giovedì 31 gennaio 2019

Benedetto XVI: "Dio non abita in un mobile, Dio abita in una persona, in...


PREGHIAMO PER IL PAPA
IL PAPA CI PARLA  DI MARIA SANTISSIMA


San Giovanni Bosco



Giovanni Bosco, nato da povera gente, dopo una fanciullezza travagliata ed innocentissima, studiò a Chieri, dove si distinse assai per ingegno e virtù. 

Consacrato sacerdote, andò a Torino, dove si fece tutto a tutti, ma soprattutto si dedicò ad aiutare i giovani poveri ed abbandonati.

Con i corsi di istruzione, con le scuole per artigiani, con i ritrovi festivi si sforzò in tutti i modi di salvare la gioventù dai pascoli velenosi dell'errore e del vizio: al cui scopo fondò nella Chiesa due famiglie, una di uomini, l'altra di vergini. 

Scrisse lui stesso molti libri pieni di cristiana sapienza. 

Fu molto benemerito della salvezza degli infedeli, attuata fondando delle missioni con i membri del suo istituto. 

Con la mente costantemente rivolta a Dio l'uomo santissimo non si lasciava atterrire da minacce, né stancare da fatiche, né opprimere da affanni, né turbare da avversità. 

Morì nell'anno 1888, a 73 anni di età. Fu aggiunto al catalogo dei santi dal sommo Pontefice Pio XI.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Rendiamo Grazie a Dio.


Preghiamo

O Signore, che in San Giovanni Bosco, tuo Confessore, hai suscitato il padre ed il maestro della gioventù e, per mezzo di Maria SS. Ausiliatrice, lo hai ispirato ad istituire nella tua Chiesa due nuove famiglie religiose, dacci la grazia di essere accesi come lui da una fiamma di carità per salvare le anime e servire a te solo.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

mercoledì 30 gennaio 2019

ERA IL 30 MAGGIO 1862



Era il 30 maggio 1862, penultimo giorno del mese della Madonna. A sera, dopo le preghiere, prima che centinaia di ragazzi andassero a dormire, Don Bosco iniziò così:

« Vi voglio raccontare un sogno. E’ vero che chi so¬gna non ragiona, tuttavia io, che a voi racconterei per¬sino i miei peccati, se non avessi paura di farvi scap¬pare tutti e di far crollare la casa, ve lo racconto per vostra utilità spirituale. Il sogno l’ho fatto alcuni giorni fa.
Figuratevi di essere con me sulla spiaggia del mare, o meglio, sopra uno scoglio isolato e di non vedere al¬tro spazio di terra, se non quello che vi sta sotto i piedi. In tutta quella vasta superficie di acqua si vede una moltitudine innumerevole di navi schierate a bat¬taglia; le loro prore terminano con un rostro di ferro acuto a guisa di coltello o di freccia, che dove s’infigge ferisce e trapassa ogni cosa. Queste navi sono armate di cannoni, cariche di fucili, di altre armi di ogni ge¬nere, di materie incendiarie, e anche di libri, e avan¬zano contro una nave molto più grossa e più alta di tutte loro, tentando di speronarla col rostro, di incendiarla o almeno di farle ogni guasto possibile.
A quella maestosa nave ammiraglia, attrezzata di tutto punto, fanno scorta molte navicelle e velieri che da lei ricevono i segnali di comando ed eseguono evoluzioni per difendersi dalle flotte avversarie. Il vento è loro contrario e il mare agitato sembra favorire i nemici.

Le due colonne
In mezzo all’immensa distesa del mare si elevano dalle onde due robuste colonne, altissime, poco distanti l’una dall’altra. Sopra di una vi è la statua della Ver¬gine Immacolata, ai cui piedi pende un largo cartello con questa scritta: – Auxilium Christianorum (Aiuto dei cristiani); – sull’altra, che è molto più alta e grossa, sta un’Ostia di grandezza proporzionata alla co¬lonna e sotto un altro cartello con le parole: Salus credentium (Salvezza dei credenti).

Due concili
Il comandante supremo sulla gran nave, che è il Romano Pontefice, vedendo il furore dei nemici e la situazione critica nella quale si trovano i suoi fedeli. Pensa di convocare intorno a sé i Piloti delle navi secondarie (cioè i vescovi) per tener consiglio e decidere sul da farsi. Tutti i Piloti salgono e si radunano intorno al Papa. Tengono concilio, ma infuriando il vento sempre di più e la tempesta, sono rimandati a governare le proprie navi (Concilio Vaticano I).
Fattasi un po’ di bonaccia, il Papa raduna per la seconda volta intorno a sé i Piloti, mentre la nave ammiraglia prosegue la sua rotta (Concilio Vaticano II). Ma la burrasca ritorna spaventosa.
Il Papa sta al timone e tutti i suoi sforzi sono diretti a portare la nave in mezzo alle due colonne, dalla sommità delle quali tutto intorno pendono molte àncore e grossi ganci attaccati a catene.


L’assalto
Le navi nemiche scattano tutte ad assalirla e ten¬tano ogni modo di arrestarla e farla sommergere. Le une con gli scritti, coi libri, con materie incendiarie di cui sono ripiene e che cercano di scaraventarle a bordo; le altre coi cannoni, coi fucili e coi rostri: il combattimento diventa sempre più accanito. Le prore nemiche l’urtano violentemente; ma inutili risultano i loro sforzi e il loro attacco. Invano ritentano la prova; sciupano ogni loro fatica e munizione: la grande nave ammira¬glia procede sicura e franca nel suo cammino. Avviene talvolta che, percossa da formidabili colpi, riporta nei suoi fianchi larga e profonda fessura; ma non appena è avvenuto il guasto, spira un Soffio (= lo Spirito Santo) dalle due colonne e le falle si richiudono e i fori si otturano.
Scoppiano intanto i cannoni degli assalitori, si spezzano i fucili, ogni altra arma e i rostri; si sconquassano molte navi e sprofondano nel mare. Allora i nemici furibondi iniziano a combattere ad armi corte, cioè a distanza ravvicinata: con le mani, coi pugni, con le bestemmie e con le maledizioni.


Il Papa muore
Quand’ecco che il Papa, colpito gravemente, cade. Subito coloro, che stanno insieme con lui, corrono ad aiutarlo e lo rialzano. Il Papa è colpito la seconda volta, cade di nuovo e muore. Un grido di vittoria e di giubilo si alza dai nemici; sulle loro navi dilaga un indicibile tripudio. Ma appena morto il Pontefice, un altro Papa sottentra al suo posto. I Piloti radunati lo hanno eletto così rapidamente, che la notizia della morte del Papa giunge con la notizia dell’elezione del successore. Gli avversari incominciano a perdersi di coraggio.


