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Oh! ieri notte poco ho dormito per fame e freddo, e questa notte mai ho dormito...
e non ho saputo resistere più questa mattina... e sono venuto perché ho avuto
paura di morire d’inedia... ed è questo quello che più mi fa male: di non avere
saputo vegliare per pregare e vegliare su Te, ma di averlo saputo fare per i
morsi della fame... Sono un servo sciocco e vile. Castigami, Gesù!».
«Povero fanciullo! Vorrei che tutto il mondo avesse a gridare queste tue
colpe! Ma ascolta, alzati e ascoltami, ed il tuo cuore tornerà in pace. Hai
disubbidito anche a Simone di Giona?».
«No, Maestro. Non lo avrei mai fatto, perché Tu hai detto che dovevamo
stare a lui soggetti come a fratello maggiore. Ma egli, quando io gli ho
detto: “Il mio cuore non sta tranquillo a vederlo andar solo”, ha risposto:
“Hai ragione. Ma io non posso andare perché ho l’ubbidienza di guidare
voi tutti. Vai tu, e Dio sia teco”. Gli altri hanno alzato la voce e Giuda
più degli altri. Hanno ricordato l’ubbidienza e hanno anche rimproverato
Simone Pietro».
«Hanno? Sii sincero, Giovanni».
«È vero, Maestro. È stato Giuda che ha rimproverato Simone e trattato
male me. Gli altri hanno soltanto detto:
“Il Maestro ha ordinato di stare insieme”. E a me, non al capo nostro,
lo dicevano. Ma Simone ha risposto: “Dio vede il fine dell’atto e perdonerà.
E il Maestro perdonerà, perché questo è amore”, e mi ha benedetto e
baciato e mandato dietro di Te, come quel giorno che Tu andasti con
Cusa oltre il lago». (Vedi Vol 7 Cap 464)
«E allora Io di questa colpa non ho da assolverti...».
«Perché è troppo grave?».
«No. Perché non esiste. Torna qui, Giovanni, al fianco del tuo Maestro e
ascolta la lezione. Bisogna saper applicare gli ordini con giustizia e
discernimento, sapendo comprendere lo spirito dell’ordine, non soltanto le
lettere che compongono l’ordine. Io ho detto: “Non dividetevi”. Ti sei
diviso e perciò avresti peccato. Ma prima Io avevo detto: “State uniti
di corpo e di spirito, soggetti a Pietro”. Con quelle parole Io ho eletto lui mio
legittimo rappresentante fra voi, con facoltà piena di giudicare e di comandare
su voi. Perciò, quanto Pietro ha fatto o farà in mia assenza, sarà ben fatto.
Perché, avendolo Io investito del potere di guidarvi, lo Spirito del
Signore, che è in Me, sarà anche con lui e lo guiderà nel dare quegli ordini
che le circostanze impongono e che la Sapienza suggerirà all’Apostolo capo
per il bene di tutti. Se Pietro ti avesse detto: “Non andare” e se tu fossi
ugualmente venuto, neppure il movente buono del tuo atto - il volermi seguire
per amore che vuol difendere ed essere con Me nei pericoli - sarebbe stato
sufficiente ad annullare la tua colpa. Ci sarebbe proprio voluto il mio
perdono. Ma Pietro, il tuo Capo, ti ha detto: “Va”. L’ubbidienza a lui ti
giustifica completamente. Ne sei persuaso?».
«Sì, Maestro».
«Devo assolverti dalla colpa di presunzione? Dimmi, senza riflettere se
Io vedo il tuo cuore. Hai tu presunto con superbia di volermi imitare per
poter dire: “Colla mia volontà ho abolito le necessità della carne, perché io
posso ciò che voglio”? Pensaci bene...».
Giovanni riflette. Poi dice: «No, Signore. Esaminandomi bene no, non l’ho
fatto per questo. Speravo poterlo fare perché ho capito che la penitenza è
sofferenza della carne, ma è luce dello spirito. Ho capito che è un mezzo
di fortificare la nostra debolezza e ottenere tanto da Dio. Tu lo fai per questo.
Io per questo lo volevo fare. E credo di non errare dicendo che, se lo fai Tu
forte, Tu potente, Tu santo, io, noi, lo dovremmo fare sempre, se sempre
fosse possibile farlo, per essere meno deboli e materiali. Ma non l’ho potuto
fare. Ho sempre fame io, e sonno tanto...», e il pianto riprende a gocciare
lento, umile, vera confessione della limitatezza delle capacità umane.
«Ebbene, anche questa piccola miseria della carne credi tu che sia stata inutile?
Oh! come te la ricorderai in futuro, quando sarai tentato ad essere severo ed
esigente coi tuoi discepoli e fedeli! Essa ti riaffiorerà alla mente dicendoti:
“Ricordati che tu pure hai ceduto alla stanchezza, alla fame. Non volere gli
altri più forti di te. Sii padre dei tuoi fedeli come il tuo Maestro fu un padre
per te quella mattina”. Tu avresti potuto benissimo vegliare e non sentire poi
questa gran fame. Ma il Signore ha permesso che tu soggiacessi a questi bisogni
della carne per farti umile, sempre più umile e sempre più compassionevole ai
tuoi simili.
