Ti rendo anche
grazie, mio Dio, per un’altra visione non meno gradita che utile con la quale mi
facesti conoscere con quanta pazienza Tu sopporti i nostri difetti, pur di
vederci emendati e farci un giorno partecipi della tua beatitudine.
Una sera mi ero
adirata, e la mattina seguente prima che facesse giorno, avendo avuto agio di
darmi all’orazione, Tu mi apparisti sotto un
aspetto insolito, come una persona estenuata di forze e priva di ogni
soccorso.
Poiché mi rimordeva la
coscienza per la caduta del giorno prima, cominciai a riflettere con dolore che
indegna cosa fosse l’offendere Colui che è la santità e la pace seguendo
l’impulso di una passione viziosa. E pensai che sarebbe stato meglio, anzi
giunsi persino a desiderare, che Tu non fossi venuto in quell’ora (in quell’ora
soltanto però!) in cui avevo il rimorso di non aver resistito al nemico che mi
spingeva a sentimenti così contrari alla tua santità.
Ma ecco la risposta che Tu mi
desti: «Come un malato che è riuscito a farsi portare ai raggi del sole si
consola al sopraggiungere improvviso di un temporale, con la speranza del pronto
ritorno del bel tempo, così Io, vinto dal tuo amore, voglio rimanere con te
anche durante le tempeste delle tue passioni, in attesa che il pentimento
riporti il sereno e ti diriga verso il porto dell’umiltà».
La mia lingua non vale ad
esprimere quale abbondanza di grazia la prolungata tua presenza mi abbia
elargito in quest’occasione! Possa supplirla, te ne prego, l’affetto del cuore,
e da quell’abisso di umiltà in cui mi ha attirato la degnazione dell’amor tuo,
m’insegni a far risalire verso la tua immensa misericordia la mia azione di
grazie.
13 – La custodia del cuore
Confesso ancora
al tuo amore, o Signore benignissimo, che anche in altro modo ti adoperasti per
scuotere il mio torpore. Ti servisti bensì dapprima dell’intermediario di un’
altra persona, ma poi compisti da solo l’opera tua con non minor degnazione che
misericordia.
Questa persona
mi fece osservare che i primi a trovarti appena nato, secondo la narrazione del
Vangelo, furono i pastori; e poi, da parte tua, mi disse che se desideravo
veramente trovarti anch’io dovevo vegliare sui miei sensi come i pastori
vegliavano sui loro greggi.
Non fui molto
soddisfatta del consiglio. Lo trovavo inopportuno per me, perché sapevo che Tu
mi inclinavi a servirti per amore e non già come un pastore mercenario serve il
suo padrone.
Continuai a ripensarci tutto
il giorno fino a Vespro con un senso di abbattimento spirituale, ed ecco che
dopo Compieta, essendomi raccolta in preghiera al mio solito posto, Tu
addolcisti con questo pensiero la mia tristezza: Una sposa può ben occuparsi di
dar da mangiare ai falconi del suo sposo senza per questo venir privata delle
tue carezze. Allo stesso modo anch’io se mi applicassi a custodir i miei sensi e
i miei affetti, certo non per questo verrei privata della dolcezza della tua
grazia.
Tu mi desti allora, sotto
forma di una verga di fresco recisa, lo spirito del timore, affinché non
allontanandomi mai neppure per un momento dalle tue braccia potessi, senza
danno, attraversare le impervie contrade in cui sogliono smarrirsi gli affetti
umani. Ed aggiungesti che se qualche cosa cercasse di far deviare i miei
affetti, sia destra per mezzo della gioia e della speranza, sia a sinistra col
dolore, il timore e la collera, subito mi servissi della verga del tuo timore e,
richiamato al mio cuore per mezzo del raccoglimento dei sensi quell’affetto, lo
penetrassi col calore della carità e te
l’offrissi in saporoso sacrificio così come ti si offrirebbe il sacrificio di un
agnellino appena nato.