La vittoria
Il nuovo Papa sbaragliando e superando ogni ostacolo, guida la nave sino alle due colonne e, giunto in mezzo a esse, la lega con una catena che pendeva dalla prora a un’àncora della colonna su cui sta l’Ostia; e con un’altra catena che pendeva a poppa, la lega dalla parte opposta a un’altra àncora appesa alla colonna su cui è collocata la Vergine Immacolata.
Allora succede un gran rivolgimento. Tutte le navi che fino a quel momento avevano combattuto contro la nave ammiraglia su cui sedeva il Papa, fuggono, si disperdono, si urtano e si fracassano a vicenda. Le une affondano e cercano di affondare le altre. Alcune navicelle che hanno combattuto valorosamente insieme col Papa vengono con le prime a legarsi a quelle colonne.
Molte altre navi che, ritiratesi per timore della bat¬taglia si trovano in gran lontananza, stanno prudentemente osservando, finché dileguati nei gorghi del mare i rottami di tutte le navi disfatte, a gran lena vogano alla volta di quelle due colonne, dove arrivate si attaccano ai ganci pendenti e lì rimangono tranquille e sicure, insieme con la nave ammiraglia su cui sta il Papa. Nel mare regna una gran calma, una calma sovrana».


Commento di Don Bosco

Don Bosco a questo punto interrogò Don Rua: – Che cosa pensi tu di questo racconto?
Don Rua rispose: – Mi pare che la nave del Papa sia la Chiesa, di cui è il Capo: le navi sono gli uomini; il mare è questo mondo. Quelli che difendono la grossa nave sono i buoni affezionati alla Santa Sede; gli altri sono i suoi nemici, che con ogni sorta di armi tentano di annientarla. Le due colonne di salvezza mi sembra che siano la devozione a Maria Immacolata e al Santissimo Sacramento dell’Eucaristia.

Don Rua non parlò del Papa caduto e morto e Don Bosco tacque pure su di ciò. 
Solo aggiunse: – Dicesti bene. Bisogna soltanto correggere un’espressione. Le navi dei nemici sono le persecuzioni. Si preparano gravissimi travagli per la Chiesa. Quello che finora fu, è quasi nulla a confronto di ciò che dovrà accadere. I suoi nemici sono raffigurati nelle navi che tentano di affondare, se gli riuscisse, la nave ammiraglia. Due soli mezzi restano per salvarsi fra tanto pericolo e scompi¬glio: – Devozione a Maria Immacolata – Frequenza alla Confessione e Comunione. – Occorre adoperare ogni mezzo e fare del nostro meglio per praticarli e farli praticare dovunque e da tutti. Buona notte!

I ragazzi lentamente e in silenzio sciamarono a dormire con nel cuore il sogno delle due Colonne: l’amore filiale alla Madonna, che è la Mamma degli Adolescenti, e la vita divina sacramentale, cioè l’Eucaristia. Con questi grandi amori, la loro inserzione nella Chiesa (attaccamento al Papa) diventa gioiosa e bella anche se devono lottare. Ma non piace forse ai ragazzi l’avventura e la lotta?      




Giovanni Paolo II e i salmi 41 e 42

DE  - EN  - ES  - FR  - IT  - PT ]
GIOVANNI PAOLO II
UDIENZA GENERALE 

Mercoledì 6 febbraio 2002

Salmo 42 - Desiderio del Tempio di Dio
 (Lettura: Sal 42, 1.3-4).


1. In una Udienza generale di qualche tempo fa, commentando il Salmo che precede quello poc’anzi cantato, abbiamo detto che esso si univa intimamente al Salmo successivo. I Salmi 41 e 42 costituiscono, infatti, un unico canto, scandito in tre parti dalla stessa antifona: "Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio" (Sal 41, 6.12; 42, 5).

Queste parole, simili a un soliloquio, esprimono i sentimenti profondi del Salmista. Egli si trova lontano da Sion, punto di riferimento della sua esistenza perché sede privilegiata della presenza divina e del culto dei fedeli. Sente, perciò, una solitudine fatta di incomprensione e persino di aggressione da parte degli empi, aggravata dall’isolamento e dal silenzio da parte di Dio. Il Salmista, però, reagisce contro la tristezza con un invito alla fiducia, che egli rivolge a se stesso, e con una bella affermazione di speranza: egli conta di poter ancora lodare Dio, "salvezza del suo volto".

Nel Salmo 42, anziché parlare soltanto a se stesso come nel Salmo precedente, il Salmista si rivolge a Dio e lo supplica di difenderlo contro gli avversari. Riprendendo quasi alla lettera un’invocazione annunziata nell’altro Salmo (cfr 41, 10), l’orante rivolge questa volta effettivamente a Dio il suo grido desolato: "Perché mi respingi, perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?" (Sal 42, 2).

2. Tuttavia egli sente ormai che la parentesi oscura della lontananza sta per finire ed esprime la certezza del ritorno a Sion per ritrovare la dimora divina. La città santa non è più la patria perduta, come accadeva nel lamento del Salmo precedente (cfr Sal 41, 3-4), è invece la meta gioiosa, verso la quale si è in marcia. La guida del ritorno a Sion sarà la "verità" di Dio e la sua "luce" (cfr Sal 42, 3). 

Il Signore stesso sarà il fine ultimo del viaggio. Egli è invocato come giudice e difensore (cfr vv. 1-2). Tre verbi marcano il suo intervento implorato: "Fammi giustizia", "difendi la mia causa", "liberami" (v. 1). Sono quasi tre stelle di speranza, che si accendono nel cielo tenebroso della prova e segnalano l’imminente aurora della salvezza.

È significativa la rilettura che sant’Ambrogio fa di questa esperienza del Salmista, applicandola a Gesù che prega nel Getsemani: "Non voglio che ti meravigli se il profeta dice che la sua anima era scossa, dal momento che lo stesso Signore Gesù disse: Ora l’anima mia è turbata. Chi infatti ha preso sopra di sé le nostre debolezze, ha preso anche la nostra sensibilità, per effetto della quale era triste fino alla morte, ma non per la morte. Non avrebbe potuto provocare mestizia una morte volontaria, dalla quale dipendeva la felicità di tutti gli uomini… Era dunque triste fino alla morte, nella attesa che la grazia fosse portata a compimento. Lo dimostra la sua stessa testimonianza, quando dice della sua morte: C’e un battesimo con il quale devo essere battezzato: e come sono angosciato finché non sia compiuto! (Le rimostranze di Giobbe e di Davide, VII, 28, Roma 1980, p. 233).

3. Ora, nel prosieguo del Salmo 42, davanti agli occhi del Salmista sta per aprirsi la soluzione tanto sospirata: il ritorno alla sorgente della vita e della comunione con Dio. La "verità", ossia la fedeltà amorosa del Signore, e la "luce", cioè la rivelazione della sua benevolenza, sono raffigurate come messaggere che Dio stesso invierà dal cielo per prendere per mano il fedele e condurlo verso la meta desiderata (cfr Sal 42, 3).

