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sabato 21 marzo 2015

21. Un uomo di luce

Dom Gérard, un uomo di luce

Fr. Étienne O.S.B.
[Il  28 febbraio 2015  si è celebrato il settimo anniversario della morte di Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), fondatore e primo abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux. Lo ricordiamo nelle preghiere e lo raccomandiamo a quelle dei lettori. Offriamo di seguito la testimonianza letta da fr. Étienne O.S.B. – uno dei primi monaci a seguire il fondatore nell’avventura monastica di Bédoin e poi di Le Barroux – il 3 marzo 2008, in occasione delle esequie di Dom Gérard. Testo comparso in Reconquête. Revue du Centre Charlier et de Chrétienté-Solidarité, n. 247-248, aprile-maggio 2008, pp. 9-10, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

Tutti quelli che hanno avuto l’occasione d’incontrare Dom Gérard sono rimasti sedotti dalla sua personalità luminosa, in cui dominava la benevolenza e la gioia. Una grande benevolenza verso le persone e una gioia sovrana, che non può venire che da Dio. Aggiungiamo, una meravigliosa libertà d’animo, come un dono del Cielo.
È d’altro canto ciò che mi aveva colpito sin dal mio arrivo a Bédoin, nell’estate 1977. Superando il portone d’ingresso del piccolo priorato, lo rivedo ancora con le braccia aperte ad accogliermi. Ebbi il vivissimo presentimento di essere in presenza di un uomo eccezionale, senza artifici, senza vanità, un uomo di luce e di libertà interiore.

Sì, Dom Gérard sapeva di essere l’erede di una grande tradizione monastica, fonte di civiltà. I punti d’appoggio del suo universo sono delle colonne incrollabili, e attraverso la Regola di san Benedetto e il suo amore per la santa liturgia, si comprendeva che abitavano quest’intelligenza una sapienza antica, una grande filosofia e lo splendore della verità. La fede era per lui una certezza così assoluta come la visione.

Nessuna mediocrità, né verso sé stesso, né verso gli altri: non la sopportava. Esigenze di rigore, di perfezione, di assoluto. Ugualmente, esigenze d’artista. Poiché tutti coloro i quali l’hanno conosciuto sanno che egli era per temperamento un artista, un artista di gran classe, un autentico creatore di eventi, che gioca con il mondo, l’universo, gli uomini e la materia, secondo i doni di Dio, la sua provvidenza e la sua grazia. Come André Charlier, il suo maestro, egli voleva“creare delle condizioni tali per cui l’anima possa fiorire”.

La sua opera, come un monumento sotto i nostri occhi, attesta la forza delle sue intuizioni e del suo genio creatore. Il nostro monastero si eleva nel cielo di Provenza con la sua chiesa abbaziale di grande nobiltà architettonica, la cui purezza e semplicità delle linee la rende degna delle chiese cistercensi. Ogni mattino, attraverso la luce delle finestre, i riflessi del sole vengono come a illuminare questo monumento di preghiere e a dargli tutto il suo significato. Questa sinfonia di luce sui marmi del santuario attorno all’altare, questo arcobaleno all’ora del santo sacrificio della messa, è stato Dom Gérard – artista – a volerlo.
Quest’uomo di desiderio (desiderio desideravi) energico, assoluto, si scontrava talora con le lentezze di questo mondo, con la pesantezza o la pigrizia degli uomini. Volentieri, allora, forzava i tempi e le situazioni, e soprattutto superava gli ostacoli con coraggio, spingendo gli avvenimenti, creando il miracolo al fine di agevolare, se possibile, il trionfo del Regno dei cieli nelle anime.

Gli sono state rimproverate alcune parole, taluni gesti profetici, ma ciò voleva dire dimenticare “che eravamo in tempo di guerra e di legittima difesa”; voleva dire dimenticare che ci sono delle verità essenziali che ogni battezzato ha il dovere di difendere; soprattutto voleva dire dimenticare che ci sono delle situazioni in cui “il credente si deve fare guerriero, obbligatoriamente, e che questa è la prima carità”.

Dom Gérard amava Cristo e la Chiesa; insensati tutti coloro che lo dubitano. Amava le anime e la Francia; tutta la sua vita lo prova. Ha fatto di tutto per ricostruire la cristianità e riconciliare, se possibile, gli uomini fra loro. Ahimè, nel 1988 ha fatto l’esperienza dello scacco e della sofferenza. Nella tempesta che agitava la Chiesa, avrebbe voluto evitare il naufragio di tanti fratelli e amici. Ma “quando vi è un’eclissi, tutto il mondo è nell’ombra”. Anche le vette delle montagne sono nell’ombra. Malgrado ciò, Dom Gérard non sopportava di essere nell’ombra. Se talora si nascondeva, era nella luce. “Pax in lumine” fu la sua scelta e il suo programma per i suoi figli nel chiostro. Li voleva erigere stabili, incrollabili al servizio della santa Chiesa, nella pace e nella luce, al di sopra, al di là degli avvenimenti e delle controversie in cui si affannavano le genti del secolo. “La luce è misericordiosa, la luce non condanna, essa chiarisce, trasforma…”“tutta la vita cristiana consiste nel trasformare la luce in amore”.

