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martedì 31 marzo 2020

Con la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio


La preghiera attraversa tutta la vita di Gesù

Cari fratelli e sorelle,
nelle ultime catechesi abbiamo riflettuto su alcuni esempi di preghiera nell’Antico Testamento, oggi vorrei iniziare a guardare a Gesù, alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre. Gesù è il maestro anche delle nostre preghiere, anzi Egli è il sostegno attivo e fraterno di ogni nostro rivolgerci al Padre. Davvero, come sintetizza un titolo del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, «la preghiera è pienamente rivelata ed attuata in Gesù» (541-547). A Lui vogliamo guardare nelle prossime catechesi.

Un momento particolarmente significativo di questo suo cammino è la preghiera che segue il battesimo a cui si sottopone nel fiume Giordano. L'Evangelista Luca annota che Gesù, dopo aver ricevuto, insieme a tutto il popolo, il battesimo per mano di Giovanni il Battista, entra in una preghiera personalissima e prolungata: «Mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo» (Lc 3,21-22). Proprio questo «stare in preghiera», in dialogo con il Padre illumina l'azione che ha compiuto insieme a tanti del suo popolo, accorsi alla riva del Giordano. Pregando, Egli dona a questo suo gesto, del battesimo, un tratto esclusivo e personale.

Il Battista aveva rivolto un forte appello a vivere veramente come «figli di Abramo», convertendosi al bene e compiendo frutti degni di tale cambiamento (cfr Lc 3,7-9). E un gran numero di Israeliti si era mosso, come ricorda l’Evangelista Marco, che scrive: «Accorrevano… [a Giovanni] tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati» (Mc 1,5). Il Battista portava qualcosa di realmente nuovo: sottoporsi al battesimo doveva segnare una svolta determinante, lasciare una condotta legata al peccato ed iniziare una vita nuova. Anche Gesù accoglie questo invito, entra nella grigia moltitudine dei peccatori che attendono sulla riva del Giordano. Ma, come ai primi cristiani, anche in noi sorge la domanda: perché Gesù si sottopone volontariamente a questo battesimo di penitenza e di conversione? Non ha da confessare peccati, non aveva peccati, quindi anche non aveva bisogno di convertirsi. Perché allora questo gesto? L’Evangelista Matteo riporta lo stupore del Battista che afferma: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3,14) e la risposta di Gesù: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia» (v. 15). Il senso della parola «giustizia» nel mondo biblico è accettare pienamente la volontà di Dio. Gesù mostra la sua vicinanza a quella parte del suo popolo che, seguendo il Battista, riconosce insufficiente il semplice considerarsi figli di Abramo, ma vuole compiere la volontà di Dio, vuole impegnarsi perché il proprio comportamento sia una risposta fedele all’alleanza offerta da Dio in Abramo. Discendendo allora nel fiume Giordano, Gesù, senza peccato, rende visibile la sua solidarietà con coloro che riconoscono i propri peccati, scelgono di pentirsi e di cambiare vita; fa comprendere che essere parte del popolo di Dio vuol dire entrare in un’ottica di novità di vita, di vita secondo Dio.

In questo gesto Gesù anticipa la croce, dà inizio alla sua attività prendendo il posto dei peccatori, assumendo sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità, adempiendo la volontà del Padre. Raccogliendosi in preghiera, Gesù mostra l’intimo legame con il Padre che è nei Cieli, sperimenta la sua paternità, coglie la bellezza esigente del suo amore, e nel colloquio con il Padre riceve la conferma della sua missione. Nelle parole che risuonano dal Cielo (cfr Lc 3,22) vi è il rimando anticipato al mistero pasquale, alla croce e alla risurrezione. La voce divina lo definisce «Il Figlio mio, l’amato», richiamando Isacco, l'amatissimo figlio che il padre Abramo era disposto a sacrificare, secondo il comando di Dio (cfr Gen 22,1-14). Gesù non è solo il Figlio di Davide discendente messianico regale, o il Servo di cui Dio si compiace, ma è anche il Figlio unigenito, l’amato, simile a Isacco, che Dio Padre dona per la salvezza del mondo. Nel momento in cui, attraverso la preghiera, Gesù vive in profondità la propria figliolanza e l’esperienza della paternità di Dio (cfr Lc 3,22b), discende lo Spirito Santo (cfr Lc 3,22a), che lo guida nella sua missione e che Egli effonderà dopo essere stato innalzato sulla croce (cfr Gv 1,32-34; 7,37-39), perché illumini l’opera della Chiesa. Nella preghiera, Gesù vive un ininterrotto contatto con il Padre per realizzare fino in fondo il progetto di amore per gli uomini.

Sullo sfondo di questa straordinaria preghiera sta l’intera esistenza di Gesù vissuta in una famiglia profondamente legata alla tradizione religiosa del popolo di Israele. Lo mostrano i riferimenti che troviamo nei Vangeli: la sua circoncisione (cfr Lc 2,21) e la sua presentazione al tempio (cfr Lc 2,22-24), come pure l’educazione e la formazione a Nazaret, nella santa casa (cfr Lc 2,39-40 e 2,51-52). Si tratta di «circa trent’anni» (Lc 3,23), un tempo lungo di vita nascosta e feriale, anche se con esperienze di partecipazione a momenti di espressione religiosa comunitaria, come i pellegrinaggi a Gerusalemme (cfr Lc 2,41). Narrandoci l'episodio di Gesù dodicenne nel tempio, seduto in mezzo ai maestri (cfr Lc 2,42-52), l'evangelista Luca lascia intravedere come Gesù, che prega dopo il battesimo al Giordano, ha una lunga abitudine di orazione intima con Dio Padre, radicata nelle tradizioni, nello stile della sua famiglia, nelle esperienze decisive in essa vissute. La risposta del dodicenne a Maria e Giuseppe indica già quella filiazione divina, che la voce celeste manifesta dopo il battesimo: «Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Uscito dalle acque del Giordano, Gesù non inaugura la sua preghiera, ma continua il suo rapporto costante, abituale con il Padre; ed è in questa unione intima con Lui che compie il passaggio dalla vita nascosta di Nazaret al suo ministero pubblico.

