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martedì 21 giugno 2016

San Luigi Gonzaga, Religioso gesuita

San Luigi Gonzaga Religioso
Nell’autunno del 1585 a Castiglione delle Stiviere e dintorni, fino a Mantova, girava una strana voce: Luigi, il nobile rampollo primogenito del signore della città Ferrante Gonzaga, così bravo e così promettente per il futuro della dinastia, stava per rinunciare al diritto di successione, in favore di Rodolfo, il secondogenito. Era vera la voce? Putroppo sì, ma molti sudditi speravano di no. E invece, un brutto giorno nel castello di San Giorgio, a Mantova, ebbe proprio luogo la solenne cerimonia della rinuncia alla primogenitura. Grande fu il dolore della popolazione semplice, che già lo stimava.
Dicevano infatti: “Non eravamo degni d’averlo per padrone... egli è un santo e Dio ce lo ha tolto”.
Grande dolore (mista a delusione e... rabbia) da parte del padre: aveva posto tutta la propria fiducia e il futuro della propria casata in quel ragazzo... che ora voleva andarsene, per inseguire i suoi strani ideali, abbandonando tutto, potere e lusso, onori e ricchezze, ambizione e gloria. Non riusciva ancora a capire, e tanto meno ad accettare. Comprensibile invece la gioia di Rodolfo, il soggetto privilegiato dalla decisione: d’improvviso e senza colpo ferire si vedeva spalancata la porta che tanto sognava: diventare marchese e signore di Castiglione delle Stiviere, con annessi diritti e connessi privilegi. E questo grazie a quello “strano” fratello, Luigi, che una volta gli rispose essere lui stesso quello più felice. Per inciso: la storia ci dirà che dopo non molti anni l’uno finirà sugli altari (fu dichiarato Beato nel 1605 dal Papa Paolo V), l’altro invece consumerà i suoi giorni scomunicato e infine assassinato.
Per la verità, si era levata anche qualche voce critica verso quella decisione. Ma Luigi aveva risposto:
“Cerco la salvezza, cercatela anche voi! Non si può servire a due padroni... È troppo difficile salvarsi per un signore di Stato!”.
E molti capirono il messaggio.
Luigi, quando prese questa decisione, aveva 17 anni. E così, il 4 novembre 1585, si incamminò verso Roma, dove sarebbe entrato nella giovane Compagnia di Gesù (i Gesuiti). Con sé portava una lettera del padre al Superiore Generale dell’Ordine:
“Lo mando a Vostra Signoria Rev.ma che gli sarà Padre più utile di me... Ella diviene padrone del più caro pegno che io abbia al mondo e della principale speranza che io avessi nella conservazione di questa mia casa”.
Questo ci dà la misura della grandissima stima e aspettative da parte di tutti, di cui godeva Luigi Gonzaga, e, date le sue doti, del brillante avvenire che tutti sognavano per lui.
Grande stima, ammirazione e aspettative lo accompagneranno in quei pochi anni che visse da gesuita.
Dopo la sua morte il padre Generale testimoniò:
“Io non pensai mai che dovesse morire di quella infermità, perché ritenevo per certo che Dio Nostro Signore l’avesse chiamato alla Compagnia di Gesù per dargli a suo tempo il governo di lei, per suo gran bene”.
Un’aspettativa non certo da poco: lo vedeva già, a suo tempo, superiore generale ovvero successore del grande Ignazio di Loyola, il fondatore stesso dei Gesuiti.


Nelle corti, per “aprire gli occhi”

Luigi nacque il 7 marzo 1568, figlio di Ferrante Gonzaga, marchese di Castiglione delle Stiviere (presso Mantova), un uomo orgoglioso e duro, dedito al gioco ma anche attaccato alla famiglia ealla fede, e da Marta di Sàntena, una contessa piemontese, donna molto buona e religiosa che lascerà una profonda influenza sul figlio. Luigi era di intelligenza brillante e aperta, dal carattere forte e focoso, talvolta ostinato e duro. Una volta fu udito affermare: “Sono un pezzo di ferro contorto che deve essere raddrizzato”. Aveva il destino già segnato: diventare marchese imperiale come il padre. E così fin da bambino fu gradualmente fatto entrare in quel mondo nobile e dorato, spesso corrotto e corruttore, dove non di rado regnava il culto dell’effimero e dell’apparenza, il tutto condito di banalità e vanità. Luigi, ancora fanciullo, conobbe la vita di corte di Firenze (1578, con i Medici) dove ebbe la possibilità di giocare con le principessine Eleonora (futura duchessa di Mantova) e con Maria de’ Medici (futura regina di Francia), a Mantova e poi anche a Madrid, alla corte di Filippo II (1582).
Fu all’età di dieci anni che Luigi, nella chiesa dell’Annunziata proprio a Firenze, si offrì a Dio, e spontaneamente “si consacrò a Maria, come Lei si era consacrata a Dio”. Capiva quello che faceva? Certamente, giudicando dalla vita che condusse dopo: intuiva bene il significato del gesto e fu sempre coerente con esso. Intanto cresceva sempre più non solo il gusto della preghiera e della meditazione ma anche una certa insofferenza per quel mondo circostante ricco e gaudente, frivolo e futile nonché, spesso, spiritualmente vuoto.
Luigi si era proposto come ideale di seguire Cristo incondizionatamente e per amore suo anche la povertà. Da Firenze passò a Mantova, e qui si ammalò. I medici gli ordinarono una dieta durissima, a pane e acqua. Luigi approfittò della situazione per imparare volontariamente a... fare penitenza, per amore a Cristo Crocifisso. Qui poi ebbe la consolazione di fare la prima comunione dalle mani del Card. Carlo Borromeo (San), in visita pastorale.
Intanto il mondo di corte gli stava sempre più stretto, ne intuiva i limiti umani e spirituali, e anche i pericoli per sé, e così a poco a poco stava maturando il proposito di rinunciare alla primogenitura. Ne parlò prima alla madre, poi dovette sopportare le burla dei parenti e la inevitabile quanto comprensibile violenta opposizione del padre. Questi era fiero di Luigi: ne voleva fare un grande erede e la fortuna del marchesato. Le premesse di intelligenza, cultura e capacità diplomatiche c’erano (cose che mancavano al fratello). Ferrante Gonzaga era furioso solo alla prospettiva della rinuncia.
Tornati da Madrid (1584) ordinò ai due figli di fare un giro di cortesia per le varie corti italiane. L’obiettivo ufficiale era “distrarre” un po’ Luigi, con un’altra vita di corte magari più brillante, e, secondo motivo nemmeno troppo segreto, la speranza che incrociasse gli sguardi e suscitasse l’interesse di qualche bella principessa di sangue blu. Il ragazzo fu quindi spedito a Mantova, a Parma, a Ferrara, a Pavia e a Torino, fresca capitale (dal 1563) dei Savoia.
Ma Luigi al ritorno, anche davanti a tutto il parentado, fu irremovibile nel suo proposito: rinuncia al marchesato per farsi religioso gesuita. A quel punto pensarono, tristemente sospirando, che la vocazione di quel ragazzo così intelligente e riflessivo, così calmo ma deciso, veniva proprio da Dio, e non era un capriccio adolescenziale. E si rassegnarono.