Molto eloquente è la sequenza delle tappe di avvicinamento a Sion e al suo centro spirituale. Prima appare "il monte santo", il colle ove si erge il tempio e la cittadella di Davide. Poi entrano in campo "le dimore", cioè il santuario di Sion con tutti i vari spazi ed edifici che le compongono. Viene, quindi, "l’altare di Dio" , la sede dei sacrifici e del culto ufficiale di tutto il popolo. La meta ultima e decisiva è il Dio della gioia, è l’abbraccio, l’intimità ritrovata con Lui, prima lontano e silenzioso.

4. Tutto, a quel punto, diviene canto, letizia, festa (cfr v. 4). Nell’originale ebraico si parla del "Dio che è gioia del mio giubilo". Si tratta di un modo di dire semitico per esprimere il superlativo: il Salmista vuole sottolineare che il Signore è la radice di ogni felicità, è la gioia suprema, è la pienezza della pace.

La traduzione greca dei Settanta è ricorsa, sembra, a un termine equivalente aramaico che indica la giovinezza e ha tradotto "al Dio che rallegra la mia giovinezza", introducendo così l’idea della freschezza e dell’intensità della gioia che il Signore dona. Il salterio latino della Vulgata, che è una traduzione fatta sul greco, dice quindi: "ad Deum qui laetificat juventutem meam". In questa forma il Salmo veniva recitato ai piedi dell’altare, nella precedente liturgia eucaristica, quale invocazione introduttoria all’incontro col Signore.

5. Il lamento iniziale dell’antifona dei Salmi 41-42 risuona per l’ultima volta in finale (cfr Sal 42, 5). L’orante non ha raggiunto ancora il tempio di Dio, è coinvolto ancora nell’oscurità della prova; ma ormai ai suoi occhi brilla la luce dell’incontro futuro e le sue labbra conoscono già la tonalità del canto di gioia. L’appello è, a questo punto, maggiormente segnato dalla speranza. 
Osserva, infatti, sant’Agostino commentando il nostro Salmo: "Spera in Dio, risponderà alla sua anima colui che da essa è turbato… Vivi frattanto nella speranza. La speranza che si vede non è speranza; ma se speriamo ciò che non vediamo è per mezzo della pazienza che noi l’aspettiamo (cfr Rm 8, 24-25)" (Esposizione sui Salmi I, Roma 1982, p. 1019).

Il Salmo diventa, allora, la preghiera di chi è pellegrino sulla terra e si trova ancora in contatto col male e con la sofferenza, ma ha la certezza che il punto d’arrivo della storia non è un baratro di morte, bensì l’incontro salvifico con Dio. 

Questa certezza è ancora più forte per i cristiani, ai quali la Lettera agli Ebrei proclama: "Voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa, e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele" (Eb 12, 22-24).

AMDG et DVM

Mamá Margarita: La Madre de San Juan Bosco



Benedetto XVI: San Bonaventura e il rischio di un gravissimo fraintendim...



DUE LETTERE DELLA BEATA SUOR MARIA DI GESU' CROCIFISSO - Maria Baouardy -



A Padre Lazzaro, carmelitano 
(suo confessore a Mangalore)


J.M.J.T.
Carmelo del Sacro Cuore di Pau, 7 gennaio 1873

Padre mio,
non crediate che, poiché non ho scritto, vi abbia dimenticato; no, certamente, pensate
un po' se un figlio non dice tutto a suo Padre!
Sapete, Padre mio, che colui il quale ha stabilito il legame è in mezzo a noi? Vi
ricordate quando eravamo entrambi vicino alla grata, voi al di fuori, ed io dentro?
Quando voi avete detto: Ah! Come vorrei soffrire per amore del nostro caro Maestro!
Quanti desideri allora in voi di soffrire! Ecco, che adesso, essi si compiono.
Vi ricordate anche, Padre mio, che quando Nostro Signore si mostra a qualcuno, carico
della sua Croce e coronato di spine, non è certo per gioire? Ma voi lo sapete meglio di
me; voi il perché me lo avete detto spesso.
Vi ricordate anche voi, o Padre mio, un anno e cinque mesi or sono, è stato detto: Se
fosse possibile, la terra si solleverebbe contro di voi. E se voi lo portate generosamente
per amore di Colui che vi ha creato, la vostra prova sarà abbreviata? In quanto a me, il
mio desiderio è che essa sia lunga, lo sapete, o Padre mio!

Una persona domandava a Nostro Signore: Perché la tale persona soffre? L'adorabile
Maestro ha risposto: Perché io la amo. E ai miei discepoli, quelli che ho amato di più
sulla terra, che ricompensa ho loro dato! Sono potentissimo, ma è il migliore amore
che io possa loro dare; non ho altra ricompensa per quelli che amo. Ebbene, Padre
mio, ora la fede è indebolita, la Religione e perfino le comunità più sante sono deboli,
la fede vi si è affievolita; cerchiamo di avere la fede, noi, la fede dei nostri Padri, se
essa si indebolisce dappertutto. 
Non vi meravigliate di tutto ciò che vedete e sentite
oggi, e non vi rammaricate; al contrario, scusiamo tutti. Che cosa ciò comporta? Che
tutti dicano bianco o nero, noi non siamo che ciò che noi siamo davanti a Dio. Perché
turbarci? Lasciamoci giudicare dalle creature; così il Signore non avrà cuore per
giudicarci. Cerchiamo di essere come la meretrice: quando tutti l'hanno giudicata, il
Signore non l'ha condannata. In quanto a me, tutti i giudizi delle creature non mi
hanno turbata, e nemmeno afflitta...

Ebbene, Padre mio, non giudichiamo ora gli altri come siamo stati giudicati. Siamo
giudicati e non giudici. Mi sembra, Padre mio, che il Signore permette tutto ciò che
accade perché si compia la sua parola. È stato detto che non vi avrei mai visto e che
avremmo saputo mai notizie l'uno dell'altro; ma sono le parole degli uomini e Dio ha
detto tutto il contrario.
In quanto a me, da quando vi ho lasciato o che voi mi avete lasciato, non ho avuto mai
alcun rimpianto, né il desiderio di rivedervi; non ho mai rivolto una preghiera a Dio
per sapere vostre notizie.

Quando siete venuto a dirmi che non sareste più ritornato, vi ricordate quello che vi ho
risposto: «Parti, o Padre mio; colui che vi ha dato, vi ha tolto; che il suo santo Nome
sia benedetto»? Non sono io che vi ho scelto, è il buon Dio, e il buon Dio che si è
servito di voi per farmi del bene, può servirsi di altri. Io ve lo avevo detto, credo, una
persona domandò un giorno al Maestro: Devo forse attribuire ad un servitore, che mi
ha fatto del bene, il bene che mi ha fatto?