L’insegnamento di Gesù sulla preghiera viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia, ma ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica risponde alla domanda: Da chi Gesù ha imparato a pregare?, così: «Gesù, secondo il suo cuore di uomo, ha imparato a pregare da sua Madre e dalla tradizione ebraica. Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente più segreta, poiché è il Figlio eterno di Dio che, nella sua santa umanità, rivolge a suo Padre la preghiera filiale perfetta» (541).

Nella narrazione evangelica, le ambientazioni della preghiera di Gesù si collocano sempre all'incrocio tra l’inserimento nella tradizione del suo popolo e la novità di una relazione personale unica con Dio. «Il luogo deserto» (cfr Mc 1,35; Lc 5,16) in cui spesso si ritira, «il monte» dove sale a pregare (cfr Lc 6,12; 9,28), «la notte» che gli permette la solitudine (cfr Mc 1,35; 6,46-47; Lc 6,12) richiamano momenti del cammino della rivelazione di Dio nell’Antico Testamento, indicando la continuità del suo progetto salvifico. Ma al tempo stesso, segnano momenti di particolare importanza per Gesù, che consapevolmente si inserisce in questo piano, fedele pienamente alla volontà del Padre.

Anche nella nostra preghiera noi dobbiamo imparare, sempre di più, ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore per noi.

La preghiera di Gesù tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate. Le fatiche non la bloccano. I Vangeli, anzi, lasciano trasparire una consuetudine di Gesù a trascorrere in preghiera parte della notte. L'Evangelista Marco racconta una di queste notti, dopo la pesante giornata della moltiplicazione dei pani e scrive: «E subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra» (Mc 6,45-47). Quando le decisioni si fanno urgenti e complesse, la sua preghiera diventa più prolungata e intensa. Nell’imminenza della scelta dei Dodici Apostoli, ad esempio, Luca sottolinea la durata notturna della preghiera preparatoria di Gesù: «In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli» (Lc 6,12-13).

Guardando alla preghiera di Gesù, deve sorgere in noi una domanda: come prego io? come preghiamo noi? Quale tempo dedico al rapporto con Dio? Si fa oggi una sufficiente educazione e formazione alla preghiera? E chi può esserne maestro?

Nell’Esortazione apostolica Verbum Domini ho parlato dell’importanza della lettura orante della Sacra Scrittura. Raccogliendo quanto emerso nell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi, ho posto un accento particolare sulla forma specifica della lectio divina. Ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un'arte, che si impara praticandola con costanza. Certamente la preghiera è un dono, che chiede, tuttavia, di essere accolto; è opera di Dio, ma esige impegno e continuità da parte nostra; soprattutto, la continuità e la costanza sono importanti.

Proprio l’esperienza esemplare di Gesù mostra che la sua preghiera, animata dalla paternità di Dio e dalla comunione dello Spirito, si è approfondita in un prolungato e fedele esercizio, fino al Giardino degli Ulivi e alla Croce.

Oggi i cristiani sono chiamati a essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio. Nell’amicizia profonda con Gesù e vivendo in Lui e con Lui la relazione filiale con il Padre, attraverso la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio. Anzi, nel percorrere la via della preghiera, senza riguardo umano, possiamo aiutare altri a percorrerla: anche per la preghiera cristiana è vero che, camminando, si aprono cammini.

Cari fratelli e sorelle, educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso, ad una preghiera che non sia saltuaria, ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesù. E chiediamo a Lui di poter comunicare alle persone che ci stanno vicino, a coloro che incontriamo sulla nostra strada, la gioia dell’incontro con il Signore, luce per la nostra l’esistenza. Grazie.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

sabato 7 luglio 2018

NON HA CUORE DI BRONZO...


