lunedì 31 agosto 2020

IL LIBRO DELLA GRAZIA SPECIALE

Santa Matilde di Hackeborn 

CAPITOLO XXII,  pg 153

COME SI DEBBONO CONFIDARE A DIO LE PROPRIE PENE - GLORIA DEI SANTI E DELLE VERGINI

Un'altra volta, mentre quella divota vergine pensava che la sua malattia la rendeva inutile e che le sue pene restavano senza frutto, il Signore le disse:

“Deponi nel mio Cuore tutte le tue pene, ed io darò loro la perfezione più assoluta che la sofferenza possa possedere. In quella guisa che la mia Divinità attirò a sé i patimenti della mia Umanità e li fece suoi, così io trasferirò le tue pene nella mia Divinità, le unirò alla mia Passione, e ti renderò partecipe di quella gloria da Dio Padre conferita alla mia santa Umanità in compenso di tutte le sue sofferenze. Consegna dunque all'Amore ogni tua pena, dicendo: “O Amore, a te commetto tutte queste mie pene con quella intenzione con cui me le hai apportate dal Cuore di Dio, e ti prego che tu le riporti nel divin Cuore perfezionate da una somma riconoscenza.

“Quando desidererai lodarmi e che la malattia te lo impedirà, pregherai perché io esalti e benedica Dio Padre per le tue pene, come feci su la Croce, in mezzo ai miei propri patimenti. Ringrazierai con la gratitudine con cui lo ringraziai di aver decretato la mia Passione per la salvezza del mondo; amerai con l'amore col quale tutto soffrii volentieri e con animo libero e pronto.

“La mia Passione ebbe frutti infiniti in cielo e su la terra; così le tue pene e le tue tribolazioni, se me le offrirai e le unirai alla mia Passione, saranno grandemente fruttuose per te e per tutti; a segno che agli eletti procureranno maggior gloria, ai giusti nuovi meriti, ai peccatori il perdono, ed alle anime del purgatorio l'alleggerimento delle loro pene. Che cosa, infatti, può mai esservi, che il mio divin Cuore non possa commutare in meglio, poiché ogni bene in cielo e in terra proviene dalla bontà del mio Cuore?”

Il Signore le mostrò tutti gli ordini dei Santi con la loro gloria e le loro inestimabili dignità, dicendo: “Ecco quanto la bontà del mio Cuore ha operato nei Profeti, negli Apostoli e in tutti i Santi. Quanto degnamente ho compiuto le loro opere, e con quanta bontà le ho premiate oltre il loro merito!”

Mentre in tal modo con grande letizia considerava la gloria dei Santi, la Serva di Cristo vide con ammirazione il Coro delle Vergini, e rapita dalla loro bellezza e dalla loro beatitudine più che da quella degli altri Santi, disse al Signore: “Ah! mio Signore, poiché per un amore gratuito date tanti onori alle Vergini, di temi, vi prego, qual è la maggiore delizia che trova te in esse?”

Il Signore rispose: “Ah! tu vuoi comprendere le cose più grandi, e non sei neppure capace di comprendere in questa vita le più piccole! Tuttavia te ne dirò qualche cosa: Dio mio Padre ama ciascuna vergine in tal modo che ne aspetta la venuta con gaudio maggiore che mai Re aspetti la fidanzata del suo unico Figlio, dalla quale spera qualche legittimo erede.

“Appena risuona nel cielo questa nuova: Ecco una Vergine! tutte le dignità del cielo si muovono coli giubilo; e appena ella entra in cielo, i suoi passi negli atri celesti risuonano con dolcissima armonia per tutto il cielo. Perciò tutti i Santi con indicibile trasporto ed allegrezza le vanno incontro cantando in sua lode: Quam pulchre graditur! Quanto sono belli i tuoi passi, o nobile principessa! (Cant. VII, 1). Io pure mi affretto ad andarle incontro, invitandola con queste parole: Vieni, amica mia! Vieni mia sposa! Vieni a ricevere la corona. (Cant. IV, 3). E la mia voce allora talmente si estende che risuona nel cielo intero, e penetra gli Angeli ed i Santi i quali diventano come organi che rispondono agli accenti della medesima.

“Arrivata alla mia presenza, la vergine guarda sé stessa nei miei occhi come in uno specchio. Noi ci contempliamo così l'un l'altro in un dolce rapimento. Poi, in un amoroso abbraccio, io imprimo me stesso in lei, la riempio e la penetrò di tutt'intera la mia Divinità. Qualunque sia il suo stato, io sembro essere tutt'intero in tutte le sue membra, e reciprocamente l'attiro in me, cosicché la si vede dappertutto gloriosa in me stesso. Di più, io stesso divento la sua corona, degno ornamento della sposa legittima ch'io voglio esaltare.

“Lo Spirito Santo pure la penetra della sovrabbondanza della sua dolcezza e della sua bontà, di cui ella resta impregnata a guisa di mollica di pane immersa nel vino puro, e così diviene amabile a segno che rapisce tutti gli abitanti del cielo”.

***

Un giorno che Metilde rendeva grazie a Dio per i grandi benefici che ne aveva ricevuti, il Signore le disse: “Rendi grazie anzitutto per tutto ciò che ho dato a mia Madre ed agli Angeli”.

Metilde obbedì subito rendendo grazie perché Dio, fin dall'eternità, aveva eletto Maria, santificandola nella sua origine medesima; poi ancora perché nell'infanzia e

nella giovinezza l'aveva talmente custodita che non conobbe mai peccato e per ispirazione dello Spirito Santo l'aveva condotta ad emettere per la prima il voto di perfetta castità. Dopo che ella ebbe fatta questa lode, il Signore riprese: “Di tutto quanto è creato in cielo e su la terra, non amo nulla come la purezza verginale”.

Metilde disse: “O Signore, se è così, ditemi quali sono le Vergini così pure da meritare le vostre preferenze”.

Il Signore disse: “Quelle che non furono mai macchiate né dalla volontà né dal desiderio di perdere la loro verginità”. Allora, disse Metilde, che faranno quelle che sono colpevoli di negligenza?”

“Si purifichino, rispose il Signore, con la penitenza e la confessione; così entreranno con gaudio nella compagnia delle vergini perfettamente pure. Ma non potranno risentire quelle delizie più intime che traboccano dai torrenti della mia Divinità”.

***

La Regina delle Vergini le comparve una volta rivestita di un mantellò d'oro, in cui erano ricamate delle colombe rosse, due a due, rivolte l'una verso l'altra, le quali tenevano nel becco un verdeggiante giglio. Metilde intese che quel mantello d'oro significava l'ardentissimo amore di cui la Vergine Maria fu sempre accesa per il Signore, mentre le colombe rosse raffiguravano molto bene la sua pazienza invariabile in tutte le avversità, come quella d'una dolce colomba. Il giglio rappresentava il nobile e magnifico frutto delle sue virtù e delle sue opere. Per stringere il suo mantello, la Vergine portava un cingolo d'oro da cui pendevano anelli, essi pure d'oro, attaccati l'uno all'altro con catenelle, e ornati di rubini. Questi anelli significavano la caparra dello sposalizio di tutte le Vergini che sono unite a Dio col voto di castità. Essi erano in quel modo sospesi al cingolo della Madre del Signore, perché la benigna Vergine, per amore conserva con cura materna i pegni che appartengono a quelle sue divo te serventi che sono le vergini: a ciascuna nel giorno della loro morte ella rimette le arre immacolate che le furono affidate in presenza del Signore. Il colore dei rubini significava che il Re della gloria, Gesù Cristo Sposo delle Vergini, adorna del suo proprio sangue le arre delle vergini sacre

da IL LIBRO DELLA GRAZIA SPECIALE - RIVELAZIONI A SANTA METILDE

AMDG ET DVM

domenica 30 agosto 2020

LETTERA 130 di sant'Agostino


Le 3 più toccanti preghiere di Sant'Agostino a Dio

Può Sant'Agostino parlare ai giovani studenti di oggi? - Papaboys 3.0 

LETTERA 130

Scritta non molto dopo il 411.

Agostino espone a Proba come si debba pregare e come anche i ricchi possano entrare nel regno dei cieli (nn. 14). L'anima deve sentirsi desolata finché non arriverà alla beatitudine (nn. 5-6). Come dobbiamo servirci delle ricchezze e in che riporre la felicità (nn. 7-14). Le parabole della vedova e del padre di famiglia importuni (n. 15). La preghiera liturgica: si deve pregare non con molte parole ma con intenso affetto (nn. 16-20). L'espressioni del Padre nostro hanno corrispondenze nelle preghiere dei santi dell'Antica Alleanza (nn. 21-22). Chiedere a Dio che ci liberi dalla cupidigia dei beni terreni e avvalorare le preghiere con le opere buone (un. 23-24). Desiderare il sommo Bene (nn. 25-28). Perché le vedove debbono pregare con maggiore assiduità (n. 29). Proba preghi anche per Agostino e per i suoi confratelli (nn. 30-31).

AGOSTINO, VESCOVO, SERVO DI CRISTO E DEI SERVI DI CRISTO, SALUTA NEL SIGNORE DEI SIGNORI LA VENERABILE SERVA DI DIO PROBA

La preghiera assidua necessaria alle vedove.

1. 1. Ricordandomi che tu mi hai chiesto e io ho promesso di scriverti qualcosa sul modo di pregare Dio, dato che adesso per grazia di Colui che noi invochiamo nella preghiera ci è concesso il tempo e la possibilità, era mio dovere saldare subito il mio debito e nella carità di Cristo accondiscendere al tuo pio desiderio. Non riesco poi a esprimere a parole quanta gioia mi abbia arrecato la tua richiesta, in cui ho notato quanta premura ti prendi d'una cosa così importante. Poiché qual altra maggior occupazione avresti dovuto avere nella tua vedovanza che persistere nella preghiera notte e giorno, secondo la raccomandazione dell'Apostolo? Egli infatti dice: Colei però ch'è veramente vedova e desolata ha riposto la sua speranza nel Signore e attende con perseveranza alla preghiera notte e giorno. Potrebbe quindi sembrare strano come mai pur essendo tu, nell'estimazione del mondo, nobile, ricca, madre d'una famiglia si numerosa e benché vedova, non però desolata, può - ripeto - sembrare strano come il pensiero della preghiera sia penetrato nel tuo cuore e se ne sia interamente impossessato, se non fosse che tu capisci bene che in questo mondo e in questa vita nessuno può sentirsi al sicuro.

Com'è accessibile ai ricchi il regno di Dio.