No, ha detto il maestro; se il servitore è stato fedele, merita la ricompensa, ma non il
ringraziamento che è dovuto al maestro, il quale ha demandato il servitore. Ancora,
Padre mio, se il maestro ha un servo malato e ne manda un altro per curarlo, dopo che
il malato è guarito, a chi deve il ringraziamento e la riconoscenza? Deve il
ringraziamento e la riconoscenza al maestro che ha dato il servitore ed anche un poco
di riconoscenza a questo servitore, perché si è dato la pena di curarlo.

Padre mio, non attendete la vostra ricompensa in questo mondo, no, ma
nell'altro. Io so che voi desiderate per me la felicità e la tranquillità, quaggiù. Ebbene,
io non desidero ciò per voi sulla terra, ma solamente nel cielo.
Padre mio, so che voi soffrite e ve ne scongiuro,per amore del Sommo Bene, scusate
tutto, soffrite tutto. Se vi si spoglia alla vista di tutti, scusateli, soffritelo; e se essi sono
nel bisogno, spogliatevi per vestirli, copriteli col mantello più dolce, più tenero
possibile; fate ciò, ve ne scongiuro più di dieci volte ancora.
Perdonatemi tutto ciò che vi dico, Padre mio, beneditemi e pregate per la vostra
indegna figliuola.
Suor Maria di Gesù Crocifisso

*

J.M.J.T.
Carmelo del Sacro Cuore di Pau, 15 marzo 1873.

Padre mio,
[...] il buon Dio domanda a voi soprattutto due cose. Il Cuore di Dio desidera da voi
ardentemente l'obbedienza e la sottomissione cieca di un bambino appena nato; non
fate una riflessione, ma lasciatevi mettere là dove l'obbedienza vi metterà e siate
sicuro... verranno dei momenti in cui avrete delle tentazioni e delle umiliazioni;
sopportatele con gioia, senza mormorare, e siate sicuro che è necessario che la parola
di Dio si compia; non cade senza frutto; spesso gli uomini fanno tutto il contrario, ma
il Signore è fedele alla sua promessa. Avrete contro di voi delle gelosie; dovunque
sarete, avrete qualcuno per esercitare la vostra pazienza, la vostra
carità. Siate fedele, andate sempre avanti, siate pronto a dare sempre la vostra vita per
quelli che vi faranno soffrire; pensate, non è gran che ciò che farete per essi, in
confronto a ciò che Dio prepara per voi. 

La seconda cosa che il buon Dio vi domanda, è l'umiltà e soprattutto la prudenza.
Permettetemi di dirvelo, non siete abbastanza prudente. Oggi, più che mai, soprattutto
in questo secolo così ingannatore, è rarissimo trovare un cuore retto e sincero.

Oh! Padre mio, piangiamo tutti e due, se lo possiamo, lacrime di sangue di ri-
conoscenza verso Dio per tutto quello che egli ha fatto e tutto ciò che egli è pronto a
fare ancora per noi. Oh! quanto i nostri cuori sono piccoli per amare Gesù! 
Desideriamo continuamente e sinceramente, diciamo spesso: «Signore, vorrei un cuore
più grande del cielo, della terra e del mare, per amarvi. Muoio di compassione per non
avere amato Gesù abbastanza come lo avrei voluto»...

Ve ne scongiuro... lasciate parlare, lasciate dire tutto ciò che si vorrà. Dio è Dio, e tutto
il cielo e tutta la terra si rigireranno per scuotere un'anima che Dio guarda, non
potrebbero fare niente. Non vi dico ciò per me, no! Sono piena di confusione davanti a
Dio, non davanti alle creature, ma davanti al mio Creatore.

Mi si potrebbe dire, come si è già fatto: che io sono per il Cielo e poi che sono per
l'inferno; né l'una cosa né l'altra mi hanno rallegrato né turbato; siamo ciò che siamo
davanti a Dio. L'esilio è breve; non ho che un desiderio, Padre mio: andare a Dio il più
presto possibile e lasciare questa terra, perché temo, vedendo anime così pure, così
sapienti, che hanno fatto delle cadute spaventose; ed io che sono coperta di peccati e di
ignoranza, che ne sarà di me? Oh! domandate al Signore di tirarmi fuori da questa
terra, piuttosto che offenderlo. Oh! no, mille milioni di volte, no! lo non vorrei
offenderlo! piuttosto morire!... Scusate, Padre mio, per questa brutta lettera che vi
scrivo; perdonatemi, beneditemi, domandate senza posa a Gesù che mi
custodisca tutta per lui.

La Vostra indegna figliuola.
Suor Maria di Gesù Crocifisso


AMDG et DVM

lunedì 28 gennaio 2019

IN QUESTA OMELIA C'E' TUTTA LA GRANDEZZA DIVINA DI MARIA Santissima La Perfetta che schiaccia la testa a satana






OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II per la SOLENNITÀ DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA 
Basilica di S. Maria Maggiore, 8 dicembre 1982

“Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1, 28).

1. Mentre queste parole del saluto dell’Angelo riecheggiano soavemente nel nostro animo, desidero rivolgere lo sguardo, insieme con voi, cari fratelli e sorelle, sul mistero dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria con l’occhio spirituale di san Massimiliano Kolbe. 

Egli ha legato tutte le opere della sua vita e della sua vocazione all’Immacolata. 
E perciò, in quest’anno, in cui è stato elevato alla gloria dei Santi, egli ha molto da dirci nella solennità dell’Immacolata, di cui amò definirsi devoto “militante”. 

L’amore all’Immacolata fu infatti il centro della sua vita spirituale, il fecondo principio animatore della sua attività apostolica. Il modello sublime dell’Immacolata illuminò e guidò la sua intera esistenza sulle strade del mondo e fece della sua morte eroica nel campo di sterminio di Auschwitz una splendida testimonianza cristiana e sacerdotale. 
Con l’intuizione del santo e la finezza del teologo, Massimiliano Kolbe meditò con acume straordinario il mistero della Concezione Immacolata di Maria alla luce della Sacra Scrittura, del Magistero e della Liturgia della Chiesa, ricavandone mirabili lezioni di vita. Egli è apparso nel nostro tempo profeta e apostolo di una nuova “era mariana”, destinata a far brillare di vivida luce nel mondo intero Gesù Cristo e il suo Vangelo.