  • "Ora e nell’ora della morte”.
    E’ l’invocazione che fa riscontro al “Liberaci dal male”. Voi non vi riflettete, ma è così. Vi ho dato una Madre oltre che un Padre e se chiedete al Padre d’essere liberati dal Male, non direte alla Madre di tenere lontana da voi la morte che è male?  Ma pensate con mente elevata in Dio e chiedete con intelligenza di figli di Dio. Non vi dovete tanto preoccupare del male e della morte nel senso umano della parola, quanto del Male e della Morte nel senso soprannaturale. 8.11.43
  • "Il Signore è con Te”. Sempre il Signore è con l’anima in grazia. Dio non si allontana neppure quando il Tentatore si avvicina. Dio si allontana soltanto quando la creatura cede al Tentatore e corrompe l’anima sua. (…)
    L’unito con Dio è saturo di Dio e ogni altra cosa che non sia Dio resta alla superficie (…) e anziché assorbire l’esterno in sé, diffonde l’interno sui prossimi, diffonde cioè, il Bene, Iddio. 5.9.43
  • "Benedetta tu fra tutte le donne”.
    Questa benedizione che voi dite malamente o non dite affatto a Colei che col suo sacrificio ha iniziato la Redenzione, risuona continuamente in Cielo, pronunciata con infinito amore dalla nostra Trinità, con accesa carità dai salvati dal nostro sacrificio e dai cori angelici. Tutto il Paradiso benedice Maria, capolavoro della Creazione universale e della Misericordia divina. 6.9.43
  • “Benedetto il frutto del tuo seno”
    Si, ma Io, a quel seno che meritava tutta la gioia destinata ad un Adamo senza colpa, ho dovuto dare tutto il dolore, per voi. Per voi la pena di addolorare Giuseppe. Per voi il puerperio fra tanto squallore. Per voi la profezia di Simeone che le rigirò la lama nella ferita, ribadendo e acutizzando il morso della spada. Per voi la fuga in terra straniera, per voi le ansie di tutta una vita, per voi gli affanni di sapermi evangelizzante e perseguitato dalle caste nemiche, per voi lo spavento della cattura, il tormento della molteplice tortura, l’agonia della mia agonia, la morte della mia morte. 7.9.43
  • Sempre dal cominciare della preghiera la grazia del Signore scende su voi. Parlo della preghiera santa, non della stolta richiesta di cose inutili, o da Dio e dalla morale retta riprovate. L’Eterno che veglia su voi dai cieli non ha cuore di bronzo simile al vostro che siete duri ai fratelli  e ingrati a Dio. Egli subito si piega su voi quando con cuore umile, amoroso e fidente, quando con sacrificio e costanza, chiedete a Dio pietà.
    Pane e conforto, scienza e guida vi dà Dio quando a Lui vi rivolgete. E se non sempre siete esauditi, non pensate di rimanere senza risposta al vostro pregare. Per un che, negato da una Intelligenza che tutto conosce, voi ricevete altri doni che non sempre subito apprezzate e dei quali non siete subito riconoscenti. Ma prima o poi dovete riconoscere questa Bontà  intelligente che vi cura. E se qui non lo conoscete, sarà certamente oltre la vita della terra che conoscerete quanto fu grande e buono con voi il Signore. 29.11.43
  • Il mio Cuore pregò sulla Croce per i suoi crocifissori e quelli che pregano per chi li fa soffrire sono simili a Me che pregai per i miei carnefici. Fiducia in Me che vedo e pazienza verso gli altri, verso le cose che vi si accaniscono contro. La ricompensa è tale che merita ogni sacrificio e non tarderà a venire. 20.1.44
  • State uniti a Me, Io ero solo a pregare il Padre, ma voi non siete soli: voi avete con voi il Salvatore, il Figlio dell’Altissimo. Pregate il Padre con Me, nel mio Nome. 27.2.44
  • Per tutti coloro che non vogliono o non  possono pregare in maniera che  ogni giorno abbia quel numero di omaggi che la Divinità richiede,(…)  pregano i claustrati.Pregano Dio per onorarlo, Lo pregano per placarlo, lo pregano per impetrarlo. Sono le braccia alzate sopra coloro che combattono, e chiedono per tutti. 16/3/44
  • Pregare per dar lode e riparazione a Dio bestemmiato da tanti.
    Pregare per chi non prega.
    Pregare per la Chiesa.
    Pregare per il Sacerdozio (…)
    Pregare per la società umana che vada a Dio se vuol salvarsi.
    Pregare per la patria che abbia pace e bene.
    Pregare per chi soffre, per chi ha fame, per chi è senza tetto.
    Pregare per chi dubita e sente che la disperazione lo abbranca.
    Pregare, pregare, pregare
    Per ultimo pregare per te 16/3/44
  • Pregate per amare, siate buoni per amare, vivete per amare. 19/3/44
  • Il Signore Gesù Cristo ha insegnato agli uomini a chiedere il pane quotidiano. Ma, se lo si sapesse meditare, ha messo questa petizione, di una necessità tutta umana, dopo le tre sublimi petizioni che il Nome Ss. di Dio abbia gli onori ed Esso dovuti, che il Regno venga, che la Sua Volontà sia fatta come in Cielo così in Terra. (…) Questa orazione, senza lacuna e difetto, insegna all’uomo come, perché, per cosa si deve pregare. 2.6.46 
  • Chiedete, chiedete, chiedete. Per tutti. Per i buoni perché Dio li benedica. Per i malvagi perché Dio li converta. Dite con Me: “Padre perdona loro”.  Chiedete la salute, la pace in famiglia, la pace nel mondo, la pace per l’eternità.
    Chiedete la santità.(…) Dio è il santo ed è il Padre. Chiedetegli in un (insieme) con la vita che vi mantiene, la santità attraverso la Forza che viene da Lui.
    Non abbiate paura di chiedere. Il pane quotidiano e la benedizione quotidiana.(…) Non temete di osare troppo.  14/6/44
  • Il Signore Gesù Cristo ha insegnato agli uomini a chiedere il pane quotidiano. Ma, se lo si sapesse meditare, ha messo questa petizione, di una necessità tutta umana, dopo le tre sublimi petizioni che il Nome Ss. di Dio abbia gli onori ed Esso dovuti, che il Regno venga, che la Sua Volontà sia fatta come in Cielo così in Terra. (…) Questa orazione, senza lacuna e difetto, insegna all’uomo come, perché, per cosa si deve pregare. 2.6.46
  • L’uomo  dà carità a Dio quando riducendo allo stretto necessario pratiche e preghiere vocali, opera e ora con tutto sé stesso senza interruzione, come fece Gesù. 11/9/49 

AMDG et DVM

venerdì 17 novembre 2017

La mia casa sarà casa di preghiera: ecco la chiesa povera.


Ogni tanto torna di moda parlare di 
chiesa povera, per i poveri


 Si sa che, normalmente, quelli che amano parlare di chiesa povera sono i ricchi, sono quelli che poveri non sono. Chi ha assaggiato la fatica della povertà economica, non ama la povertà e non la augura a nessuno, nemmeno alla chiesa. 



 Sono i borghesi che, per rifarsi un'anima a buon prezzo, hanno bisogno di un fremito di commozione sulla povertà altrui, e per un'invidia mista a un laicismo acido pretendono che la chiesa sia economicamente povera.

 Così dicendo non vogliamo affermare che la povertà, non la miseria!, non sia un valore; la povertà è uno dei consigli evangelici, che con la castità e l'obbedienza segna il cammino di perfezione della vita religiosa. E per tutti, anche per chi non è in convento, è da coltivare con estrema attenzione: la sobrietà, la modestia e la morigeratezza quanto sono necessarie alla vita cristiana di tutti!

 Ma a che serve la povertà? A non sperare in se stessi, ma unicamente nella Grazia di Dio.

 Questo è il punto. La povertà, con anche il suo aspetto di sobrietà economica, non serve in se stessa, serve perché rimette l'uomo nella posizione più vera, quella della sua totale dipendenza da Dio. Ed è innegabile che chi è in difficoltà economica, il povero, può capire di più cosa sia questa dipendenza, questo dover sperare in un Altro; e Dio diventa per lui più concretamente Provvidenza.