1. 2. Colui perciò che ti ha ispirato questo pensiero fa proprio come fece coi suoi discepoli: essendo essi rattristati non tanto per se stessi quanto per il genere umano e avendo perso la speranza che alcuno potesse salvarsi dopo aver sentito dire da Lui ch'è più facile che un cammello entri per la cruna d'un ago che un ricco nel regno dei cieli, Egli con una promessa stupenda e piena di bontà rispose loro che quel ch'è impossibile agli uomini è facile a Dio. Colui quindi, al quale è facile che perfino un ricco entri nel regno dei cieli, ha ispirato a te la pia sollecitudine con cui hai pensato dovermi consultare in qual modo tu debba pregare. Egli infatti, quando era ancora quaggiù. col suo corpo, introdusse nel regno dei cieli il ricco Zacéheo; dopo essere stato glorificato con la risurrezione e con l'ascensione, mediante l'effusione dello Spirito Santo fece si che molti ricchi diventassero disprezzatori di questo mondo e li rese più ricchi per aver posto fine alla brama delle ricchezze. Orbene, come potresti darti tanto pensiero di pregare Dio, se non sperassi in lui? E come potresti sperare in Lui, se riponessi le tue speranze nell'instabilità della ricchezza e se disprezzassi il saluberrimo precetto dell'Apostolo che dice: Ai ricchi di questo inondo raccomanda di non essere orgogliosi e di non riporre la speranza nell'instabilità della ricchezza, ma nel Dio vivo che ci offre abbondantemente ogni bene perché ne godiamo; raccomanda di essere ricchi di opere buone, di essere propensi a dare, di mettere gli altri a parte dei loro beni, di accumulare un bel capitale per il futuro e poter così acquistare la vita vera ?

I veri beni.

2. 3. Per amore della vita vera devi quindi considerarti anche desolata nella vita di quaggiù per quanto grande possa essere la felicità in cui ti trovi. Come infatti la vera vita è quella, al cui confronto questa nostra, da noi tanto amata, per quanto piacevole e lunga, non merita d'esser chiamata vita, così anche la vera consolazione è quella che promette Dio parlando per bocca del profeta: Gli darò il vero conforto, la pace superiore ad ogni altra pace. Senza questo conforto, in tutte le altre gioie terrene si trova più desolazione che consolazione. Quale consolazione infatti possono arrecare le ricchezze, le più alte dignità e gli altri beni di tal fatta per i quali i mortali, prima della vera felicità, si credono felici, quando è meglio non averne bisogno che segnalarsene, dal momento che ci tormenta più il timore di perderli, una volta che si sono acquistati, che non l'ardore di acquistarli? Gli uomini non diventano buoni per mezzo di tali beni, ma coloro che lo sono diventati con altri mezzi fanno si che quei beni siano buoni usandone bene. I veri conforti non sono dunque in tali beni, ma piuttosto là dov'è la vera vita, poiché l'uomo deve diventar beato mediante ciò stesso con cui diventa buono.

Preziosi gli amici, ma come conoscerne il cuore?

2. 4. Ma anche in questa vita i buoni arrecano, a quanto pare, non piccoli conforti. Se infatti ci angustiasse la povertà, se ci addolorasse il lutto, ci rendesse inquieti un malanno fisico, ci rattristasse l'esilio, ci tormentasse qualche altra calamità, ma ci fossero vicine delle persone buone che sapessero non solo godere con quelli che godono, ma anche piangere con quelli che piangono, che sapessero rivolgere parole di sollievo e conversare amabilmente, allora verrebbero lenite in grandissima parte le amarezze, alleviati gli affanni, superate le avversità. Ma questo effetto è prodotto in essi e per mezzo di essi da Colui che li rese buoni col suo Spirito. Nel caso invece che sovrabbondassero le ricchezze, che non ci capitasse nessuna perdita di figli o del coniuge, che fossimo sempre sani di corpo, che abitassimo nella patria preservata da sciagure, ma convivessero con noi individui perversi fra i quali non ci fosse nessuno di cui fidarci e da cui non dovessimo temere e sopportare inganni, frodi, ire, discordie, insidie, non è forse vero che tutti questi beni diventerebbero amari e insopportabili e che nessuna gioia o dolcezza proveremmo in essi? Così in tutte le cose umane nulla è caro all'uomo senza un amico. Ma quanti se ne trovano di così fedeli, da poterci fidare con sicurezza riguardo all'animo e alla condotta in questa vita? Nessuno conosce un altro come conosce sé stesso: eppure nessuno è tanto noto nemmeno a sé stesso da poter essere sicuro della propria condotta del giorno dopo. Perciò, benché molti si facciano conoscere dai loro frutti e alcuni arrechino veramente letizia al prossimo col vivere bene, altri afflizione col vivere male, tuttavia, a causa dell'ignoranza e dell'incertezza degli animi umani, molto giustamente l'Apostolo ci ammonisce a non condannare alcuno prima del tempo, finché non venga il Signore e illumini i segreti delle tenebre e sveli i pensieri del cuore e allora ognuno riceverà lode da Dio.

In paradiso né tentazioni né bisogno d'orazione.

2. 5. Ordunque, nelle tenebre di questa vita nella quale siamo come esuli lontani da Dio, durante tutto il tempo che camminiamo nella fede senza avere la visione (di Dio), l'anima del cristiano deve considerarsi come abbandonata al fine di evitare che cessi di pregare e d'imparare a tenere l'occhio della fede rivolto alle parole delle sante e divine Scritture, come a una lucerna posta in un luogo oscuro, fino a tanto che non splenderà il giorno e la stella del mattino sorga nei nostri cuori. La sorgente ineffabile, per così dire, di questa lucerna è la luce che splende nelle tenebre ma in modo tale da non essere accolta dalle tenebre. Per vederla, i nostri cuori devono essere purificati dalla fede: Beati i mondi di cuore, perché essi vedranno Dio; e: Sappiamo che, quando egli apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo com'è. Allora, solo dopo la morte, ci sarà la vera vita, e dopo la desolazione la vera consolazione. Sarà quella vita a liberare l'anima nostra dalla morte, sarà quella consolazione, a liberare gli occhi nostri dalle lacrime  e, poiché allora non vi sarà alcuna tentazione, lo stesso salmo segue dicendo: Hai preservato i miei piedi da caduta. Se non vi sarà poi tentazione, non vi sarà più neppure orazione, in quanto non vi sarà più aspettazione di un bene promesso, ma la contemplazione d'un bene concesso. Perciò dice: Sarò accetto al Signore nella regione dei vivi, dove saremo allora, non nel deserto dei morti, dove siamo ora. Siete morti, dice infatti l'Apostolo, e la vita vostra è nascosta con Cristo in Dio; quando si manifesterà Cristo, vita vostra, allora anche voi vi manifesterete con lui nella gloria. Questa in realtà è la vera vita che i ricchi devono conquistare con le opere buone: in essa risiede la vera consolazione. Ora una vedova, poiché è priva d'una tal consolazione anche se ha figli e nipoti e governa piamente la propria casa procurando che tutti i familiari ripongano in Dio la loro speranza, dice tuttavia nella sua preghiera: L'anima mia ha sete di Te e la mia carne è assetata di Te, qui sulla terra deserta senza strade e senz'acqua, cioè in questa vita destinata a finire con la morte, quali che siano i conforti umani che l'arricchiscono, quali che siano i nostri compagni di viaggio, qualunque sia l'abbondanza di beni che la ricolmano. Tu ben sai quanto siano incerti tutti questi beni mondani; e anche se non fossero incerti, che cosa sarebbero a paragone della felicità che ci è stata promessa?

Saremo desolati finché non arriveremo al paradiso.

2. 6. Poiché tu, vedova ricca e nobile e madre di si numerosa famiglia, mi hai posto dei quesiti sulla preghiera, io ti ho dette queste cose affinché, anche se in questa vita restino con te fedeli e pieni di premure i tuoi familiari, tu abbia a considerarti desolata in quanto non hai ancora conseguita la vita in cui risiede il vero e sicuro conforto, in cui si compierà ciò che è detto nella profezia: Fin dal mattino siamo stati saziati della Tua misericordia, abbiamo esultato e gioito in tutti i giorni nostri. Ci hai colmati di gioia in compenso dei giorni nei quali ci hai afflitti, degli anni nei quali abbiamo visto sventure.

Le ricchezze: per la salute non per la superbia.

3. 7. Prima dunque che giunga questa consolazione, per quanto grande possa essere la felicità dei beni temporali di cui sovrabbondi, ricordati che sei desolata, al fine di perseverare notte e giorno nella preghiera. Difatti l'Apostolo accorda questo dono di Dio non a qualsiasi vedova, ma, come egli dice: A colei che è veramente vedova e desolata, che ha riposto la sua speranza nel Signore e che persevera notte e giorno nelle preghiera. Evita con la maggiore vigilanza possibile ciò ch'è detto dopo: Ma colei che vive nei piaceri, benché viva, è morta. L'uomo vive di tutto ciò che ama, che brama come gran cosa e in cui crede di essere beato. Perciò quello che la Scrittura dice delle ricchezze: Se le ricchezze sovrabbondano, non attaccate ad esse il vostro cuore, lo dico a te anche dei piaceri: Se i piaceri abbondano, non attaccarvi il tuo cuore. Non tenerti in gran conto perché essi non ti mancano, anzi sovrabbondano e scorrono come da una sorgente abbondante di felicità terrena. Disdegnali e disprezzali assolutamente per quanto ti riguarda e non ricercarvi se non la piena salute del corpo. Questa infatti non deve essere trascurata per le necessità della vita terrena, prima che questo corpo mortale si rivesta dell'immortalità, cioè della vera, perfetta ed eterna salute, che non s'indebolisce per la infermità terrena né si ristabilisce con un piacere corruttibile ma, persistendo nel celeste vigore, è vivificata da un'eterna incorruttibilità. L'Apostolo stesso ci dice: Non vi preoccupate della carne, per soddisfarne i desideri, poiché noi ci prendiamo cura della carne, ma solo per la necessità della salute. Nessuno ha mai odiato la propria carne, come ci dice ancora l'Apostolo. Ecco perché questi esorta Timoteo, il quale, a quanto pare, castigava eccessivamente il suo corpo, a bere un po' di vino, per la debolezza di stomaco e le sue frequenti indisposizioni.

Non attaccare il cuore alle ricchezze.

