domenica 30 giugno 2019

MAGNIFICAT (4)







Spiegazione del secondo versetto:


<<Et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo>>
Queste Divine Parole pronunciate dalla sacra bocca della Madre del Salvatore, ci mostrano la gioia ineffabile e incomprensibile di cui il suo Cuore, il suo spirito e la sua anima, con tutte le sue facoltà, sono stati ricol­mi e santamente inebriati nel momento dell’Incarnazione del Figlio di Dio in Lei e mentre l’ha portato nelle sue viscere benedette, ed anche durante tutto il resto della sua vita, secondo sant’Alberto Magno e qualche altro Dottore. 

Tale gioia è stata così grande, specialmente nel momento dell’Incamazione che, poiché la sua anima santa è stata separata dal suo corpo nell’ultimo istante della sua vita, per la veemenza del suo amore verso Dio e per l’abbondanza della gioia che aveva di vedersi sul punto di andare con il Fi­glio suo in Cielo, Elia sarebbe altresì morta di gioia alla vista delle bontà inenarrabili di Dio nei suoi riguardi e nei riguardi di tutto il genere umano, se non fosse stata conservata in vita per miracolo. 

Se la storia, infatti, ci fa cre­dere che la gioia ha fatto morire molte persone, in vista di qualche vantaggio temporale che era loro capitato, è a maggior ragione credibile che anche questa Divina Vergine ne sarebbe morta, se non fosse stata sostenuta dalla virtù del divin Bambino che Ella portava nelle sue viscere verginali, visto che Ella aveva i più grandi motivi di gioia che mai vi siano stati e che saran­no mai, ossia:

1) Ella si rallegrava in Dio, in Deo, ossia del fatto che questo Dio è in­finitamente potente, sapiente, buono, giusto e misericordioso e perché ha fatto splendere in maniera sì ammirabile la sua potenza, la sua bontà e tutti gli altri divini attributi nel mistero dell’Incarnazione e della Redenzione del mondo;

2) Ella si rallegrava in Dio suo Salvatore, perché è venuto in questo mondo, per salvarla e riscattarla primariamente e principalmente, preservan­dola dal peccato originale e ricolmandola delle sue grazie e dei suoi favori, con tanta pienezza, da renderla la Mediatrice e la Cooperatrice con Lui della salvezza di tutti gli uomini;

3) Il suo Cuore era ricolmo di gioia per il fatto che Dio l’ha guardata con gli occhi della sua benignità, ossia ha amato e approvato l’umiltà della sua serva, nella quale ha provato una gioia ed una contentezza singolarissi­me. «È qui - dice sant’Agostino - il motivo della gioia di Maria, perché Egli ha guardato l’umiltà della sua serva, come se Ella dicesse: “Mi rallegro della grazia che Dio mi ha fatto, perché è da Lui che ho ricevuto il motivo di questa gioia; ed io mi rallegro in Lui, perché amo questi doni per
suo amore”»;

4)    Ella si rallegrava delle grandi cose che l'Onnipotente Bontà ha opera­to in Lei, le quali sono le più grandi meraviglie che abbia mai fatto in tutti i secoli passati e che compirà in tutti i secoli futuri, come vedremo più avanti, nella spiegazione del quarto versetto;

5)     Ella si rallegrava non soltanto dei favori che ha ricevuto da Dio, ma anche delle grazie e delle misericordie che Egli ha riversato su tutti gli uo­mini disposti a riceverle;

6)    Ella si rallegrava non solamente della bontà di Dio nei riguardi di co­loro che non vi mettono affatto impedimento, ma anche degli effetti della sua giustizia sui superbi, che disprezzano le sue generosità.

* Oltre a ciò la Beata Vergine si rallegrava di una cosa particolarissima, degna della sua bontà incomparabile. È sant’Antonino a parlarne per primo ed io la riporto in questo contesto, affinché ci sproni ad amare e servire Co­lei che ha tanto amore per noi. 
Sant’Antonino, spiegando le parole: «Et exultavit spiritus meus», dice che bisogna intenderle come quelle che Gesù ha pronunciato sulla Croce: «Pater in manus tuas commendo spiritum meum: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito», ossia vi raccomando tutti co­loro che sono uniti a me per la fede e la carità. Colui che aderisce a Dio non è che un solo spirito con Lui: «Qui autem adhceret Domino, unus spiritus» [Cor. 6,17]
Similmente la Madre del Salvatore - è sempre sant’Antonino che parla -, essendo tutta rapita e come estasiata e trasportata in Dio, allorquando pro­nuncia queste parole: «Exultavit spiritus meus», vede in spirito la moltitudi­ne quasi innumerevole di coloro che avranno una devozione ed un affetto particolare per Lei e che saranno del numero dei predestinati, da cui Ella ri­ceve una gioia inconcepibile.