Il motto: “Come gli altri”, cioè senza privilegi

Luigi entrò nella Compagnia di Gesù nell’anno 1587, a Roma, dopo il noviziato. Durante questo periodo i padri Gesuiti si accorsero subito di avere tra le mani un vero gioiello spirituale. Non solo non aveva bisogno di tutti i discorsi di stampo ascetico, ma il loro problema era di moderare ed equilibrare l’ardore penitenziale che era già patrimonio spirituale del soggetto che dovevano formare. E si crearono anche situazioni al limite dell’umorismo. Luigi era così abituato alla penitenza e all’autocontrollo ascetico che i suoi formatori non trovarono di meglio che proibirgli di... fare penitenza. Con il risultato che per lui la vera penitenza era non fare penitenza.
E siccome soffriva di emicrania il padre spirituale gli consigliò di non pensare troppo intensamente a Dio, con il risultato che doveva sforzarsi maggiormente per obbedire... di non pensare a Dio, per amore di Dio. Confidava ad un suo formatore anziano:
“Veramente io non so che fare. Il padre rettore mi proibisce di fare orazione, acciò che con l’attenzione io non faccia violenza alla testa: ed io maggior forza e violenza mi fo, mentre cerco di distraèr la mente da Dio che io tenerla sempre raccolta in Dio, perché questo già per l’uso mi è quasi diventato connaturale, e vi trovo quiete e riposo e non pena”.
Dio gli era così presente che giunse a pregare: “Allontanati da me, Signore”. Non so quanti santi hanno osato pregare così, escludendo San Pietro, ma questi aveva detto le stesse parole per altri ben noti motivi.
Luigi era già impegnato negli studi di teologia quando sulla città di Roma si abbatté un’immane tragedia: prima la siccità, poi la carestia, infine un’epidemia di tifo. Nell’opera di assistenza che i Gesuiti prestarono, fu presente anche lui: sempre a fianco dei malati, specialmente i più ripugnanti e i moribondi. Girava anche per i palazzi dei nobili a chiedere l’elemosina per quei poveracci. Lo faceva seguendo, lui di sangue nobile, il motto: “Come gli altri”, dimenticando cioè tutti i privilegi. Questo coraggio e questa forza, anche fisica, sentiva che gli veniva da Dio stesso e dal Cristo che lui serviva nei sofferenti. Fino a quando raccolse un moribondo, malato di peste, e se lo caricò sulle spalle per portarlo all’ospedale. Probabilmente fu contagiato proprio in quella circostanza.
La sua fine comunque arrivò velocemente ma non inaspettatamente. All’incontro con Dio era preparatissimo e anche la morte non gli faceva paura tanto che a tutti diceva “Me ne vado felice” e alla stessa madre, nell’ultima lettera, raccomandava di non piangere il proprio figlio come morto ma come vivente e per sempre felice davanti a Dio. Il giorno della sua nascita al cielo fu il 21 giugno 1591, assistito da San Roberto Bellarmino, uno dei grandi Gesuiti della prima ora. Luigi Gonzaga fu un martire non della fede (anche se ne aveva tanta) ma della carità, fino a donare la propria vita per il prossimo
Come si vede da questi piccoli tratti, qui la stoffa del giovane santo, secondo tutti i canoni della santità cristiana, è facilmente riconoscibile e proponibile. Invece non fu così. 
Nel clima anticlericale dell’800 (e anche del primo ’900) la sua santità non solo non fu riconosciuta ma fu ostacolata. In un certo senso ha fatto testo la frase del Gioberti (1801-1852) che aveva scritto essere la santità del Gonzaga “inutile e dannosa a imitarsi”. Invece, escludendo alcuni elementi (forse un po’ esagerati) propri del suo carattere e del tempo in cui visse, i tratti salienti della sua santità hanno un grande valore e sono proponibile anche ai giovani di oggi, così bisognosi di veri e sostanziosi modelli da imitare, e non di effimeri, superficiali e piccoli “eroi” creati ad hoc dall’onnipotente circo mediatico e commerciale.

Autore: Mario Scudu


Dalla LETTERA ALLA MADRE

Io invoco su di te, mia Signora, il dono dello Spirito Santo e consolazioni senza fine. Quando mi hanno portato la tua lettera, mi trovavo ancora in questa regione di morti. Ma facciamoci animo e puntiamo le nostre aspirazioni verso il cielo dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi...
La carità consiste, come dice San Paolo, nel “rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto”. Perciò, madre illustrissima, devi gioire grandemente perché per merito tuo, Dio mi indica la vera felicità e mi libera dal timore di perderlo.
Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando le bontà divine, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto.
O illustrissima Signora, guardati dall’offendere l’infinita bontà divina, piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita.
La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza, godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità dell’anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro ed inviolabile e per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremo.
Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o illustrissima signora e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione, mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze. Ho preferito scriverti perché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro l’amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre.

PREGHIERA di Papa Giovanni Paolo II

San Luigi, povero in spirito a te con fiducia ci rivolgiamo benedicendo il Padre celeste perché in te ci ha offerto una prova eloquente del suo amore misericordioso. Umile e confidente adoratore dei disegni del Cuore divino, ti sei spogliato sin da adolescente di ogni onore mondano e di ogni terrena fortuna. Hai rivestito il cilizio della perfetta castità, hai percorso la strada dell’obbedienza, ti sei fatto povero per servire Iddio, tutto a lui offrendo per amore.
Tu, puro di cuore, rendici liberi da ogni mondana schiavitù. Non permettere che i giovani cadano vittime dell’odio e della violenza; non lasciare che essi cedano alle lusinghe di facili e fallaci miraggi edonistici. Aiutali a liberarsi da ogni sentimento torbido, difendili dall’egoismo che acceca, salvali dal potere del Maligno.
Rendili testimoni della purezza del cuore.
Tu eroico apostolo della carità ottienici il dono della divina misericordia che smuova i cuori induriti dall’egoismo e tenga desto in ciascuno l’anelito verso la santità.
Fa’ che anche l’odierna generazione abbia il coraggio di andare contro corrente, quando si tratta di spendere la vita, per costruire il Regno di Cristo.
Sappia anch’essa condividere la tua stessa passione per l’uomo, riconoscendo in lui, chiunque egli sia, la divina presenza di Cristo.
Con te invochiamo Maria, la Madre del Redentore.
A lei affidiamo l’anima e il corpo, ogni miseria ed angustia, la vita e la morte, perché tutto in noi, come avvenne in te, si compia a gloria di Dio, che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.

domenica 21 giugno 2015

SAN LUIGI GONZAGA


La vita del santo


Luigi non era solo un paggetto grazioso e fragile, orante e penitente, ma un giovane intelligente, ricco di sensibilità e di forza, per reagire all'eredità dei Gonzaga: avarizia, insensibilità, sete di potere... 
Il secolo di Luigi è segnato dall'eresia di Lutero e Calvino. La "nuova era di rigenerazione" (Vasari) convive con materialismo e razionalismo; operano Raffaello e Michelangelo, Ariosto e Tasso; risuonano le note di Monteverdi e di Pier Luigi da Palestrina.

Vedremo come Luigi sa reagire: prega e ama i poveri, si rende conto della corruzione di corte, è capace di difendere il suo cattolicesimo, di svergognare un vecchio signore che teneva discorsi pornografici...Sa rimproverare il principino don Diego, che pretendeva di comandare al vento...