 Ma questo non è mai automatico; e lo è meno che mai nel mondo odierno post-comunista, che ahimè comunista resta, che ha chiuso la povertà nella prigione della lotta di classe e della lotta per i diritti personali, e così facendo ha ucciso con l'ateismo la povertà; l’ha uccisa, non l'ha risolta! 

 Anche la Chiesa non può vivere la questione della povertà come il mondo post-comunista, che resta malato di comunismo.

 Chiesa povera vuol dire chiesa semplice, che non ha altra sicurezza che quella che le viene dalla grazia di Cristo e dalla Divina Rivelazione.

 I poveri non hanno tempo da perdere, non hanno voglia di elucubrazioni pseudo-intellettuali. Per loro la vita urge, devono arrivare al dunque e presto, per mangiare e vivere.

 E non è così anche del cristiano, quando è seriamente impegnato con la vita? Quando si è coscienti che la vita è una lotta drammatica, non si perde tempo, non ci si intrattiene sull'inutile o sul futile, si vuole giungere subito alla questione della salvezza, alla questione della grazia che salva.

 Chiesa povera è allora quella impegnata sul fronte della grazia, sul fronte della salvezza delle anime, con gli strumenti dati da Dio: predicazione e sacramenti.

 Ma l'orizzonte si fa sempre più scuro: dov'è questa Chiesa preoccupata della salvezza delle anime? Sembra che la maggiore parte del clero e del laicato impegnato sia occupata nel servizio al mondo. La predicazione ufficiale parla di pace del mondo, di fraternità universale, di umanità consapevole... un linguaggio degno del mondo massonico e della propaganda marxista di decenni fa.

 No, questa chiesa impegnata in qualcosa d'altro non è una chiesa povera, anche se fa volontariato per i poveri. Non è una chiesa povera, anche se apre a dismisura centri di accoglienza, perché  ha perso la radice della vera povertà, che è sperare solo in Dio.

 “Non possiedo né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo alzati e cammina” (At 3,6) Nel nome di Gesù Cristo... così agisce San Pietro con lo storpio alla porta del tempio, così agisce la Chiesa di sempre difronte ai mali del mondo: dona la grazia che salva, invitando alla conversione, quella vera.

 Quando invece la chiesa si imborghesisce parla dei poveri, ma non vive la povertà che ha come cuore il miracolo della grazia. Parla dei poveri la chiesa ammodernata, ma è borghese nel midollo, perché cerca i mezzi umani per essere come gli altri club sociali. E anche quando parla di grazia di Dio, ne parla come un cappello aggiunto al suo pelagiano impegno tutto umano. Non è una chiesa povera, perché la grazia di Dio, quella che discende dalla Croce di Cristo e dai sacramenti, non diventa mai il principio di giudizio e di azione.

 Eppure saremo salvi se accoglieremo la grazia di Dio, e vivremo di conseguenza.

 Domandiamo a Dio la grazia di vedere tornare la chiesa a questa nobile povertà. Alla povertà coraggiosa che domanda ai peccatori di tornare a Cristo, e a coloro che non lo conoscono ancora di convertirsi a lui, unico Redentore.

 E supplichiamo i pastori legittimi della Chiesa perché ci lascino vivere così: non ci interessano i borghesi che amano avere un po' di commozione per i poveri, no - non ci interessano davvero. Vogliamo vivere da poveri, cioè integralmente cattolici, credendo pienamente nell'efficacia della grazia di Dio; credendo nell'assoluta necessità dei sacramenti; posando la vita sulla potenza della preghiera vissuta e insegnata.
 Ci interessa vivere di questo, e non di altre elucubrazioni pastorali.

 La mia casa sarà casa di preghiera: ecco la chiesa povera.

Radicati nella fede
AMDG et BVM

lunedì 14 novembre 2016

Preghiamo

La preghiera

Dall' Evangelo come mi è stato rivelato
  • Il primo “Pater noster”  è stato pronunciato nell’orto di Nazareth per consolare la pena di Maria, per offrire le “nostre” volontà all’Eterno (…)
    E per quanto noi non avessimo nulla da farci perdonare dal Padre, pure per umiltà, noi, i Senza Colpa, abbiamo chiesto il perdono del Padre  per andare perdonati, assolti anche di un sospiro, incontro alla nostra missione degnamente. Per insegnarvi che più si è in grazia di Dio e più la missione è benedetta e fruttuosa. Per insegnarvi il rispetto di Dio e l’umiltà. Davanti a Dio Padre anche le nostre due perfezioni di Uomo e di Donna si sono sentite nulla e hanno chiesto perdono. Come hanno chiesto il “pane quotidiano”. (….) Il “nostro” pane quotidiano era quello di fare giorno per giorno la nostra parte di missione. (…)
    Maria prega insieme a Gesù. E’ Gesù che vi giustifica, figli. Sono Io che rendo accettevoli e fruttuose le vostre preghiere presso il Padre. (…)
    Quando pregate, unitevi sempre, sempre, sempre a Me. Io pregherò a voce alta per voi, coprendo la vostra  voce di uomini con la mia di Uomo-Dio. Io metterò sulle mie mani trafitte la vostra preghiera e l’eleverò al Padre. Diverrà ostia di pregio infinito. La mia voce fusa con la vostra salirà come bacio filiale al Padre, e la porpora delle mia ferite farà prezioso il v ostro pregare. Siate in Me se volete avere il Padre in voi, con voi, per voi. 44.14

domenica 14 agosto 2016

Sant’Antonio parla della preghiera


Benedetto XVI  
VOLETE INNAMORARVI DI PIU' DI SANT'ANTONIO? COMINCIAMO COL GUSTARE QUANTO CI INSEGNA PAPA BENEDETTO XVI IN QUESTA STUPENDA UDIENZA

S. ANTONIO DI PADOVA
sac. e Dott. della Chiesa (1195-1231)
Papa Benedetto XVI 
Udienza Generale S. Antonio di Padova
10 febbraio 2010

Oggi vorrei parlare di un santo appartenente alla prima generazione dei Frati Minori: Antonio di Padova o, come viene anche chiamato, da Lisbona, riferendosi alla sua città natale. Si tratta di uno dei santi più popolari in tutta la Chiesa Cattolica, venerato non solo a Padova, dove è stata innalzata una splendida Basilica che raccoglie le sue spoglie mortali, ma in tutto il mondo. Sono care ai fedeli le immagini e le statue che lo rappresentano con il giglio, simbolo della sua purezza, o con il Bambino Gesù tra le braccia, a ricordo di una miracolosa apparizione menzionata da alcune fonti letterarie.
Antonio ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della spiritualità francescana, con le sue spiccate doti di intelligenza, di equilibrio, di zelo apostolico e, principalmente, di fervore mistico.

