di Giorgio
Mariano
Nel II secolo a.C. un sacerdote, di nome Mattatia (in ebraico «dono di Dio»),
alla vista dell’apostasia generale del popolo d’Israele, dal Sommo Sacerdote
all’ultimo israelita, pianse su Gerusalemme, stracciandosi le vesti per la
corruzione, l’idolatria e il tradimento perpetrato da tutto il popolo contro la
fede dei padri.
Vennero,
dunque, a chiamarlo i messaggeri del re Antioco Epìfane, per convincerlo ad
accettare i “nuovi” riti, di sottomettersi, per obbedienza, alla pratica del
nuovo culto. “Ma Mattatia rispose a gran voce: «Anche se tutti i popoli nei
domini del re lo ascolteranno e ognuno si staccherà dal culto dei suoi padri e
vorranno tutti aderire alle sue richieste, io, i miei figli e i miei fratelli
cammineremo nell'alleanza dei nostri padri; ci guardi il Signore
dall'abbandonare la legge e le tradizioni; non ascolteremo gli ordini del re
per deviare dalla nostra religione a destra o a sinistra”. (1Mac 2, 19-22).
A ben vedere,
questo brano del primo libro dei Maccabei, riporta delle forti analogie con gli
avvenimenti dei nostri tempi.
Quello che è successo ai Frati Francescani dell’Immacolata, per esempio, è
semplicemente sconcertante e doloroso, e tuttavia è ancora più sconvolgente la
loro risposta a questa ingiusta oppressione: hanno deposto le armi,
hanno scelto la non belligeranza.
L’atteggiamento
che hanno sposato è quello di obbedire all’ingiustizia e contemporaneamente
affidarsi ciecamente all’Immacolata la quale, a dir loro, li libererà,
prima o poi, da questa persecuzione.
Premesso che
la devozione e la fiducia sconfinata nella Santa Madre di Dio è santissima
nonché doverosa per ogni battezzato, tuttavia la Madonna non ci priva del
nostro intelletto, né la devozione a Lei ci esime dal resistere alle
ingiustizie e di rimboccarci le maniche dinanzi all’errore e al sopruso:
occorre ispirarsi davvero a San Massimiliano Kolbe. In parole povere, “bisogna dar
battaglia perché Dio conceda vittoria!” (Santa Giovanna d’Arco).
L’immobilismo apparentemente pio ed eroico in cui i Francescani
dell’Immacolata si sono rinchiusi sembra essere più un cieco fideismo che mal
si concilia con la “Vera” e santa obbedienza cattolica. I frati
vorrebbero cioè rimanere fedeli all’autorità, che li ha privati della Santa
Messa di sempre, pur riconoscendo la palese ingiustizia di tale comando.
Ma
l’obbedienza, per definizione, non consiste nell’accettare controvoglia, con
critiche, con mormorazioni e giudizi un decreto dell’autorità, bensì, per
essere vera obbedienza, deve tendere alla conformazione della volontà del
sottoposto con quella del suo superiore. Ossia,
il religioso deve pensare come il superiore o almeno tendere alla totale
identità di volontà (cfr. Summ. Theol.). Ora, posto che i frati
perseguitati si considerano appunto “perseguitati”, si deduce che essi non
accettano (moralmente) il provvedimento della Suprema autorità contro di essi,
riconoscendone la palese ingiustizia, eppure l’accettano sul piano pratico.
Bè cari frati,
se credete così di assolvere al precetto dell’obbedienza, vi sbagliate di
grosso.
Questa non è
l’obbedienza cattolica, è falsa obbedienza. Dunque,
se volessimo essere veramente puristi e vestire i panni dell’avvocato del
Diavolo, dovremmo richiamarvi ad una più piena obbedienza, ad una più piena
“comunione”, ad un vero “sentire cum Ecclesia”.
Ma se i frati chinano il capo dinanzi a
tale provvedimento, ne riconoscono la giustezza, dunque perdono ogni diritto di
lamentarsi, e di compatirsi, leccandosi le ferite che hanno voluto
autoinfliggersi.
Inoltre, sembra che i nostri frati si
dimentichino che fu lo stesso Papa Benedetto
XVI a smascherare la totale falsità di questa prospettiva,
dichiarando che l’antica Messa non “è mai stata abrogata” e che il suo uso da
parte di qualsiasi sacerdote all’interno della Chiesa “è stato sempre
permesso”, non potendo, neppure il Papa, in alcun modo eliminarla o abrogarla,
né, tantomeno, sostituirla (cfr. CCC n. 1125).
Infatti è stato proprio a causa di un falso principio di obbedienza
all’autorità ecclesiastica che la sovversione della Fede Cattolica è stata così
rapida e diffusa.
