Durante la Messa dei
defunti, mentre si cantava il Tratto «Sicut cervus: come il cervo», alle
parole «sitivit anima mea: la mia anima ha sete de te, ecc.» essa, per
scuotere la sua tiepidezza, disse al Signore: «Ahimè, Signore! Tu sei il
vero mio bene, eppure il mio desiderio di possederti è così tiepido che ben
raramente posso applicare a me questa parola: sitivit aniam mea ad te!».
e il Signore: «Ripetimi, non di rado, ma spesso che la tua anima ha sete di Me,
perché il mio misericordioso amore per la salvezza dell’uomo mi costringe a
ritenere che, qualunque cosa desiderino i miei eletti, sempre in realtà
desiderino Me che sono la fonte di questi beni, o qualche altro bene. Se un
uomo desidera per esempio la salute o la scienza o la sapienza o qualche
altro bene, Io per accrescere i suoi meriti riferisco a Me, che son la fonte di
questi beni, il suo desiderio. A meno che egli deliberatamente mi respinga,
come sarebbe se desiderasse la sapienza per vanagloria o la salute
per poter commettere il male». E il Signore aggiunse: «Perciò spesso Io visito
con l’infermità fisica o con la desolazione spirituale o altre afflizioni i
miei eletti: affinché cioè desiderino di conseguire detti beni per un fine
spirituale, e il geloso amore del mio Cuore possa ricompensarli secondo il
beneplacito della mia liberalità».
Un insegnamento
simile ricavò un’altra volta da un’ispirazione divina. Comprese cioè che il
Signore «cuius deliciæ filiis hominu,: la cui delizia è di stare con i
figli degli uomini» (Pr 8,31), quando non trova nulla in una creatura che la
renda degna della sua presenza, le manda delle tribolazioni e delle pene, sia
fisiche che spirituali, per avere l’opportunità di rimaner con lei secondo la
verace parola della Scrittura: «Juxta est Dominus his qui tribulato sunt
corde: il Signore è vicino ai tribolati di cuore» (Sal 33,19), e ancora: «Cum
ipso sum in tribulatione: io sono con lui nella tribolazione» (Sal
90,15).
Questa considerazione
riempie di affettuosa riconoscenza la creatura che, conscia della sua
piccolezza, grida insieme all’Apostolo con tutta la forza del suo amore: «O
altitudo divinarum sapientiæ et scientiæ Dei, quam incomprehensibilis sunt
judicia ejus, et investigabiles viæ ejus: o insondabile profondità
della sapienza e della scienza di Dio, come sono incomprensibili i suoi
giudizi e ininvestigabili le sue vie» (Rm 2,33).
Una notte le parve
che il Signore la visitasse in sogno con tanta dolcezza da sembrarle di esser
saziata dalla sua presenza come dai cibi più squisiti. Svegliatasi, ne
ringraziò il Signore dicendo: «Che cosa ho mai meritato, Signore, io
indegnissima più degli altri che Tu affliggi spesso con sogni così penosi, che
qualche volta spaventano con le loro grida anche i vicini?». Il Signore le
rispose: «Se coloro che la mia provvidenza paterna dispone di santificare con
la sofferenza cercano durante il giorno tutto ciò che può procurare il loro benessere
fisico (privandosi così di molte occasioni di merito) io nella mia paterna
misericordia mando loro delle pene nel sonno per dar loro, almeno così
occasione di qualche merito». «Ma Signore – essa disse – può forse esser loro
imputato a merito ciò che soffrono senza intenzione e anche contro il loro
volere?». E il Signore: «Nel mondo ci son delle persone che per adornarsi si
servono di perle di vetro e di gioielli di metallo vile; e ce ne sono poi altre
che invece si adornano di oro e di gemme preziose. Lo stesso avviene fra le
anime.»
Un giorno in cui
recitava le Ore canoniche con minore attenzione del solito, s’accorse ad un
tratto che le stava vicino l’antico nemico del genere umano che, quasi per
deriderla, recitava lui il resto del Salmo: Mirabilia testimonia tua
ecc. (Sal 118,128), smozzicando le parole. Quand’ebbe finito disse:
«Ha impiegato bene i suoi doni il tuo Creatore, il tuo Salvatore, il tuo Amico,
dandoti tanta facilità di parola! Sai sempre fare un bel discorso su qualunque
argomento ti piaccia, ma quando parli a Lui te la spicci così in fretta che in
questo solo salmo ti sei già mangiata tante lettere, tane sillabe, tante
parole». Comprese che se l’astuto nemico si era data pena di contare tutte le
lettere e tutte le sillabe saltate, era certamente perché dopo la nostra morte
egli intende farsi il grande accusatore di coloro che sogliono recitare in
fretta e distrattamente le Ore canoniche.
Un’altra volta,
mentre era intenta a filare con alacrità, raccomandando nello stesso tempo con
devota intenzione il suo lavoro al Signore, le accadde di buttar via alcuni
bioccoli di lana. Vide allora che il diavolo li raccoglieva, quasi a
testimonianza della sua negligenza. Essa invocò il Signore ed Egli scacciò il
demonio rimproverandolo di aver ardito di ingerirsi in un’opera che era stata
offerta a Lui.
Una volta, accesa di
più ardente amore per il suo Dio, disse al Signore: «O mio Signore, potrei in
questo momento pregarti?». Il Signore con bontà le rispose: «Sì, mia Regina e
mia Signora, puoi comandarmi, perché Io desidero esaudire le tue volontà e i
tuoi desideri con prontezza maggiore di quella che un servo attesta alla sua
padrona . Ed essa: «Non sia mai che io dubiti di questa tua parola di piissima
degnazione, o dio pieno di bontà. Come mai tuttavia la mia orazione speso non
ottiene alcun effetto, mentre Tu ti affermi così pronto ad esaudire la tua
indegnissima creatura?». Il Signore le rispose: «Supponi che la Regina, tutta
intenta al suo lavoro, dica al servo che sta dietro a lei: Dammi il
filo che pende dalla mia spalla sinistra(persuasa che sia così perché non
può vedere dietro a sé). Il servo, che vede il filo pendere dalla spalla destra
e non dalla sinistra, lo prende tuttavia dove lo trova e lo porge alla sua
padrona, e non pensa certo a togliere un filo a sinistra dalla veste della sua
padrona per eseguire il comando alla lettera. Così Io, nella mia inscrutabile
sapienza, se qualche volta non esaudisco le tue preghiere e i tuoi desideri
sempre però ne dispongo nel modo che vedo riuscirti più utile, anche se tu
nella tua umana debolezza non sai discernere cosa sia meglio per te».
AVE MARIA PURISSIMA!
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