AVE MARIA!
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domenica 5 febbraio 2023
lunedì 4 maggio 2020
La vera minaccia per la Chiesa
Il Papa emerito Benedetto XVI nella nuova biografia parla dell’Anti-Cristo
Di Sabino Paciolla
di Sabino Paciolla
Papa Benedetto XVI in una nuova biografia di prossima pubblicazione (in italiano qui) parla esplicitamente del “potere spirituale dell’Anti-Cristo” presente in una certa mentalità molto diffusa nella nostra società.
Maike Hickson, parla di questa nuova biografia nel suo articolo pubblicato su Lifesitenews da cui riprendiamo e traduciamo un passo dalla pagina 1074 la cui foto trovate piu sotto:
Domanda: Una frase della Sua predica durante la messa per l’inizio del pontificato è rimasta particolarmente impressa nella memoria: «Pregate per me, perché non fugga davanti ai lupi.» Aveva previsto tutto quello che avrebbe dovuto affrontare?Benedetto XVI: Anche qui devo dire che si tende a ridurre troppo la dimensione di quanto può incutere paura a un Papa. Naturalmente questioni come i «Vatileaks» sono incresciose e, soprattutto, non comprensibili e causa di grande turbamento per gli uomini del nostro grande mondo. Ma la vera minaccia per la Chiesa e quindi per il ministero petrino non risiede in queste cose, bensì nella dittatura mondiale di ideologie apparentemente umanistiche, contraddicendo le quali si resta esclusi dal consenso sociale di fondo. Ancora cento anni fa, tutti avrebbero considerato assurdo parlare di matrimonio omosessuale. Oggi chi vi si opponga viene scomunicato dalla società. Similmente stanno le cose per l’aborto e la produzione di esseri umani in laboratorio. La società moderna sta formulando una fede anticristica, cui non ci si può opporre senza essere puniti con la scomunica sociale. È quindi più che naturale avere paura di questa forza spirituale dell’Anticristo e ci vuole davvero l’aiuto della preghiera di un’intera diocesi e della Chiesa universale per opporvi resistenza.Da: “Benedetto XVI: Ein Leben” [Benedetto XVI: una vita], pag. 1074 versione originale (traduzione dal tedesco di questo passo a cura di Alessandra Carboni Riehn)
La giornalista riprende poi alcuni passi che si soffermano sugli intralci che Benedetto XVI ha dovuto affrontare.
“L’ostruzionismo veniva più dall’esterno che dalla Curia. Non volevo semplicemente promuovere prima di tutto la purificazione nel piccolo mondo della Curia, ma nella Chiesa nel suo insieme”. Spiegando ulteriormente il suo pensiero, ha aggiunto che “nel frattempo gli eventi hanno dimostrato che la crisi della Fede ha portato anche e soprattutto a una crisi dell’esistenza cristiana”. Questo, ha continuato, è ciò che “il Papa deve avere davanti ai suoi occhi”.
La Chiesa cattolica insegna che prima della gloriosa seconda venuta di Cristo, la Chiesa passerà attraverso una “prova finale” che “scuoterà la fede di molti credenti”.
“Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il « mistero di iniquità » sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne.”, afferma il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 675.
Tanti hanno parlato della figura dell’Anti-Cristo, tra questi il beato arcivescovo Fulton Sheen, nei suoi libri e sermoni, uno di questi ripreso dalla radio nel 1947. Ma anche il Card. Giacomo Biffi in una sua notevole relazione che tenne al Meeting di Rimini il 28 agosto 1991, e che vi consiglio assolutamente di vedere (qui e leggere la trascrizione che ho fatto).