Questa missione che egli portò avanti con ardore e dedizione, “lo classifica – come affermò Paolo VI nell’Omelia per la sua beatificazione – tra i grandi santi e gli spiriti veggenti che hanno capito, venerato e cantato il mistero di Maria” (Insegnamenti di Paolo VI, IX [1971] 909)
Pur consapevole della profondità inesauribile del mistero della Concezione Immacolata, per cui “le parole umane non sono in grado di esprimere Colei che è divenuta vera Madre di Dio” (Gli scritti di Massimiliano Kolbe, eroe di Oswiecjm e Beato della Chiesa, 3 volumi, Edizioni Città di Vita, Firenze 1975, vol. III, p. 690), il suo maggiore rammarico era quello che l’Immacolata non fosse sufficientemente conosciuta e amata a imitazione di Gesù Cristo e come ci insegna la Tradizione della Chiesa e l’esempio dei santi. 
Amando Maria, infatti, noi onoriamo Dio che l’ha elevata alla dignità di Madre del proprio Figlio fatto Uomo e ci uniamo a Gesù Cristo che l’ha amata quale Madre; non l’ameremo mai come egli l’amò: “Gesù è stato il primo ad onorarla quale sua Madre e noi dobbiamo imitarlo anche in questo. Non riusciremo mai ad eguagliare l’amore con cui Gesù l’amò” (Ivi., v. II, p. 351). 

L’amore a Maria, afferma padre Massimiliano, è la via più semplice e più facile per santificarci, realizzando la nostra vocazione cristiana. L’amore di cui egli parla non è certo superficiale sentimentalismo, ma è impegno generoso, e donazione di tutta la persona, come egli stesso ci ha dimostrato con la sua vita di fedeltà evangelica fino alla sua morte eroica.


2. L’attenzione di san Massimiliano Kolbe si concentrò incessantemente sulla Concezione Immacolata di Maria per poter cogliere la ricchezza meravigliosa racchiusa nel Nome che ella stessa manifestò e che costituisce l’illustrazione di quanto ci insegna il Vangelo odierno con le parole dell’angelo Gabriele: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1, 28).

Richiamandosi alle apparizioni di Lourdes – che per lui furono stimolo e incentivo per comprendere meglio le fonti della Rivelazione – osserva: “A santa Bernardetta, che più volte l’aveva interrogata, la Vergine rispose: "Io sono l’Immacolata Concezione". Con queste parole ella manifestò chiaramente di essere non soltanto concepita senza peccato, ma di essere anzi la stessa "Concezione Immacolata", così come altro è un oggetto bianco e altro la bianchezza; altro è una cosa perfetta e altro è la perfezione” (Gli scritti di Massimiliano Kolbe, eroe di Oswiecjm e Beato della Chiesa, 3 volumi, Edizioni Città di Vita, Firenze 1975, vol. III, p. 516). Concezione Immacolata è il Nome che rivela con precisione chi è Maria: non afferma soltanto una qualità, ma delinea esattamente la Persona di lei: Maria è santa radicalmente nella totalità della sua esistenza, fin dal principio.

3. L’eccelsa grandezza soprannaturale fu concessa a Maria in ordine a Gesù Cristo; è in lui e mediante lui che Dio le partecipò la pienezza di santità: Maria è Immacolata perché Madre di Dio e divenne Madre di Dio perché Immacolata, afferma scultoreamente Massimiliano Kolbe. 
La Concezione Immacolata di Maria manifesta in modo unico e sublime la centralità assoluta e la funzione salvifica universale di Gesù Cristo. “Dalla maternità divina sgorgano tutte le grazie concesse alla santissima Vergine Maria e la prima di esse è l’Immacolata Concezione” (Ivi., p. 475). 
Per questo motivo, Maria non è semplicemente come Eva prima del peccato, ma fu arricchita di una pienezza di grazia incomparabile perché Madre di Cristo, e la Concezione Immacolata fu l’inizio di una prodigiosa espansione senza soste della sua vita soprannaturale.



4. Il mistero della santità di Maria deve essere contemplato nella globalità dell’ordine divino della salvezza per essere colto in modo armonico e perché non appaia quale privilegio che la separa dalla Chiesa che è il Corpo di Cristo. 
Il Padre Massimiliano ha somma cura nel riannodare la Concezione Immacolata di Maria e la sua funzione nel piano della salvezza al mistero della Trinità, e in modo del tutto speciale con la persona dello Spirito Santo. 
Con geniale profondità sviluppò i molteplici aspetti contenuti nella nozione di “Sposa dello Spirito Santo”, ben nota nella tradizione patristica e teologica e suggerita dal Nuovo Testamento: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà Santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1, 35)

È una analogia, sottolinea san Massimiliano Kolbe, che fa intravedere l’unione ineffabile, intima e feconda tra lo Spirito Santo e Maria. “Lo Spirito Santo stabilì la propria dimora in Maria fino dal primo istante dell’esistenza di lei, ne prese possesso assoluto e la compenetrò talmente che il nome di Sposa dello Spirito Santo non esprime che un’ombra lontana, pallida, imperfetta di tale unione” (Gli scritti di Massimiliano Kolbe, eroe di Oswiecjm e Beato della Chiesa, 3 volumi, Edizioni Città di Vita, Firenze 1975, vol. III, p 515).



5. Scrutando con ammirazione estatica il piano divino della salvezza, che ha la sua sorgente nel Padre il quale volle comunicare liberamente alle creature la vita divina di Gesù Cristo, e che si manifesta in Maria Immacolata in modo meraviglioso, il padre Kolbe affascinato e rapito esclama: “Dappertutto c’è l’amore” (Ivi., p. 690); l’amore gratuito di Dio è la risposta a tutti gli interrogativi; “Dio è amore” afferma san Giovanni (1 Gv 4, 8). 
Tutto ciò che esiste è riflesso dell’amore libero di Dio, e perciò ogni creatura ne traduce, in qualche modo, lo splendore infinito. In maniera particolare l’amore è il centro ed il vertice della persona umana, fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Maria Immacolata, la più alta e perfetta delle persone umane, riproduce in modo eminente l’immagine di Dio ed è quindi resa capace di amarlo con intensità incomparabile come Immacolata, senza deviazioni o rallentamenti. È l’unica ancella del Signore (cf. Lc 1, 38) che con il suo “fiat” libero e personale risponde all’amore di Dio compiendo sempre quanto egli le domanda. Come quella di ogni altra creatura, la sua non è una risposta autonoma, ma è grazia e dono di Dio; in tale risposta vi è coinvolta tutta la sua libertà, la libertà di Immacolata. 
“Nell’unione dello Spirito Santo con Maria l’amore non congiunge soltanto queste due Persone, ma il primo amore è tutto l’amore della santissima Trinità, mentre il secondo, quello di Maria, è tutto l’amore della creazione e così in tale unione il cielo si unisce alla terra, tutto l’Amore increato con tutto l’amore creato . . . È il vertice dell’amore” (Gli scritti di Massimiliano Kolbe, eroe di Oswiecjm e Beato della Chiesa, 3 volumi, Edizioni Città di Vita, Firenze 1975, vol. III, p 758).