Nelle sue scelte è guidato da grandi ideali! I suoi genitori - Ferrante Gonzaga e Marta Tana di Sàntena, piemontese - si conoscono alla corte di Filippo II e si sposano a Madrid il 15 novembre 1566, secondo le norme del concilio di Trento. Luigi nasce il 9 marzo 1568, con un parto difficile; è battezzato il 20 aprile a Castiglione: certificato in latino! Ferrante è fiero del suo erede. La madre, donna di cultura e di fede, lo educa alla preghiera e alla carità. Luigi cresce vispo e birichino. Il padre gli regala un'armaturina leggera e lui nel 1573, a Casalmaggiore, fa l'ufficiale e spara il cannone...Due anni prima, lo stendardo oro-azzurro della Lega santa aveva trionfato a Lepanto...
Lontano da mamma Marta, Luigi prega di meno e dice "parolacce militari".
Nel 1577-78, insieme al fratello Rodolfo, Luigi passa col padre a Bagni di Lucca ed è poi accolto alla corte di Francesco de' Medici a Firenze. Fa progressi in latino e spagnolo. Nel giardino di Palazzo Pitti gioca con le principessine Eleonora, Anna e Maria.

Ma Firenze matura Luigi: davanti alla santissima Annunziata si consacra alla Madonna. Il precettore lo conduce da un confessore gesuita, e lui sviene in San Giovannino, ripensando alle "parolacce"...
Nel 1579 Ferrante, eletto principe del Sacro Romano Impero, preferisce che i figli rientrino a Castiglione, ove Luigi, il 22 luglio 1580 riceve la prima comunione dal cardinale Carlo Borromeo. Ormai la vita di Luigi segue gli Esercizi spirituali di sant'Ignazio.
Intanto Ferrante è incaricato da Filippo II di accompagnare a Lisbona sua sorella Maria d'Austria, vedova di Massimiliano II. Dal 1581 Luigi vive a Madrid. La sua vocazione si precisa. Il 29 marzo 1583 terrà un suo discorsetto in latino davanti al re. Ma il 15 agosto 1583, davanti alla Madonna del Buon Consiglio nella chiesa del collegio della Compagnia di Gesù, Luigi è certo che il Signore lo vuole gesuita...

Marta è contenta. Ferrante oppone grosse difficoltà. Luigi è convinto, ma accetta di rimandare la decisione al ritorno in Italia. Nel 1584 a Castiglione, Luigi scappa da casa, scrive al Padre generale Acquaviva... Finalmente Ferrante cede, e il 2 novembre 1585, Luigi firma a Mantova l'atto di rinunzia al marchesato.
Lunedì 4 novembre dalla bruma mattutina spunta il sole, la carrozza attraversa il Po a San Niccolò, l'esodo di Luigi è segnato da "grande allegrezza".

Luigi arriva a Roma: forse il 20 novembre 1585. Suo cugino, monsignor Scipione Gonzaga, lo ospita nel palazzetto di via della Scrofa 117 (dal 9 novembre 1991, una lapide ne ricorda il passaggio). Da una lettera di Ferrante, sappiamo che Luigi il 23 novembre fu ricevuto da Sisto V, domenica 24 passò al Gesù per la messa, poi lunedì 25 entrò nel noviziato di Sant'Andrea al Quirinale. Il suo cuore gustò pace e gioia...

Dopo un breve soggiorno a Napoli per ragioni di salute, Luigi è trasferito al Collegio Romano per concludere gli studi di filosofia. Il 25 novembre 1587, nella cappella del quarto piano, pronuncia i primi voti religiosi. Spesso pregherà nella chiesa dell'Annunziata (poi assorbita nella vasta chiesa di Sant'Ignazio).
Luigi passa alla teologia, domanda le missioni dell'India. Nel 1588 riceve gli ordini minori in San Giovanni in Laterano. Il 12 settembre 1589, su consiglio del Padre Bellarmino e del Padre Acquaviva, Luigi va a riappacificare suo fratello Rodolfo con il duca di Mantova. Un suo discorso sull'eucarestia porta molta gente alla confessione. Nel ritorno, entusiasma gli studenti di Siena parlando della sequela generosa di Cristo-Re. Nel febbraio 1591 scoppia a Roma un'epidemia di tifo petecchiale e Luigi è fra i primi volontari. Il 3 marzo trasporta un appestato all'ospedale della Consolazione.

Subito un febbrone lo avvolge e lo avvia alla morte, vero "martire di carità"...L'ultima lettera alla madre lo rivela carico di fede...Il 21 giugno 1591, Luigi ha maturato un grande ideale, "giunge a riva di tutte le sue speranze".

Ricordiamo inoltre il Comune di Castiglione delle Stiviere, per i quattro cortei storici in costume (1988-1991), con cinquecento comparse. L'anno 1991 fu coronato dalla visita carismatica di Giovanni Paolo II.

"Luigi è passato dall'egoismo alla protesta, dalla protesta alla proposta, dalla proposta alla socialità, dalla socialità alla carità".

Di lui Paolo VI disse nel marzo 1968: "Luigi concepì la sua esistenza come un dono da spendere per gli altri"; infine le parole di Giovanni Paolo II nel giugno 1991: "Il Padre misericordioso ha concesso a Luigi d'immolare la sua giovinezza in un servizio eroico di carità fraterna".

Tratto da I Santi nella Storia, edizioni Paoline


Preghiera a San Luigi


1. Preghiera di Papa Giovanni Paolo II

S.Luigi, povero in spirito a te con fiducia ci rivolgiamo benedicendo il Padre celeste perché in te ci ha offerto una prova eloquente del suo amore misericordioso. Umile e confidente adoratore dei disegni del Cuore divino, ti sei spogliato sin da adolescente di ogni onore mondano e di ogni terrena fortuna. Hai rivestito il cilizio della perfetta castità, hai percorso la strada dell’obbedienza, ti sei fatto povero per servire Iddio, tutto a lui offrendo per amore.
Tu, puro di cuore, rendici liberi da ogni mondana schiavitù. Non permettere che i giovani cadano vittime dell’odio e della violenza; non lasciare che essi cedano alle lusinghe di facili e fallaci miraggi edonistici. Aiutali a liberarsi da ogni sentimento torbido, difendili dall’egoismo che acceca, salvali dal potere del Maligno.
Rendili testimoni della purezza del cuore.
Tu eroico apostolo della carità ottienici il dono della divina misericordia che smuova i cuori induriti dall’egoismo e tenga desto in ciascuno l’anelito verso la santità.
Fa’ che anche l’odierna generazione abbia il coraggio di andare contro corrente, quando si tratta di spendere la vita, per costruire il Regno di Cristo.
Sappia anch’essa condividere la tua stessa passione per l’uomo, riconoscendo in lui, chiunque egli sia, la divina presenza di Cristo.
Con te invochiamo Maria, la Madre del Redentore.
A lei affidiamo l’anima e il corpo, ogni miseria ed angustia, la vita e la morte, perché tutto in noi, come avvenne in te, si compia a gloria di Dio, che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.



Festività


9 marzo - ricordo della nascita (9.03.1568)
21 giugno - ricordo della morte (21.06.1591)

lunedì 1 giugno 2015

CUORE SACRATISSIMO DI GESU', ABBI PIETA' DI NOI !