3. 8. Da questi piaceri - vivendo in mezzo ai quali una vedova, se v'è attaccata con l'affetto del cuore e ingolfata, benché viva, è, morta - si sono astenuti in modo assoluto molti santi e molte sante distribuendo ai poveri le ricchezze che sono per così dire la matrice dei piaceri, e così le han poste maggiormente al sicuro negli scrigni celesti. Ora, se tu non fai altrettanto perché impedita da qualche dovere d'amore verso la famiglia, sai da te stessa qual conto dovrai renderne al Signore. Nessuno infatti sa ciò che avviene nell'uomo, tranne lo spirito dell'uomo ch'è in lui stesso. Noi non dobbiamo condannare nessuno prima del tempo fino a che non venga il Signore e illumini i segreti delle tenebre e renda manifesti i sentimenti del cuore: allora a ciascuno sarà data lode da Dio. Anche se i piaceri della vita abbondano, è tuttavia tuo dovere di vedova di non attaccarvi il cuore, per evitare che corrompendosi in essi non muoia, dato che, per vivere, deve tenersi in alto. Consìderati del numero di coloro dei quali sta scritto: I loro cuori vivranno nei secoli dei secoli.

La felicità è da chiedersi a Dio.

4. 9. Hai udito con quali disposizioni devi pregare: ascolta ora quale dev'esser l'oggetto delle tue preghiere, poiché per questo soprattutto hai voluto consultarmi, poiché ti fa impressione ciò che dice l'Apostolo: Noi non sappiamo che cosa dobbiamo dire nelle preghiere per pregare come si deve. Tu in realtà temi che più del non pregare possa nuocerti il non farlo come si dovrebbe. Te lo posso dire in poche parole: prega (per ottenere) la vita beata. La desiderano tutti; anche coloro che menano una vita sregolata e pessima, non vivrebbero affatto così, se non fossero convinti di essere o di poter divenire beati in quel modo. Che altro dunque conviene chiedere nelle preghiere se non quel bene che bramano tanto i cattivi che i buoni, ma al quale arrivano solo i buoni?

Chi è veramente felice.

5. 10. Forse a questo punto potresti domandarmi in che consista precisamente la vita beata. In questo problema molti filosofi hanno consumato il loro ingegno e il loro tempo, e tuttavia tanto meno sono riusciti a risolverlo, quanto meno hanno avuto in onore la vera sorgente della vita e le han reso grazie. Anzitutto dunque considera se si debba dar ragione a quelli che affermano che è beato chi vive secondo la propria volontà. Non sia mai che noi crediamo a una simile affermazione! E che avverrebbe se qualcuno volesse vivere da malvagio? Non darebbe la prova ch'è tanto più infelice quanto più facilmente potrà compiere la sua malvagia volontà? A ragione hanno respinto una simile opinione perfino quelli che ragionavano da filosofi senza adorare Dio. Difatti uno dei più eloquenti di essa si espresse così: Ma ecco altri che, pur senz'esser certamente filosofi, nondimeno sono pronti a discutere, asseriscono che beati sono tutti quelli che vivono come loro talenta. Ma questo è un errore, poiché volere ciò che non conviene è proprio la cosa più miserevole, e il non ottenere ciò che si vuole non è cosa tanto miserevole quanto il voler ottenere ciò che non conviene. Che ti sembra di queste parole? Non sono state forse pronunciate dalla stessa Verità per bocca di un uomo qualunque? Possiamo dunque ripetere qui ciò che disse l'Apostolo di un profeta di Creta, essendogli piaciuta una sua risposta: Questa testimonianza è conforme al vero.

I beni terreni e la vera felicita.

5. 11. E' beato dunque chi possiede tutto ciò che vuole e non vuole nulla di sconveniente. Se quindi la cosa sta così, considera ormai quali cose possano volersi in modo non conveniente. Uno vuole unirsi in matrimonio; un altro divenuto vedovo preferisce in seguito vivere in continenza; un altro non vuole sperimentare l'unione carnale neppure nelle stesse nozze. Se inoltre si deve riconoscere in questo caso che una cosa sia migliore dell'altra, possiamo affermare nondimeno che nessuno di costoro nutre un desiderio sconveniente: come è appunto il desiderare figli, cioè il frutto delle nozze, e desiderare la vita e la salute per quelli che sono stati generati, desiderio da cui per lo più sono tutti presi, anche i vedovi che vivono nella continenza. Poiché, sebbene abbiano rinunciato al matrimonio e non desiderino più procreare figli, tuttavia desiderano che vivano sani e salvi i figli che hanno procreati. Solo coloro che vivono nell'integrità verginale sono immuni da tutte queste preoccupazioni: anch'essi tuttavia hanno delle persone care dei due sessi per le quali desiderano senza sconvenienza anche la salute temporale. Ma quando gli uomini avranno conseguito per sé e per coloro che amano questa salute, potremo forse chiamarli già beati? Posseggono si qualche cosa che non è sconveniente desiderare, ma se non posseggono altri beni più grandi e migliori e più ricchi di utilità e di dignità morale, sono ancora molto lontani dalla vita beata.

I beni terreni servono per vivere onestamente.

6. 12. Approviamo noi dunque che, oltre a questa salute temporale, si bramino per sé e per i propri familiari onori e posti di comando? Si, è senz'altro lecito desiderarli, ma a patto che per mezzo di essi si sovvenga ai bisogni di coloro che vivono alle proprie dipendenze, non mirando a questi beni in sé e per sé, ma per un altro bene che ne consegue. Se invece si desiderano per vano orgoglio di superiorità, per pompa superflua o anche per dannosa vanità, non è lecito desiderarli. Può darsi quindi che essi desiderino, per sé e per i propri cari, quanto basta delle cose necessarie alla vita, a proposito delle quali così parla l'Apostolo: La pietà è un gran guadagno se unita al sapersi contentare. Nulla infatti abbiamo portato in questo mondo né possiamo portarne via nulla: se abbiamo di che nutrirci e coprirci, accontentiamoci. Poiché quelli, che vogliono diventare ricchi, incappano nella tentazione e nel laccio e in molteplici desideri insensati e dannosi, che sommergono gli uomini nella rovina e nella perdizione, poiché radice di tutti i mali è la cupidigia del denaro, per il cui appetito alcuni si sono sviati dalla fede e si son cacciati da sé stessi in molti dolori. Chi desidera quanto basta senza volere di più, non desidera cosa disonesta; in caso contrario non lo desidera e quindi neppure lo vuole onestamente. Questo bramava e per questo pregava colui che diceva: Non darmi né ricchezza né povertà, ma concedimi solo quanto basta per evitare che, divenuto sazio, non diventi bugiardo e dica: Chi mi vede? o divenuto povero, commetta qualche furto e spergiuri il nome del mio Dio. Tu vedi chiaramente che anche il necessario non si desidera per sé medesimo, ma per la salute del corpo e per un decoroso abbigliamento della persona umana, tale cioè che non sia sconveniente per coloro coi quali dobbiamo vivere. onestamente e civilmente.

L'incolumità e l'amicizia.

6. 13. Per tal modo, fra tutte queste Cose l'incolumità e l'amicizia sono desiderate per se stesse, mentre quando ciò che basta delle cose necessarie si ricerca onestamente, suole essere cercato non per sé stesso ma per i due beni su menzionati. L'incolumità inoltre consiste nella vita stessa, nella salute e integrità del corpo e dell'animo. Allo stesso modo l'amicizia non dev'essere circoscritta in limiti angusti, poiché abbraccia tutti quelli a cui sono dovuti affetto e amore, quantunque si rivolga con più propensione verso alcuni e con più esitazione verso altri. Essa si estende sino ai nemici, per i quali siamo tenuti anche a pregare. Così non c'è alcuno nel genere umano a cui non si debba amore, basato, se non sulla vicendevole affezione, almeno sulla partecipazione alla comune natura umana. D'altra parte non a torto proviamo grande attrattiva per quelli da cui siamo vicendevolmente amati in modo santo e casto. Bisogna pregare che questi beni ci siano conservati quando si hanno e ci siano largiti quando non si hanno.

Chi è retto pospone i beni terreni agli eterni.

7. 14. E' forse tutto qui, è forse questo tutto ciò che costituisce l'essenza della vita beata, oppure la Verità c'insegna qualche altro bene da preferire a tutti questi beni? In effetti anche la sufficienza dei mezzi e l'incolumità tanto nostra che degli amici, poiché sono beni temporanei, devono essere disprezzati per il conseguimento della vita eterna. Anche se per caso il corpo gode buona salute, l'anima non si può affatto considerare sana, se non antepone le realtà eterne a quelle temporali. E per vero non si vive utilmente nel tempo se non per acquistare il merito, in grazia del quale vivere nell'eternità. Ne consegue che ogni altro bene, che è desiderato utilmente e convenientemente, dev'essere senza dubbio riferito all'unica vita che si vive con Dio e di Dio. Poiché se amiamo Dio, in Lui amiamo noi stessi e, secondo l'altro precetto, amiamo veramente il prossimo nostro come noi stessi solo se, per quanto dipende da noi, cerchiamo di condurlo a un simile amore di Dio. Noi dunque amiamo Dio per sé stesso, noi e il prossimo per Lui. Ma neppure quando viviamo così, possiamo pensare d'essere già arrivati alla vita beata, come se non ci fosse più nulla da chiedere con la preghiera. Poiché in qual modo si può già vivere beatamente, quando ci manca ancora il bene, per cui unicamente si vive bene?

Le parabole sull'efficacia della preghiera.

8. 15. Perché mai dunque ci perdiamo dietro a tante considerazioni e cerchiamo di sapere che cosa dobbiamo chiedere nelle nostre preghiere per timore di non riuscire a pregare come dovremmo? Perché non diciamo piuttosto col salmo: Una cosa sola ho chiesta al Signore, quella sola io ricercherò: di restare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita per contemplare le delizie di Dio e visitare il suo tempio? tutti i giorni non si sommano col venire e col passare, e l'inizio dell'uno non è la fine dell'altro: sono tutti insieme senza fine, dove non ha fine neppure la vita a cui quei giorni appartengono. Per l'acquisto di questa vita beata la vera Vita beata in persona c'insegnò a pregare, ma non con molte parole, come se ci esaudisse di più quanto più siamo loquaci, dal momento che la nostra preghiera è rivolta a Colui che conosce, come dice il Signore medesimo, ciò che ci è necessario prima che glielo chiediamo. Potrebbe sembrare strano che, pur proibendo il multiloquio, Colui il quale conosce, prima che glielo chiediamo, ciò che ci è necessario, ci abbia esortato con tanta insistenza a pregare, da dire: Occorre pregare di continuo e non stancarsi. Così dicendo ci propose l'esempio d'una vedova che, desiderando ottenere giustizia contro il proprio avversario, piegò un giudice iniquo ed empio col sollecitarlo spesso a darle ascolto, mosso non già da un senso di giustizia o di compassione, ma vinto dalla noia. Ci volle così ricordare che molto più sicuramente è disposto ad ascoltarci Dio, Signore misericordioso e giusto, quando preghiamo senza interruzione, dal momento che quella vedova, grazie alle sue assidue sollecitazioni, non poté essere trascurata neppure da un giudice iniquo. Ci volle anche insegnare quanto volentieri e benignamente è disposto a compiere i buoni desideri di coloro che Egli sa che perdonano i peccati altrui, se la vedova, che voleva le si facesse giustizia, raggiunse lo scopo desiderato. Anche quel tale, presso cui era giunto un amico da un viaggio e che non aveva nulla da servirgli a tavola, desiderando che da un altro suo amico gli fossero prestati tre pani, sotto i quali è adombrata forse la Trinità di un'unica sostanza, a forza di supplicare con grande petulanza e molestia, lo svegliò quando già dormiva coi suoi servitori, perché gli desse i pani che voleva. L'amico glie li diede più per evitare d'essere infastidito che per benevolenza. Volle il Signore che da questa parabola comprendessimo che se è costretto a dare chi, mentre dorme, è svegliato suo malgrado da un supplicante, tanto più benevolmente dà Colui che non dorme mai e stimola noi che dormiamo a fargli delle richieste.