Fu proprio lo
stesso Papa Benedetto, quando era ancora il Cardinal Ratzinger, a confutare
questa erronea teoria: “Il Papa non è un monarca assoluto la cui volontà
è legge, ma piuttosto il custode dell’autentica Tradizione, e perciò il primo
garante dell’obbedienza… Per cui, per quanto concerne la
Liturgia, ha il compito di un giardiniere, e non quello di un tecnico che
costruisce nuove macchine e butta quelle vecchie”[2]. Dobbiamo dare
atto a S.S. Benedetto XVI del valido e
coraggioso tentativo di ritorno sui binari della Tradizione e,
contemporaneamente, dobbiamo tenere conto della violenta e tempestiva offensiva
che i suoi oppositori hanno riversato su di lui, tanto da costringerlo a una [apparente] rinuncia papale [con la quale li ha
giocati tutti].
Ciò che è vero per il Papa – ovvero che il suo potere e la sua autorità sono
limitate dall’obbedienza alla Fede – è ancor più vero per tutti i suoi
sottoposti. Eppure tra le fila di questi ultimi, in quest’epoca
post-conciliare, l’obbedienza alla Fede è stata largamente rimpiazzata
dall’obbedienza all’autorità gerarchica, a loro uso e consumo. Il positivismo
(la mia volontà è legge) ed il nominalismo (ciò che voglio è giusto perché lo
voglio io) hanno invaso la Chiesa, facendo in modo che gli abusi della
gerarchia venissero coperti in virtù dell’obbedienza, che ormai sembra essere
diventata l’unica e sola virtù su cui insistono le autorità ecclesiastiche”[3].
“Bisogna
obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”(5,29), e facilmente si obbietterà
che Dio parla per mezzo del Papa, di un Concilio o della gerarchia, eppure
bisogna ricordare anche che Dio non può comandare cose contraddittorie, Dio non
“evolve”, Egli è Immutabile per essenza. “Lo giuro su me stesso, dalla
mia bocca esce la verità, una parola irrevocabile”(Is 45,23), con buona
pace del card. Kasper e del sua fanta-teologia schellinghiana.
Dio non dice
un giorno di credere in una cosa e il giorno dopo di non crederla più: Dio non
cambia, rimane stabile per sempre, e con Lui coloro che rimangono fedeli alla
dottrina immutabile: “Veritas Domini manet in aeternum”(Esdr 3,12). Non
solo, per quanto riguarda la Fede, che è il presupposto della Speranza e della
Carità, l’Apostolo dice: “se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà; se noi
manchiamo di fede, egli però rimane fedele perché non può rinnegare se stesso”(2Tm
2,12-13). Dio cioè non può contraddirsi, non può rinnegare ciò che ha già
dichiarato.
Ma riprendiamo per un secondo il passaggio del libro dei Maccabei: “Si
avvicinò un Giudeo alla vista di tutti per sacrificare sull'altare in Modin
secondo il decreto del re. Ciò vedendo Mattatia arse di zelo; fremettero le sue
viscere ed egli ribollì di giusto sdegno. Fattosi avanti di corsa, lo uccise
sull'altare; uccise nel medesimo tempo il messaggero del re, che costringeva a
sacrificare, e distrusse l'altare. Egli agiva per zelo verso la legge come
aveva fatto Pincas con Zambri figlio di Salom. La voce di Mattatia tuonò nella
città: «Chiunque ha zelo per la legge e vuol difendere l'alleanza mi segua!».
Fuggì con i suoi figli tra i monti, abbandonando in città quanto avevano”(1Mac2,23-28).
Torniamo, per concludere, ai Maccabei. In
seguito alla persecuzione, “molti che ricercavano la giustizia e il diritto
scesero per dimorare nel deserto con i loro figli, le loro mogli e i greggi,
perché si erano addensati i mali sopra di essi”(29-30). Ora, i mali
addensatisi sopra i Francescani dell’Immacolata perché ricercavano sinceramente
la giustizia sono innegabili, e molti di loro sono attualmente “nascosti” e
braccati come lepri dal cacciatore. E tuttavia, qui non si lotta contro gli
uomini ma contro le potenze infernali, le quali non si fermeranno finché non
avranno annientato coloro che gli si oppongono.
Ma quale fu la
reazione dei “fedeli” d’Israele dinanzi alla battaglia? «Non usciremo, né
seguiremo gli ordini del re, profanando il giorno del sabato[…]Moriamo tutti
nella nostra innocenza. Testimoniano per noi il cielo e la terra che ci fate
morire ingiustamente» (34,37). Apparentemente sembrerebbe una morte
eroica e santa, giustificata dalla loro “obbedienza” legalistica al giorno di
sabato nel quale era proibito combattere ed uccidere. Eppure, all’udire la fine
di questi “pii” giudei, Mattatia dichiarò: «Se faremo tutti come hanno fatto
i nostri fratelli e non combatteremo contro i pagani per la nostra vita e per
le nostre leggi, ci faranno sparire in breve dalla terra». Presero in quel
giorno questa decisione: “«Noi combatteremo contro chiunque venga a darci
battaglia in giorno di sabato e non moriremo tutti come sono morti i nostri
fratelli nei nascondigli» (40-41). Dunque, alla luce di tali
riflessioni, voglio concludere con una santa esortazione, con una chiamata
alle armi (spirituali).