Personalmente, dopo più di trent’anni, rimango abbagliato dal canto virginale che si elevava  da quest’anima. Testimone dell’avventura di Bédoin e della fondazione di Le Barroux, conservo nel mio cuore come la purezza d’un canto mistico che è assai raro ascoltare. In questo, collego volentieri Padre Gérard alla grande scuola mistica degli antichi monaci, con san Gregorio di Nissa, sant’Agostino che egli amava tanto, san Bernardo e la sua teologia dell’immagine.

Dom Gérard era un contemplativo super attivo. Apparteneva assai più a quelli che aderiscono, piuttosto che a quelli che analizzano. Come san Bernardo, voleva entrare nella carità di Cristo crocifisso, risuscitato, glorificato. Per lui, “la vita interiore, è Cristo, l’uomo Dio, ed è tutto. Non occorre cercare null’altro: Cristo è Dio manifestato”.

Se Dom Gérard era come il cantore della cristianità, il poeta della grazia e della liturgia, il teologo della luce, egli rimarrà, per ciascuno dei suoi figli nel chiostro, un padre pieno di tenerezza e benevolenza, un padre affettuoso che c’insegnava in parole e in atti lo spirito d’infanzia, il Vangelo, l’abbandono, la confidenza in Dio.
La sua grazia particolare fu probabilmente questa gioia sovrana, questa trasparenza, questa capacità di meravigliarsi davanti al reale, alle opere di Dio e della creazione. Sapersi dimenticare nell’ammirazione è un dono di Dio assai raro. “Se volete essere felici – ci diceva –, occorre interiorizzare la vostra gioia, ed è il segreto di tutta una vita”.
Interiorizzare la propria gioia… ecco non soltanto un consiglio di vita spirituale che egli dava volentieri, ma una vera confidenza, e una confidenza essenziale per tutti quelli che desiderano conoscerlo. Senza volerlo, egli si dona a noi… “interiorizzare la propria gioia”. Tuttavia vi chiedo, cosa rimane in effetti della primavera della sua gioventù se non questa gioia così pura, così limpida, come un dono di Dio nella sua anima? Un dono di Dio e della Vergine Immacolata. “Per te Virgo”.

No, non credo di sbagliarmi dicendo che la Vergine Maria era la fonte profonda della gioia del suo cuore, e forse il segreto di questa vita così feconda. “Per te Virgo”, la sua divisa abbaziale, illumina l’intera sua vita come la stella del mattino in un cielo soleggiato d’oro. Sì, ci confidava, “il Cuore immacolato di Maria è un grande santuario”.
Dio viene a chiamare a sé l’anima di Dom Gérard. Voi, nostri amici e amici di Dom Gérard, ascoltate bene. Dio creatore del mondo ci ama oggi come il primo giorno della creazione. Dio ha creato i corpi e le anime per la sua gloria eterna. L’anima umana, quando abbandona il corpo, come un sole abbagliante, illumina con la sua partenza i giardini degli uomini. L’anima di Dom Gérard non cessa di abbagliarci.

Sì, nell’ora in cui Dio viene a chiamare a sé l’anima di Dom Gérard, preghiamo per lui, e ugualmente preghiamo con lui per tutte le grazie ricevute e per le grazie ancora da ricevere, se davvero come lui vogliamo stabilire il regno di Cristo Dio su questa terra.

AMDG et BVM

mercoledì 23 ottobre 2013

NOVISSIMI: morte giudizio inferno Paradiso



I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Novissimi



Data: Domenica, 05 agosto @ 08:06:38 CEST
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


1. Grande disgrazia è dimenticare i novissimi. 

2. Quanto è utile ricordarsi dei novissimi. 
3. Come dobbiamo ricordare i novissimi.





1. GRANDE DISGRAZIA È DIMENTICARE I NOVISSIMI. - I novissimi, cioè gli ultimi fini, sono la morte, il giudizio, il paradiso, l'inferno, 1'eternità. Dimenticare cose di tanta importanza, non prevederle, non prepararvisi, è la somma delle disgrazie che possa accadere ad un uomo. 

Infatti dimenticare la morte, vuol dire non pensare a prepararvisi, ed avventurarsi alla triste morte del peccatore: disgrazia irreparabile. 

Dimenticare il giudizio di Dio è un disprezzarlo; e allora sarà molto terribile questo giudizio.