Stando così le cose, chi non si volgerà ad amare questa Madre tutta buona e tutta amabile, che ha tanto amore per coloro che l’amano, che li guarda ed ama come suo spirito, sua anima e suo Cuore? Ascoltiamo ciò che il beato Lansperge dice a ciascuno di noi, per spronarci a ciò [11] : 

«Vi esorto, mio caro figlio, ad amare la nostra Santissima Signora e la nostra Divina Pa­drona. 
Se desiderate, infatti, preservarvi da un’infinità di pericoli e di tenta­zioni di cui questa vita è piena, se desiderate trovare consolazione e non es­sere oppresso dalia tristezza nelle vostre avversità, se desiderate essere unito inseparabilmente al nostro Salvatore, abbiate una venerazione ed un affetto singolare verso la purissima, amabilissima, dolcissima, fedelissima, grazio­sissima e potentissima Madre. 
Se voi l’amate davvero, infatti, e se v’impegnate ad imitarla con attenzione, sperimenterete che Ella sarà anche per voi una Madre piena di dolcezza e di tenerezza, che Ella è così piena di bontà e di misericordia che non disprezza nessuno e che non abbandona nessuno di coloro che la invoca, non avendo più gran desiderio che di elargire a tutti i peccatori i tesori delle grazie che il Figlio suo le ha posto tra le mani. 
Chiunque ama questa Vergine immacolata è casto; chiunque l’onora è devo­to; chiunque la imita è santo. Nessuno l’ama senza avvertire gli effetti del suo amore reciproco; neppure uno di coloro che hanno una qualche devozio­ne verso di Lei può perire; neppure uno di coloro che s’impegnano ad imi­tarla può mancare di acquistare la salvezza eterna. 
Quanti ha ricevuto nel se­no della sua misericordia, da miserabili peccatori che erano, nella dispera­zione e abbandonati ad ogni sorta di vizi, e che avevano già - se così si può dire -, un piede nell'inferno, e che Ella non ha tuttavia rigettato, quando fe­cero ricorso alla sua pietà, ma che Ella ha strappato dalla gola del dragone infernale, riconciliandoli con il Figlio suo e riportandoli sulla via del Paradi­so? 
È, infatti, una grazia, un privilegio e un potere che suo Figlio le ha dato, di poter condurre a penitenza coloro che l’amano, alla grazia quelli che le sono devoti, e alla gloria del Cielo coloro che si sfoizano di imitarla».

* Se desiderate sapere ora ciò che bisogna fare per amare e lodare il Figlio e la Madre, e per rendere grazie a Dio con Lei per tutte le gioie che le ha dato, ascoltate ciò che Ella stessa disse un giorno a santa Brigida12:

«Io sono  - Ella le disse -, la Regina del12 Cielo. Voi avete premura di sa­pere in che modo mi dovete lodare. Sappiate per certo che tutte le lodi che si rendono a mio Figlio sono le mie lodi e chiunque disonora Lui, disonora me, perché io l’ho amato sì teneramente ed Egli mi ha amato sì ardentemente che Lui ed io non eravamo che un solo Cuore. Egli, poi, ha tanto onorato me, che non ero che un miserabile vaso di terra, da esaltarmi al di sopra di tutti gli angeli. 
Ecco, dunque, come dovete lodarmi, benedicendo mio Figlio.

"Benedetto siate, Voi, o mio Dio, Creatore di tutte le cose, che vi siete degnato di discendere nelle sacre viscere della Vergine Maria! 
Benedetto siate, Voi, o mio Dio, che vi siete degnato di prendere carne immacolata e senza peccato dalla Vergine Maria e che siete rimasto in Lei per nove mesi, senza causarle alcun incomodo. 
Benedetto siate, Voi, o mio Dio, che siete venuto in Maria attraverso la vostra ammirabile Incarnazione, ed essendone uscito attraverso la vostra Nascita ineffabile, l’avete ricolmata interiormente ed esternamente di una gioia incomprensibile.                    Benedetto siate, Voi, o mio Dio, che, dopo la vostra Ascensione, avete ricolmato spesso questa divina Maria, vostra Madre, delle vostre celesti consolazioni e l’avete spesso visita­ta e Voi stesso consolata! 
Benedetto siate, Voi, o mio Dio, che avete traspor­tato in Cielo il corpo e l’anima di questa gloriosa Vergine, e l’avete posta al  di sopra di tutti gli angeli, in un trono davvero sublime, vicino alla vostra Divinità! Fatemi misericordia attraverso le sue preghiere e per amor suo"».