Frati Francescani dell’Immacolata e voi tutti sacerdoti timidi,
(comprensibilmente) impauriti: combattete la buona battaglia, difendete con
fortezza la Santa Messa, quella tramandataci dalla Sacra Tradizione, quella dei
Santi, quella immutabile, quella che è perseguitata, quella che è stata messa
al bando, quella che il Maligno non sopporta.
A tal
proposito, è opportuno chiedersi seriamente: se la Messa moderna è
“sostanzialmente” uguale all’antica, se la grazia è la stessa, perché il
Maligno la tollera? Perché non la perseguita? Perché non gli dà fastidio?
Pertanto, sacerdoti e religiosi tutti, amanti della Tradizione e perciò stesso
amanti della Chiesa, e ancor più amanti di Cristo: unitevi insieme, alzatevi a
difesa dell’unico Vero Innocente, dell’Unica Vera Vittima, dell’Unico Vero
Perseguitato, Gesù Cristo Signore Nostro!
Mi rivolgo qui
anche a quei vescovi e cardinali che sotto Ratzinger si
dimostrarono coraggiosi e che ora si sono un po’ “contratti”, ora che, invece,
ce n’è più bisogno. Non siate quei cani muti, di cui parla
Isaia, ma siate, al contrario, pastori che difendono il gregge. “Salire
contro è contrastare i poteri di questo mondo con libera parola in difesa del
gregge; e stare saldi in combattimento nel giorno del Signore, è resistere per
amore della giustizia agli attacchi dei malvagi. Infatti, che cos’è di diverso,
per un Pastore, l’avere temuto di dire la verità dall’avere offerto le spalle
col proprio silenzio?” (San Gregorio Magno, La Regola pastorale).
A tal
proposito c’è una nota storiella popolare molto istruttiva, che
narra di un uomo molto fervente che stava affogando nel mezzo di un lago.
Costui implorava la Divina Provvidenza che lo salvasse e lo liberasse dalla
morte: confidava fermamente che Dio lo avrebbe salvato. Passò, dunque, una barca
che gli tese un remo, ma lui rispose: “no grazie, aspetto che Dio mi salvi” e,
intanto, annaspava e sperava…passò dunque una seconda barchetta che, allo
stesso modo, si offrì di portarlo in salvo, ma egli replicò: “no grazie, sono
sicuro che verrà Dio a salvarmi” e, intanto, beveva acqua e continuava a
confidare…passò infine una terza scialuppa di salvataggio ma egli: “mi salverà
Dio, ne sono certo”. Alla fine, l’uomo fidente, morì affogato. Quando si trovò
al cospetto di Dio chiese indispettito: “perché non sei venuto a salvarmi?” e
l’Onnipotente rispose: “ma come? Sono passato tre volte e mi hai rifiutato!”.
Morale della
favola, bisogna rimboccarsi le maniche, e combattere la battaglia del nostro
tempo, e non ritirare i remi in barca nascondendoci dietro un’apparente “pia”
obbedienza. Prima di tutto, dice San Tommaso:
“la Carità è una virtù più grande dell’obbedienza”[1].
Quello appena
visto è l’esempio di obbedienza che non pochi santi si sono trovati a dover
opporre a decreti ingiusti provenienti, non di rado, anche dalla Suprema
Autorità ecclesiastica (Sant’Ambrogio, Sant’Ilario, Sant’Atanasio, San Massimo,
Santa Caterina, Santa Brigida ecc…). “Poiché tutta l’autorità proviene da Dio,
noi obbediamo agli uomini solo e unicamente perché la loro autorità si basa in
ultima analisi su quella del Signore. Questa obbedienza, laddove non vada
contro la legge di Dio, è in realtà un atto di giustizia, un dare agli altri, e
a Dio in primo luogo, ciò che è dovuto.
Ma il Signore
non dà a nessun uomo l’autorità di impartire un ordine che contravvenga ai
comandi e ai precetti da Lui Stesso fornitici, come quelli contenuti nei Dieci
Comandamenti o nel Vangelo, che costituisce la “legge positiva” di Cristo
Re.
Ne consegue
che nessun uomo abbia il diritto di obbedire ad un ordine simile. Per di più,
tutta l’autorità in terra è limitata dalla giustizia.Neanche il Papa dispone
di un’autorità illimitata, perché i suoi limiti provengono dalla Rivelazione,
dalle Scritture, dalla Tradizione e dagli insegnamenti autentici dal Magistero
Ordinario ed Universale, nonché da quello Straordinario con le sue definizioni
dogmatiche”[4].
(10 ottobre
2014)
[1] Summa Theologiae, II-II, Q. 104,
Art. 3
[3] GRUNER
N., Il Terzo Segreto e il problema della falsa obbedienza.
AVE MARIA!