Cristo esorta: chiedete, cercate, bussate!

8. 16. A questo proposito troviamo anche scritto: Chiedete e otterrete, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto; poiché chi chiede riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto. Qual è tra voi quel padre che, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra o se gli chiede un pesce gli darà un serpente o se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se voi dunque, pure essendo cattivi, sapete dare ai vostri figli doni buoni, quanto più il Padre vostro celeste li largirà a voi quando glieli chiedete?  Delle tre note virtù raccomandate dall'Apostolo la fede è simboleggiata nel pesce, sia a causa dell'acqua del battesimo, sia perché rimane integra in mezzo ai flutti di questa vita: ad essa si oppone il serpente, il quale con velenoso inganno persuase i progenitori a non credere a Dio; la speranza è raffigurata nell'uovo, perché la vita del pulcino non c'è ancora ma ci sarà, non si vede ancora ma si spera, poiché una speranza che si vede non è più speranza; all'uovo si oppone lo scorpione, poiché colui che spera la vita eterna, dimentica le cose che gli stanno dietro e si protende verso quelle che gli stanno davanti, mentre gli nuoce rivolgersi a guardare indietro; dallo scorpione però bisogna guardarsi nella sua parte posteriore, velenosa e armata di aculeo; nel pane è raffigurata la carità, ch'è la più grande di queste virtù , a quel modo che il pane è superiore per utilità a tutti gli altri alimenti: al pane si oppone la pietra, giacché i cuori duri respingono la carità. Anche se queste cose ammettono un'altra interpretazione più conveniente, nondimeno Colui che sa concedere ai suoi figli i buoni doni, ci spinge a chiedere, a cercare, a bussare.

La preghiera, esercizio di fede e speranza.

8. 17. Potrebbe far meraviglia che agisca così Colui che conosce ciò che ci è necessario prima che glielo chiediamo, se non comprendessimo che il Signore Dio nostro non desidera che noi gli facciamo conoscere qual è il nostro volere ch'egli non può non conoscere, ma desidera che nelle preghiere si eserciti il nostro desiderio, onde diventiamo capaci di prendere ciò che prepara di darci. Questo bene è assai grande, ma noi siamo piccoli e angusti per accoglierlo. Perciò ci vien detto: Allargate il cuore, per non mettervi a portare il giogo con gli infedeli. Con tanto maggiore capacità riceveremo quel bene molto grande, che occhio non ha veduto perché non è colore, orecchio non ha udito perché non è suono, né è entrato nel cuore dell'uomo, perché tocca al cuore dell'uomo elevarsi fino ad esso, con quanto maggior fede crediamo ad esso, con quanto maggiore fermezza speriamo in esso, con quanto maggiore ardore lo desideriamo.

Pregare sempre per mantenere il fervore.

9. 18. Noi dunque preghiamo sempre con desiderio continuo sgorgato dalla fede, speranza e carità. Ma a intervalli fissi di ore e in date circostanze preghiamo Dio anche con parole, affinché mediante quei segni delle cose stimoliamo noi stessi e ci rendiamo conto di quanto abbiamo progredito in questo desiderio e ci sproniamo più vivamente ad accrescerlo in noi. Più degno sarà l'effetto che sarà preceduto da un affetto più fervoroso. Perciò anche quel che dice l'Apostolo: Pregate senza interruzione, che altro significa se non: " Desiderate, senza stancarvi, di ricevere da Colui, che solo ve la può dare, la vita beata, che non è se non la vita eterna "? Se dunque sempre la desideriamo da Dio nostro Signore, non cesseremo nemmeno di pregare. Ecco perché in determinate ore noi distogliamo il nostro pensiero dalle preoccupazioni e dagli affari, che ci fanno intiepidire in qualche modo il desiderio, e lo rivolgiamo alla preghiera eccitandoci con le parole dell'orazione a concentrarci in ciò che desideriamo per evitare che il desiderio, cominciato a intiepidirsi, si raffreddi del tutto e si spenga completamente qualora non venisse ridestato con più fervore. Perciò il medesimo Apostolo disse: Le vostre domande siano manifeste presso Dio. Queste parole non vanno intese nel senso che debbano essere conosciute da Dio, il quale senz'altro le conosceva prima che fossero formulate, ma nel senso che siano note a noi presso Dio per incoraggiarci, non presso gli uomini per vantarci. Oppure vanno forse intese anche nel senso che siano note agli angeli che stanno alla presenza di Dio, affinché in qualche modo le offrano a lui e lo consultino in merito ad esse e ciò che hanno conosciuto di dover compiere per suo ordine lo apportino a noi in modo manifesto od occulto come hanno conosciuto da Dio essere a noi conveniente. Disse infatti l'angelo all'uomo: E dianzi, quando tu e Sara pregavate, io ho presentato la vostra preghiera al cospetto della luminosa grandezza di Dio.

La preghiera non è multiloquio.

10. 19. Stando così le cose, non è male né inutile pregare a lungo quando abbiamo tempo, cioè quando non sono impedite altre incombenze di azioni buone e necessarie, sebbene anche in quelle azioni, come ho detto, bisogna pregare sempre con quel desiderio. Infatti il pregare a lungo non equivale, come credono alcuni, a un pregare con molte parole. Una cosa è un parlare a lungo, altra cosa un intimo e durevole desiderio. Anche del Signore infatti sta scritto che passò la notte a pregare e che pregò assai a lungo. E nel fare così, che cos'altro voleva se non darci l'esempio, egli che nel tempo è l'intercessore opportuno, mentre nell'eternità è col Padre colui che ci esaudisce?

La preghiera sia breve ma fervorosa.

10. 20. Dicono che in Egitto i fratelli fanno preghiere frequenti si, ma brevissime, e in certo modo scoccate a volo, affinché la tensione vigile e fervida, sommamente necessaria a chi prega, non svanisca e perda efficacia attraverso lassi di tempo un po' troppo lunghi. E con ciò essi dimostrano che la tensione, come non dev'essere smorzata se non può durare a lungo, così non dev'essere interrotta subito se potrà persistere. Siano bandite dall'orazione le troppe parole ma non venga meno il supplicare insistente, sempre che perduri il fervore della tensione. Usare troppe parole nella preghiera è fare con parole superflue una cosa necessaria: il pregare molto invece è bussare con un continuo e devoto fervore del cuore al cuore di Colui al quale rivolgiamo la preghiera. Di solito la preghiera si fa più coi gemiti che con le parole, più con le lagrime che con le formule. Iddio pone le nostre lagrime al suo cospetto e il nostro gemito non è nascosto a lui, che tutto ha creato per mezzo del Verbo e non ha bisogno di parole umane.

Spiegazione del Pater noster.

11. 21. A noi dunque sono necessarie le parole perché richiamiamo alla mente e consideriamo che cosa chiediamo, ma non dobbiamo credere che con esse si suggerisca qualcosa al Signore o lo si voglia piegare ai nostri voleri. Quando diciamo: Sia santificato il tuo nome, eccitiamo noi stessi a desiderare che il nome di lui, ch'è sempre santo, sia considerato santo anche presso gli uomini, cioè non sia disprezzato, cosa questa che non giova a Dio ma agli uomini. Quando diciamo: Venga il tuo regno, il quale, volere o no, verrà senz'altro, noi eccitiamo il nostro desiderio verso quel regno, affinché venga per noi e meritiamo di regnare in esso. Quando diciamo: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra, noi gli domandiamo l'obbedienza, per adempiere la sua volontà, a quel modo che è adempiuta dai suoi angeli nel cielo. Quando diciamo: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, con la parola oggi intendiamo " nel tempo presente ", in cui o chiediamo tutte le cose che ci bastano indicandole tutte col termine " pane " che fra esse è la cosa più importante, oppure chiediamo il sacramento dei fedeli che ci è necessario in questa vita per conseguire la felicità non già di questo mondo, bensì quella eterna. Quando diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, richiamiamo alla nostra attenzione che dobbiamo chiedere e fare per meritare di ricevere questa grazia. Quando diciamo: Non c'indurre in tentazione, ci eccitiamo a chiedere che, abbandonati dal suo aiuto, non veniamo ingannati e non acconsentiamo ad alcuna tentazione né vi cediamo accasciati dal dolore. Quando diciamo: Liberaci dal male, ci rammentiamo di riflettere che non siamo ancora in possesso del bene nel quale non soffriremo alcun male. Queste ultime parole della preghiera del Signore hanno un significato così largo che un cristiano, in qualsiasi tribolazione si trovi, nel pronunciarle emette gemiti, versa lacrime, di qui comincia, qui si sofferma, qui termina la sua preghiera. Con queste parole era opportuno affidare alla nostra memoria le verità stesse.

Il Pater compendia le invocazioni dei santi dell'Antico Testamento.