  • Alma en pecado mortal con siete vicios capitales

  • Alma en gracia de Dios practicando a las virtudes


El Sagrado Corazòn de Jesùs



Alma en Gracia Santificante de Dio



  • Alegoría al Sagrado Corazón de Jesús


COR JESU SACRATISSIMUM
 MISERERE NOBIS



COR JESU SACRATISSIMUM
 MISERERE NOBIS

COR JESU SACRATISSIMUM
 MISERERE NOBIS


COR JESU SACRATISSIMUM
 MISERERE NOBIS


COR JESU SACRATISSIMUM, MISERERE NOBIS


Il Sacro CUORE di Gesù
con sant' Ignazio di Loyola e san Luigi Gonzaga



COR MARIAE IMMACULATUM
INTERCEDE PRO NOBIS

venerdì 21 giugno 2013

SAN LUIS GONZAGA, San Luigi Gonzaga


SAN LUIS GONZAGA,
DE LA COMPAÑÍA DE JESÚS
Día 21 de junio


P. Juan Croisset, S.J.

Este glorioso Santo, príncipe de la casa de Mantua,
tan ilustre por el desprecio que hizo de las
grandezas del mundo como por la inocencia de su
vida, fue hijo de Fernando, marqués de Castellón, y de
Marta de Tana, de las mejores familias de Quiers en el
Piamonte. Hallóse ésta tan apurada en el parto de
nuestro Santo que llegaron á desahuciarla los médicos;
pero apenas ofreció á la Virgen el fruto que tenía en sus
entrañas, cuando le dio á luz con toda felicidad el día 9
de Marzo de 1568. Bautizáronle de socorro luego que
nació, y pocos días después se le puso el nombre de Luis
por su padrino y deudo muy cercano Guillermo, duque de
Mantua, cabeza de la casa de Gonzaga.
Persuadida la piadosa marquesa de Castellón á que
la primera obligación de una madre es dar á su hijo la
mejor educación, luego que vio á Luis capaz de alguna,
tomó de su cuenta el darle ella misma la más piadosa y
la más cristiana. Desde luego se conoció que no
necesitaba de muchas instrucciones la bella índole del
niño, cuyo aire, cuyas inclinaciones, y cuya natural
propensión á la virtud, desde entonces le merecieron el
renombre de ángel.
El marqués, soldado de profesión y de genio,
observando la viveza de su hijo, se persuadió que se
inclinaba á las armas, y á los cinco años de edad le llevó
consigo á Casal. Mostraba Luis grande gusto en los
ejercicios militares, y en esto lisonjeaba mucho el de su
padre; pero al niño le hubo de costar cara aquella
marcial inclinación; porque habiendo cargado él mismo
una pieza de campaña que estaba en la muralla, y
habiéndola dado fuego incautamente, faltó poco para
que, al retroceder la cureña, no le hubiese hecho
pedazos la violencia de las ruedas. Ni fue éste el único
peligro que corrió. Con el trato de los soldados se le
pegaron algunas palabras demasiadamente libres; pero
apenas fue reprendido por su ayo, cuando las miró con
mayor horror; y, aunque las había dicho sin entender su
significado, ésta fue la mayor culpa que cometió en toda
la vida, llorándola amargamente en toda ella, y haciendo
rigurosa penitencia.

Al paso que Luis crecía en edad, iba también
creciendo en juicio y en virtud. Entregóse tan totalmente
á Dios desde la edad de siete años, que asegura el
cardenal Belarmino era ya su vida perfecta en aquella
tierna edad. Tenía ya desde entonces sus devociones
arregladas, en cuyo cumplimiento era tan exacto, que se
observó no haber faltado ni una sola vez á ellas, aun en
tiempo que por espacio de diez y ocho meses le
debilitaron unas molestas cuartanas. Enamorado el
marqués del juicio y de las grandes prendas de su hijo,
no omitió medio alguno de cuantos pudiesen conducir á
cultivarlas y á darle una educación digna de su
nacimiento. Llevóle á la corte del gran duque de Toscana,
estrecho amigo suyo; y aunque el aire de la corte suele
ser tan contagioso, singularmente para la juventud, nada
alteró la inocencia de nuestro Luis. Hizo en Florencia
asombrosos progresos en el camino de la perfección
reduciéndose todas sus diversiones á la oración y al
estudio. Desde entonces hizo propósito de no jugar en su
vida á juego alguno, y jamás le quebrantó. Creció tanto
su fervorosa devoción á la Santísima Virgen, que á los
nueve años hizo voto de perpetua castidad. En la
observancia de esta virtud era excesiva su delicadeza.
Nunca permitió que le vistiese ni le desnudase su ayuda
de cámara, y desde aquella edad se impuso la ley de no
mirar jamás á la cara á mujer alguna.


Desde la corte de Florencia pasó á la del duque de
Mantua, su cercano pariente; y, en vez de deslumbrarle
aquel nuevo teatro del esplendor y de la grandeza de su
casa, allí fue donde resolvió dejar al mundo. Sirvióle de
pretexto la falta de salud para salir de la corte y
restituirse á casa de sus padres. Pasando por ella San
Carlos Borromeo, descubrió y admiró los tesoros de
gracia y de perfección que encerraba el alma de aquel
santo niño; exhortóle á que cuanto antes comulgase por
la primera vez; encargóle que después lo repitiese con
frecuencia, y le dio otros muchos consejos espirituales
que el joven príncipe tuvo gran cuidado de poner en
práctica. No es fácil explicar la tierna devoción y los
fervorosos afectos con que aquella inocente alma recibió
por primera vez á Jesucristo; inflamado el semblante, y
bañados sus ojos en dulces lágrimas, daban testimonio
del divino fuego que abrasaba aquel tierno corazón. Por
toda su vida fue la devoción al Santísimo Sacramento la
más sobresaliente de todas sus devociones, pasando
horas enteras en su presencia al pie de los altares.
Aplicábase ya entonces al estudio de las letras; pero éste
no debilitaba ni distraía el espíritu interior, que tenía
cuidado de fomentar con el rigor de la penitencia. No
parece podía subir más de punto el santo odio que se
tenía á sí mismo, ni que podía juntarse mayor inocencia
con mayor austeridad. Ayunaba tres días á la semana, y
muchos á pan y agua. Sus penitencias pudieran
acobardar á los religiosos más austeros. Muchas veces se
notaba salpicado de su inocente sangre hasta el techo de
su cuarto; no pocas era su cama la desnuda tierra; por no
tener cilicios se aplicaba á sus delicadas carnes un cinto
cuajado de estrellitas de espuelas; nunca se arrimaba al
fuego, ni aun en el mayor rigor del invierno, y algunas
noches se levantaba medio desnudo, pasando así muchas
horas en oración.


Enviáronle á la corte de Felipe II, donde desde luego
se hizo admirar su anticipada madurez y su elevada
santidad tanto como en todas partes. Parece que el
Señor como que se complacía en irle mostrando á varias
cortes de Europa, para convencer con su ejemplo que la
virtud no está reñida con alguna condición, y que la
inocencia puede y debe acompañarse con todas las
edades. Hallándose en España, tomó la resolución de
abrazar el estado religioso. Los grandes ejemplos de
virtud, de observancia, de desprendimiento del mundo
que había notado en los PP. Capuchinos y en los
Barnabitas, durante su residencia en Casal, y aquel
espíritu de penitencia y de recogimiento interior que
admiraba en los Carmelitas Descalzos, le inclinaron algo
al principio á entrar en alguna de estas sagradas
religiones; pero al fin se resolvió á entrar en la Compañía
de Jesús, por cuatro ó cinco razones que él mismo
declaró. Primera: Porque, siendo más reciente su
instituto, por precisión se había de conservar en su
primitivo fervor. Segunda: Por el voto que en él se hace
de no admitir dignidades eclesiásticas. Tercera: Porque
en él se enseña á la juventud virtud y letras. Cuarta:
Porque los jesuitas se dedican, por su instituto, á la
conversión de los herejes y de los gentiles en todas las
partes del mundo. A estas cuatro razones añadía otra, y
era la particular devoción que había observado se
profesaba á la Santísima Virgen en la Compañía; lo que
confesaba no haber contribuido poco á determinar esta
elección. Juntóse á todo esto, que un día de la Asunción
de esta gloriosa Reina á los Cielos, después de haber
comulgado, le pareció haber percibido clara y
distintamente una voz, articulada por el hermoso
simulacro de la Soberana Reina que con el título del Buen
Consejo se venera en el colegio imperial de Madrid, que
le intimaba entrase en la Compañía. Pero la gran
dificultad era conseguir la licencia y el consentimiento de
sus padres.