Nacque a Lisbona da una nobile famiglia, intorno al 1195, e fu battezzato con il nome di Fernando. Entrò fra i Canonici che seguivano la regola monastica di sant’Agostino, dapprima nel monastero di San Vincenzo a Lisbona e, successivamente, in quello della Santa Croce a Coimbra, rinomato centro culturale del Portogallo. Si dedicò con interesse e sollecitudine allo studio della Bibbia e dei Padri della Chiesa, acquisendo quella scienza teologica che mise a frutto nell’attività di insegnamento e di predicazione. 
A Coimbra avvenne l’episodio che impresse una svolta decisiva nella sua vita: qui, nel 1220 furono esposte le reliquie dei primi cinque missionari francescani, che si erano recati in Marocco, dove avevano incontrato il martirio. La loro vicenda fece nascere nel giovane Fernando il desiderio di imitarli e di avanzare nel cammino della perfezione cristiana: egli chiese allora di lasciare i Canonici agostiniani e di diventare Frate Minore. La sua domanda fu accolta e, preso il nome di Antonio, anch’egli partì per il Marocco, ma la Provvidenza divina dispose altrimenti. In seguito a una malattia, fu costretto a rientrare in Italia e, nel 1221, partecipò al famoso “Capitolo delle stuoie” ad Assisi, dove incontrò anche san Francesco. 

Successivamente, visse per qualche tempo nel totale nascondimento in un convento presso Forlì, nel nord dell’Italia, dove il Signore lo chiamò a un’altra missione. Invitato, per circostanze del tutto casuali, a predicare in occasione di un’ordinazione sacerdotale, mostrò di essere dotato di tale scienza ed eloquenza, che i Superiori lo destinarono alla predicazione. Iniziò così in Italia e in Francia, un’attività apostolica tanto intensa ed efficace da indurre non poche persone che si erano staccate dalla Chiesa a ritornare sui propri passi. 
Antonio fu anche tra i primi maestri di teologia dei Frati Minori, se non proprio il primo. Iniziò il suo insegnamento a Bologna, con la benedizione di san Francesco, il quale, riconoscendo le virtù di Antonio, gli inviò una breve lettera, che si apriva con queste parole: “Mi piace che insegni teologia ai frati”. Antonio pose le basi della teologia francescana che, coltivata da altre insigni figure di pensatori, avrebbe conosciuto il suo apice con san Bonaventura da Bagnoregio e il beato Duns Scoto.

Diventato Superiore provinciale dei Frati Minori dell’Italia settentrionale, continuò il ministero della predicazione, alternandolo con le mansioni di governo. Concluso l’incarico di Provinciale, si ritirò vicino a Padova, dove già altre volte si era recato. Dopo appena un anno, morì alle porte della Città, il 13 giugno 1231. Padova, che lo aveva accolto con affetto e venerazione in vita, gli tributò per sempre onore e devozione. Lo stesso Papa Gregorio IX, che dopo averlo ascoltato predicare lo aveva definito “Arca del Testamento”, lo canonizzò solo un anno dopo la morte nel 1232, anche in seguito ai miracoli avvenuti per la sua intercessione.

Nell’ultimo periodo di vita, Antonio mise per iscritto due cicli di “Sermoni”, intitolati rispettivamente “Sermoni domenicali” e “Sermoni sui Santi”, destinati ai predicatori e agli insegnanti degli studi teologici dell’Ordine francescano. 