La circolarità dell’amore, che ha origine dal Padre, e che nella risposta di Maria ritorna alla sua sorgente, è un aspetto caratteristico e fondamentale del pensiero mariano di padre Kolbe. È, questo, un principio che sta alla base della sua antropologia cristiana, della visione della storia e della vita spirituale di ogni uomo. Maria Immacolata è archetipo e pienezza di ogni amore creaturale; il suo amore limpido e intensissimo verso Dio racchiude nella sua perfezione quello fragile e inquinato delle altre creature. La risposta di Maria è quella dell’intera umanità.

Tutto questo non offusca, né sminuisce la centralità assoluta di Gesù Cristo nell’ordine della salvezza, ma la illumina e la proclama con vigore, perché Maria deriva ogni sua grandezza da lui. 
Come insegna la storia della Chiesa, la funzione di Maria è quella di far risplendere il proprio Figlio, di condurre a lui e di aiutare ad accoglierlo. 
Il continuo approfondimento teologico del mistero di Maria Immacolata divenne per Massimiliano Kolbe sorgente e motivo di donazione illimitata e di dinamismo straordinario; egli seppe davvero incorporare la verità nella vita, anche perché attinse la conoscenza di Maria, come tutti i santi, non soltanto dalla riflessione guidata dalla fede, ma specialmente dalla orazione: Chi non è capace di piegare le ginocchia e di implorare da Maria in umile preghiera la grazia di conoscere chi Ella sia realmente non speri di apprendere qualcosa di più su di Lei” (Ivi., p. 474).



6. Ed ora, accogliendo questa esortazione finale dell’eroico figlio della Polonia ed autentico messaggero del culto mariano, noi, raccolti in questa splendida Basilica per la preghiera eucaristica in onore dell’Immacolata Concezione, piegheremo le nostre ginocchia davanti alla sua immagine e le ripeteremo, con quell’ardore e pietà filiale che tanto distinsero san Massimiliano, le parole dell’Angelo: 

“Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. Amen. 


Papa Giovanni Paolo II



AVE MARIA PURISSIMA

Se i medici ebrei temono contaminarsi col porre piede nella mia casa, con più ragione essa è contaminazione a Te che sei divino.

 Risultati immagini per Guarigione del servo del centurione.

Guarigione del servo del centurione. 

  2 giugno 1945

 1 Venendo dalla campagna Gesù entra in Cafarnao. Sono con Lui solo i dodici, anzi gli undici apostoli, perché non c'è Giovanni. I soliti saluti della gente su una gamma molto varia di espressioni, da quelli che sono tutta semplicità dei bambini, a quelli un poco timidi delle donne, a quelli estatici dei miracolati, fino a quelli curiosi o ironici. Ce ne sono per tutti i gusti.
   E Gesù risponde a tutti, a seconda di come è salutato: con carezze ai piccoli, benedizioni alle donne, sorrisi ai miracolati, e rispetto profondo per gli altri. Ma questa volta alla serie si unisce il saluto del centurione del luogo, credo. Lo saluta col suo: «Salve, Maestro!» al quale Gesù risponde col suo: «Dio venga a te».
   Il romano prosegue, mentre la folla si accosta curiosa di vedere come va l'incontro: «Sono più giorni che ti aspetto. Tu non mi riconosci fra gli ascoltatori del Monte. Ero vestito da cittadino. Non mi chiedi perché ero venuto?».
   «Non te lo chiedo. Che vuoi da Me?».
   «L'ordine è di seguire coloro che tendono assembramenti, perché troppe volte Roma dovette pentirsi di avere concesso riunioni di apparenza onesta. Ma, vedendo e udendo, ho pensato a Te come a... come a...

 2 Ho un servo malato, Signore. Egli giace nella mia casa, nel suo letto, paralizzato da un male nelle ossa, e soffre terribilmente. I nostri medici non lo guariscono. I vostri, che ho invitato a venire perché sono mali che vengono dalle arie corrotte di queste regioni, e voi li sapete curare con le erbe del suolo febbricoso della sponda dove stagnano le acque prima di esser bevute dalle arene del mare, si sono rifiutati di venire. Ne ho dolore perché è un servo fedele».
   «Io verrò e te lo guarirò».
   «No, Signore. Non chiedo che Tu faccia tanto. Sono pagano, sudiciume per voi. Se i medici ebrei temono contaminarsi col porre piede nella mia casa, con più ragione essa è contaminazione a Te che sei divino. Io non sono degno che Tu entri sotto il mio tetto. Ma se Tu dici da qui una sola parola il mio servo guarirà, perché Tu comandi a tutto quanto è. Ora se io che sono un uomo sottoposto a tante autorità, la prima delle quali è Cesare, per cui devo fare, pensare, agire come mi è comandato, posso a mia volta comandare ai soldati che ho sotto il mio comando, e se dico ad uno: "Va' ", all'altro: "Vieni", e al servo: "Fa' questo ", uno va dove lo mando, l'altro viene perché lo chiamo, il terzo fa quello che dico, Tu, che sei Chi sei, sarai tosto ubbidito dalla malattia ed essa se ne andrà».
   «Non è un uomo la malattia...» obbietta Gesù.
   «Neppur Tu sei un uomo, ma sei l'Uomo. Puoi dunque comandare anche agli elementi e alle febbri perché tutto è soggetto al tuo potere».

 3 Dei maggiorenti di Cafarnao prendono in disparte Gesù e gli dicono: «Egli è romano, ma Tu ascoltalo perché è uomo dabbene che ci rispetta e ci aiuta. Pensa che ha fatto fabbricare proprio lui la nostra sinagoga e tiene in rispetto i suoi soldati perché non ci sbeffeggino nei sabati. Fàgli dunque grazia per amore della tua città, acciò egli non resti deluso ed irritato ed il suo amore non si volga in odio per noi».
   E Gesù, ascoltati questi e quello, si volge sorridendo al centùrione dicendo: «Va' avanti che vengo».
   Ma il centurione torna a dire: «No, Signore, io l'ho detto: molto onore sarebbe se Tu entrassi sotto il mio tetto, ma non merito tanto; di' solo una parola e il mio servo sarà guarito».
   «E sia. Va' con fede. In questo istante la febbre lo lascia e la vita torna alle membra. Fa' che alla tua anima pure venga la Vita. Va'».
Il centurione saluta militarmente, e poi si inchina e se ne va.