Ecco ancora una della gioie della Regina del Cielo, indicate in queste parole: «Exultavit spiritus meus», che sorpassa infinitamente tutte le altre. 
Molti Santi Padri ed importanti Dottori scrivono che questa Vergine Madre, essendo come estasiata e trasportata in Dio nel momento dell’Incarnazione del Figlio suo in Lei, fu ricolma delle gioie inconcepibili che i Beati possie­dono in Cielo e fu rapita fino al terzo Cielo, laddove ebbe la felicità di vede­re Dio faccia a faccia e chiarissimamente. 
La prova che questi Santi Padri portano si basa su una massima indubitabile tra di loro che, cioè, tutti i privi­legi di cui il Figlio di Dio ha onorato gli altri santi, li abbia comunicati anche alla sua Divina Madre. 
Ora, sant’Agostino, san Giovanni Crisostomo, sant’Ambrogio, sant’Anseimo, san Tommaso e molti altri non fanno affatto difficoltà nel dire che san Paolo, quando era ancora quaggiù vide l’essenza di Dio, quando fu rapito al terzo Cielo. 
Chi può dubitare, dopo ciò, che la Madre di Dio, che ha sempre vissuto in una perfettissima innocenza, che l’ha amato Ella sola più di tutti i santi insieme, non abbia gioito di questo stesso favore, non una volta sola, ma molte, specialmente nel momento feli­ce della concezione del Figlio suo? È l’opinione di san Bernardo, di sant’Alberto Magno, di sant’Antonino e di molti altri.

«O Beata Maria - esclama il santo Abate Ruperto -, un diluvio di gioia, una fornace d’amore ed un torrente di delizie celesti è venuto ad abbattersi su di Voi e vi ha tutta assorbita ed inebriata, facendovi provare ciò che mai occhio umano ha visto né orecchio ha inteso né cuore umano compreso»[13].


Impariamo da ciò che i figli del secolo si trovano in un pericoloso errore e si sbagliano di grosso immaginando che non vi siano affatto gioie e con­tentezze in questo mondo, ma che non vi siano che tristezza, amarezza ed afflizione per coloro che servono Dio. Oh! Quale sbaglio insopportabile! Oh! Quale menzogna detestabile, che non può procedere che da colui che è il padre di tutti gli errori e di tutte le falsità.

 Non abbiamo forse la voce della Verità eterna che grida: «Tribolazione e angoscia a coloro che fanno il ma­le; ma gloria, onore e pace a tutti coloro che fanno il bene»[14]; e che il cuore dell’uomo è simile a un mare che è sempre agitato, turbato e sconvolto; e che il timore di Dio cambia i cuori di coloro che l’amano in un Paradiso di gioia, di allegrezza, di pace, di contentezza e di delizie inspiegabili: «Timor Domini delectabìt cor, et dabit laetitiam et gaudium»[15]; e che i veri servi di Dio possiedono una felicità più solida, più vera e più grande, persino in mezzo alle grandi tribolazioni, di tutti i piaceri di coloro che seguono il partito di Satana? Non intendete, forse san Paolo che assicura di essere ricolmo di consolazione e che naviga nella gioia in mezzo a tutte le sue tribolazioni?[16]

Volete conoscere queste verità per esperienza? «Gustate ed videte quonìam suavis est Dominus: Gustate e vedete quanto è buono il Signore»[17], pieno di bontà, di amore e di dolcezza per i suoi veri amici. 
Ma se desiderate fare questa esperienza, è necessario rinunciare ai falsi piaceri e alle ingannevoli delizie di questo mondo, per lo meno ai piaceri illeciti che dispiacciono a Dio e che sono incompatibili con la salvezza eterna; poiché lo Spirito Santo affer­ma che non possiamo bere alla coppa del Signore e alla coppa dei demoni e che è impossibile mangiare alla tavola di Dio e alla tavola dei diavoli: «Non potestis calicem Domini bibere et calicem daemoniorum, non potestis mense Domini participes esse, et mense daemoniorum»18. 
Se, dunque, desiderate mangiare alla tavola dei Re del Cielo e bere alla sua coppa, rinunciate del tutto alla tavola dell’infemo e alla coppa dei diavoli, e allora sperimenterete quanto siano vere le Divine Parole: «Inebriabuntur ab ubertate domus tuae, et torren­te voluptatis tuae potabìs eos: gli uomini [...] si saziano [Signore] all’abbondanza della ma casa e li disseti al torrente delle tue delizie»19.



O Vergine Santa, imprimete nei nostri cuori una partecipazione al di­sprezzo, all’avversione e al distacco che il vostro Cuore verginale ha sempre portato verso i falsi piaceri della terra ed otteneteci dal Figlio vo­stro la grazia di porre tutta la nostra contentezza, la nostra gioia, le nostre delizie nell’amarlo e glorificarlo, e nel servirvi ed onorarvi con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze.





[7] Sup. Magnificat.
[8] Part. 4, tit. 15, cap. 2, § 29.
[9] Lc. 23,46.
[10]  Cor 6,17.
[11]   Lansperge, Epist. 23.
[12]Revel., lib. 1, cap. 9.
[13]   Ruperto,in Cant.,1.
[14]  «Tribulatio et angustia in omnem anìmam hominis operantis malum. [...] Gloria autem, et honor, et pax omni operanti bonum»(Rm 2,9-10).
[15]  Sir 1,12.
[16] «Repletus sum consolatione, superabundo gaudio in omni tribulatione nostra» (2 Cor 7,4).
[17] Sal 33,9.
(18) 1 Cor 10,20-21.
[19]Sal 35,9.