12. 22. Ora, tutte le altre parole che diciamo, sia quelle che formula da principio il sentimento di chi prega per renderlo più vivo, sia quelle cui rivolge l'attenzione in seguito per accrescerlo, non esprimono altro se non quanto è racchiuso nella preghiera insegnataci dal Signore, se la recitiamo bene e convenientemente. Chi però dice cose che non abbiano attinenza con questa preghiera evangelica, anche se non prega illecitamente, prega in modo carnale e non so come quelle cose non si dicano in modo illecito, dal momento che ai rinati nello Spirito conviene pregare solo in modo spirituale. In realtà chi dice: Sii conosciuto fra tutti i popoli, come lo sei fra noi, e: I tuoi profeti siano riconosciuti fedeli, che altro dice se non: Sia santificato il nome tuo? Chi dice: O Dio delle virtù, convertici, mostra il tuo volto e saremo salvi, che altro dice se non: Venga il tuo regno? Chi dice: Guida i miei passi secondo la tua parola e non permettere che l'iniquità mi abbia completamente in suo potere, che altro dice se non: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra? Chi dice: Non darmi né povertà né ricchezza, che altro dice se non: Dacci oggi il nostro pane quotidiano? Chi dice: Ricordati, o Signore, di David e di tutta la sua mansuetudine, ovvero: Signore, se ho fatto questo, se c'è iniquità nelle mie mani, se ho reso male a chi mi faceva male, che altro dice se non: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori? Chi dice: Allontana da me le passioni del ventre e fa che il desiderio dell'impurità non s'impossessi di me, che altro dice se non: Non c'indurre in tentazione? Chi dice: Strappami dai miei nemici, o Dio, e liberami da coloro che si levano contro di me, che altro dice se non: Liberaci dal male? E se passi in rassegna tutte le parole delle preghiere contenute nella S. Scrittura, per quanto io penso, non ne troverai una che non sia contenuta e compendiata in questa preghiera insegnataci dal Signore. Pertanto nel pregare ci è permesso domandare le medesime cose con altri termini, ma non dev'essere permesso di domandare cose diverse.

Si possono chiedere onori e ricchezze?

12. 23. Queste sono le preghiere che senza alcun ondeggiamento di dubbio dobbiamo elevare per noi, per i nostri cari, per gli estranei e per gli stessi nemici, benché nel cuore di chi prega spunti e s'innalzi un sentimento diverso per l'una o l'altra persona a seconda dei rapporti più o meno stretti di parentela o di amicizia. Ma se uno nella preghiera dice per esempio: " Signore, moltiplica le mie ricchezze " o: " Dammene tante quante ne hai date a questo o a quello " ovvero: " Accresci i miei onori, fa che in questo mondo io sia assai potente e famoso " o altre simili cose, e le desidera ardentemente senza avere lo scopo di volgerle a vantaggio degli uomini secondo il volere di Dio, costui, a mio avviso, non trova affatto nella preghiera insegnataci dal Signore nessuna espressione compatibile con questi desideri. Perciò si abbia almeno il pudore di chiedere ciò che non si ha pudore di desiderare oppure, se si ha pudore anche di desiderarlo ma la passione ha il sopravvento, quanto sarà meglio chiedere al Signore che ci liberi anche da questo male della cupidigia, dato che gli diciamo: Liberaci dal male!

La preghiera sia avvalorata dalle opere buone.

13. 24. Eccoti, a quanto io posso giudicare, non solo con quali disposizioni ma anche cosa si debba chiedere nella preghiera, e non sono io a insegnartelo, ma Colui che si degnò d'insegnarlo a, tutti noi. Bisogna cercare di ottenere la vita beata e chiederla a Dio. Che cosa sia l'essere beato si è discusso a lungo da molti: ma che necessità abbiamo di rivolgerci a molti autori e di attingere a molte fonti? Nella Scrittura di Dio è detto brevemente e con verità: Beato il popolo, il cui Signore è Iddio. Per potere appartenere veramente a questo popolo e giungere alla contemplazione di Dio e vivere con Lui senza fine, il fine del precetto è l'amore che viene da un cuore puro, da una coscienza buona e da una fede sincera. In un'altra enumerazione di queste tre virtù invece della " coscienza buona " si trova: " la speranza ". La fede dunque, la speranza e la carità conducono a Dio colui che prega, cioè colui che crede, spera, desidera e considera nella preghiera del Signore che cosa Gli debba chiedere. I digiuni, l'astinenza dai piaceri, la mortificazione delle passioni carnali, senza tuttavia trascurare la salute, e soprattutto le elemosine sono di grande aiuto a chi prega, sicché possiamo dire: Nel giorno della mia tribolazione ho cercato il Signore con le mie mani, di notte, in presenza di Lui, e non mi sono ingannato. Come mai difatti si potrebbe cercare Dio incorporeo e impalpabile con le mani, se non venisse cercato con le opere?

Utilità delle sofferenze.

14. 25. Forse vorrai ancora domandarmi perché l'Apostolo abbia detto: Noi non sappiamo che cosa dire nelle preghiere per pregare come dovremmo. Non è assolutamente da credere ch'egli o quelli a cui rivolgeva queste parole ignorassero la preghiera insegnataci dal Signore. Perché crediamo dunque che l'Apostolo abbia detto una cosa simile, che non avrebbe potuto dire né a caso né bugiardamente, se non perché le molestie e le tribolazioni del mondo giovano per lo più a guarire il bubbone della superbia o a mettere a prova e ad esercitare la pazienza, a cui è riserbato un premio più splendido e più ricco quando è stata provata e sperimentata, o giovano infine a mortificare e a estirpare ogni specie di peccati? Tuttavia noi, poiché non sappiamo a che cosa giovino queste prove, desideriamo di essere liberati da ogni tribolazione. L'Apostolo stesso mostra di non essere esente neppure lui da questa ignoranza, benché forse sapesse pregare come si deve; infatti allorché, per non farlo insuperbire a causa del singolare privilegio delle rivelazioni, gli fu data una spina nella carne, un angelo di Satana che lo schiaffeggiasse, pregò tre volte il Signore perché lo allontanasse da lui, senza sapere purtroppo che cosa chiedere come conviene. Finalmente udì la risposta di Dio perché non avveniva quello che un si gran santo chiedeva e perché non conveniva che si realizzasse: Ti basti la mia grazia, poiché la forza si perfeziona nella debolezza.

Ignoriamo quel che ci giovi domandare.

14. 26. In queste tribolazioni dunque, che possono giovare o nuocere, noi non sappiamo che cosa chiedere perché la nostra preghiera sia come si conviene; ma tuttavia, poiché sono prove dure, amare, che ripugnano alla sensibilità della nostra natura, noi preghiamo, con un desiderio comune a tutti gli uomini, che esse vengano allontanate da noi. Ma a Dio nostro Signore dobbiamo (dare) questa prova d'amore: che cioè, se non allontana le prove del dolore, non dobbiamo per questo credere di essere trascurati da Lui, anzi speriamo piuttosto beni più grandi con la santa sopportazione dei mali. Così si perfeziona la virtù nella debolezza. Ad alcuni impazienti il Signore Iddio concesse, sdegnato, ciò che chiedevano, come, al contrario, non esaudì benignamente l'Apostolo. Leggiamo infatti che cosa chiedessero gli Israeliti e in che modo fossero accontentati. Ma appagata la brama, la loro sfrenata ingordigia fu gravemente punita. Alla loro richiesta concesse anche un re secondo il loro cuore, come sta scritto, non secondo il suo cuore. Concesse anche al diavolo ciò che gli chiese, perché il suo servo venisse tentato e messo alla prova. Esaudì anche degli spiriti immondi, i quali lo pregavano che una legione di demoni fosse mandata in un branco di porci. Queste cose sono state scritte perché qualcuno per caso non s'inorgoglisca, qualora sia esaudito, quando chiede con impazienza qualche cosa che sarebbe più vantaggioso non chiedere, né si abbatta e disperi della misericordia divina nei suoi riguardi qualora non venga esaudito, quando chiede qualche cosa da cui, ricevendola, potrebbe avere un'afflizione più dolorosa oppure, corrotto dalla prosperità, andare completamente in rovina. In tali circostanze non sappiamo dunque che cosa chiedere per pregare come dovremmo. Se perciò accadrà l'opposto di quanto chiediamo, sopportando pazientemente e ringraziando Dio in ogni caso, non dobbiamo avere il minimo dubbio ch'era più opportuno ciò che ha voluto Dio, di quel che avremmo voluto noi. L'esempio ce l'ha dato il divino Mediatore quando disse: Padre, se è possibile, si allontani da me questo calice. Ma poi, modificando la volontà umana assunta nella sua incarnazione, soggiunse subito: Tuttavia (sia fatto) non ciò che voglio io, o Padre, ma ciò che vuoi tu. Ecco perché giustamente per l'obbedienza di uno solo molti sono costituiti giusti.

Il vero bene da chiedere: il sommo Bene.

14. 27. Chiunque chiede al Signore e cerca d'ottenere l'unica cosa, senza la quale non giova nulla qualunque altra cosa abbia ricevuta pregando come si deve, la chiede con certezza e sicurezza, né teme ch'essa gli possa nuocere quando l'abbia ricevuta. Questa cosa infatti è l'unica vera vita e la sola beata: cioè il poter contemplare, immortali per l'eternità e incorruttibili nel corpo e nello spirito, le delizie di Dio. In vista di questa sola cosa si cercano e si desiderano onestamente tutte le altre. Chi l'otterrà, possederà tutto ciò che vuole né potrà allora chiedere cosa che non sarà conveniente. In essa è la sorgente della vita, di cui ora dobbiamo avere sete nella preghiera, fino a che viviamo nella speranza e non vediamo ancora ciò che speriamo, sotto la protezione delle ali di Colui, al cui cospetto è tutto intero il nostro desiderio, che è quello di saziarci dei ricchi beni della sua casa, di dissetarci al fiume delle sue delizie. In lui infatti è la fonte della vita e nella luce di Lui vedremo la luce, quando il nostro desiderio sarà saziato dai suoi beni e non vi sarà più da chiedere con gemiti, ma solo da possedere con godimento. Ma poiché essa è la pace che supera ogni intendimento, anche quando la chiediamo nella preghiera, non sappiamo che cosa chiedere per pregare come si conviene. Quando infatti una cosa non riusciamo a immaginarla com'è in realtà, certamente non la conosciamo; tutto ciò che s'affaccia al pensiero lo rigettiamo, lo rifiutiamo, lo disapproviamo, sappiamo che non è quello che cerchiamo, quantunque non sappiamo ancora che cosa sai specificamente.

Si può desiderare Dio conoscendolo imperfettamente.

15. 28. C'è dunque in noi una, per così dire, dotta ignoranza, dotta in quanto illuminata dallo Spirito di Dio, che aiuta la nostra debolezza. Difatti l'Apostolo dopo aver detto: Se ciò che non vediamo lo speriamo, l'aspettiamo mediante la pazienza, subìto soggiunse: Allo stesso modo anche lo Spirito ci viene in aiuto nella nostra debolezza, poiché non sappiamo che cosa dobbiamo chiedere nella preghiera per pregare come si deve; ma lo stesso Spirito supplica per noi con gemiti ineffabili: Colui però che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, poiché esso intercede per i santi secondo (il volere di) Dio. Ciò non si deve intendere nel senso di credere che lo Spirito di Dio, che nella Trinità è Dio immutabile e unico Dio col Padre e col Figlio, supplichi per i santi a guisa di uno che non sia quello che è, cioè Dio; infatti è detto " supplica per i santi " poiché induce i santi a supplicare, allo stesso modo ch'è detto: Il Signore Dio vostro vi prova, per conoscere se lo amate, cioè " per farvi conoscere ". Lo Spirito Santo spinge dunque i santi a supplicare con gemiti ineffabili ispirando in essi il desiderio di un bene tanto grande, ma ancora sconosciuto, che aspettiamo mediante la speranza. Come potrebbe essere espresso un bene ignoto quando lo si desidera? Se lo si ignorasse del tutto, non sarebbe oggetto di desiderio; e se d'altro canto lo si vedesse, non sarebbe desiderato né domandato con gemiti.