 4 Gesù lo guarda andare e poi si rivolge ai presenti e dice: «In verità vi dico che non ho trovato tanta fede in Israele. Oh! è pur vero! "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una gran luce. Sopra coloro che abitavano nell'oscura regione di morte la Luce è spuntata", e ancora: "Il Messia, alzata la sua bandiera sulle nazioni, le riunirà".
   Oh! Regno mio! Veramente a te affluiranno in numero sterminato! Più che tutti i cammelli e i dromedari di Madian e di Efa, e i portatori d'oro e incenso di Saba, più che tutti i greggi di Cedar e gli arieti di Nabaiot saranno numerosi coloro che verranno a te, ed il mio cuore si dilaterà di gioia vedendo venire a Me i popoli del mare e le potenze delle nazioni. Me aspettano le isole per adorarmi, e i figli degli stranieri edificheranno le mura della mia Chiesa della quale sempre staranno aperte le porte ad accogliere i re e la forza delle nazioni ed a santificarli in Me. Questo che Isaia ha visto, ecco si compirà! Io vi dico che molti verranno da oriente e occidente e sederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei Cieli, mentre i figli del Regno saranno gettati nelle tenebre esteriori, dove sarà pianto e stridor di denti».
   «Tu dunque profetizzi che i gentili saranno pari ai figli d'Abramo?».
   «Non pari: superiori. Non vi rincresca che perché ciò è vostra colpa. Non Io, ma i Profeti lo dicono, ed i segni già lo confermano.

 5 Ora alcuno di voi vada verso la casa del centurione per constatare che il suo servo è guarito come la fede del romano lo meritava. Venite. Forse nella casa vi sono malati che attendono la mia venuta».
   E Gesù, con gli apostoli e qualche altro, perche i piu si precipitano curiosi e schiamazzanti verso la casa del centurione, si dirige alla solita casa dove sosta nei giorni che è a Cafarnao.
CLXXVII.  http://www.valtortamaria.com/operamaggiore/volume/3/clxxvii-guarigione-del-servo-del-centurione

AMDG et DVM

sabato 26 gennaio 2019

La lectio magistralis di Benedetto XVI a Ratisbona


Benedetto XVI a Ratisbona

Con una precisione da fotografia perfetta ho davanti alla vista spirituale, da stamane prima ancor che fosse l'alba...



 Il lebbroso guarito presso Corazim. 

   5 novembre 1944

 1 Con una precisione da fotografia perfetta ho davanti alla vista spirituale, da stamane prima ancor che fosse l'alba, un povero lebbroso.
   Questo è veramente un rudere di uomo. Non saprei dire che età ha, tanto è devastato dal male. Scheletrito, seminudo, mostra il suo corpo ridotto allo stato di una mummia corrosa, dalle mani e dai piedi contorti e mancanti di parti, di modo che quelle povere estremità non paiono neppur più di uomo. Le mani, artigliate e contorte, hanno della zampa di qualche mostro alato, i piedi paiono quasi zoccoli di bove, tanto sono mozzi e sfigurati.
   La testa poi!... Io credo che uno rimasto insepolto, e che divenga mummificato dal sole e dal vento, sia simile nel capo a questo capo. Pochi superstiti ciuffetti di capelli, sparsi qua e là, appiccicati alla cute giallastra e crostosa come per polvere seccata su un teschio, occhi appena socchiusi e incavatissimi, labbra e naso sbocconcellati dal male mostrano già le cartilagini e le gengive, le orecchie sono due embrionali ruderi di padiglione, e su tutto è stesa una pelle incartapecorita, gialla come certi caolini, sotto la quale bucano le ossa. Pare abbia ufficio di tenere radunate queste povere ossa entro il suo lurido sacco, tutto frinzelli di cicatrici o lacerazioni di piaghe putride. Una rovina!
   Penso proprio ad una Morte che sia vagante per la terra e ricoperta da una pelle incartapecorita sullo scheletro, avvolta in un lurido manto tutto a brandelli, e avente in mano non la falce, ma un nodoso bastone, certo strappato a qualche albero.
   È sulla soglia di una spelonca fuori mano, una vera spelonca, tanto diruta che non posso dire se in origine era un sepolcro, o un capanno per boscaioli, o l'avanzo di qualche casa distrutta. Guarda verso la via, lontana un cento e più metri dal suo antro, una via maestra polverosa e ancora piena di sole. Nessuno è sulla via. A perdita d'occhio, sole, polvere e solitudine sulla via. Molto più su, a nord-vest, vi deve essere un paese o città. Vedo le prime case. Sarà lontana almeno un chilometro.
   Il lebbroso guarda e sospira. Poi prende una ciotola sbocconcellata e la riempie ad un rigagnolo. Beve. Si addentra in un groviglio di rovi, dietro all'antro, si curva, strappa al suolo dei radicchi selvatici. Torna al rigagnolo, li monda dalla polvere più grossa con l'acqua scarsa del rio e se li mangia piano, portandoli a fatica alla bocca con le mani rovinate. Devono esser duri come stecchi. Stenta a masticarli e molti li sputa senza poterli inghiottire, nonostante cerchi di aiutarsi bevendo sorsi d'acqua.

 2 «Dove sei, Abele?» grida una voce.
    Il lebbroso si scuote, ha un che sulle labbra che potrebbe essere un sorriso. Ma sono così mal ridotte quelle labbra che è informe anche questa larva di sorriso. Risponde con una voce strana, stridula (mi fa pensare al grido di certi pennuti di cui ignoro l'esatto nome): «Qui sono! Non credevo più che tu venissi. Pensavo ti fosse accaduto del male, ero triste. - Se mi manchi anche tu, che resta al povero Abele?». Nel dire così, cammina verso la via, finché può secondo la Legge, si vede, perché a mezza distanza si ferma.
Sulla via viene avanti un uomo che quasi corre, tanto va lesto.
    «Ma sei proprio tu, Samuele? Oh! se non sei tu che attendo, chiunque tu sia, non farmi del male!».
    «Sono io, Abele, proprio io. E sano. Guarda come corro. Sono in ritardo, lo so. E ne avevo pena per te. Ma quando saprai... oh! tu sarai felice. E qui ho non solo i soliti tozzi di pane. Ma una intera pagnotta fresca e buona, tutta per te, e ho anche del buon pesce e un formaggio. Tutto per te. Voglio tu faccia festa, mio povero amico, per prepararti alla festa più grande».
    «Ma come sei tanto ricco? Io non capisco... »
    «Ora ti dirò».
    «E sano. Non sembri più tu!».