In questi Sermoni egli commenta i testi della Scrittura presentati dalla Liturgia, utilizzando l’interpretazione patristico-medievale dei quattro sensi, quello letterale o storico, quello allegorico o cristologico, quello tropologico o morale, e quello anagogico, che orienta verso la vita eterna. Oggi si riscopre che questi sensi sono dimensioni dell’unico senso della Sacra Scrittura e che è giusto interpretare la Sacra Scrittura cercando le quattro dimensioni della sua parola. 
Questi Sermoni di sant’Antonio sono testi teologico-omiletici, che riecheggiano la predicazione viva, in cui Antonio propone un vero e proprio itinerario di vita cristiana. È tanta la ricchezza di insegnamenti spirituali contenuta nei “Sermoni”, che il Venerabile Papa Pio XII, nel 1946, proclamò Antonio Dottore della Chiesa, attribuendogli il titolo di “Dottore evangelico”, perché da tali scritti emerge la freschezza e la bellezza del Vangelo; ancora oggi li possiamo leggere con grande profitto spirituale.
In questi Sermoni sant’Antonio parla della preghiera come di un rapporto di amore, che spinge l’uomo a colloquiare dolcemente con il Signore, creando una gioia ineffabile, che soavemente avvolge l’anima in orazione. Antonio ci ricorda che la preghiera ha bisogno di un’atmosfera di silenzio che non coincide con il distacco dal rumore esterno, ma è esperienza interiore, che mira a rimuovere le distrazioni provocate dalle preoccupazioni dell’anima, creando il silenzio nell’anima stessa. 
Secondo l’insegnamento di questo insigne Dottore francescano, la preghiera è articolata in quattro atteggiamenti, indispensabili, che, nel latino di Antonio, sono definiti così: obsecratio, oratio, postulatio, gratiarum actio. 
Potremmo tradurli nel modo seguente: 
*aprire fiduciosamente il proprio cuore a Dio; questo è il primo passo del pregare, non semplicemente cogliere una parola, ma aprire il cuore alla presenza di Dio; 
*poi colloquiare affettuosamente con Lui, vedendolo presente con me; 
*e poi – cosa molto naturale - presentargli i nostri bisogni; 
*infine lodarlo e ringraziarlo.
In questo insegnamento di sant’Antonio sulla preghiera cogliamo uno dei tratti specifici della teologia francescana, di cui egli è stato l’iniziatore, cioè il ruolo assegnato all’amore divino, che entra nella sfera degli affetti, della volontà, del cuore, e che è anche la sorgente da cui sgorga una conoscenza spirituale, che sorpassa ogni conoscenza. Infatti, amando, conosciamo.
Scrive ancora Antonio: “La carità è l’anima della fede, la rende viva; senza l’amore, la fede muore” (Sermones Dominicales et Festivi II, Messaggero, Padova 1979, p. 37).
Soltanto un’anima che prega può compiere progressi nella vita spirituale: è questo l’oggetto privilegiato della predicazione di sant’Antonio. Egli conosce bene i difetti della natura umana, la nostra tendenza a cadere nel peccato, per cui esorta continuamente a combattere l’inclinazione all’avidità, all’orgoglio, all’impurità, e a praticare invece le virtù della povertà e della generosità, dell’umiltà e dell’obbedienza, della castità e della purezza. 
Agli inizi del XIII secolo, nel contesto della rinascita delle città e del fiorire del commercio, cresceva il numero di persone insensibili alle necessità dei poveri. 
Per tale motivo, Antonio più volte invita i fedeli a pensare alla vera ricchezza, quella del cuore, che rendendo buoni e misericordiosi, fa accumulare tesori per il Cielo. “O ricchi - così egli esorta - fatevi amici… i poveri, accoglieteli nelle vostre case: saranno poi essi, i poveri, ad accogliervi negli eterni tabernacoli, dove c’è la bellezza della pace, la fiducia della sicurezza, e l’opulenta quiete dell’eterna sazietà” (Ibid., p. 29).
Non è forse questo, cari amici, un insegnamento molto importante anche oggi, quando la crisi finanziaria e i gravi squilibri economici impoveriscono non poche persone, e creano condizioni di miseria? Nella mia Enciclica Caritas in veritate ricordo: “L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona” (n. 45).
Antonio, alla scuola di Francesco, mette sempre Cristo al centro della vita e del pensiero, dell’azione e della predicazione. È questo un altro tratto tipico della teologia francescana: il cristocentrismo
Volentieri essa contempla, e invita a contemplare, i misteri dell’umanità del Signore, l’uomo Gesù, in modo particolare, il mistero della Natività, Dio che si è fatto Bambino, si è dato nelle nostre mani: un mistero che suscita sentimenti di amore e di gratitudine verso la bontà divina.
Da una parte la Natività, un punto centrale dell’amore di Cristo per l’umanità, ma anche la visione del Crocifisso ispira ad Antonio pensieri di riconoscenza verso Dio e di stima per la dignità della persona umana, così che tutti, credenti e non credenti, possano trovare nel Crocifisso e nella sua immagine un significato che arricchisce la vita. 
Scrive sant’Antonio: “Cristo, che è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi nella croce come in uno specchio. Lì potrai conoscere quanto mortali furono le tue ferite, che nessuna medicina avrebbe potuto sanare, se non quella del sangue del Figlio di Dio. Se guarderai bene, potrai renderti conto di quanto grandi siano la tua dignità umana e il tuo valore... In nessun altro luogo l’uomo può meglio rendersi conto di quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della croce” (Sermones Dominicales et Festivi III, pp. 213-214).

Meditando queste parole possiamo capire meglio l'importanza dell'immagine del Crocifisso per la nostra cultura, per il nostro umanesimo nato dalla fede cristiana. Proprio guardando il Crocifisso vediamo, come dice sant'Antonio, quanto grande è la dignità umana e il valore dell'uomo. In nessun altro punto si può capire quanto valga l'uomo, proprio perché Dio ci rende così importanti, ci vede così importanti, da essere, per Lui, degni della sua sofferenza; così tutta la dignità umana appare nello specchio del Crocifisso e lo sguardo verso di Lui è sempre fonte del riconoscimento della dignità umana.
Cari amici, possa Antonio di Padova, tanto venerato dai fedeli, intercedere per la Chiesa intera, e soprattutto per coloro che si dedicano alla predicazione; preghiamo il Signore affinché ci aiuti ad imparare un poco di questa arte da sant’Antonio. 

I predicatori, traendo ispirazione dal suo esempio, abbiano cura di unire solida e sana dottrina, pietà sincera e fervorosa, incisività nella comunicazione. 
In quest’anno sacerdotale, preghiamo perché i sacerdoti e i diaconi svolgano con sollecitudine questo ministero di annuncio e di attualizzazione della Parola di Dio ai fedeli, soprattutto attraverso le omelie liturgiche. Siano esse una presentazione efficace dell’eterna bellezza di Cristo, proprio come Antonio raccomandava: “Se predichi Gesù, egli scioglie i cuori duri; se lo invochi, addolcisci le amare tentazioni; se lo pensi, ti illumina il cuore; se lo leggi, egli ti sazia la mente” (Sermones Dominicales et Festivi III, p. 59).

AMDG et BVM

giovedì 4 agosto 2016

DUM HINC TRANSIS: DICITO SEMPER AVE! - La preghiera alla Madre della Salvezza è la nostra vera vittoria