MARIA MATER GRATIAE MATER MISERICORDIAE
TU ME AB HOSTE PROTEGE
ET MORTIS HORA SUSCIPE

sabato 29 giugno 2019

Corpus Domini 2019 Processione - Vocogno






SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

OMELIA DI 
SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Basilica di San Pietro
Mercoledì, 29 giugno 2005

Cari fratelli e sorelle,
La festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo è insieme una grata memoria dei grandi testimoni di Gesù Cristo e una solenne confessione in favore della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica
È anzitutto una festa della cattolicità. Il segno della Pentecoste – la nuova comunità che parla in tutte le lingue e unisce tutti i popoli in un unico popolo, in una famiglia di Dio – è diventato realtà. La nostra assemblea liturgica, nella quale sono riuniti Vescovi provenienti da tutte le parti del mondo, persone di molteplici culture e nazioni, è un’immagine della famiglia della Chiesa distribuita su tutta la terra. Stranieri sono diventati amici; al di là di tutti i confini, ci riconosciamo fratelli. Con ciò è portata a compimento la missione di san Paolo, che sapeva di "essere liturgo di Gesù Cristo tra i pagani… oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo" (Rm 15,16). 

Lo scopo della missione è un’umanità divenuta essa stessa una glorificazione vivente di Dio, il culto vero che Dio s'aspetta: è questo il senso più profondo di cattolicità – una cattolicità che già ci è stata donata e verso la quale tuttavia dobbiamo sempre di nuovo incamminarci. Cattolicità non esprime solo una dimensione orizzontale, il raduno di molte persone nell’unità; esprime anche una dimensione verticale: solo rivolgendo lo sguardo a Dio, solo aprendoci a Lui noi possiamo diventare veramente una cosa sola. 
Come Paolo, così anche Pietro venne a Roma, nella città che era il luogo di convergenza di tutti i popoli e che proprio per questo poteva diventare prima di ogni altra espressione dell’universalità del Vangelo. 

Intraprendendo il viaggio da Gerusalemme a Roma, egli sicuramente si sapeva guidato dalle voci dei profeti, dalla fede e dalla preghiera d’Israele. Fa parte infatti anche dell’annuncio dell’Antica Alleanza la missione verso tutto il mondo: il popolo di Israele era destinato ad essere luce per le genti. 
Il grande salmo della Passione, il salmo 21, il cui primo versetto "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Gesù ha pronunciato sulla croce, terminava con la visione: "Torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie dei popoli" (Sal 21,28). 

Quando Pietro e Paolo vennero a Roma il Signore, che aveva iniziato quel salmo sulla croce, era risuscitato; questa vittoria di Dio doveva ora essere annunciata a tutti i popoli, compiendo così la promessa con la quale il salmo si concludeva.


Cattolicità significa universalità – molteplicità che diventa unità; unità che rimane tuttavia molteplicità. Dalla parola di Paolo sulla universalità della Chiesa abbiamo già visto che fa parte di questa unità la capacità dei popoli di superare se stessi, per guardare verso l’unico Dio. 

Il vero fondatore della teologia cattolica, sant'Ireneo di Lione, ha espresso questo legame tra cattolicità e unità in modo molto bello: "Questa dottrina e questa fede la Chiesa disseminata in tutto il mondo custodisce diligentemente formando quasi un'unica famiglia: la stessa fede con una sola anima e un solo cuore, la stessa predicazione, insegnamento, tradizione come avesse una sola bocca. Diverse sono le lingue secondo le regioni, ma unica e medesima è la forza della tradizione. 
Le Chiese di Germania non hanno una fede o tradizione diversa, come neppure quelle di Spagna, di Gallia, di Egitto, di Libia, dell'Oriente, del centro della terra; come il sole creatura di Dio è uno solo e identico in tutto il mondo, così la luce della vera predicazione splende dovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono venire alla cognizione della verità" (Adv. haer. I 10,2). 
L'unità degli uomini nella loro molteplicità è diventata possibile perché Dio, questo unico Dio del cielo e della terra, si è mostrato a noi; perché la verità essenziale sulla nostra vita, sul nostro "di dove?" e "verso dove?", è diventata visibile quando Egli si è mostrato a noi e in Gesù Cristo ci ha fatto vedere il suo volto, se stesso. 
Questa verità sull’essenza del nostro essere, sul nostro vivere e sul nostro morire, verità che da Dio si è resa visibile, ci unisce e ci fa diventare fratelli. Cattolicità e unità vanno insieme. E l’unità ha un contenuto: la fede che gli Apostoli ci hanno trasmesso da parte di Cristo.