Perché le vedove devono dedicarsi alla preghiera.

16. 29. Con tutte queste considerazioni e con qualunque altra, che il Signore ti potrà suggerire intorno a questo argomento e che o non si affaccia alla mia mente o da parte mia sarebbe stato troppo lungo esporre, sforzati di vincere con la preghiera questo mondo: prega con speranza, prega con fede e con amore, prega con perseveranza e con pazienza, prega come una vedova di Cristo. Sebbene infatti, come insegnò lui, il dovere di pregare spetti a tutte le sue membra, cioè a tutti coloro che credono in lui e sono uniti al suo corpo, tuttavia nella sua Scrittura si trova prescritto per le vedove in modo particolare un esercizio più scrupoloso delle preghiere. Due infatti furono le Anne ricordate con onore: l'una maritata che diede alla luce il santo Samuele, l'altra vedova che riconobbe il Santo dei Santi quando era ancora bambino. La maritata pregò con animo addolorato e cuore contristato perché non aveva figli; ottenne allora Samuele e, come l'ebbe avuto, lo consacrò a Dio poiché nel chiederlo aveva fatto quel Voto. Ma in che modo la sua preghiera abbia una relazione con la preghiera del Signore non facilmente si scorge se non perché, per il fatto che lì è detto: Liberaci dal male, le sembrava non piccolo male essere sposata ed essere priva del frutto del matrimonio, dato che l'unico motivo che giustifichi le nozze è quello della procreazione dei figli. Bada ora a ciò che sta scritto di Anna la vedova: Non si allontanava mai dal tempio servendo (Dio) in digiuni e preghiere notte e giorno. Non diverse sono le parole dell'Apostolo citate più sopra: Colei che è veramente vedova e desolata ha riposto la sua speranza nel Signore e persiste notte e giorno nelle preghiere. Il Signore inoltre, esortandoci a pregare sempre e a non stancarci mai, ci ricordò una vedova la quale, col sollecitare di continuo un giudice iniquo ed empio, dispregiatore di Dio e degli uomini, lo indusse ad ascoltare la sua causa. Quanto dunque le vedove debbano applicarsi alle preghiere più di tutte le altre donne, si può assai bene comprendere dal fatto che proprio dalle vedove è stato preso l'esempio per esortare tutti ad applicarsi con fervore alla preghiera.

L'unica vera ricchezza: Dio.

16. 30. Ma quale è la caratteristica maggiormente messa in risalto in questo argomento della preghiera, a proposito delle vedove, se non l'abbandono e la desolazione? Ecco perché ogni anima che comprenda di essere, in questo mondo, abbandonata e desolata, finché è pellegrina lontana dal Signore affida quella che possiamo chiamare vedovanza a Dio difensore con continua e ferventissima preghiera. Prega dunque come vedova di Cristo poiché non godi ancora della vista di lui, del quale invochi l'aiuto. Benché inoltre tu possieda grandi ricchezze, prega come se fossi povera: poiché non possiedi ancora la vera ricchezza della vita futura, solo nella quale non avrai da temere perdita alcuna. Anche se hai figli e nipoti e numerosa servitù, come ho detto più sopra, prega come se fossi desolata, poiché incerti sono tutti i beni temporali anche se destinati a rimanere per nostro conforto sino alla fine di questa vita. Tu invece, se cerchi e desideri le cose che sono lassù, desideri le cose eterne e sicure; finché non le possiedi ancora, anche se tutti i tuoi cari sono sani e salvi e ti rendono ossequio, ti devi considerare come una donna abbandonata. E non solo tu (farai) così, ma, sul tuo esempio, (faranno) anche la tua piissima nuora e le altre sante vedove e vergini poste più al sicuro sotto la vostra protezione. Con quanto maggiore pietà governate la vostra casa, con tanto maggiore fervore dovete attendere alle preghiere, senz'essere assorbite dalle occupazioni della vita presente, se non quanto lo esige un motivo di carità.

Ultime raccomandazioni a Proba.

16. 31. Ricordatevi naturalmente di pregare premurosamente anche per noi. Non vogliamo infatti che ci tributiate l'onore per la carica che esercitiamo con pericolo, perché poi ci sottraiate l'aiuto che sappiamo esserci necessario. Dalla famiglia di Cristo si pregò per Pietro, si pregò per Paolo; ci rallegriamo d'essere anche noi nella famiglia di Cristo: più di Pietro e Paolo, senza confronto, abbiamo bisogno noi d'esser aiutati dalle preghiere dei fratelli. Pregate a gara con concorde e santa emulazione, poiché non lottate le une contro le altre, ma contro il diavolo, nemico di tutti i santi. I digiuni, le veglie e tutte le mortificazioni del corpo sono un potentissimo aiuto per la preghiera. Ciascuna di voi faccia quello che sarà capace di fare. Ciò che una non è capace di fare, lo fa servendosi dell'opera di un'altra che n'è capace; basta che ami nell'altra ciò che essa non fa perché non vi riesce. Pertanto chi ha meno capacità, non ostacoli chi ne ha di più, e chi è più capace non sforzi chi lo è meno. Poiché voi dovete rendere conto a Dio della vostra coscienza, non abbiate debiti verso nessuna di voi, tranne quello di amarvi a vicenda. Ci esaudisca il Signore, il quale ha il potere di fare ben più di quello che chiediamo e pensiamo.

 AMDG et DVM

La vera santità

 

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LA VERA SANTITÀ

Un sabato, cantandosi la messa Salve sancta Parens, Metilde salutò la Beata Vergine pregandola di ottenerle una vera santità. La gloriosa Vergine rispose: “Se tu desideri la vera santità, sta vicina al Figlio mio; Egli è la Santità, medesima che santifica ogni cosa”.

Pensando Metilde come potesse ciò fare, la benignissima Vergine le disse ancora: “Applicati alla sua santa Infanzia, pregando che, per la sua innocenza, siano riparate le colpe e le negligenze della tua infanzia. Applicati alla sua fervente adolescènza la quale fiorì in ardentissimo amore a segno che in Lui solo il divino Amore ebbe sufficiente materia, affinché la tiepidezza e l'accidia della tua gioventù per quella sia riparata. Unisciti a tutte le sue divine virtù, acciocché le tue ne siano nobilitate e sublimate.

“In secondo luogo, tieniti vicina al Figlio mio, col dirigere a Lui i tuoi pensieri, le tue parole e le tue azioni, affinché Egli che non è mai caduto in fallo, cancelli tutto quanto in te travasi d'imperfetto.

“In terzo luogo, tieniti vicina al Figlio mio come la sposa presso lo sposo, il quale, coi suoi beni, le dà il vitto ed il vestito, mentre essa per amar di lui ne ama ed onora la famiglia e gli amici. In tal modo, l'anima tua si nutrisca del Verbo di Dio come del migliore alimento, e si copra e si orni delle sue delizie, vale a dire degli esempi ch'Egli porge ad imitare. Unisciti pure alla sua famiglia, voglio dire ai Santi, amali, loda Dio per loro, e spesse volte inviali al Diletto perché lo lodino insieme con te. Così ti farai veramente santa, secondo quanto sta scritto: Col santo tu sarai santo (Ps. XVIII, 26), come una giovane diventa regina associandosi alle sorti del Re”.

sabato 29 agosto 2020

Dom. XV post Pent. / «Alzati. E gli altri dove sono? ».

 11Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samarìa e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, 13alzarono la voce, dicendo: "Gesù maestro, abbi pietà di noi!". 14Appena li vide, Gesù disse: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono sanati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; 16e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse: 19"Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!". San Luca XVII 11-19.



CDLXXXIII. Gli apostoli discutono sull’odio dei giudei. I dieci lebbrosi guariti in Samaria.

   29 agosto 1946

 1 Sono sempre fra i monti, e monti ben rudi, su certe stradette dove non passano certo dei carri, ma soltanto viandanti a piedi o persone cavalcanti i forti somari della montagna, più alti e robusti dei soliti somarelli delle zone meno accidentate. Un’osservazione che a molti potrà parere inutile, ma che io faccio lo stesso. 
   In Samaria vi sono delle diversità dagli usi degli altri luoghi. Sia  nel  vestire come in tante altre cose. E una è l’abbondanza di cani, insolita altrove, che mi colpisce, come mi ha colpito la presenza di porci nella Decapoli. Molti cani, forse, perché la Samaria ha molti pastori e avrà molti lupi in quei monti così selvaggi. Molti anche perché i pastori in Samaria li vedo per lo più soli, al massimo con un fanciullo, pascolanti il gregge proprio, mentre altrove sono per lo più in molti a tutelare greggi numerose di capi di proprietà di qualche ricco. Fatto è che qui ogni pastore ha il suo cane, o più cani, a seconda del numero di pecore del suo gregge. 
   Un’altra caratteristica sono proprio questi asini quasi alti quanto un cavallo, robusti, atti a scalare questi monti con dei carichi pesanti sul basto, sovente carichi delle legna forti che si trovano su questi magnifici monti coperti di boschi secolari. 
   Altra particolarità: la scioltezza nel modo di fare degli abitanti che, senza essere dei «peccatori», come li giudicavano giudei e galilei, sono aperti, franchi, senza bigotterie, senza tutte quelle storie che hanno gli altri. E ospitali. Questa constatazione mi fa pensare che nella parabola del buon samaritano non ci sia stata soltanto l’intenzione voluta di far risaltare che il buono e il cattivo è da per tutto, in tutti i luoghi e razze, e anche fra eretici ci possono essere dei retti di cuore, ma proprio anche la reale descrizione delle abitudini samaritane verso chi è bisognoso di aiuto. Si saranno fermati al Pentateuco, sento che parlano di questo e non d’altro, ma lo praticano, almeno verso il prossimo, con più dirittura degli altri con i loro seicentotredici codicilli di precetti ecc. ecc.