A tal proposito, Fulton Sheen dice:
L’Anti-Cristo non sarà così chiamato, altrimenti non avrebbe seguaci. Non indosserà collant rossi, né vomiterà zolfo, né porterà un tridente né agiterà una coda frecciata come Mefistofele in Faust. Questa mascherata ha aiutato il Diavolo a convincere gli uomini che non esiste. Quando nessun uomo lo riconosce, più potere esercita.Da nessuna parte della Sacra Scrittura troviamo garanzie per il mito popolare del Diavolo come un buffone che è vestito tutto di “rosso”. Piuttosto è descritto come un angelo caduto dal cielo, come “il principe di questo mondo”, il cui compito è quello di dirci che non c’è nessun altro mondo.La logica di Satana è semplice: se non c’è cielo non c’è inferno; se non c’è inferno, allora non c’è peccato; se non c’è peccato, allora non c’è giudice, e se non c’è giudizio allora il male è bene e il bene è male. Ma al di sopra di tutte queste descrizioni, Nostro Signore ci dice che sarà così simile a Lui stesso che ingannerebbe anche gli eletti – e certamente nessun diavolo mai visto nei libri illustrati potrebbe ingannare anche gli eletti.Come verrà in questa nuova era per conquistare seguaci alla sua religione? La credenza russa pre-comunista è che verrà travestito da Grande Umanitario; parlerà di pace, prosperità e abbondanza non come mezzo per condurci a Dio, ma come fine a se stessi.Questa è la tentazione di avere una nuova religione senza la croce, una liturgia senza un mondo a venire, una religione per distruggere una religione, o una politica che è una religione, che rende a Cesare anche le cose che sono di Dio. In mezzo a tutto il suo apparente amore per l’umanità e al suo glorioso parlare di libertà e di uguaglianza, avrà un grande segreto che non dirà a nessuno: non crederà in Dio.Poiché la sua religione sarà la fratellanza dell’Uomo senza la paternità di Dio, ingannerà anche gli eletti. Egli creerà una contro-chiesa che sarà la scimmia della Chiesa, perché lui, il Diavolo, è la scimmia di Dio. Avrà tutte le note e le caratteristiche della Chiesa, ma al contrario e svuotato del suo contenuto divino. Sarà un corpo mistico dell’Anti-Cristo che assomiglierà in tutti gli esterni al corpo mistico di Cristo. . . .
Inoltre, l’Anti-Cristo:
Spiegherà il senso di colpa psicologicamente come sesso represso, farà sì che gli uomini si vergognino se i loro simili dicono di non essere di larghe vedute e liberali.
Identificherà la tolleranza con l’indifferenza per il bene e il male.
Favorirà più divorzi sotto il travestimento che un altro partner è “vitale”.
Egli aumenterà l’amore per l’amore e diminuirà l’amore per le persone.
Egli invocherà la religione per distruggere la religione.
Parlerà persino di Cristo e dirà che è stato il più grande uomo mai vissuto.
La sua missione, dirà, sarà quella di liberare gli uomini dalle servitù della superstizione e del fascismo, che non definirà mai.
In mezzo a tutto il suo apparente amore per l’umanità e al suo parlare di libertà e di uguaglianza, egli avrà un grande segreto che non dirà a nessuno; non crede in Dio. E poiché la sua religione sarà la fratellanza senza la paternità di Dio, ingannerà anche gli eletti.
Nel disperato bisogno di Dio, egli indurrà l’uomo moderno, nella sua solitudine e frustrazione, ad avere sempre più fame di appartenenza alla sua comunità che darà all’uomo l’allargamento dei suoi scopi, senza bisogno di una correzione personale e senza l’ammissione di colpe personali. Sono giorni in cui al diavolo è stata data una corda particolarmente lunga.
AMDG et DVM
venerdì 24 gennaio 2020
mercoledì 30 gennaio 2019
Giovanni Paolo II e i salmi 41 e 42
GIOVANNI PAOLO II
UDIENZA GENERALE
Mercoledì 6 febbraio 2002
Mercoledì 6 febbraio 2002
Salmo 42 - Desiderio del Tempio di Dio
(Lettura: Sal 42, 1.3-4).
1. In una Udienza generale di qualche tempo fa, commentando il Salmo che precede quello poc’anzi cantato, abbiamo detto che esso si univa intimamente al Salmo successivo. I Salmi 41 e 42 costituiscono, infatti, un unico canto, scandito in tre parti dalla stessa antifona: "Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio" (Sal 41, 6.12; 42, 5).
Queste parole, simili a un soliloquio, esprimono i sentimenti profondi del Salmista. Egli si trova lontano da Sion, punto di riferimento della sua esistenza perché sede privilegiata della presenza divina e del culto dei fedeli. Sente, perciò, una solitudine fatta di incomprensione e persino di aggressione da parte degli empi, aggravata dall’isolamento e dal silenzio da parte di Dio. Il Salmista, però, reagisce contro la tristezza con un invito alla fiducia, che egli rivolge a se stesso, e con una bella affermazione di speranza: egli conta di poter ancora lodare Dio, "salvezza del suo volto".
Nel Salmo 42, anziché parlare soltanto a se stesso come nel Salmo precedente, il Salmista si rivolge a Dio e lo supplica di difenderlo contro gli avversari. Riprendendo quasi alla lettera un’invocazione annunziata nell’altro Salmo (cfr 41, 10), l’orante rivolge questa volta effettivamente a Dio il suo grido desolato: "Perché mi respingi, perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?" (Sal 42, 2).
2. Tuttavia egli sente ormai che la parentesi oscura della lontananza sta per finire ed esprime la certezza del ritorno a Sion per ritrovare la dimora divina. La città santa non è più la patria perduta, come accadeva nel lamento del Salmo precedente (cfr Sal 41, 3-4), è invece la meta gioiosa, verso la quale si è in marcia. La guida del ritorno a Sion sarà la "verità" di Dio e la sua "luce" (cfr Sal 42, 3).