Sono contento che ieri – nella festa di sant'Ireneo e nella vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo – ho potuto consegnare alla Chiesa una nuova guida per la trasmissione della fede, che ci aiuta a meglio conoscere e poi anche a meglio vivere la fede che ci unisce: il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica
Quello che nel grande Catechismo, mediante le testimonianze dei santi di tutti i secoli e con le riflessioni maturate nella teologia, è presentato in maniera dettagliata, è qui ricapitolato nei suoi contenuti essenziali, che sono poi da tradurre nel linguaggio quotidiano e da concretizzare sempre di nuovo. Il libro è strutturato come colloquio in domande e risposte; quattordici immagini associate ai vari campi della fede invitano alla contemplazione e alla meditazione. Riassumono per così dire in modo visibile ciò che la parola sviluppa nel dettaglio. 
All’inizio c’è un’icona di Cristo del VI secolo, che si trova sul monte Athos e rappresenta Cristo nella sua dignità di Signore della terra, ma insieme come araldo del Vangelo, che porta in mano. "Io sono colui che sono" – questo misterioso nome di Dio proposto nell’Antica Alleanza – è riportato lì come suo nome proprio: tutto ciò che esiste viene da Lui; Egli è la fonte originaria di ogni essere. 
E perché è unico, è anche sempre presente, è sempre vicino a noi e allo stesso tempo sempre ci precede: come "indicatore" sulla via della nostra vita, anzi essendo Egli stesso la via. Non si può leggere questo libro come si legge un romanzo. Bisogna meditarlo con calma nelle sue singole parti e permettere che il suo contenuto, mediante le immagini, penetri nell’anima. Spero che sia accolto in questo modo e possa diventare una buona guida nella trasmissione della fede.

Abbiamo detto che cattolicità della Chiesa e unità della Chiesa vanno insieme. Il fatto che entrambe le dimensioni si rendano visibili a noi nelle figure dei santi Apostoli, ci indica già la caratteristica successiva della Chiesa: essa è apostolica
Che cosa significa? Il Signore ha istituito dodici Apostoli, così come dodici erano i figli di Giacobbe, indicandoli con ciò come capostipiti del popolo di Dio che, diventato ormai universale, da allora in poi comprende tutti i popoli. 

San Marco ci dice che Gesù chiamò gli Apostoli perché "stessero con lui e anche per mandarli" (Mc 3,14). Sembra quasi una contraddizione. Noi diremmo: o stanno con lui o sono mandati e si mettono in cammino. 
C'è una parola sugli angeli del santo Papa Gregorio Magno che ci aiuta a sciogliere la contraddizione. Egli dice che gli angeli sono sempre mandati e allo stesso tempo sempre davanti a Dio: "Ovunque sono mandati, ovunque vanno, camminano sempre nel seno di Dio" (Omelia 34,13). 

L'Apocalisse ha qualificato i Vescovi come "angeli" della loro Chiesa, e possiamo quindi fare questa applicazione: gli Apostoli e i loro successori dovrebbero stare sempre con il loro Signore e proprio così – ovunque vadano – essere sempre in comunione con Lui e vivere di questa comunione.
    La Chiesa è apostolica, perché confessa la fede degli Apostoli e cerca di viverla. Vi è una unicità che caratterizza i Dodici chiamati dal Signore, ma esiste allo stesso tempo una continuità nella missione apostolica. 
    San Pietro nella sua prima lettera si è qualificato come "co-presbitero" con i presbiteri ai quali scrive (5,1). E con ciò ha espresso il principio della successione apostolica: lo stesso ministero che egli aveva ricevuto dal Signore ora continua nella Chiesa grazie all'ordinazione sacerdotale. La Parola di Dio non è soltanto scritta ma, grazie ai testimoni che il Signore nel sacramento ha inserito nel ministero apostolico, resta parola vivente. 
   Così ora mi rivolgo a Voi, cari confratelli Vescovi. vi saluto con affetto, insieme con i vostri familiari e con i pellegrini delle rispettive Diocesi. 
Voi state per ricevere il pallio dalle mani del Successore di Pietro. L'abbiamo fatto benedire, come da Pietro stesso, ponendolo accanto alla sua tomba. Ora esso è espressione della nostra comune responsabilità davanti all’"arci-pastore" Gesù Cristo, del quale parla Pietro (1 Pt 5,4). 
   Il pallio è espressione della nostra missione apostolica. È espressione della nostra comunione, che nel ministero petrino ha la sua garanzia visibile. Con l'unità, così come con l'apostolicità, è collegato il servizio petrino, che riunisce visibilmente la Chiesa di tutte le parti e di tutti i tempi, difendendo in tal modo ciascuno di noi dallo scivolare in false autonomie, che troppo facilmente si trasformano in interne particolarizzazioni della Chiesa e possono compromettere così la sua indipendenza interna. 
Con questo non vogliamo dimenticare che il senso di tutte le funzioni e ministeri è in fondo che "arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo", perché cresca il corpo di Cristo "in modo da edificare se stesso nella carità" (Ef 4,13.16).