Dimenticare il cielo è grande sciagura, perché così facendo non si fa nulla per guadagnarlo, e si perde; e perduto il paradiso, tutto è perduto. 

Dimenticare l'inferno, è un andarvi incontro; e chi vi si incammina, facilmente vi precipita. Dimenticare l'eternità, è lo stesso che perdere il tempo e l'eternità; si può immaginare disgrazia più tremenda? Ciò non ostante, oh come è comune nel mondo la dimenticanza dei novissimi! Per ciò Gesù fulminò quello spaventevole anatema: «Guai al mondo»! (MATTH. XVIII, 7). 


A quanti si possono rivolgere quelle parole del Signore nel Deuteronomio: «Gente senza consiglio e senza prudenza, perché non aprire gli occhi e comprendere e provvedere ai loro novissimi?» (XXXII, 28-29). E quelle altre d'Isaia: «Tu non hai pensato a queste cose, e non ti sei ricordato dei tuoi novissimi» (XLVII, 7). 



Terribile imprudenza che ha conseguenze fatali è quella di dimenticare le cose future, di non considerare i novissimi per arrivarvi preparati. Che onta, che rabbia non sarà per i figli del mondo l'udirsi rinfacciare dai demoni nell'inferno: O sciagurati! voi sapevate che c'era un inferno, e potendolo schivare con poco costo, vi ci siete tuffati a capo fitto! Voi avete dimenticato i novissimi, e avete perduto tutto. 


Ci si parla dei nostri novissimi; noi li conosciamo, vi crediamo, e intanto operiamo come se non ci riguardassero affatto e non ne diventiamo migliori! O cecità fatale! O follia incredibile! O uomini stupidi e da compiangersi! Non pensare, non penetrare, non temere cose tanto gravi, non prepararvisi! 


2. QUANTO È UTILE RICORDARSI DEI NOVISSIMI. - «In tutte le tue opere, dice il Savio, proponiti sotto gli occhi i tuoi novissimi, e non cadrai mai in peccato» (Eccli. VII, 40). La ragione è chiara, poiché il fine che uno si propone, diventa il principio e la regola di tutte le azioni; ora il fine di tutte le cose sta compreso essenzialmente nei fini ultimi, ossia nei novissimi. Tutte le persone operano per un fine; perché dunque non operare guardando ai fini ultimi?... 



Chi dice a se stesso, quando si sente tentato a offendere Dio: Al punto di morte, vorrò io aver commesso questo peccato? - tosto si mette su l'avviso e resiste. - Quando sarò innanzi al tribunale di Dio, quando il giudice divino mi peserà nella bilancia della sua giustizia, vorrò che il peso dei miei misfatti vinca quello delle mie virtù? Ebbene, schiverò il peccato e praticherò la virtù. Mi sta a cuore di passare dal tribunale di Dio al cielo? dunque mi studierò di guadagnarmi questo cielo. Forse che mi garberà udirmi al giudizio quella terribile sentenza: Partitevi da me, o maledetti, e andate al fuoco eterno? Dio me ne scampi! Dunque mi applicherò a chiudermi l'inferno per sempre, schivando soprattutto il peccato mortale. Quando entrerò nell'eternità, vorrò io aver perduto il tempo? Certo che no: conviene dunque che non ne perda un istante; - queste sono le salutari considerazioni che fa colui il quale non dimentica i suoi novissimi. 


Dunque chi non vede ch'egli diventa quasi impeccabile, compiendosi in lui il detto dello Spirito Santo: - Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis? - Il fine dell'uomo che è la beatitudine eterna, lo porta alla fuga del peccato e alla pratica della virtù, come a mezzi coi quali si ottiene la beatitudine. Perciò S. Agostino dice: «La considerazione di questa sentenza: - Ricorda i tuoi novissimi e non peccherai in eterno - è la distruzione dell'orgoglio, dell'invidia, della malignità, della lussuria, della vanità e della superbia, il fondamento della disciplina e dell'ordine, la perfezione della santità, la preparazione alla salute eterna. 

Se ti preme non andare perduto, guarda in questo specchio dei tuoi novissimi ciò che sei e ciò che sarai tu la cui concezione è macchia vergognosa, l'origine è fango, il termine è putredine. Davanti a questo specchio, cioè in faccia ai novissimi, che cosa diventano le delicate imbandigioni, i vini squisiti, le splendide calzature, il lusso del vestire, la mollezza della carne, la ghiottoneria, la crapula, l'ubriachezza, la magnificenza dei palazzi, l'estensione dei poderi, l'accumulamento delle ricchezze? (Specul. CI)». Prendiamo dunque il consiglio di S. Bernardo e nel cominciare un'azione qualunque diciamo a noi medesimi: Farei io questo, se dovessi morire in questo momento? (In Speculo monach.). 


