa penitenza sarà per noi imitare i santi, anche i più austeri, sapendo con sicurezza che rispondiamo ai desideri di Cristo e della sua santa Madre a riguardo di ciascuno di noi.

VITA. - Pietro Garavito nacque nel 1499 ad Alcantara, in Spagna. A 16 anni entrò nell'Ordine dei Frati Minori e, compiuti gli studi, fu incaricato della predicazione. Lo zelo ardente gli meritò di poter convertire numerosi peccatori, ma volendo riportare l'Ordine al fervore primitivo, ne ottenne il permesso dalla Santa Sede e fondò il convento di Pedroso, che fu poi seguito da numerose fondazioni in Spagna e anche nelle Indie. Praticava un'austerità estrema, ma aveva in compenso grazie di contemplazione altissima e Dio rivelò a santa Teresa che avrebbe esaudita qualsiasi preghiera fatta in nome di Pietro d'Alcantara. Godeva del dono della profezia e del discernimento degli spiriti. Morì il 18 ottobre 1562, confortato dalla visione del Signore, della Madonna e dei Santi. Beatificato da Papa Gregorio XV il 18 aprile 1632, fu canonizzato il 4 maggio 1669 da Clemente IX.

La ricompensa.
"Ecco il termine della vita austera: una eternità gloriosa!" (Santa Teresa, Vita, c.xxvii). Come furono soavi le ultime parole sgorgate dalle tue labbra moribonde: Mi sono rallegrato in quello che mi fu detto: Andremo nella casa del Signore (Sal 121,1). Non era l'ora della ricompensa per il corpo cui nella vita non hai dato tregua per riserbargli la vita futura, ma già la luce e i profumi dell'oltretomba dei quali l'anima, abbandonandolo, lo lasciava investito, mostravano a tutti che l'impegno fedelmente mantenuto nella prima parte, lo sarà anche nella seconda. Mentre il corpo dei peccatori, destinato da false delizie a spaventevoli tormenti, ruggirà senza fine contro l'anima che l'ha portato alla rovina, le tue membra, raggiungendo nella felicità l'anima beata e completandone la gloria e lo splendore, diranno nei secoli eterni come la tua apparente durezza fu per esse saggezza ed amore.

La lotta.
Sarà necessario attendere la risurrezione per conoscere in questo mondo che la parte da te scelta è senza dubbio la migliore? Chi oserebbe confrontare i piaceri illeciti, non solo, ma le gioie permesse in terra con le sante delizie che la divina contemplazione riserba anche in questo mondo per chiunque si ponga in grado di gustarle? Se esse costano la mortificazione della carne, ciò avviene perché in questo mondo carne e spirito sono in lotta, ma la lotta ha le sue attrattive per le anime generose e la carne stessa, onorata dalla lotta, sfugge per essa a mille pericoli.

Preghiera per la Chiesa e per lo stato religioso.
Tu, che, secondo la parola del Signore, non puoi essere invocato invano, se ti degni di presentare a Lui le nostre preghiere, ottienici la soddisfazione del cielo, che ci allontana dai desideri terreni. Noi con la Chiesa rivolgiamo in tuo nome questa domanda i Dio, che rese ammirabile la tua penitenza e sublime la tua contemplazione (Colletta della festa). La grande famiglia dei Frati Minori custodisce prezioso il tesoro dei tuoi esempi e dei tuoi insegnamenti, per l'onore del tuo Padre san Francesco e per il bene della Chiesa conservala nell'amore delle austere tradizioni. Conserva al Carmelo di Teresa di Gesù la tua preziosa protezione ed estendila, nelle prove dei nostri tempi, a tutto lo stato religioso.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1199-1203