In questa prospettiva saluto di cuore e con gratitudine la delegazione della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, che è inviata dal Patriarca ecumenico Bartolomeo I, al quale rivolgo un cordiale pensiero. Guidata dal Metropolita Ioannis, è venuta a questa nostra festa e partecipa alla nostra celebrazione. Anche se ancora non concordiamo nella questione dell'interpretazione e della portata del ministero petrino, stiamo però insieme nella successione apostolica, siamo profondamente uniti gli uni con gli altri per il ministero vescovile e per il sacramento del sacerdozio e confessiamo insieme la fede degli Apostoli come ci è donata nella Scrittura e come è interpretata nei grandi Concili. In quest'ora del mondo piena di scetticismo e di dubbi, ma anche ricca di desiderio di Dio, riconosciamo nuovamente la nostra missione comune di testimoniare insieme Cristo Signore e, sulla base di quell'unità che già ci è donata, di aiutare il mondo perché creda. 
E supplichiamo il Signore con tutto il cuore perché ci guidi all'unità piena in modo che lo splendore della verità, che sola può creare l'unità, diventi di nuovo visibile nel mondo.

Il Vangelo di questo giorno ci parla della confessione di san Pietro da cui ha avuto inizio la Chiesa: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Avendo parlato oggi della Chiesa unacattolica e apostolica, ma non ancora della Chiesa santa, vogliamo ricordare in questo momento un'altra confessione di Pietro pronunciata nel nome dei Dodici nell'ora del grande abbandono: "Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (Gv 6,69). Che cosa significa? Gesù, nella grande preghiera sacerdotale, dice di santificarsi per i discepoli, alludendo al sacrificio della sua morte (Gv 17,19). Con questo Gesù esprime implicitamente la sua funzione di vero Sommo Sacerdote che realizza il mistero del "Giorno della Riconciliazione", non più soltanto nei riti sostitutivi, ma nella concretezza del proprio corpo e sangue. 

La parola "il Santo di Dio" nell'Antico Testamento indicava Aronne come Sommo Sacerdote che aveva il compito di compiere la santificazione d'Israele (Sal 105,16; vgl. Sir 45,6). La confessione di Pietro in favore di Cristo, che egli dichiara il Santo di Dio, sta nel contesto del discorso eucaristico, nel quale Gesù annuncia il grande Giorno della Riconciliazione mediante l'offerta di se stesso in sacrificio: "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo" (Gv 6,51). Così, sullo sfondo di questa confessione, sta il mistero sacerdotale di Gesù, il suo sacrificio per tutti noi. La Chiesa non è santa da se stessa; consiste infatti di peccatori – lo sappiamo e lo vediamo tutti. Piuttosto, essa viene sempre di nuovo santificata dall’amore purificatore di Cristo.      Dio non solo ha parlato: ci ha amato molto realisticamente, amato fino alla morte del proprio Figlio. E’ proprio da qui che ci si mostra tutta la grandezza della rivelazione che ha come iscritto nel cuore di Dio stesso le ferite. Allora ciascuno di noi può dire personalmente con san Paolo: "Io vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2,20). 

Preghiamo il Signore perché la verità di questa parola si imprima profondamente, con la sua gioia e la sua responsabilità, nel nostro cuore; preghiamo perché irradiandosi dalla Celebrazione eucaristica, essa diventi sempre di più la forza che plasma la nostra vita.

AMDG et DVM

Simon Bar-Jona

Solennità dei santi Pietro e Paolo

Risultati immagini per santi Pietro e Paolo
Gloriosi apostoli di Cristo!
Uniti nella vita,
la morte non li ha separati.

Lettura del santo Vangelo secondo Matteo
Matt 16:13-19
In quell'occasione: Gesù, venuto nelle parti di Cesarea di Filippo, interrogò i suoi discepoli, dicendo: La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo? Eccetera.

Omelia di san Girolamo Prete
Libro 3 Commentari su Matteo, cap. 16
Giustamente egli domanda: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?» Matth. 16,13 quelli che non vedono in lui che il figlio dell'uomo, sono infatti degli uomini; ma quelli che riconoscono la sua divinità, son detti dii, e non uomini. «Ed essi risposero: Alcuni dicono ch'è Giovanni Battista, altri Elia» Matth. 16,14 Mi meraviglio che certi interpreti cerchino le cause di questi errori, e vogliano stabilire con discussioni lunghissime, perché alcuni hanno pensato nostro Signore Gesù Cristo essere Giovanni, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti; avendo essi potuto sbagliare prendendolo per Elia e Geremia allo stesso modo che sbagliò Erode prendendolo per Giovanni quando disse: «Questi è quel Giovanni, a cui io tagliai la testa: egli è risorto dai morti, e perciò in lui si operano dei miracoli» Matth, 6, 15.

«E voi chi dite ch'io sia?» Matth. 6,15 Lettore intelligente, bada che e da quel che segue e dal testo del discorso gli Apostoli non sono punto chiamati uomini, ma dii. Perché, dopo aver detto: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?» soggiunge: «E voi chi dite ch'io sia?» Matth. 16,13 Mentre gli altri, perché sono uomini, pensano di me cose affatto umane, voi che siete dii, chi credete ch'io sia? Pietro a nome di tutti gli Apostoli fa questa professione di fede: «Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente» Matth. 16,16. Dice, del Dio vivente, per distinguerlo dagli altri dèi, che passano per dèi, ma che sono morti.