No hubo acaso vocación más examinada, ni mejor
probada. Pusiéronse en ejecución, para desviar á Luis de
su piadosa resolución, cuantos medios pudo sugerir la
reflexión á su elevado nacimiento, la circunstancia de
primogénito, la ternura de sus padres y las lágrimas de
sus vasallos. Lleváronle de propósito por las cortes de los
príncipes de Italia; dispúsose que le hablasen personas
constituidas en dignidad para disuadirle de que se
hiciese religioso; pero todo fue en vano, hasta que el
mismo marqués, su padre, después de una repulsa
demasiadamente seca y desabrida que le dio,
encontrándole un día postrado á los pies de un Crucifijo,
con unas crueles disciplinas en la mano, bañado en
lágrimas y sangre, para conseguir de Dios lo que los
hombres se obstinaban en negarle, atónito y enternecido,
no menos que temeroso de resistir más tiempo á una
vocación tan descubierta, se rindió en fin á los santos
deseos de su hijo, aunque quiso que, antes de ponerlos
en ejecución, pasase á Milán á terminar algunos
negocios de familia. Mostró en el manejo de ellos su gran
capacidad, y faltó poco para que esto mismo le
perjudicase, sirviendo de nuevo embarazo á sus intentos;
porque, prendado el marqués de la destreza con que
había dado dichoso fin á unas dependencias tan graves
como espinosas, no se pudo resolver á dejarle partir, y
así le dijo á su vuelta de Milán: Mucho te engañaste si
creíste que yo consentiría en tu determinación; pensarás
en eso cuando tengas veinticinco años, y en este
supuesto puedes tomar tus medidas. Sobrecogido Luis al
oír una resolución tan inesperada, se arrojó á los pies del
marqués, y con aquella ingenuidad que siempre le
ganaba los corazones de todos, le dijo: No permita Dios,
amado padre y señor, que yo me aparte jamás de vuestra
voluntad; en todo y por todo seréis siempre obedecido.
Sólo os suplico tengáis á bien os represente que
Jesucristo me llama á su compañía; si vos no me permitís
entrar en ella, ciertamente os oponéis á la voluntad de
Dios. Hicieron impresión estas palabras en el corazón del
marqués; echóle los brazos al cuello, bañóle con sus
lágrimas, y teniéndole abrazado por un rato, sin poder
articular palabra, al cabo rompió en estas voces: Hasme
abierto, hijo mío, una herida en mi corazón, que manará
sangre por mucho tiempo; yo te amo y tú lo mereces;
tenía fundadas en ti todas las esperanzas de la familia;
pero, pues estás tan cierto de que Dios te llama á su
compañía, ya no te detengo: ve, hijo mío, donde te llama
el Señor. Acabando de decir estas palabras, se retiró el
marqués, deshaciéndose en amargo llanto. Tampoco dejó
de enternecerse un poco nuestro Luis; pero inundado, por
otra parte, de gozo, se postró delante de un Crucifijo, y
renovó su sacrificio. Partió luego á Mantua, donde hizo la
renuncia del marquesado en favor de su hermano
Rodulfo, con licencia del Emperador, y, despedido de sus
padres y parientes, se encaminó á Loreto. En aquella
santa capilla corrió, por decirlo así, libremente su
devoción y su ternura á la Santísima Virgen,
desahogándose el corazón en inflamados afectos y en
lágrimas de amor. Allí renovó el voto de castidad,
después de haber comulgado; y consagrándose de nuevo
á la Madre de Dios, partió para Roma donde recibida la
bendición del Sumo Pontífice, y habiendo visitado á los
cardenales parientes suyos, entró en el noviciado el año
de 1585, no habiendo aún cumplido los diez y ocho de su
edad, y habiendo arribado ya á una elevada perfección.
Los rápidos y extraordinarios progresos que hizo en
aquella escuela de virtud asombraron á los más
perfectos. 

Desde luego se impuso una inviolable ley de
observar con la última exactitud y puntualidad hasta las
más menudas reglas. No era difícil, ni apenas posible,
que subiese más de punto la observancia. Nada tuvieron
que hacer los superiores, sino moderar su fervor, y poner
límites á los deseos de hacer grandes penitencias. La
mayor falta que cometió en los dos años de noviciado fue
haber levantado los ojos y mirado á su hermano, que
estaba comiendo junto á él en la misma mesa. Ninguno
olvidó más perfectamente que él á su pueblo y á la casa
de sus padres. Vino un vasallo suyo á empeñarle en cierto
negocio, y le respondió que, como había dos años que
estaba muerto al mundo, ya no tenía en él ni crédito ni
poder. El santo odio y desprecio de sí mismo no podía ser
mayor. Cualquiera señal de distinción que se hiciese con
él, era para Luis una verdadera pesadumbre. Jamás se
excusó ni se disculpó, aunque tuviese mil razones, para
hacerlo; y llegó á tener escrúpulo de que sentía
demasiada complacencia en ser reprendido. Era
exquisito el gusto que experimentaba en los ejercicios
más humildes y más repugnantes; tanto, que juzgó se
debía acusar de lo mucho que había contentado á su
amor propio, yendo por las calles de Roma con un vestido
vil y pidiendo limosna.

Del mismo principio nacía aquel perfecto
desasimiento de todas las cosas, y aquel espíritu de
pobreza que le hizo verdadero discípulo de Jesucristo. Un
libro encuadernado con alguna curiosidad, un rosario
menos común, y dos sillas en su aposento, eran alhajas
que lastimaban su delicadeza; ni jamás fue posible
hacerle admitir un mueble de bien poca consideración
que le envió su madre, la marquesa, juzgando que tenía
mucha necesidad de él; y costó gran trabajo reducirle á
que recibiese dos estampas de papel, una de Santo
Tomás de Aquino, y otra de Santa Catalina, por la
particular devoción que profesaba á estos Santos.