 2 Gli apostoli parlano col Maestro e, nonostante siano incorreggibilmente israeliti, devono riconoscere e lodare lo spirito che hanno trovato negli abitanti di Sichem i quali, lo comprendo dai discorsi che sento, hanno invitato Gesù a sostare fra di loro. 
   «Hai sentito, eh?», dice Pietro, «come hanno detto chiaramente che sanno l’odio giudeo? Hanno detto: "Per Te e su Te c’è più odio che su noi samaritani per quanti siamo e quanti fummo. Ti odiano senza limite"». 
   «E quel vecchio? Come ha detto bene: "È in fondo giusto che sia così, perché Tu non sei un uomo ma sei il Cristo, il Salvatore del mondo, e perciò sei il Figlio di Dio, perché solo un Dio può salvare il mondo corrotto. Perciò, essendo Tu senza limite come Dio, senza limitazioni nel tuo potere, nella tua santità e nel tuo amore, come sarà senza limite la tua vittoria sul Male, così è naturale che il Male e l’Odio, tutt’una cosa col Male, siano senza limiti contro Te". Ha proprio detto bene! E questa ragione spiega tante cose!», dice lo Zelote.
   «Che spiega secondo te? Io... io dico che spiega soltanto che sono degli stolti», dice Tommaso spicciativo. 
   «No. La stoltezza sarebbe ancora una scusante. Ma stolti non sono». 
   «Ebbri allora, ebbri di odio», replica Tommaso. 
   «Neppure. L’ebbrezza cede dopo essersi scatenata. Questo livore non cede». 
   «E sì che più scatenato di così! È tanto che lo è... che ormai avrebbe dovuto cadere». 
   «Amici, esso non ha ancora toccato la mèta», dice Gesù calmo, come se la mèta dell’odio non fosse il suo supplizio. 
   «No?! Ma se non ci lasciano in pace mai?!». 
   «Maestro, essi ancora non si persuadono che ho detto il vero. Ma l’ho detto. Oh! se l’ho detto! E dico anche che, se era per voi, sareste caduti tutti nella trappola come ci cadde il Battista. Ma non riusciranno perché io veglio...», dice l’Iscariota. 
   E Gesù lo guarda. E lo guardo anche io domandandomi, e me lo chiedo da qualche giorno, se la condotta dell’Iscariota è causata da un buono e reale ritorno sulla via del bene e dell’amore per il suo Maestro, una liberazione dalle forze umane e extraumane che lo tenevano, o se sia un più raffinato lavoro di preparazione al colpo finale, un asservimento maggiore ai nemici di Cristo e a Satana. Ma Giuda è un essere talmente speciale che non è decifrabile. Solo Dio può capirlo. E Dio, Gesù, cala un velo di misericordia e di prudenza su tutte le azioni e sulla personalità del suo apostolo... un velo che si lacererà, completamente illuminando tanti perché, ora misteriosi, soltanto quando saranno aperti i libri dei Cieli. 

 3 Gli apostoli sono talmente preoccupati dall’idea che l’odio dei nemici non ha ancora raggiunto il suo termine, che non parlano più per qualche tempo. Poi Tommaso si rivolge ancora allo Zelote dicendo: «E allora, se non sono ebbri né stolti, se il loro odio spiega tante cose e non questa, che spiega allora? Che sono? Non lo hai detto...». 
   «Che sono? Dei posseduti. Ciò che dicono di Lui essi sono. Questo spiega il loro accanimento che non
conosce sosta, che anzi sempre più cresce più si appalesa la sua potenza. Ha detto bene quel samaritano. In Lui, Figlio del Padre e di Maria, Uomo e Dio, è l’Infinità di Dio, e infinito è l’Odio che a questa Infinità perfetta si oppone, anche se nel suo essere senza limite l’Odio non è perfetto, perché solo Dio è perfetto nelle sue azioni. Ma se l’Odio potesse toccare l’abisso della perfezione, esso scenderebbe a toccarlo, si precipiterebbe a toccarlo anzi, per rimbalzare poi, per la veemenza stessa della sua caduta nell’abisso d’inferno, contro il Cristo, a ferirlo con tutte le armi strappate all’abisso infernale. Il firmamento, regolato da Dio, ha un solo sole. Esso si alza e raggia e scompare lasciando il posto al sole più piccolo che è la luna, e questa, dopo aver raggiato a sua volta, tramonta per cedere il posto al sole. Gli astri molto insegnano agli uomini, perché essi si assoggettano ai voleri del Creatore. Ma gli uomini no. E un esempio è questo, di questo voler opporsi al Maestro. Che accadrebbe se la luna in un’aurora dicesse: "Non voglio scomparire e torno per la via già fatta"? Certo che cozzerebbe contro al sole con orrore e danno di tutto il creato. Essi questo vogliono fare, credendo di poter frantumare il Sole...». 
   «È la lotta delle Tenebre contro la Luce. La vediamo ogni giorno nelle albe e nelle sere. Le due forze che si contrastano, che prendono a vicenda il dominio sulla Terra. Ma le tenebre sono sempre vinte, perché assolute non sono mai. Un poco di luce emana sempre, anche nella notte più priva d’astri. Pare che l’aria da se stessa la crei negli infiniti spazi del firmamento e l’effonda, anche se limitatissima, a far persuasi gli uomini che gli astri non sono spenti. E io dico che ugualmente, in queste particolari tenebre del Male contro la Luce che è Gesù, sempre, nonostante ogni sforzo delle Tenebre, la Luce sarà a confortare chi crede in Essa», dice Giovanni sorridendo al suo pensiero, raccolto in se stesso come se monologasse. 
   Il suo pensiero viene raccolto da Giacomo d’Alfeo. «Nei Libri il Cristo è detto "Stella del mattino". Una notte dunque Egli pure conoscerà, e - spavento mio! - noi pure la conosceremo, una notte, un tempo in cui non parrà forte la Luce, ma vittoriose le Tenebre. Ma, posto che Egli è detto Stella del mattino in modo che esclude un limite nel tempo, io dico che dopo la momentanea notte Egli sarà Luce mattutina, pura, fresca, verginale, rinnovante il mondo, simile a quella che successe al Caos nel primo giorno. Oh! sì. Il mondo sarà ricreato nella sua Luce». 
   «E maledizione sarà sui reprobi che avranno voluto alzare le mani a colpire la Luce ripetendo gli errori già fatti, da Lucifero ai profanatori del popolo santo. Jeovè lascia libero l’uomo nelle sue azioni. Ma, per amore dell’uomo stesso, non permetterà che l’Inferno prevalga», termina Giuda d’Alfeo. 

 4 «Oh! meno male che, dopo tanto sopore di spiriti, per cui tutti sembravamo come ottusi e tardi per vecchiezza precoce, la sapienza rifiorisce sulle nostre labbra! Non sembravamo più noi! Ora ritrovo lo Zelote, e Giovanni, e i due fratelli di un tempo!», dice l’Iscariota felicitandosi. 
   «Non mi pare che fossimo cambiati tanto da non parere più noi», dice Pietro. 
   «Se lo eravamo! Tutti. Tu per il primo. E poi Simone e gli altri, me compreso. Se uno c’era che era su per giù quello di sempre, era Giovanni». 
   «Uhm! Non so proprio in che...». 
   «In che? Taciturni, come stanchi, indifferenti, pensierosi... Mai più si sentiva una delle conversazioni, simili a tante di un tempo, simili a quella di ora, che servono tanto...». 
   «A disputare», dice il Taddeo ricordando come infatti sovente degenerassero in battibecchi. 
   «No. A formarsi. Perché non tutti si è come Natanaele, né come Simone, né come voi di Alfeo, per nascita e sapienza. E chi lo è meno impara sempre da chi lo è più», ribatte l’Iscariota. 

 5 «Veramente... io direi che più che tutto è necessario formarsi in giustizia. E di questa ce ne ha date magnifiche lezioni Simone», dice Tommaso. 
   «Io? Ma tu vedi male. Io sono il più stolto di tutti», dice Pietro. 
   «No. Tu sei quello che più sei cambiato. In questo ha ragione Giuda di Keriot. Non c’è più che ben poco in te del Simone che ho conosciuto io quando venni con voi, e che, perdona, rimase qual era per tanto tempo. Da quando ti ho ritrovato dopo la separazione per le Encenie, tu non hai fatto che trasformarti. Ora sei... sì, lo dico: sei più paterno e nello stesso tempo più austero. Compatisci tutti i tuoi poveri fratelli, mentre prima... E si vede, io almeno vedo, che ciò ti costa. Ma vinci te stesso. E mai come ora, che poco parli e poco rimproveri, ci incuti rispetto...». 
   «Ma amico mio! Tu sei molto buono a vedermi così... Io, meno che l’amore per il Maestro, che mi cresce sempre, non ho proprio cambiato in nulla». 
   «No. Toma ha ragione. Tu sei molto cambiato», confermano in molti. 
   «Mah! voi lo dite...», dice Pietro stringendosi nelle spalle. E aggiunge: «Soltanto il giudizio del Maestro sarebbe sicuro. Ma mi guardo bene dal chiederglielo. Egli sa la mia debolezza e sa che anche una lode mal data potrebbe nuocere al mio spirito. Perciò non mi loderebbe, e farebbe bene. Capisco sempre meglio il suo cuore e il suo sistema, e ne vedo tutta la giustizia». 
   «Perché hai animo retto e perché ami sempre più. Chi ti fa vedere e capire è il tuo amore per Me. Maestro tuo, il vero e più grande Maestro che ti fa capire il tuo Maestro, è l’Amore», dice Gesù che fino a quel momento ha ascoltato e taciuto. 
   «Io credo che... sia anche il dolore che ho dentro...». 
   «Dolore? Perché?», chiedono alcuni. 
   «Eh! per tante cose, che poi, in fondo, sono una sola cosa: tutto quello che soffre il Maestro... e il pensiero di quello che soffrirà. 

 6 Non si può essere più svagati come i primi tempi, svagati come dei fanciulli che non sanno, adesso che si conosce di cosa sono capaci gli uomini e come si deve soffrire per salvarli. Ohilà! Credevamo tutto facile nei primi tempi! Credevamo che bastasse presentarsi perché gli altri venissero dalla nostra parte! Credevamo che conquistare Israele e il mondo fosse come... gettare una rete su un fondo pescoso. Poveri noi! Io penso che, se non ci riesce Lui a far buona preda, noi non ne faremo nessuna. Ma questo è niente ancora! Io penso che essi sono cattivi e lo fanno soffrire. E credo che questo sia il motivo del nostro cambiamento in generale...». 
   «È vero. Per la mia parte, è vero», conferma lo Zelote. 
   «Anche per me. Anche per me», dicono gli altri. 
   «Io è tanto che ero inquieto per questo e ho cercato di... avere buoni aiuti. Ma mi hanno tradito... e voi non mi avete capito... E io non ho capito voi. Credevo che foste così come siete per stanchezza dello spirito, per sfiducia, per delusione...», confessa l’Iscariota. 
   «Io non ho mai sperato umane gioie e perciò non sono deluso» , dice lo Zelote. 
   «Io e mio fratello lo vorremmo vittorioso, ma per sua gioia. Lo abbiamo seguito per amor di parenti prima che di discepoli. Lo abbiamo sempre seguito sino da fanciulli, Egli il più piccolo per età di noi fratelli, ma tanto più grande sempre di noi...», dice Giacomo con la sua ammirazione sconfinata per il suo Gesù. 
   «Se un dolore abbiamo è che non tutti noi della parentela lo amiamo nello spirito e col solo spirito. Ma non siamo i soli in Israele ad amarlo male», dice il Taddeo. 