Il Signore stesso sarà il fine ultimo del viaggio. Egli è invocato come giudice e difensore (cfr vv. 1-2). Tre verbi marcano il suo intervento implorato: "Fammi giustizia", "difendi la mia causa", "liberami" (v. 1). Sono quasi tre stelle di speranza, che si accendono nel cielo tenebroso della prova e segnalano l’imminente aurora della salvezza.
È significativa la rilettura che sant’Ambrogio fa di questa esperienza del Salmista, applicandola a Gesù che prega nel Getsemani: "Non voglio che ti meravigli se il profeta dice che la sua anima era scossa, dal momento che lo stesso Signore Gesù disse: Ora l’anima mia è turbata. Chi infatti ha preso sopra di sé le nostre debolezze, ha preso anche la nostra sensibilità, per effetto della quale era triste fino alla morte, ma non per la morte. Non avrebbe potuto provocare mestizia una morte volontaria, dalla quale dipendeva la felicità di tutti gli uomini… Era dunque triste fino alla morte, nella attesa che la grazia fosse portata a compimento. Lo dimostra la sua stessa testimonianza, quando dice della sua morte: C’e un battesimo con il quale devo essere battezzato: e come sono angosciato finché non sia compiuto! (Le rimostranze di Giobbe e di Davide, VII, 28, Roma 1980, p. 233).
3. Ora, nel prosieguo del Salmo 42, davanti agli occhi del Salmista sta per aprirsi la soluzione tanto sospirata: il ritorno alla sorgente della vita e della comunione con Dio. La "verità", ossia la fedeltà amorosa del Signore, e la "luce", cioè la rivelazione della sua benevolenza, sono raffigurate come messaggere che Dio stesso invierà dal cielo per prendere per mano il fedele e condurlo verso la meta desiderata (cfr Sal 42, 3).
Molto eloquente è la sequenza delle tappe di avvicinamento a Sion e al suo centro spirituale. Prima appare "il monte santo", il colle ove si erge il tempio e la cittadella di Davide. Poi entrano in campo "le dimore", cioè il santuario di Sion con tutti i vari spazi ed edifici che le compongono. Viene, quindi, "l’altare di Dio" , la sede dei sacrifici e del culto ufficiale di tutto il popolo. La meta ultima e decisiva è il Dio della gioia, è l’abbraccio, l’intimità ritrovata con Lui, prima lontano e silenzioso.
4. Tutto, a quel punto, diviene canto, letizia, festa (cfr v. 4). Nell’originale ebraico si parla del "Dio che è gioia del mio giubilo". Si tratta di un modo di dire semitico per esprimere il superlativo: il Salmista vuole sottolineare che il Signore è la radice di ogni felicità, è la gioia suprema, è la pienezza della pace.
La traduzione greca dei Settanta è ricorsa, sembra, a un termine equivalente aramaico che indica la giovinezza e ha tradotto "al Dio che rallegra la mia giovinezza", introducendo così l’idea della freschezza e dell’intensità della gioia che il Signore dona. Il salterio latino della Vulgata, che è una traduzione fatta sul greco, dice quindi: "ad Deum qui laetificat juventutem meam". In questa forma il Salmo veniva recitato ai piedi dell’altare, nella precedente liturgia eucaristica, quale invocazione introduttoria all’incontro col Signore.
5. Il lamento iniziale dell’antifona dei Salmi 41-42 risuona per l’ultima volta in finale (cfr Sal 42, 5). L’orante non ha raggiunto ancora il tempio di Dio, è coinvolto ancora nell’oscurità della prova; ma ormai ai suoi occhi brilla la luce dell’incontro futuro e le sue labbra conoscono già la tonalità del canto di gioia. L’appello è, a questo punto, maggiormente segnato dalla speranza.
Osserva, infatti, sant’Agostino commentando il nostro Salmo: "Spera in Dio, risponderà alla sua anima colui che da essa è turbato… Vivi frattanto nella speranza. La speranza che si vede non è speranza; ma se speriamo ciò che non vediamo è per mezzo della pazienza che noi l’aspettiamo (cfr Rm 8, 24-25)" (Esposizione sui Salmi I, Roma 1982, p. 1019).
Il Salmo diventa, allora, la preghiera di chi è pellegrino sulla terra e si trova ancora in contatto col male e con la sofferenza, ma ha la certezza che il punto d’arrivo della storia non è un baratro di morte, bensì l’incontro salvifico con Dio.
Questa certezza è ancora più forte per i cristiani, ai quali la Lettera agli Ebrei proclama: "Voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa, e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele" (Eb 12, 22-24).
AMDG et DVM
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