Notábase siempre en él una igualdad y una tranquilidad
inalterable; la que singularmente se reconoció en la
muerte de su padre, que sucedió poco tiempo después
que entró en la Compañía. Sabíase el tierno amor que le
profesaba, y con todo eso apenas mostró otro sentimiento
que levantar los ojos al Cielo y dar gracias á Nuestro
Señor de que en adelante podría decir sin estorbo y á
boca llena: Padre nuestro, que estás en los Cielos.
Como tenía tan puro el corazón, continuamente
estaba en la presencia de Dios, sin perderle jamás de
vista. Dando cuenta de su conciencia, dijo con ingenuidad
que en el espacio de seis meses sólo se había distraído, á
su parecer, como por el tiempo de un Avemaria.
Temiendo el superior que los grandes dolores de cabeza
que padeció toda la vida fuesen efecto de su intensa
aplicación á la oración, le suspendió este ejercicio por
algún tiempo; pero fue peor el remedio que la
enfermedad. No sé qué hacer, decía el Santo con gracia;
mandadme que no piense en Dios, por que no me haga
daño á la cabeza, y me lo hace mucho mayor el trabajo
que me cuesta el no pensar. Casi desde la cuna tuvo un
don de oración muy elevado, siendo Dios su principal y
aun su único Maestro. Cuando el célebre cardenal
Belarmino daba el ejercicio á los hermanos estudiantes
del colegio, en tocando ciertos preceptos ó reglas de
meditación, solía decir: Ésto lo aprendí de nuestro Luis.
Tenía tan mortificados todos sus sentidos, que
parecía haber casi perdido el uso de ellos. Frecuentaba
muchas veces alguna pieza ó algún sitio, y no podía dar
señas de él; sólo hacía reflexión á lo que comía, para
escoger lo que era más ingrato al paladar; dé manera,
que la mortificación era siempre la salsa de su comida.
Era tan detenido en el hablar, que tocaba la raya de
escrúpulo su circunspección; mas no por eso dejaba de
ser muy divertida su conversación, ni le faltaba una sal
muy delicada para sazonarla. Juzgando los superiores
que diría bien á su salud el aire de Nápoles, le enviaron
allá para acabar los estudios, cuya aplicación en nada
entibió su fervor. 

Como era de un ingenio pronto,
delicado y perspicaz, sobresalió mucho en ellos; y
obligado á defender conclusiones públicas al fin de sus
estudios, le persuadía su humildad á que de propósito se
mostrase ignorante, y hubo menester toda su docilidad y
rendimiento para sujetarse en esto á su director y á su
maestro. Mereció en aquella función los aplausos de todo
el Colegio Romano, y no tuvo poco que padecer su
modestia.


Pocos meses después que volvió á Roma, se suscitó
cierta diferencia entre su hermano Rodulfo y el duque de
Mantua sobre la sucesión al señorío de Solferino, con
cuya ocasión se vio precisado el Padre general á enviarle
á Castellón. Recibíanle en todas partes como á un ángel
venido del Cielo, y la marquesa su madre, luego que le
vio, se sintió movida de cierta especie de veneración, que
sin libertad la hizo poner las rodillas en tierra; tanto fue
el respeto y tan grande el concepto que formó de la
santidad de su hijo. Siempre que salía de palacio se
encontraba con una multitud de gente, formada en dos
alas, que le llenaba de bendiciones y se deshacía en
tiernas lágrimas; y cuando se retiraban todos á su casa,
decían: Ya hemos visto al Santo. No obstante lo irritado
que estaba el duque de Mantua con el marqués de
Castellón, y en medio de hallarse los ánimos
sobradamente encendidos, apenas los habló este ángel
de paz cuando se compusieron las diferencias;
restituyesele al marqués el señorío de Solferino, y quedó
más sólida y estrechamente arraigada que nunca la
amistad entre los dos príncipes. Nunca se vio
reconciliación más sincera, y desde luego se calificó por
uno de los primeros milagros de San Luis.
Ni fue éste el único que obró durante su estancia en
Mantua y en Castellón. Fueron pocos los señores de las
dos cortes que no se moviesen y no se reformasen con la
conversación del joven jesuíta. Obligóle el rector del
colegio de Mantua á que hiciese una plática doméstica á
la comunidad; y él la hizo sobre la caridad, con tanto
fervor y con tanta emoción, que todos quedaron muy
edificados. Antes de salir de Castellón pidió la marquesa
á los superiores que obligasen á Luis á que predicase á
sus vasallos; hízolo, con un prodigioso concurso y con
fruto tan copioso, que al acabarse el sermón se
confesaron más de setecientas personas, y se
consideraron como otros tantos milagros las muchas
conversiones que se siguieron.

No teniendo ya que hacer en Castellón, recibió
orden de pasar á Milán para continuar sus estudios; pero,
luego que llegó, se halló con otra del General en que se
le mandaba restituirse á Roma. Obedecióle con el mayor
gusto, y más habiéndosele dado á entender en la
oración, con no sé qué cierta seguridad, que se acercaba
el fin de su vida. Aunque toda ella había sido una
continua preparación para la muerte, en este último año
redobló su fervor. Hízose tan tierno y tan encendido su
amor á Dios, que, sólo con oírle nombrar, sensiblemente
se le alteraba é inflamaba el semblante. Cualquiera
rasgo, cualquiera expresión afectuosa que oyese en la
lectura del refectorio, bastaba para obligarle á
interrumpir la comida, haciendo tal impresión en su
pecho, que no la podía contener sin que se explicase en
dulces lágrimas por los ojos. Con sólo ver una estrella ó
una flor crecían sus incendios. Teníase gran cuidado en
las conversaciones de evitar ciertas voces algo más
afectuosas y expresivas, por excusarle una alteración que
podía perjudicar gravemente á su salud. Los mismos
efectos producía su tierna devoción á la Santísima
Virgen; y siempre que comulgaba se quedaba como
extáticamente arrebatado.

Afligida por este tiempo toda la Italia con una
enfermedad popular, se refugiaron á Roma todos los
pobres de las cercanías, y fue aquella ciudad doloroso
teatro de la misma triste miseria. Distinguióse mucho en
aquella ocasión la caridad de los Padres de la Compañía;
porque, además de su asistencia á todos los hospitales
de la ciudad, erigió ella uno á su costa, en el cual el
mismo Padre general servía á los enfermos. Imitaron este
ejemplo todos los jesuitas del Colegio Romano y de la
casa profesa; pero se hizo distinguir entre todos el fervor
de nuestro Luis. No fue posible moderar su caridad y su
celo; pero aunque se le procuró contener y libertar,
destinándole á un hospital donde sólo se recogían los
enfermos que estaban fuera de peligro, quiso la Divina
Providencia que la caridad consumiese aquella preciosa
víctima. Habíase llevado el contagio á muchos jesuitas, y
no perdonó á nuestro Santo. Apenas se sintió tocado,
cuando no pudo disimular su alegría; tanto, que hizo
escrúpulo de ella y consultó al Padre San Roberto
Belarmino si habría alguna culpa en regocijarse tanto con
la muerte, ó si en esto se podría esconder algún artificio
del amor propio. Como desde luego se descubrió violenta
la enfermedad, pidió con instancia se le administrasen
los sacramentos, y los recibió con tanta serenidad y con
tanta devoción, que sacó las lágrimas á todos los
circunstantes. Acordóse entonces de que varías veces le
habían dicho que á la hora de la muerte había de tener
escrúpulo de sus excesivas penitencias, y suplicó al Padre
rector asegurase á todos que este punto no le daba el
más mínimo cuidado, y que sólo sentía no haber podido
conseguir licencia de los superiores para hacer muchas
más. Declinó después su enfermedad en una calentura
ética, que parece sólo le dilató algo más de vida para
que nos dejase más ejemplos de virtud, y para que con
los nuevos trabajos acaudalase mayores merecimientos.
Oyendo decir que las enfermedades epidémicas que
reinaban iban degenerando en peste, pidió licencia al
Padre general para hacer voto de asistir á los apestados,
si Dios le diese salud; y, obtenido el permiso, hizo el voto
con nuevo fervor.