Ahimè,ogni qualvolta da
allora, spinta dalla mia malizia, dalla mia leggerezza e dalla mia vivacità nel
parlare e nella’gire, ridavo la libertà a ciò che prima ti avevo offerto, sempre
ho avuto l’impressione di strappartelo per così dire di bocca per darlo al tuo
nemico. Eppure Tu, nel frattempo, continuavi a guardarmi con tanta serena bontà
come se, non sospettando neppure il mio tradimento, Tu pensassi che io lo
facessi per gioco.
Per tal via richiamasti
sovente il mio cuore a tanta dolcezza di commozione e di pietà, da farmi
persuasa che con nessuna minaccia avresti mai potuto indurmi a un desiderio di
correzione e a un proposito di emendazione altrettanto grande e
fermo.
14 – L’utilità della compassione
Una volta,
nella Domenica precedente la Quaresima (1) mentre si intonava la Messa «Esto mihi…Sii per me un luogo di rifugio», credetti di
intendere che, perseguitato e tormentato da molti tuoi nemici Tu mi chiedessi
con le parole di questo Introito di accoglierTi e di lasciarTi riposare nel mio
cuore. E per i tre giorni successivi, ogni qualvolta mi raccoglievo
internamente, mi pareva di vederti riposare sul mio petto come un povero
infermo. Non trovai in questi tre giorni nulla che potesse offriti un più alto
sollievo che il darmi per amor tuo alla preghiera, al silenzio e alla
mortificazione per la conversione di coloro che vivono secondo lo spirito del
mondo.
(1)
E cioè la Domenica di
Quinquagesima.
15 – Riconoscenza per la grazia
Nella tua bontà
ti degnasti rivelarmi con la luce della tua grazia che l’anima, finché rimane
nel fragile involucro del corpo, si trova avvolta come in una nube, così come
una persona racchiusa in un’angusta stanza sarebbe da ogni parte circondata dal
vapore che in essa si producesse. Quando però il corpo viene colpito da qualche
male, attraverso al membro paziente si infiltra nell’anima come un raggio di
sole che mirabilmente la rischiara. Quanto più il male è esteso e grave, tanto
più chiaro è il raggio di luce che inonda l’anima. Le ferite che il cuore
incontra nell’esercizio dell’umiltà, della pazienza e simili, sono quelle che,
toccando l’anima più profondamente e più da vicino, le apportano maggior copia
di luce. Sovra ogni altra cosa però la rasserena e la rischiara la pratica delle
opere di carità.
Grazie ti siano
rese, o Amico degli uomini, di avermi in tal modo spesso attirata alla pratica
della pazienza. Ma, ahimè, mille volte ahimè, ben raramente e ben poco ho
corrisposto alla tua grazia e certo mai nel modo in cui avrei dovuto
corrispondervi! Tu conosci, o Signore, il mio dolore, la mia confusione e il mio
abbattimento al riguardo, e sai quanto il mio cuore desideri che altri supplisca
alle mie deficienze.
Un’altra volta
durante la Messa, mentre stavo per comunicarmi, avendomi Tu concesso di godere
del solito della tua presenza, io mi sforzavo di capire che cosa potessi fare
per ricambiare almeno in parte tanta tua degnazione. O Maestro sapientissimo:
«Desideravo essere io stessa anatema per i miei fratelli» (Rm 9,3).
Io avevo
ritenuto fino allora che, secondo quanto mi avevi lasciato credere, l’anima
risiedesse soltanto nel cuore. Tu mi insegnasti in quel momento che essa risiede
anche nel cervello cosa che poi ho trovata anche scritta, ma che prima non
sapevo. Mi dicesti dunque esser cosa di grande merito se l’anima, abbandonata
per amor tuo la dolcezza della fruizione affettiva, vigilasse alla custodia dei
sensi esterni e si affaticasse nelle opere di carità a salvezza del
prossimo.