E Gesù rispondendogli disse: «Beato te, Simone, Figlio di Giona» Matth. 16,17. Egli ripagò la testimonianza resagli dall'Apostolo. Pietro aveva detto: «Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente»; la confessione della verità è ricompensata: «Beato te, Simone, figlio di Giona». Perché? «Perché non te l'ha rivelato né la natura né l'istinto, ma te l'ha rivelato il Padre» (Ibi). Ciò che non ha potuto rivelare né la natura né l'istinto, l'ha rivelato la grazia dello Spirito Santo. In seguito dunque alla professione di fede, egli riceve un nome in cui si trova espressa la rivelazione dello Spirito Santo, del quale merita anche d'essere detto figlio. Difatti Bar-Jona nella nostra lingua è lo stesso che Figlio della colomba.


Orazione
Signore, Dio nostro, che con la predicazione dei santi apostoli Pietro e Paolo hai dato alla Chiesa le primizie della fede cristiana, per loro intercessione vieni in nostro aiuto e guidaci nel cammino della salvezza eterna. Per il nostro Signore.

AMDG et DVM

venerdì 28 giugno 2019

Avvertimento



AVVERTIMENTO
IL GRANDE AVVERTIMENTO




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e altri messaggi di Mary Jane Even in idioma spagnolo:
https://josephmaryam.files.wordpress.com/2014/04/el-gran-aviso-even-mary-jane.pdf


AVE MARIA PURISSIMA!

Volgiamo lo sguardo a Colui che abbiamo trafitto



Dalla lettera Enciclica di Papa Pio XI

Fra i meravigliosi incrementi della dottrina sacra e della pietà onde i disegni della divina Sapienza sempre più chiaramente di giorno in giorno si manifestano alla Chiesa, nessun altro è più visibile quanto il trionfale progresso del culto del Sacratissimo Cuor di Gesù. Certo ripetutamente, nel corso dei primi tempi, i Padri, i Dottori, i Santi celebrarono l'amore del nostro Redentore: la ferita aperta nel costato di Cristo la dissero fonte arcana di tutte le grazie. Ma poi dal medio evo, i fedeli cominciarono ad esser presi da una certa più tenera venerazione verso la Santissima Umanità del Salvatore, le anime contemplative per quella piaga solevano quasi penetrare nel Cuore stesso ferito per l'amore degli uomini. E da quel tempo questa contemplazione divenne così famigliare a tutti i più grandi santi, che non c'è regione né ordine religioso in cui non se ne trovino, in questa età, insigni testimonianze. Finalmente nei secoli più vicini, e specialmente in quel tempo in cui gli eretici, sotto il titolo di una falsa pietà, si sforzavano di tener lontani i Cristiani dalla Santissima Eucaristia, cominciò a rendersi pubblicamente il culto al Sacratissimo Cuore, per opera primieramente di san Giovanni Eudes, il quale non immeritamente è appellato l'autore del culto liturgico dei Sacri Cuori di Gesù e Maria.

Ma a stabilire pienamente e perfettamente il culto del Sacratissimo Cuor di Gesù e a propagarlo per tutto il mondo, Dio stesso si elesse per strumento una umilissima vergine dell'ordine della Visitazione, santa Maria Margherita Alacoque, a cui, già fin dalla prima età infiammata d'amore verso il Sacramento dell'Eucaristia, Cristo Signore spessissimo apparendo, si degnò di far conoscere e le ricchezze e i desideri del suo divin Cuore. Delle quali apparizioni la più celebre è quella in cui mentre ella pregava davanti all'Eucaristia, Gesù le si diede a vedere, le mostrò il Cuore Sacratissimo, e lamentatosi che, in cambio dell'immensa sua carità, non riceveva altro che gli oltraggi di uomini ingrati, le comandò di far sì, che il Venerdì dopo l'ottava del Corpus Domini venisse istituita una nuova festa, colla quale il suo Cuore fosse venerato col dovuto onore, e le ingiurie fattegli dai peccatori nel Sacramento dell'amore venissero espiate con degni ossequi. Quali poi e quante difficoltà abbia provato la Serva di Dio nell'eseguire i comandi di Cristo, nessuno è che l'ignori; ma confortata dal Signore medesimo e validamente aiutata dai Religiosi direttori dell'anima sua, i quali con un certo incredibile ardore si adoperarono nel promuovere questo culto, non desisté fino alla morte dal compiere fedelmente 1'opera dal cielo affidatale.