Los cardenales de la Rovera y Gonzaga, sus
parientes, que le visitaban con frecuencia, no acertaban
á separarse de él, y salían siempre con el corazón
penetrado de dolor, y sensiblemente movidos con la
devota impresión que hacían en todos sus palabras. No
pudiendo disimular el consuelo que sentía su alma de
verse morir jesuita, todas las veces que le visitaba el
cardenal Gonzaga le repetía las gracias por los buenos
oficios que le había hecho para allanar las dificultades
que se oponían á su vocación. Tenía siempre en la mano
un crucifijo, y una imagen de la Santísima Virgen delante
de los ojos. Habiendo recibido un expreso de la
marquesa, su madre, la escribió despidiéndose de ella en
términos tan tiernos y tan fervorosos, que se deshacían
en lágrimas cuantos leyeron la carta. Dijéronle después
que los médicos sólo le daban ocho días de vida, y fue
tanto su gozo, que rogó á los que se hallaban en su
aposento le ayudasen á rezar el Te Deum en acción de
gracias al Señor por una noticia tan alegre. Vínole á
visitar un Padre, y luego que le vio exclamó como
transportado: Marchamos, Padre mío, y marchamos con
alegría. Tres días antes de morir se puso sobre el pecho
un crucifijo, y con semblante risueño repetía sin cesar
aquellas palabras del Apóstol: Deseo ser desatado, y
estar con Jesucristo. Aunque no se reconocía novedad
alguna en su enfermedad, dijo positivamente, con su
acostumbrada y natural alegría, que aquella noche
moriría. Recibió la bendición apostólica in artículo mortis,
que le envió Su Santidad, y quiso también que le
volviesen á administrar los sacramentos, después de los
cuales pidió le leyesen la recomendación del alma con
las últimas oraciones de la Iglesia, cuya postrera función
enterneció y movió tanto á los circunstantes, que todos se
querían recomendar en las del mismo moribundo. En fin,
el jueves por la noche, 21 de Junio de 1591, en que aquel
año cayó la octava del Corpus, entregó dulcemente su
dichoso espíritu en manos del Criador, á los veintitrés
años, tres meses y once días de su edad, y á los seis de
su entrada en la Compañia.

Cuando se divulgó por Roma que había muerto San
Luis Gonzaga, excitó esta noticia en los ánimos de todos
aquellas impresiones de admiración, de devoción y de
respeto que de ordinario suele causar la muerte de los
justos. Resonaba en todas partes de la ciudad esta voz
general: Murió el Santo. Concurrían todos á besarle los
pies y las manos, solicitando alguna reliquia suya. Fue
tan grande el concurso á su entierro, y tanto el tropel de
los que se abalanzaban á besarle los pies ó á tocar por lo
menos el féretro, que fue preciso interrumpir muchas
veces el Oficio. En fin, enterróse el santo cuerpo en la
iglesia del Colegio Romano, dedicada á la Anunciación, y
desde luego comenzó Dios á manifestar la santidad de su
siervo por los muchos milagros que obró por su
intercesión, haciendo célebre y gloriosa su sepultura.
Siete años después, con aprobación del Sumo Pontífice,
fue su santo cuerpo sacado de la tierra; y, colocado en
una caja de plomo, se metió en el grueso de la pared de
la misma capilla de la Virgen. Treinta años después, el de
1621, le beatificó el papa Gregorio XV, permitiendo á los
religiosos de la Compañía que rezasen de él el día 21 de
Junio, que fue el de su muerte. El de 1691 fueron
trasladadas con gran solemnidad sus preciosas reliquias
á la magnífica capilla, de la misma iglesia, que el
marqués de Escipion Lanceloto hizo fabricar en honor del
Santo, y es reputada por una de las más ricas y más
brillantes de Roma. 

Finalmente, el último día del año de
1727, el papa Benedicto XIII le canonizó poniéndole en el
catálogo de los santos.

El autor de la Vida de Santa Magdalena de Pazzis
asegura que el día 4 de Abril del año 1600, estando la
Santa en uno de sus acostumbrados éxtasis, comenzó á
exclamar de repente, con uno como especie de
entusiasmo: «¡Oh qué gloria es la de Luis, hijo de Ignacio!
Nunca la hubiera creído, si no me la hubiera mostrado el
Señor. Digo que Luis es un gran Santo. Tenemos muchos
Santos en la Iglesia que no creo estén tan elevados.
Quisiera poder ir por todo el mundo para decir que Luis,
hijo de Ignacio, es un gran Santo; y quisiera poder
mostrar la gloria de que goza, que fuese glorificado el
mismo Dios fue elevado á grado tan sublime, porque trajo
una vida interior. ¿Quién pudiera explicar el valor y el
precio de la vida interior? No hay comparación de la vida
interior á la exterior. Mientras Luis vivió acá abajo,
siempre tuvo fijos los ojos en el divino Verbo. Luis fue
mártir oculto; porque el que os conoce, Dios mío, os
conoce tan grande y tan amable, que es un verdadero
martirio ver que no os ama tanto como desea amaros, y
que, lejos de ser amado de las criaturas, seáis ofendido.
Fue también mártir, porque él mismo se atormentó
mucho. ¡ Oh cuánto amó Luis en el mundo! Por eso goza
ahora de Dios en el Cielo con una plenitud de amor.
Cuando estaba en esta vida mortal, continuamente
lanzaba flechas de amor al corazón del Verbo; ahora que
está en el Cielo, vuelven estas flechas hacia el mismo
corazón, y se mantienen clavadas en él, porque los actos
de amor y caridad que hacía entonces le causan una
extremada alegría». Dichas estas palabras enmudeció la
Santa por un rato, teniendo fijos los ojos en el Cielo, y
después exclamó: «Yo quiero aplicarme á ayudar a las
almas, para que, si alguna de las que ayudare fuere al
Cielo, ruegue á Dios por mí, como lo hace Luis por todos
aquellos que le hicieron este beneficio».

La Misa es en honra de San Luis Gonzaga, y la
oración la siguiente:

¡ Oh Dios, repartidor de los dones celestiales, que
juntaste en el angelical joven Luis una grande inocencia
de alma con una maravillosa mortificación de su cuerpo!
Concédenos, por su intercesión y por sus merecimientos,
que imitemos en la penitencia por nuestras culpas al que
no hemos imitado en la inocencia de la vida. Por Nuestro
Señor, etc.

La Epístola es del cap. 31 de la Sabiduría, 

REFLEXIONES

Bienaventurado aquel que no corrió tras el oro ni
esperó en los tesoros del dinero. Hasta la felicidad de
esta vida es herencia únicamente de los pobres
evangélicos, porque de los ricos que ponen su confianza
en sus tesoros nunca se apartan los cuidados, los
desasosiegos, los temores, los sustos, las inquietudes y
las zozobras. ¡Qué mayor prueba que la avaricia! Ella
hace vivir y morir, como si se padeciera la mayor
necesidad. El avariento parece pobre, y efectivamente lo
es; porque, ó ya le hurte sus bienes un ladrón, ó ya le
prive el uso de ellos su insaciable pasión, aunque los
principios de la pobreza sean diferentes, los efectos
siempre son los mismos. Al avariento no le aprovechan
más sus tesoros que al pobre su indigencia. Se puede
decir que el avariento tiene el dominio de sus bienes sin
gozar el usufructo. ¡Qué digno de compasión es el que
está tiranizado de tan vergonzosa pasión! Parece que hay
en eso cierta especie de fascinación ó de encanto. ¡Tan
irracional y tan servil es el ciego amor que el avariento
profesa á su tesoro, y el furioso apego de su corazón á él!
Es menester que la muerte arranque el alma del cuerpo
para que su corazón se desprenda del dinero. ¡ Qué vicio
tan vergonzoso para un hombre que tenga no más que un
poco de honor, cuanto más para un cristiano que por su
misma religión está obligado á no tener más apego á los
bienes de la tierra que si no los poseyese! Pero si, á lo
menos, abriese los ojos un avariento y se hiciese más
racional, considerando el ridículo papel que representa
en el mundo, no sería sin remedio su enfermedad; pero
enfermos de esta especie, pocas esperanzas dan de
sanar. No hay pasión menos dócil; como se cría en la
oscuridad, envilece el corazón y abate el espíritu;
acostumbrada á ser objeto del desprecio, se la da poco
de las risibles escenas que representa.