Cosa chiese Maria SS.ma contro l’invasione degli islamici

Madonna di PellestrinaGiovedì 4 agosto il cardinale Pietro Parolin sarà nell’isola di Pellestrina (Venezia) per i 300 anni dall’Apparizione della Madonna. Ci saranno anche il Patriarca di Venezia e il vescovo della nostra diocesi di Chioggia. Trecento anni fa, Maria toccò il braccio di un ragazzo di nome Natalino dicendogli di dire al parroco di far celebrare delle Messe per le anime del Purgatorio “se volemo avere vittoria”. Senza la vittoria della Repubblica veneta nei giorni seguenti il 4 agosto 1716, le nostre donne porterebbero il velo e noi tutti reciteremmo a memoria i versetti del Corano. Invece oggi abbiamo la grazia di portare in trionfo la Madre del Signore Gesù.
Venerata nel santuario di marmo bianco che si specchia sulla laguna di Pellestrina, sùbito innalzato dalla Repubblica Veneta in segno di gratitudine, la bella immagine della Madonna nera dipinta da ignota mano, dal 18 luglio in  poi, esce di casa e inizia il suo percorso di benedizione in tutte le chiese dell’isola. In laguna, centinaia di barche – dalle più piccole ai grandi barconi da pesca – fanno risuonare clakson e trombe. Questa la sua storia.
***
A Natalino Scarpa, il 4 agosto di trecento anni fa, la Madonna, prendendolo per un braccio, disse: «Vien qua fio, vai dal Piovan, e dighe che a fassa celebrare delle Messe per le aneme del Purgatorio, se volemo avere vittoria» («Vieni qui, ragazzo, vai dal parroco e digli che faccia celebrare delle Messe per le anime del Purgatorio se vogliamo avere vittoria»).
Di quale vittoria si trattava? Quella della Repubblica Veneta contro i turchi che invadevano il Mediterraneo e attaccavano le coste dell’Italia, depredando, uccidendo e nel caso migliore costringendo quanti catturavano – uomini e donne – a diventare musulmani.

La vittoria pronosticata da Maria, patrocinata dalle Messe che la gente dell’isola di Pellestrina fece subito celebrare, è arrivata qualche giorno dopo, quando Venezia respinse i turchi a Corfù e a Pretervaradino.
Non sarebbero bastate le armi a difendere le popolazioni e a garantire la fede cristiana, come non erano bastati gli eserciti a difendere Vienna assediata dai musulmani, quando il Beato Marco d’Aviano celebrò l’eucaristia e proclamò la penitenza e l’assoluzione dei soldati.
Non erano bastate le flotte delle navi a Lepanto, quando Pio V proclamò la Madonna Regina del Rosario.
Come si difende la fede? Come si garantisce un popolo?
Spezzoni di eserciti europei vanno a inseguire l’Isis nei Paesi che generano il terrorismo, mentre nelle nostre città aumentano i controlli e per le strade si disseminano drappelli sempre più numerosi di forze dell’ordine.
La condizione richiesta dalla Madonna dell’Apparizione a un ragazzino di un’isola della laguna veneta, significativamente posta a barriera della città di Venezia sul frontale del mare Adriatico, è quella di celebrare delle Messe, interagendo così attraverso la più grande preghiera cristiana.
Non bastano dunque le armi difensive a proteggerci; non bastano le barriere né le più raffinate tecniche investigative. Occorre la preghiera.
Perché? Prima di tutto perché la preghiera ci mette in braccio a Dio.
Nella preghiera diventiamo collaboratori di Dio, che non ha scelto di agire da solo.
Il Dio dell’alleanza nell’antico testamento e il Dio dell’amicizia nel nuovo testamento ci chiama ad essere suoi partner e collaboratori, e domanda di estendere nel mondo il Regno di pace e di fraternità attraverso la vita e la presenza dei suoi figli-alleati.
La preghiera estende la forza e l’efficacia dell’azione di Dio.
In secondo luogo la preghiera raddrizza il nostro cuore e dice a noi stessi e agli altri chi siamo: figli di Dio e fratelli.
La preghiera chiarisce e approfondisce la nostra identità, dice la nostra origine e la nostra appartenenza, rende saldo il nostro intendimento e lo scopo della vita, dona libertà e coraggio. Rende veri e saldi. Libera dall’odio, dalla violenza, dalla vendetta e dalla rappresaglia.
La preghiera dunque è la nostra vera vittoria. Potremo vivere o morire, con la preghiera nulla va perduto di quello che siamo, come nel caso dei martiri sorpresi a pregare e di padre Jacques Hamel ucciso mentre celebrava l’Eucaristia.
L’invito della Madonna dell’Apparizione al giovane Natalino nello specchio della laguna veneta e sulla scena della storia si ripresenta oggi come l’iniziativa più urgente e più mobilitante per tutto il popolo cristiano, «se volemo avere vittoria».
Fonte: La NBQ


AMDG et BVM

mercoledì 11 novembre 2015

IL GRAN SEGRETO DEI SANTI

FORZA DELLA PREGHIERA CONTRO LE TENTAZIONI.

Dio, conoscendo il gran bene che apporta a noi la necessità di pregare, a questo fine, (come si dice nel capo I) permette, che siamo assaliti dai nemici, affinché gli domandiamo l'aiuto che egli ci offre, e ci promette. 
Ma quanto si compiace allorché noi ricorriamo a Lui nei pericoli, altrettanto gli dispiace vederci trascurati nel pregare. 
Come il re, dice S. Bonaventura, stimerebbe infedele quel capitano, che trovandosi assediato nella piazza, non gli chiede soccorso; così Dio si stima come tradito da colui, che vedendosi insidiato dalle tentazioni, non ricorre a Lui per aiuto: mentre Egli desidera, e sta aspettando, che gli si domandi, per soccorrere abbondantemente. 
Ben lo dichiarò Isaia, allorché da parte di Dio disse al re Achaz, che gli avesse domandato qualche segno affine di accertarsi del soccorso, che il Signore voleva dargli: Domanda a tua posta un segno al Signore tuo Dio (Is 7). L'empio re rispose: Io non voglio cercarlo, perché non voglio tentare Dio (Ibid. 12). E ciò disse perché confidava nelle sue forze di vincere i nemici senza l'aiuto divino. Ma il profeta indi lo rimproverò con dire: Udite dunque, casa di Davide: È egli adunque poco per voi il far torto agli uomini, che fate torto anche al mio Dio? (Ibid. 13). Significandoci con ciò, che si rende molesto ed ingiurioso a Dio, chi lascia di domandargli le grazie che il Signore gli offre.


Poveri figli miei, dice il Salvatore, che vi trovate combattuti dai nemici, e oppressi dal peso dei vostri peccati, non vi perdete d'animo, ricorrete a me con l'orazione, ed io vi darò la forza di resistere, e darò riparo a tutte le vostre disgrazie (Mt 11,28). 