Simile a quella di S. Bernardo è la regola di condotta suggerita da Siracide, per ordinare e santificare tutte le nostre azioni: «In ogni tua impresa scegli quello che vorresti aver fatto e scelto quando sarai in punto di morte». Fate tutte le vostre azioni come vorreste averle fatte il giorno in cui comparirete innanzi a tutto il mondo, per renderne conto al supremo tribunale di Dio. Non fate cosa di cui abbiate a pentirvi eternamente: schivate quello che vi farebbe piangere per tutta l'eternità, quello che vi toccherebbe pagare nell'eterno abisso dell'inferno. Studiatevi di fare benissimo e perfettissimamente ogni cosa, affinché abbiate da rallegrarvi di tutto ciò che pensate, dite, e fate; e ne riceviate una ricca mercede in cielo. Ora la memoria dei novissimi procura tutti questi vantaggi... 



Non dimenticate anche che sono prossimi i vostri novissimi...; che incerta è l'ultima ora... Chi non teme una cattiva morte come avrà paura del giudizio e dell'inferno? Ah! se gli uomini pensassero di frequente al giorno della loro morte, preserverebbero la loro anima da ogni cupidigia e malizia... O voi, che volete essere eternamente felici, pensate sempre a quella sentenza. - Parlando di Gerusalemme, Geremia dice che «ella si dimenticò del suo fine, per ciò sdrucciolò in un profondo abisso di miserie e di degradazione» (Lament. I, 9). Dunque, pensando agli ultimi fini non si cade, e chi è caduto, si rialza. «Noi cessiamo di peccare, dice S. Gregorio, quando temiamo i tormenti futuri (Moral.)». Ripetiamo anche noi col Salmista: «Ho pensato ai giorni antichi, ho meditato gli anni eterni» (Psalm. LXXVI, 5). 

3. COME DOBBIAMO RICORDARE I NOVISSIMI: - Perché il ricordo dei novissimi abbia tutta l'efficacia che ne promette lo Spirito Santo, conviene in primo luogo che non si fermi soltanto sopra di uno, ma li abbracci tutti. Per qualcuno infatti il pensiero della morte, invece di essere incentivo al bene può essere uno stimolo al male: «La nostra vita sfumerà come nebbia» (Sap. II, 3), dissero gli empi ricordandosi della loro morte imminente; ma da questo pensiero conclusero: « Venite dunque e godiamo finché abbiamo tempo» (Ib. 6). 

Perciò non dice il Savio nel citato testo: memorare novissimum tuum, bensì novissima tua; perché il pensiero della morte riesca proficuo, ricordiamoci che alla morte terrà dietro un duro giudizio (Hebr.. IX, 27); che al giudizio andrà annessa una sentenza o di eterna pena o di eterno premio (MATTH. XXV, 46). 

Dal ricordo dei novissimi trae pure un gran vantaggio la vita spirituale del cristiano, la quale consistendo nella pratica delle quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, trova nella meditazione dei novissimi un ottimo alimento. Infatti il ricordo della morte distrugge l'ambizione e la superbia, e così dà la prudenza. La memoria del giudizio, mettendoci dinanzi agli occhi quel giudice rigoroso, ci porta a usare giustizia e bontà col prossimo. Il ricordo dell'inferno reprime l'appetito dei piaceri illeciti e così avvalora la temperanza. La memoria del Paradiso diminuisce il timore dei patimenti di questa vita e così rinsalda la fortezza. 



Si richiede in secondo luogo, che questo ricordo sia fatto su la propria persona, come pare ci dica il Savio il quale non dice semplicemente: memorare novissima, ma vi aggiunge tua. Quanti vi sono, che ricordano i novissimi anche spesso, ora discorrendone nelle chiese, ora trattandone nei libri, ora disputandone su le cattedre, ora figurandoli o su marmi, o su bronzi o su tele? eppure non menano tutti una vita santa. Bisogna che chi ricorda i novissimi, pensi che proprio lui si troverà, e forse tra brevissimo tempo, al letto di morte... nella bara, al camposanto... Che proprio lui si presenterà al giudizio di Dio e a lui toccherà il castigo o il premio eterno. 



Conviene in terzo luogo che questo ricordo dei novissimi non sia cosa speculativa ma pratica, perciò lo Spirito Santo fa precedere al testo citato quelle parole: - in omnibus operibus tuis - in ogni tua azione. Se prima di ogni azione considerassimo i novissimi, non solo eviteremmo il peccato, ma troveremmo in quella considerazione la forza di praticare le più eroiche virtù. 