Molti non sanno distinguere fra tentazione e colpa consumata. La prima è una
prova che dà merito e non leva grazia, la seconda è caduta che leva merito e
grazia. Altri non sanno distinguere fra eventi naturali e colpe, e si fanno scrupolo
di aver peccato mentre, ed è il tuo caso, non hanno che ubbidito a leggi naturali
buone. Distinguo, dicendo “buone”, le leggi naturali dagli istinti sfrenati. Perché
non tutto ciò che ora si dice “legge di natura” è tale ed è buona. Buone erano
tutte le leggi connesse alla natura umana, che Dio aveva date ai progenitori:
il bisogno del cibo, del riposo, della bevanda. Poi, col peccato, sono subentrati
e si sono mescolati alle leggi naturali, inquinando con la smoderatezza
ciò che era buono, gli istinti animali, le sregolatezze, le sensualità d’ogni specie.
E Satana ha tenuto vivo il fuoco, il fomite dei vizi col suo tentare.
Ora lo vedi che, se non è peccato cedere al bisogno di riposo e di cibo, è
invece peccato la gozzoviglia, l’ebrietà, l’ozio prolungato. Anche il bisogno
di coniugarsi e procreare non è peccato, anzi Dio ha dato l’ordine di farlo
per popolare la Terra di uomini. Ma non è più buono l’atto del
congiungimento per sola soddisfazione del senso. Sei persuaso anche
di questo?».
«Sì, Maestro. Ma allora dimmi una cosa. Coloro che non vogliono
procreare, peccano ad un ordine di Dio? Tu dicesti una volta che lo stato
di vergine è buono».
«È il più perfetto. Come è il più perfetto quello di chi, non pago di fare
buon uso delle ricchezze, se ne spoglia del tutto. Sono le perfezioni
alle quali può giungere una creatura. E gran premio avranno. Tre sono
le cose più perfette: la povertà volontaria, la castità perpetua, l’ubbidienza
assoluta in tutto ciò che non è peccato.
Queste tre cose rendono l’uomo simile agli angeli. E una è
perfettissima: dare la propria vita per amore di Dio e dei fratelli.
Questa cosa rende la creatura simile a Me, perché la porta all’assoluto
amore. E chi ama perfettamente è simile a Dio, è assorbito e fuso con Dio.
Sta’ dunque in pace, mio diletto. Non c’è colpa in te. Io te lo dico. Perché
dunque aumenti il tuo pianto?».
«Perché una colpa c’è sempre. Quella di aver saputo venire da Te per
bisogno e aver saputo vegliare per fame, e non per amore. Non me lo
perdonerò mai. Non mi accadrà più. Non dormirò più mentre Tu soffri.
Non ti dimenticherò dormendo mentre Tu piangi».
«Non impegnare il futuro, Giovanni. La tua volontà è pronta, ma ancora
potrebbe essere sopraffatta dalla carne.
E ne avresti profondo e inutile avvilimento se poi ti sovvenissi di questa
promessa fatta a te stesso, non mantenuta poi per fralezza di carne. Guarda.
Io ti dico ciò che devi dire per essere in pace, qualunque cosa ti avvenga.
Di’ con Me: “Io, con l’aiuto di Dio, propongo, per quanto mi sarà possibile,
di non più cedere alle pesantezze della carne”. E sta’ fermo in questo volere.
Se poi un giorno, pur non volendolo, la carne stanca e afflitta vincerà la
tua volontà, ebbene, allora come ora dirai: “Riconosco di essere un povero
uomo come tutti i miei fratelli, e ciò mi serva per tener mozzo il mio orgoglio”.
Oh! Giovanni, Giovanni! Non è il tuo sonno innocente quel che può darmi
dolore! Tieni. Queste ti riconforteranno del tutto. Le dividiamo insieme,
benedicendo chi me le ha offerte», e prende le mele ormai cotte e bollenti,
e ne dà tre a Giovanni e tre le tiene per Sé.
«Chi te le ha date, Signore? Chi è venuto da Te? Chi sapeva che qui eri?
Io non ho sentito voci né passi. Eppure, dopo la prima notte, ho sempre
vegliato...».
«Sono uscito alla prima luce. Vi erano fasci di legna davanti l’entrata e
sopra pane, formaggi e mele. Non ho visto nessuno. Ma solo alcuni
possono aver avuto desiderio di ripetere un pellegrinaggio e un gesto
d’amore...», dice lentamente Gesù.
«È vero! I pastori! Lo avevano detto: “Andremo nella terra di Davide...
Sono giorni di ricordi...”. Ma perché non si sono fermati?».
«Perché! Hanno adorato e...».
«E hanno compatito. Adorato Te e compatito me... Sono migliori
di noi quegli uomini».
«Sì. Hanno serbato buona, sempre più buona la loro volontà. Per loro
non fu danno il dono che Dio ha loro dato...». Gesù non sorride più.
Pensa e si fa triste.
Poi si scuote. Guarda Giovanni, che lo guarda, e dice: «Ebbene?
Vogliamo andare? Non sei più sfinito?».
«No, Maestro. Non sarò molto resistente, credo, perché ho le
membra indolenzite. Ma credo che posso camminare».
«E allora andiamo. Va’ a prendere la tua sacca, mentre Io raccolgo
gli avanzi nella mia, e andiamo. Prenderemo la via che va verso il
Giordano per evitare Gerusalemme».
E al ritorno di Giovanni si rimettono in cammino, rifacendo la via fatta
nel venire e allontanandosi per la campagna che si riscalda al mite sole
decembrino.
(M.Valt. 539: La perfezione spiegata a Giovanni di Zebedeo
che si è accusato di colpe inesistenti.)
MANE NOBISCUM, DOMINE