3 «Senti, dunque. Ho saputo che a Cafarnao era quel Rabbi che è santo, e sono andato... ».
   «Fermati, fermati! Sono infetto».
   «Oh! non importa! Non ho più paura di niente». L'uomo, che non è altro che il povero rattratto guarito e beneficato da Gesù nell'orto della suocera di Pietro, è infatti giunto col suo passo veloce a pochi passi dal lebbroso. Ha parlato camminando e ridendo felice.
   Ma il lebbroso dice ancora: «Fermati, in nome di Dio. Se ti vede qualcuno... ».
   «Mi fermo. Guarda, metto qui le provviste. Mangia, mentre io parlo». Pone su un grosso sasso un fagottello e lo apre. Poi si ritrae qualche passo, mentre il lebbroso si avanza e si getta sul cibo inusato. 
   «Oh! quanto è che non mangiavo così! Come è buono! E pensare che pensavo che sarei andato al riposo a stomaco vuoto. Non un pietoso oggi... e tu neppure. - Mi ero masticato dei radicchi... »
   «Povero Abele! Lo pensavo. Ma dicevo: "Bene. Ora sarà triste. Ma poi sarà felice! "»
   «Felice, sì, per questo buon cibo. Ma poi... »
   «No! Sarai felice per sempre».
   Il lebbroso scuote il capo.
   «Senti, Abele. Se tu puoi aver fede, sarai felice».
   «Ma fede in chi?».
   «Nel Rabbi. Nel Rabbi che ha guarito me».
   «Ma io sono lebbroso e all'ultimo punto! Come può guarirmi?».
   «Oh! Lo può. È santo».
   «Sì, anche Eliseo guarì Naaman lebbroso...Lo so... Ma io... Io non posso andare al Giordano».
   «Tu sarai guarito senza bisogno d'acqua. Ascolta: questo Rabbi è il Messia, capisci? Il Messia! Il Figlio di Dio è. E guarisce tutti quelli che hanno fede. Dice: "Voglio" e i demoni scappano, e le membra si raddrizzano, e gli occhi ciechi vedono».
   «Oh! se avrei fede, io! Ma come posso vedere il Messia?».
   «Ecco... sono venuto per questo. Egli è là, in quel paese. So dove è questa sera. Se vuoi.. - Io ho detto: "Lo dico ad Abele, e se Abele sente di aver fede lo conduco al Maestro" ».
   «Sei pazzo, Samuele? Se mi avvicino alle case sarò lapidato».
   «Non nelle case. La sera sta per scendere. Ti condurrò sino a quel boschetto, e poi andrò a chiamare il Maestro. Te lo condurrò...»
   «Va', va' subito! Vengo da me sino a quel punto. Camminerò nel fossato, fra la siepe, ma tu va', va'. - Oh! va', amico buono! Se sapessi cosa è aver questo male! E cosa è sperare di guarire!...» Il lebbroso non si cura neppur più del cibo. Piange e gestisce implorando l'amico.
   «Vado, e tu vieni». L'ex-rattratto va via di corsa.

 4 Abele scende a fatica nel fosso che costeggia la via, tutto pieno di cespugli cresciuti nel fondo asciutto. Vi è appena al centro un filo d'acqua. La sera scende mentre l'infelice scivola fra le macchie dei cespugli, sempre all'erta se ode un passo. Due volte si appiatta nel fondo: la prima per un cavaliere che percorre al trotto la via, la seconda per tre uomini carichi di fieno, diretti al paese. Poi prosegue.
   Ma prima di lui giunge al boschetto Gesù con Samuele. «Fra poco sarà qui. Va lento per le piaghe. Abbi pazienza».
   «Non ho fretta».
   «Lo guarirai?».
   «Ha fede?».
   «Oh!... moriva di fame, vedeva quel cibo dopo anni di astinenza, eppure ha lasciato tutto dopo pochi bocconi per correre qui».
   «Come lo hai conosciuto?».
   «Sai... vivevo di elemosina dopo la mia sventura e percorrevo le vie per andare da un luogo all'altro. Di qui passavo ogni sette giorni e avevo conosciuto quel poverello. - un giorno in cui, costretto dalla fame, si era spinto, sotto un temporale da mettere in fuga i lupi, sin sulla via del paese, in cerca di qualcosa. Frugava fra le immondizie come un cane. Io avevo del pane secco nella bisaccia, obolo di persone buone, e ho fatto a mezzo con lui. Da allora siamo amici e ogni settimana lo rifornisco. Con quel che ho. - Se ho molto, molto; se poco, poco. Faccio quel che posso come mi fosse un fratello. È dalla sera che mi hai guarito, benedetto Tu sia, che penso a lui... e a Te».
   «Sei buono, Samuele; per questo la grazia ti ha visitato. Chi ama merita tutto da Dio.

 5 Ma ecco là qualcosa fra le frasche...».
   «Sei tu, Abele?».
   «Sono io».
   «Vieni. Il Maestro ti attende qui, sotto il noce».
    Il lebbroso emerge dal fosso e monta sulla sponda, la valica, si addentra nel prato. Gesù, col dorso addossato ad un altissimo noce, lo attende.
   «Maestro, Messia, Santo, pietà di me!» e si butta tutto fra l'erba, ai piedi di Gesù. Col volto al suolo dice ancora: «O Signore mio! Se Tu vuoi, Tu puoi mondarmi!». E poi osa alzarsi sui ginocchi e tende le braccia scheletrite, dalle mani contorte, e tende il volto ossuto, devastato... Le lacrime scendono dalle orbite malate alle labbra corrose.
   Gesù lo guarda con tanta pietà. Guarda questa larva d'uomo che il male orrendo divora, e che solo una vera carità può sopportare vicino, tanto è ripugnante e maleodorante. Eppure ecco che Gesù tende una mano, la sua bella, sana mano destra, come per carezzare il poveretto.
   Questo, senza alzarsi, si butta però indietro, sui calcagni, e grida: «Non mi toccare! Pietà di Te!».
Ma Gesù fa un passo avanti. Solenne, buono, soave, posa le sue dita sulla testa mangiata dalla lebbra e dice, con voce piana, tutta amore eppure piena di imperio: «Lo voglio! Sii mondato!». La mano rimane per qualche minuto sulla povera testa. «Alzati. Vai dal sacerdote. Compi quanto la Legge prescrive. E non dire quanto ti ho fatto. Ma solo sii buono. Non peccare mai più. Ti benedico».
   «Oh! Signore! Abele! Ma tu sei tutto sano!». Samuele, che vede la metamorfosi dell'amico, grida di gioia.
   «Sì. È sano. Lo ha meritato per la sua fede. Addio. La pace sia con te».
   «Maestro! Maestro! Maestro! Io non ti lascio! Io non ti posso lasciare!».
   «Fai quanto vuole la Legge. Poi ci vedremo ancora. Per la seconda volta sia su te la mia benedizione».
Gesù si avvia facendo cenno a Samuele di restare. E i due amici piangono di gioia, mentre alla luce di un quarto di luna tornano alla spelonca per l'ultima sosta in quella tana di sventura.
   La visione cessa così.

LXIII.  http://www.valtortamaria.com/operamaggiore/volume/1/lxiii-il-lebbroso-guarito-presso-corazim-2

AMDG et DVM