Sarebbe poi un errore il credere che il pensiero dei novissimi porti con sé la tristezza. Se lo Spirito Santo ci assicura che il ricordo frequente dei. novissimi basta a tenerci pura la coscienza: - In aeternum non peccabis - è cosa chiara che porta con sé la gioia del cuore che è la più grande di tutte le gioie. (Eccli. XXX, 16). E ne abbiamo infatti una conferma nel medesimo Ecclesiastico il quale dopo di aver detto in altro luogo: «Non abbandonarti alla tristezza, ma cacciala da te» (XXXVIII, 21), soggiunge subito - et memento novissimorum (Ib.). - e ricordati dei novissimi, quasi che il pensiero dei novissimi sia il più sicuro per tenere lontana dal cuore umano la tristezza.




Ave! Giglio bianco della Trinità, 
Rosa splendente che abbellisci il Cielo, Ave!
Da Te ha voluto nascere, da Te ha voluto prendere il latte
Colui che governa il Cielo e la Terra.
Deh! nutri le nostre anime con i tuoi divini influssi!

domenica 20 ottobre 2013

Pioggia di rose sul mondo.


IL ROSARIO DI MARIA SS.


8 maggio 1947.

Dice Maria Ss. di Fatima apparendomi come Ella mi appare...:

«Ti ho dato il 5 la vista intellettiva di ciò che è un Rosario ben det­to: pioggia di rose sul mondo. 

Ad ogni Ave che un'anima amante dice con amore e con fede io lascio cadere una grazia. Dove? Da per tutto: sui giusti a farli più giusti, sui peccatori per ravvederli. Quan­te! Quante grazie piovono per le Ave del Rosario!

  

Rose bianche, rosse, oro. 
Rose bianche dei misteri gaudiosi, rosse dei dolorosi, d'oro dei gloriosi. 
Tutte rose potenti di grazie per i meriti del mio Gesù. Perché sono i suoi meriti infiniti che danno valore a ogni orazione. Tutto è e avviene, di ciò che è buono e santo, per Lui. Io spargo, ma Egli avvalora. Oh! Benedetto mio Bambino e Si­gnore!


Vi do le rose candide dei meriti grandissimi della perfetta, perché divina, e perfetta perché volontariamente voluta conservare tale dall'Uomo, Innocenza di mio Figlio. 

Vi do le rose porpuree degli infiniti meriti della Sofferenza di mio Figlio, così volonterosamente consumata per voi.


Vi do le rose d'oro della sua perfettissima Cari­

Tutto di Mio Figlio vi do, e tutto di Mio Figlio vi santifica e salva. Oh! io sono nulla, io scompaio nel Suo fulgore, io compio solo il ge­sto di dare, ma Egli, Egli solo è l'inesauribile fonte di tutte le gra­zie!

E voi, mie dilette anime, ascoltate questa Mia parola: Fate con spirito ilare la Volontà del Signore. 


Fare la Sua Ss. Volontà con tri­stezza è dimezzare il grande merito del farla. La rassegnazione è già cosa che Dio premia. Ma la gioia del fare la Volontà di Dio centuplica il merito, e perciò il premio, del fare questa divina Volontà, sem­pre, sempre, sempre giusta, anche se forse all'uomo non pare tale. Fate dunque con spirito ilare ciò che Dio vuole. E sarete a Lui gradite e a me, Madre vostra, dilettissime. State in pace sotto lo sguardo mio che non vi abbandona.»
 (Fonte: Maria Valtorta, I Quaderni del 45-50,  8 maggio 1947, ed. CEV)


martedì 10 settembre 2013

È questa la ragione permanente della gioia cristiana.


...Gesù condusse i suoi vicino a Betània, ci viene detto. «Alzate le mani, li benedisse.

Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo» (Luca 24, 50s). Gesù parte benedicendo.

Benedicendo se ne va e nella benedizione Egli rimane. Le sue mani restano stese su questo mondo. Le mani benedicenti di Cristo sono come un tetto che ci protegge. Ma sono al contempo un gesto di apertura che squarcia il mondo affinché il cielo penetri in esso e possa diventarvi una presenza.

Nel gesto delle mani benedicenti si esprime il rapporto duraturo di Gesù con i suoi discepoli, con il mondo. Nell'andarsene Egli viene per sollevarci al di sopra di noi stessi ed aprire il mondo a Dio. Per questo i discepoli poterono gioire, quando da Betània tornarono a casa. Nella fede sappiamo che Gesù, benedicendo, tiene le sue mani stese su di noi. È questa la ragione permanente della gioia cristiana.

Joseph Ratzinger-Benedetto XVI 


Nos cum prole pia
benedicat Virgo Maria!

domenica 23 giugno 2013

Beata Maria Baouardy rifiuta di sposarsi - Persecuzioni -


Maria Baouardy rifiuta di sposarsi - Persecuzioni - 

Quando Maria B. compì tredici anni, suo zio la fidanzò a un suo parente, ma la fan­ciulla aveva già da tempo promesso a Dio la sua verginità, e quando le si disse che il matrimonio stava per rapire quel suo fiore angelico, dichiarò con tutte le sue for­ze che voleva rimanere vergine. 