El Evangelio es del cap. 22 de San Mateo.

En aquel tiempo, respondiendo Jesús, dijo á los
saduceos: Erráis no entendiendo las Escrituras ni el poder
de Dios. Porque, en la resurrección, ni los hombres ni las
mujeres se casarán, sino que serán como los ángeles de
Dios en el Cielo. Y en orden a la resurrección de los
muertos, no habéis leído lo que Dios afirmó, diciéndoos:
Yo soy el Dios de Abraham, y el Dios de Isaac, y el Dios
de Jacob? No es Dios de los muertos, sino de los que
viven. Oyendo esto las turbas, admiraban su doctrina.
Pero los fariseos, sabiendo cómo había hecho callar á los
saduceos, se juntaron; y uno de ellos, doctor en la ley, le
preguntó para tentarle: Maestro, ¿cuál es el grande
mandamiento en la ley? Respondióle Jesús: Amarás al
Señor tu Dios con todo tu corazón, con toda tu alma y con
todo tu espíritu. Este es el mandamiento máximo y el
primero. El segundo es semejante á éste: Amarás á tu
prójimo como á ti mismo. De estos dos mandamientos
pende toda la ley y los profetas.


MEDITACIÓN
De la inocencia.

PUNTO PRIMERO.—Considera que no hay cosa más
preciosa que la inocencia; en ningún tiempo la hay más
delicada, en ninguno más frágil, y se puede añadir que
tampoco la hay más rara en nuestros días. Nada hay que
se deba conservar con mayor cuidado y vigilancia, y nada
á que se apliquen menos precauciones para conservarse.
Tenemos este tesoro en vasos de tierra; es una luz que un
leve soplo la apaga; sin ella nos quedamos en tinieblas.
La inocencia es la que da lustre y valor á todos los demás
talentos. La hermosura y el mérito de la inocencia se ha
de conocer por los tristes efectos y por la fealdad del
pecado. ¿Qué es el nacimiento ilustre? ¿Qué son las
riquezas? Todas las conveniencias del mundo, todas las
prendas imaginables del alma y cuerpo, nada son sin
aquel bello realce. Los grandes nombres, los títulos
pomposos, las altas dignidades, los empleos elevados,
las clases distinguidas; considera todo esto en un ataúd ó
en un nombre que ya murió. Más vale un perro vivo que
un león muerto, dice el Eclesiástico. El alma inocente y
pura, no comoquiera es grata á los ojos de Dios, sino que
la quiere, la ama, la admite á que tenga parte en sus
gracias y favores; y como la ennoblece la gracia
santificante, el precio de la sangre y de los méritos de
Jesucristo es verdaderamente estimable, enriqueciéndola
aquel mismo fondo que colma de bienes y de alegrías á
los bienaventurados en la Gloria.


PUNTO SEGUNDO.—Considera lo poco que se estima
este precioso tesoro, cuando se le arriesga tan sin temor,
y se pierde tan sin dolor. ¿Considérase hoy la inocencia
como una gala de mucho valor? ¿Consérvase con mucho
cuidado esta piedra preciosa? Y si alguna vez se pierde,
¿se hacen prontas y exquisitas diligencias para
recobrarla? ¡ Ah, todos convienen, todos asientan que
ninguna cosa corre más peligro en el mundo que la
inocencia. ¿Pero qué se hace para conservarla? O por
mejor decir, ¿qué no se hace para perderla? No se ignora
que el mundo está lleno de enemigos de la inocencia;
que en él todo es escollos, todo lazos; y, en medio de eso,
á todo se expone el alma sin defensa ni precauciones.
Sábese que no hay cosa más delicada; confiésase que el
aire del mundo es contagioso; pero ¿qué preservativos se
aplican contra el contagio? Expónense todos á las
concurrencias mundanas: córrese á los espectáculos;
pero ¿se vuelve á casa con la inocencia que se sacó de
ella? A vista de objetos á cual más tentadores; en medio
de tantos peligros, entre golpes de viento tan furiosos,
ninguna caída! ¡ningún tropiezo! ¡ningún naufragio! ¡Ah,
Señor, qué ceguedad, qué desdicha! ¡Y luego nos
admiraremos de que sea tan rara la inocencia, de que
sea tan universal la corrupción de las costumbres, de que
el número de los escogidos sea tan corto!
¡Dios mío, qué digno de compasión es el que no
conoce su infelicidad ! Pero ¡ cuánto más infeliz será el
que está mirando con ojos serenos su misma perdición!
Esta ha sido hasta aquí mi suerte, divino Salvador mío;
dignaos de olvidar mis maldades, perdonadme mis
pecados; restituidme por vuestra misericordia la preciosa
estola de la inocencia, y no permitáis que jamás la vuelva
á perder.


JACULATORIAS

Borrad, Señor, mis pecados, restituidme la
inocencia, y purificadme cada día más y más.—Ps. 50.
Criad, Señor, en mí un nuevo corazón limpio y puro, y
renovad aquel espíritu recto con que caminaba á Vos en
otro tiempo.—Ibid.

PROPÓSITOS

1. No hay cosa más preciosa que la inocencia, pero
tampoco la hay más frágil ni más delicada. Es un tesoro
en vasos de tierra, como dice el Apóstol; una flor que el
aire marchita, un espejo que le empaña un vapor. Nunca
fue el mundo abrigo de la inocencia; es su aire
contagioso. Presto desaparece una piedra preciosa que
no está bien guardada. Luego se marchita una flor que no
se defiende del aire; dura poco un espejo que anda en
manos de todos. Guarda bien este tesoro; ten gran
cuidado de que no te le hurten; consérvale con diligencia;
tenle bien encerrado. Es decir, vela continuamente, está
siempre alerta contra las sorpresas de los sentidos. La
inocencia sólo se conserva huyendo de las ocasiones, con
la oración y con la vigilancia. Desengañémonos; es
presunción, es locura querer conservar la inocencia en
medio del contagio y de los peligros.


2. De cualquiera condición y de cualquiera edad
que seas, te es indispensablemente necesaria la
mortificación si has de conservar la inocencia. Sin esta
sal, se puede decir que se corrompe el corazón. Todos los
santos practicaron el ayuno, y es indispensable á todos
los fieles. La primera y la más necesaria mortificación de
todas son los ayunos que prescribe la Iglesia; nunca te
dispenses en ellos sino con clara necesidad. El ayunar los
sábados en honor de la Santísima Virgen es una devoción
muy saludable, y ninguna penitencia considerable hagas
sin su consejo. No dejes pasar día alguno sin alguna
mortificación corporal.