 7 Giuda Iscariota lo guarda e forse parlerebbe, ma è distratto da un grido che li raggiunge da un poggetto che sovrasta il paesino che stanno costeggiando cercando la via per entrarvi. 
   «Gesù! Rabbi Gesù! Figlio di Davide e Signore nostro, abbi pietà di noi». 
   «Dei lebbrosi! Andiamo, Maestro, altrimenti il paese accorrerà e ci tratterrà fra le sue case», dicono gli apostoli. 
   Ma i lebbrosi hanno il vantaggio di essere più avanti di loro, alti sulla via, ma almeno a un cinquecento metri dal paese, e scendono zoppicando sulla via e corrono verso Gesù ripetendo il loro grido. 
   «Entriamo nel paese, Maestro. Essi non vi possono entrare», dicono alcuni apostoli, ma altri ribattono: «Già delle donne si affacciano a guardare. Se entriamo sfuggiremo i lebbrosi, ma non di esser conosciuti e trattenuti». 
   E mentre sono incerti sul da farsi, i lebbrosi si fanno sempre più vicini a Gesù che, incurante dei ma e dei se dei suoi apostoli, ha proseguito per la sua strada. E gli apostoli si rassegnano a seguirlo, mentre donne coi bambini alle gonnelle e qualche uomo vecchio rimasto in paese vengono a vedere, stando a prudente distanza dai lebbrosi, che però si fermano a qualche metro da Gesù e ancora supplicano: «Gesù, abbi pietà di noi!».
   Gesù li contempla un istante; poi, senza accostarsi a questo gruppo di dolore, chiede: «Siete di questo paese?». 
   «No, Maestro. Di luoghi diversi. Ma quel monte, dove stiamo, dall’altra parte guarda sulla via per Gerico, ed è buono per noi quel luogo...».
   «Andate allora al paese vicino al vostro monte e mostratevi ai sacerdoti». 
   E Gesù riprende a camminare spostandosi sul ciglio della via per non sfiorare i lebbrosi, che lo guardano avvicinare senza avere altro che uno sguardo di speranza nei poveri occhi malati. E Gesù, giunto alla loro altezza, alza la mano a benedire. 
   La gente del paese, delusa, ritorna nelle case... I lebbrosi si inerpicano di nuovo sul monte per andare verso la loro grotta o verso la via di Gerico. 
   «Hai fatto bene a non guarirli. Non ci avrebbero più lasciati andare quelli del paese...». 
   «Sì, e bisognerebbe giungere ad Efraim prima di notte». 

 8 Gesù cammina e tace. Il paese ormai è nascosto alla vista dalle curve della via molto sinuosa, perché segue i capricci del monte ai piedi del quale è tagliata. 
   Ma una voce li raggiunge: «Lode al Dio altissimo e al suo vero Messia. In Lui è ogni potenza, sapienza e pietà! Lode al Dio altissimo che in Lui ci ha concesso la pace. Lodatelo, uomini tutti dei paesi di Giudea e di Samaria, della Galilea e dell’Oltre Giordano. Sino alle nevi dell’altissimo Hermon, sino alle arse petraie dell’Idumea, sino alle arene bagnate dalle onde del Mar Grande risuoni la lode all’Altissimo ed al suo Cristo. Ecco compita la profezia di Balaam. (Numeri 24, 15-19. Le citazioni che seguono sono da: 1 Re 13, 1-5; 2 Re 1, 15-16). La Stella di Giacobbe splende sul cielo ricomposto della patria riunita dal vero Pastore. Ecco anche compiute le promesse fatte ai patriarchi! Ecco, ecco la parola di Elia che ci amò. Uditela, o popoli di Palestina, e comprendetela. Più non si deve zoppicare da due parti, ma scegliere si deve per luce di spirito, e se lo spirito sarà retto bene sceglierà. Questo è il Signore, seguitelo! Ah! che finora fummo puniti perché non ci siamo sforzati a comprendere! L’uomo di Dio maledisse il falso altare profetando: "Ecco, nascerà dalla casa di Davide un figlio chiamato Jeosciuè, il quale immolerà sopra l’altare e consumerà ossa di Adamo. E l’altare allora si squarcerà fin nelle viscere della Terra e le ceneri dell’immolazione si spargeranno a settentrione e mezzogiorno, a oriente e là dove tramonta il sole". Non vogliate fare come lo stolto Ocozia, che mandava a consultare il dio di Acaron mentre l’Altissimo era in Israele. Non vogliate essere inferiori all’asina di Balaam (Numeri 22, 20-35), la quale per il suo ossequio allo spirito di luce avrebbe meritato la vita, mentre sarebbe caduto percosso il profeta che non vedeva. Ecco la Luce che passa fra noi. Aprite gli occhi, o ciechi di spirito, e vedete», e uno dei lebbrosi li segue sempre più da vicino, anche sulla via maestra ormai raggiunta, indicando Gesù ai pellegrini. 


   Gli apostoli, seccati, si volgono due o tre volte intimando al lebbroso, perfettamente guarito, di tacere.    E lo minacciano quasi l’ultima volta. 

   Ma egli, cessando per un momento di alzare così la voce per parlare a tutti, risponde: «E che volete, che io non glorifichi le grandi cose che Dio mi ha fatto? Volete che io non lo benedica?». 
   «Benedicilo in cuor tuo e taci», gli rispondono inquieti. 
   «No, che non posso tacere. Dio mette le parole sulla mia bocca», e riprende forte: «Gente dei due luoghi di confine, gente che passate per caso, fermatevi ad adorare Colui che regnerà nel nome del Signore. Io deridevo tante parole (Isaia 11-12). Ma ora le ripeto perché le vedo compiute. Ecco muoversi tutte le genti e venire giubilando al Signore per le vie del mare e dei deserti, per i colli e i monti. E anche noi, popolo che abbiamo camminato nelle tenebre, andremo alla gran Luce che è sorta, alla Vita, uscendo dalla regione di morte. Lupi, leopardi e leoni quali eravamo, rinasceremo nello Spirito del Signore e ci ameremo in Lui, all’ombra del Germoglio di Jesse divenuto cedro, sotto il quale si accampano le nazioni raccolte da Lui ai quattro punti della Terra. Ecco, viene il giorno in cui la gelosia di Efraim avrà fine, perché non c’è più Israele e Giuda, ma un solo Regno: quello del Cristo del Signore. Ecco, io canto le lodi del Signore che mi ha salvato e consolato. Ecco, io dico: lodatelo e venite a bere la salvezza alla fonte del Salvatore. Osanna! Osanna alle grandi cose che Egli fa! Osanna all’Altissimo che ha messo in mezzo agli uomini il suo Spirito rivestendolo di carne, perché divenisse il Redentore!». 
   È inesauribile. 

 9 La gente aumenta, si affolla, ingombra la via. Chi era indietro accorre, chi era avanti torna indietro. Quelli di un piccolo paese, presso il quale sono ormai, si uniscono ai passanti. 
   «Ma fallo tacere, Signore. Egli è il samaritano. Lo dice così la gente. Non deve parlare di Te, se Tu non permetti neppure che noi ti si preceda più predicandoti!», dicono inquieti gli apostoli. 
   «Amici miei, ripeto le parole di Mosè a Giosuè figlio di Num (Numeri 11, 26-30), che si lamentava perché Eldad e Medad profetavano negli accampamenti: "Sei tu geloso per me, in mia vece? Oh! profetasse così tutto il popolo, e il Signore desse a tutti il suo spirito!". Ma pure mi fermerò e lo congederò per farvi contenti». 
   E si ferma voltandosi e chiamando a sé il lebbroso guarito, che accorre e si prostra dinanzi a Gesù baciando la polvere. 
   «Alzati. E gli altri dove sono? Non eravate in dieci? Gli altri nove non hanno sentito bisogno di ringraziare il Signore. E che? Su dieci lebbrosi, dei quali uno solo era samaritano, non si è trovato altro che questo straniero che sentisse il dovere di tornare indietro a rendere gloria a Dio, prima di rendere se stesso alla vita e alla famiglia? Ed egli è detto "samaritano". Non più ubbriachi sono allora i samaritani, posto che vedono senza traveggole e accorrono sulla via di Salute senza barcollare? Parla dunque la Parola un linguaggio straniero se lo intendono gli stranieri e non quelli del suo popolo?». 
   Gira gli splendidi occhi sulla folla di ogni luogo della Palestina che si trova presente. E sono insostenibili nei loro balenii quegli occhi... Molti chinano il capo e spronano le cavalcature o si danno a camminare allontanandosi... 

10 Gesù china gli occhi sul samaritano inginocchiato ai suoi piedi, e lo sguardo si fa dolcissimo. Alza la mano, che teneva abbandonata lungo il fianco, in un gesto di benedizione e dice: «Alzati e vattene. La tua fede ha salvato in te più ancora della tua carne. Procedi nella luce di Dio. Va’». 
   L’uomo bacia nuovamente la polvere e prima di alzarsi chiede: «Un nome, Signore. Un nome nuovo, perché tutto è nuovo in me, e per sempre». 
   «In che terra ci troviamo?». 
   «In quella d’Efraim». 
   «Ed Efrem chiamati da ora in poi, perché due volte la Vita ti ha dato vita. Va’».
   E l’uomo si alza e va. 
   La gente del luogo e qualche pellegrino vorrebbero trattenere Gesù. Ma Egli li soggioga con il suo sguardo che non è severo, anzi è molto dolce nel guardarli, ma che deve sprigionare una potenza, perché nessuno fa un gesto per trattenerlo. 
   E Gesù lascia la via senza entrare nel paesino, traversa un campo, poi un piccolo rio e un sentiero, e sale sul poggio orientale, tutto boscoso, e si inselva con i suoi dicendo: «Per non smarrirci seguiremo la via, ma stando nel bosco. Dopo quella curva, la strada si appoggia a questo monte. Vi troveremo qualche grotta per dormire, superando all’alba Efraim...».


AMDG et DVM