Prostrata a terra per tutta la notte, versando un tor­rente di lacrime, scongiurava la sua Mamma del Cielo di soccorrerla. 

Tutto ad un tratto, udì una voce che le disse: Maria, io sono sempre con te: segui l'ispirazione che ti dò, io ti aiuterò. Allora Maria si alzò piena di coraggio e tagliò i suoi lunghi capelli. Il velo, che soleva portare, nascose questo gesto ai suoi parenti. 

Una gran­de cena fu organizzata in occasione delle nozze che dovevano celebrarsi prossima­mente; era d'uso in questa circostanza che la fidanzata, ornata dei suoi gioielli, of­frisse il caffè agli invitati. Al posto del caffè Maria offrì allo zio, in un grande vassoio, i suoi capelli ornati di gioielli. 

Lo zio furioso la schiaffeggiò; tutti gli in­vitati non vedendo in questo gesto che un fervore passeggero, l'esortarono a mo­strarsi docile alla volontà dei suoi parenti: ella rimase inflessibile.

Invano lo zio la confinò fra gli ultimi domestici della casa, e ordinò di maltrat­tarla; invano la tenne lontana dalla chiesa e dai sacramenti: l'eroica fanciulla resi­sté a tutto, e soffrì con gioia per il suo Gesù.


«Trattata, ci raccontava, come l'ulti­ma delle domestiche, sia nel vestire, che nel nutrimento; totalmente separata dai miei, occupata in lavori ai quali non ero mai stata abituata, privata della Messa e dei sacramenti, biasimata perfino dal mio confessore, che considerava la mia deci­sione solo testardaggine; abbandonata da tutti, condannata da tutti, la mia anima so­vrabbondava di gioia; il mio coraggio cresceva in misura delle dure prove, perché mi dicevo che le mie sofferenze non erano minimamente paragonabili a quelle di Gesù. Mi sembrava che un uccellino cantasse sempre nel mio cuore».
"Non so nulla, non ho nulla
ma onoro il Padre mio: 
a Lui rendo grazie,
perché fonte di ogni sapienza potenza e scienza"

venerdì 21 giugno 2013

METTIAMOCI ALLA SCUOLA DI

Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.

SAN FILIPPO NERI

L'Obbedienza

- L'obbedienza buona è quando si ubbidisce senza discorso e si tiene per certo quello
che è comandato è la miglior cosa che si possa fare.
- L'obbedienza è il vero olocausto che si sacrifica a Dio sull'altare del nostro cuore, e
bisogna sforzarci d'obbedire anche nelle cose piccole, e che paiono di niun momento,
poiché in questo modo la persona si rende facile ad essere obbediente nelle cose
maggiori.
- E' meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in
camera a fare orazione.
- A proposito di colui che comandava diceva: Chi vuol esser obbedito assai, comandi
poco.

La Gioia Cristiana

- Figliuoli, state allegri, state allegri. Voglio che non facciate peccati, ma che siate
allegri.
- Non voglio scrupoli, non voglio malinconie. Scrupoli e malinconie, lontani da casa
mia.
- L'allegrezza cristiana interiore è un dono di Dio, derivato dalla buona coscienza,
mercé il disprezzo delle cose terrene, unito con la contemplazione delle celesti...Si
oppone alla nostra allegrezza il peccato; anzi, chi è servo del peccato non può
neanche assaporarla: le si oppone principalmente l'ambizione: le è nemico il senso, e
molto altresì la vanità e la detrazione. La nostra allegrezza corre gran pericolo e
spesso si perde col trattare cose mondane, col consorzio degli ambiziosi, col diletto
degli spettacoli.
- Ai giovani che facevano chiasso, a proposito di coloro che si lamentavano, diceva:
Lasciateli, miei cari, brontolare quanto vogliono. Voi seguitate il fatto vostro, e state
allegramente, perché altro non voglio da voi se non che non facciate peccati. E
quando doveva frenare l'irrequietezza dei ragazzi diceva: State fermi, e, sotto voce, se
potete.


La Devozione a Maria

- Figliuoli miei, siate devoti della Madonna: siate devoti a Maria.
- Sappiate, figliuoli, e credete a me, che lo so: non vi è mezzo più potente ad ottenere
le grazie da Dio che la Madonna Santissima.
- Chiamava Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.
- La Madonna Santissima ama coloro che la chiamano Vergine e Madre di Dio, e che
nominano innanzi a Lei il nome santissimo di Gesù, il quale ha forza d'intenerire il
cuore.