In altro luogo dice per bocca d'Isaia: "Uomini, ricorrete a me, e benché abbiate le coscienze assai macchiate, non lasciate di venire: e vi do licenza anche di riprendermi, per così dire, se mai dopo che sarete a me ricorsi, io non farò con la mia grazia, che diventiate candidi come la neve" (Is 1,18).


Che cos'è la preghiera? "La preghiera, dice il Crisostomo, è un'ancora sicura a chi sta in pericolo di naufragare; è un tesoro immenso di ricchezze a chi è povero; è una medicina efficacissima a chi è infermo; ed è una custodia certa a chi vuol conservarsi in santità" (Hom. De Consubst. cont. Anon.)

Che fa la preghiera? 
La preghiera, dice S. Lorenzo Giustiniani, placa lo sdegno di Dio, che perdona a chi con umiltà lo prega; ottiene la grazia di tutto ciò che si domanda; supera tutte le forze dei nemici: insomma muta gli uomini da ciechi in illuminati, da deboli in forti, da peccatori in santi (De Perfect., c. 12). 
Chi ha bisogno di luce, la domandi a Dio, e gli sarà data: subito ch'io sono ricorso a Dio, disse Salomone, egli mi ha concesso la sapienza (Sap 7,7). 
Chi ha bisogno di fortezza, la chieda a Dio, e gli sarà donata: subito ch'io ho aperta bocca a pregare, disse Davide, ho ricevuto da Dio l'aiuto (Sal 118,131). E come mai i santi Martiri acquistarono tanta fortezza da resistere ai tiranni, se non con l'orazione, che ottenne loro il vigore da superare i tormenti, e la morte?

Chi si serve insomma di questa grande arma dell'orazione, dice san Pier Crisologo, non cade in peccato; perde affetto alla terra, entra a dimorare nel Cielo, e comincia sin da questa vita a godere la conversazione di Dio (Serm. 45). 

Che serve dunque angustiarsi col dire: Chi sa se io sono scritto o no nel libro della vita? Chi sa se Dio mi darà la grazia efficace e la perseveranza? 
Non vi affannate per niente, dice l'Apostolo, ma in ogni cosa siano manifestate a Dio le vostre richieste per mezzo dell'orazione e delle suppliche unite al rendimento di grazie (Fil 4,6). 
Che serve, dice l'Apostolo, confondervi in queste angustie e timori? Via, discacciate da voi tutte queste sollecitudini, che ad altro non valgono che a scemarvi la confidenza, e a rendervi più tiepidi e pigri a camminare per la via della salute. 
Pregate, e cercate sempre, e fate sentire le vostre preghiere a Dio, e ringraziatelo sempre delle promesse che v'ha fatte, di concedervi i doni che bramate, sempre che glieli cerchiate: la grazia efficace, la perseveranza, la salute e tutto quello che desiderate.


Il Signore ci ha posti nella battaglia a combattere con nemici potenti, ma Egli è fedele nelle sue promesse, né sopporta che noi siamo combattuti più di quel che valiamo a resistere (1 Cr 10,13). 

È fedele perché subito soccorre chi l'invoca. Scrive il dotto eminentissimo cardinale Gotti, che il Signore non è già tenuto per altro a darci sempre una grazia che sia uguale alla tentazione, ma è obbligato, quando siamo tentati, e a Lui ricorriamo, di somministrarci [a correre in nostro aiuto] per mezzo della grazia che a tutti tiene apparecchiata, ed offre la forza bastante [sufficiente] con cui possiamo attualmente resistere alla tentazione (De div. grat. q. 2 d. 5, par. 3). 
Tutto possiamo col divino aiuto, che si dona a ciascuno che umilmente lo chiede, onde non abbiamo scusa, allorché noi ci lasciamo vincere dalla tentazione. 
Restiamo vinti solo per nostra colpa, perché non preghiamo. Con l'orazione, scrive S. Agostino, ben si superano tutte le insidie e forze dei nemici (De sal. doc. c, 28).
(cfr. qui)
AVE MARIA!

domenica 31 maggio 2015

"Vi invito a vivere nella fiducia e in una grande speranza del mio vicino e straordinario intervento"


Rubbio (Vicenza), 8 dicembre 1987. Festa della Immacolata Concezione.

Non lasciatevi illudere.


«Il mio candore di Cielo scende oggi su di voi e vuole avvolgere tutto il mondo.

Camminate nella mia Luce se volete giungere alla pace.

La luce della grazia divina, della purezza, della santità, della preghiera, di una sempre più
perfetta carità deve penetrare la vostra esistenza, figli consacrati al mio Cuore Immacolato.

Vivete i tempi dolorosi del castigo.

Vivete l'ora tenebrosa della vittoria del mio Avversario, che è il Principe della notte.

Vivete i momenti più difficili della purificazione.

Allora vi invito a rifugiarvi dentro la dimora sicura del mio Cuore Immacolato ed a lasciarvi
avvolgere dal manto celeste della mia purissima Luce.

Camminate sulla strada, che in questi anni vi ho tracciato, per diventare oggi gli strumenti
della mia pace.

Non lasciatevi illudere.

La pace non verrà al mondo dagli incontri di coloro che voi chiamate i grandi di questa terra,
né dai loro reciproci patteggiamenti.

La pace può giungere a voi solo dal ritorno dell'umanità al suo Dio per mezzo della conversione, alla quale in questo mio giorno ancora vi chiamo, e per mezzo della preghiera, del digiuno e della penitenza.

Altrimenti, nel momento in cui si griderà da tutti alla pace ed alla sicurezza, piomberà
all'improvviso la sciagura.

Per questo vi domando di assecondare i miei pressanti richiami a camminare sulla strada del
bene, dell'amore, della preghiera, della mortificazione dei sensi, del disprezzo del mondo e di
voi stessi.

Oggi accolgo con gioia il vostro omaggio di amore, lo associo al canto di gloria del Paradiso, alle
invocazioni delle anime purganti, al coro di lode della Chiesa militante e pellegrina, vi invito a
vivere nella fiducia e in una grande speranza del mio vicino e straordinario intervento».