La Confessione

- La confessione frequente de' peccati è cagione di gran bene all'anima nostra, perché
la purifica, la risana e la ferma nel servizio di Dio.
- Nel confessarsi l'uomo si accusi prima de' peccati più gravi e de' quali ha maggior
vergogna: perché così si viene a confondere più il demonio e cavar maggior frutto

dalla confessione.


La Mortificazione

- Figliuoli, umiliate la mente, soggettate il giudizio.
- Tutta l'importanza della vita cristiana consiste nel mortificare la razionale.
- Molto più giova mortificare una propria passione per piccola che sia, che molte
astinenze, digiuni e discipline.
- Quando gli capitava qualche persona che avesse fama di santità, era solito provarla
con mortificazioni spirituali e se la trovava mortificata e umile, ne teneva conto,
altrimenti l'aveva per sospetta, dicendo: Ove non è gran mortificazione, non può
esservi gran santità.
- Le mortificazioni esteriori aiutano grandemente all'acquisto della mortificazione

interiore e delle altre virtù.


L'Umiltà

- Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi.
- Umiliate voi stessi sempre, e abbassatevi negli occhi vostri e degli altri, acciò
possiate diventar grandi negli occhi di Dio.
- Dio sempre ha ricercato nei cuori degli uomini lo spirito d'umiltà, e un sentir basso
di sè. Non vi è cosa che più dispiaccia a Dio che l'essere gonfiato della propria stima.
- Non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e
gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare.
- Per fuggire ogni pericolo di vanagloria voleva il Santo che alcune devozioni
particolari si facessero in camera, ed esortava che si fuggisse ogni singolarità. A
proposito della vanagloria diceva: Vi sono tre sorta di vanagloria. La prima è
Padrona e si ha quando questa va innanzi all'opera e l'opera si fa per il fine della
vanagloria. La seconda è la Compagna e si ha quando l'uomo non fa l'opera per fine
di vanagloria, ma nel farla sente compiacenza. La terza è Serva e si ha quando nel
far l'opera sorge la vanagloria, ma la persona subito la reprime.
- Per acquistare il dono dell'umiltà sono necessarie quattro cose: spernere mundum,
spernere nullum, spernere seipsum, spernere se sperni: cioè disprezzare il mondo,
non disprezzare alcuno, disprezzare se stesso, non far conto d'essere disprezzato. E
soggiungeva, rispetto all'ultimo grado: A questo non sono arrivato: a questo vorrei
arrivare.
- Fuggiva con tutta la forza ogni sorta di dignità: Figliuoli miei, prendete in bene le mie
parole, piuttosto pregherei Iddio che mi mandasse la morte, anzi una saetta, che il
pensiero di simili dignità. Desidero bene lo spirito e la virtù dei Cardinali e dei Papi,

ma non già le grandezze loro.



Desiderio di Perfezione

- Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni.
- Bisogna desiderare di far cose grandi per servizio di Dio, e non accontentarsi di una
bontà mediocre, ma aver desiderio (se fosse possibile) di passare in santità ed in
amore anche S. Pietro e S. Paolo: la qual cosa, benché l'uomo non sia per conseguire,
si deve con tutto ciò desiderare, per fare almeno col desiderio quello che non
possiamo colle opere.
- Non è superbia il desiderare di passare in santità qualsivoglia Santo: perché il
desiderare d'essere santo è desiderio di voler amare ed onorare Dio sopra tutte le
cose: e questo desiderio, se si potesse, si dovrebbe stendere in infinito, perché Dio è
degno d'infinito onore.
- La santità sta tutta in tre dita di spazio, e si toccava la fronte, cioè nel mortificare la
razionale, contrastando cioè a se stesso, all'amore proprio, al proprio giudizio.
- La perfezione non consiste nelle cose esteriori, come in piangere ed altre cose simili,
e le lacrime non sono segno che l'uomo sia in grazia di Dio.

- Parlando il Santo di spirito e della perfezione diceva: Ubbidienza, Umiltà, Distacco!


La volontà di Dio

- Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio.
- Quando l'anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino
beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che le abbia ad intervenire bene.
- Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfigurato: accompagnar
Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero.
- E' ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito, l'immaginarsi di
essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei Santi, e come tale andare ora da
questo Santo, ora da quell'altro a domandar loro elemosina spirituale, con
quell'affetto e verità onde sogliono domandarla i poveri. E ciò si faccia alle volte
corporalmente, andando ora alla Chiesa di questo Santo, ed ora alla Chiesa di
quell'altro a domandar questa santa elemosina.
- Al P. Antonio Gallonio, fortemente tormentato da una interna tribolazione, S. Filippo
diceva: Abbia pazienza, Antonio: questa è la volontà di Dio. Abbi pazienza, sta saldo;
questo è il tuo Purgatorio.
- A chi si lamentava di certe prove diceva: Non sei degno, non sei degno che il Signore
ti visiti.
- Quietati che Dio la vuole, disse una volta ad una mamma a cui moriva una piccola

figlia, e ti basta essere stata balia di Dio.

Presenza in Dio e confidenza in Lui

- Spesso esortava i suoi figli spirituali che pensassero di aver sempre Dio davanti agli
occhi.
- Chi non sale spesso in vita col pensiero in Cielo, pericola grandemente di non salirvi
dopo morte.
- Paradiso! Paradiso! era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana.
- Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche cosa da voi, vi
farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi.
- Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non

bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.



L'Amore di Dio

Chi vuole altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che si voglia. Chi dimanda
altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che dimanda. Chi opera e non per Cristo,
non sa quello che si faccia.
- L'anima che si dà tutta a Dio, è tutta di Dio.
- Quanto amore si pone nelle creature, tanto se ne toglie a Dio.
- All'acquisto dell'amor di Dio non c'è più vera e più breve strada che staccarsi
dall'amore delle cose del mondo ancor piccole e di poco momento e dall'amor di se
stesso, amando in noi più il volere e servizio di Dio, che la nostra soddisfazione e
volere.
- Come mai è possibile che un uomo il quale crede in Dio, possa amare altra cosa che
Dio?
- La grandezza dell'amor di Dio si riconosce dalla grandezza del desiderio che l'uomo
ha di patire per amor suo.
- A chi veramente ama Dio non può avvenire cosa di più gran dispiacere quanto non
aver occasione di patire per Lui.
- Ad uno il quale ama veramente il Signore non è cosa più grave, né più molesta
quanto la vita.
- I veri servi di Dio hanno la vita in pazienza e la morte in desiderio.
- Un'anima veramente innamorata di Dio viene a tale che bisogna che dica: Signore,
lasciatemi dormire: Signore, lasciatemi stare.
Presenza in Dio e confidenza in Lui
- Spesso esortava i suoi figli spirituali che pensassero di aver sempre Dio davanti agli
occhi.
- Chi non sale spesso in vita col pensiero in Cielo, pericola grandemente di non salirvi
dopo morte.
- Paradiso! Paradiso! era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana.
- Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche cosa da voi, vi
farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi.
- Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non
bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.
La volontà di Dio
- Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio.
- Quando l'anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino
beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che le abbia ad intervenire bene.
- Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfigurato: accompagnar
Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero.
- E' ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito, l'immaginarsi di
essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei Santi, e come tale andare ora da
questo Santo, ora da quell'altro a domandar loro elemosina spirituale, con
quell'affetto e verità onde sogliono domandarla i poveri. E ciò si faccia alle volte
corporalmente, andando ora alla Chiesa di questo Santo, ed ora alla Chiesa di
quell'altro a domandar questa santa elemosina.
- Al P. Antonio Gallonio, fortemente tormentato da una interna tribolazione, S. Filippo
diceva: Abbia pazienza, Antonio: questa è la volontà di Dio. Abbi pazienza, sta saldo;
questo è il tuo Purgatorio.
- A chi si lamentava di certe prove diceva: Non sei degno, non sei degno che il Signore
ti visiti.
- Quietati che Dio la vuole, disse una volta ad una mamma a cui moriva una piccola
figlia, e ti basta essere stata balia di Dio.


La Tentazione

- Le tentazioni del demonio, spirito superbissimo e tenebroso, non si vincono meglio
che con l'umiltà del cuore, e col manifestare semplicemente e chiaramente senza
coperta i peccati e le tentazioni al confessore.
- Contro le tentazioni di fede invitava a dire: credo, credo, oppure che si recitasse il
Credo.
- La vera custodia della castità è l'umiltà: e però quando si sente la caduta di
qualcuno, bisogna muoversi a compassione, e non a sdegno: perché il non aver pietà
in simili casi, è segno manifesto di dover prestamente cadere.
- Ai giovani dava cinque brevi ricordi: fuggire le cattive compagnie, non nutrire
delicatamente il corpo, aborrire l'ozio, fare orazione, frequentare i Sacramenti
spesso, e particolarmente la Confessione.

Giaculatorie

Padre Zazzara diceva che il Santo lodava molto le giaculatorie, ed in diversi tempi
dell'anno gliele insegnava e ne faceva dire ogni giorno quando una, quando un'altra.
- Per tenere vivo il pensiero della divina presenza ed eccitare la confidenza in Dio
sono utilissime alcune orazioni brevi e quelle spesse volte lanciare verso il cielo tra il
giorno, alzando la mente a Dio da questo fango del mondo: e chi le usa, ne ricaverà
frutto incredibile con poca fatica.

Ave, Gratia Plena!