Finalmente l'anno millesettecento sessantacinque il Sommo Pontefice Clemente XIII approvò l'ufficio e la messa in onore del Sacratissimo Cuore di Gesù; Pio IX poi ne estese la festa a tutta la Chiesa. Da allora il culto del Sacratissimo Cuore, quasi fiume che inonda, travolti tutti gli impedimenti, si diffuse per tutto l'orbe, e sull'alba del secolo Leone XIII, dopo aver indetto il giubileo, volle consacrato l'universo genere umano al Sacratissimo Cuore. La quale consacrazione fatta con rito solenne in tutte le chiese dell'orbe cattolico, portò smisurato incremento a questa devozione, e le condusse non solo i popoli ma anche le singole famiglie, che senza numero si consacrano al Divin Cuore e si sottomettono al regale suo impero. Ultimamente il Sommo Pontefice Pio XI, affinché la solennità della festa rispondesse più pienamente alla devozione del popolo cristiano tanto largamente diffusa, innalzò la festa del Sacratissimo Cuore di Gesù a rito doppio di prima classe con ottava; e di più, affinché i violati diritti di Cristo sommo Re e Signore fossero risarciti, e pianti i peccati dei popoli, ordinò che nel medesimo giorno della festa ogni anno si recitasse in tutti i tempi dell'orbe cristiano una speciale preghiera.



Lettura del santo Vangelo secondo Giovanni
Joannes 19:31-37
In quell'occasione: I Giudei, siccome era il venerdì, affinché i corpi non restassero in croce durante il sabato, perché quel giorno di sabato era molto solenne, chiesero a Pilato che fossero rotte loro le gambe e fossero tolti via. Eccetera.

Omelia di san Bonaventura Vescovo
Libro del legno della vita, num. 30

Affinché dal costato di Cristo dormiente sulla croce si formasse la Chiesa «e s'adempisse la Scrittura che dice: Volgeranno lo sguardo a colui che han trafitto» Joann. 19,37 fu voluto dalla divina disposizione che uno dei soldati aprisse con una lancia e trapassasse quel sacro costato onde, uscendone sangue ed acqua, si versasse il prezzo della nostra salvezza, il quale versato cioè dal fonte misterioso del Cuore, desse ai sacramenti della Chiesa la virtù di comunicare la vita della grazia, e fosse, per quelli che già vivono in Cristo, bevanda di sorgente viva «che sale fino alla vita eterna» Joann. 4,14. Sorgi dunque, o anima amica di Cristo, non cessare di vegliare, accosta ivi la tua bocca «per bere alle sorgenti del salvatore» Is. 12,3.

Della vite mistica Cap. 3

Giunti una volta al Cuore dolcissimo di Gesù, e siccome è bene lo starsene qui, non lasciamoci facilmente distaccare da lui. «O quanto è buono e dolce abitare in questo Cuore» Ps. 132,1. Un buon tesoro, una perla preziosa è il tuo Cuore, o ottimo Gesù, che abbiam trovato dopo aver scavato nel campo del tuo corpo. Chi getterà questa perla? Anzi darò via tutte le perle, darò in cambio i pensieri e gli affetti miei e me la comprerò, gettando ogni mia sollecitudine nel Cuore del buon Gesù, ed esso senza dubbio mi nutrirà. Avendo dunque trovato questo Cuore, ch'è tuo e mio, o dolcissimo Gesù, ti pregherò, o mio Dio: ammetti nel sacrario della tua udienza le mie preghiere: anzi attirami tutto nel tuo Cuore.

Per questo appunto fu trapassato il tuo costato, affinché ci sia aperta una entrata. Per questo fu ferito il tuo Cuore, affinché liberi dalle esterne perturbazioni, possiamo abitare in esso. Ma esso fu ferito ancora, affinché per la ferita visibile vediamo la ferita invisibile dell'amore. Poteva mostrarsi meglio questo amore ardente, che lasciandosi squarciare da una lancia non soltanto il corpo ma financo lo stesso Cuore? La ferita corporale indica dunque la ferita spirituale. Chi non amerà questo Cuore così trafitto? chi non riamerà chi tanto ci ama? chi non abbraccerà amante sì casto? Noi dunque che siamo ancora in questo corpo, per quanto possiamo, amiamo, riamiamo, abbracciamo il nostro ferito, cui empi agricoltori trapassarono le mani e i piedi, il costato e il Cuore: e preghiamo affinché egli si degni di legare col vincolo e di ferire col dardo del suo amore il nostro cuore ancor duro e impenitente.



Preghiamo
O Dio, che nel Cuore del Figlio tuo, ferito pe' nostri peccati, ti degni di effondere pietosamente gli infiniti tesori del tuo amore; concedi, che noi, prestandogli il divoto ossequio della nostra pietà, gli rendiamo anche il dovere di una condegna soddisfazione. 
Per il medesimo nostro Signore



Il cuore di Gesù e le sue misericordie

La prima rivelazione

Santa Margherita Maria Alacoque una piccola grande donna  


Una volta, mentre ero davanti al Santo Sacra­mento con un pò più di tempo a disposizione, (che, di solito, i compiti affidatimi non me ne lasciavano molto) mi trovai tutta investita della sua divina pre­senza e con tanta forza da farmi dimenticare me stessa e il luogo in cui mi trovavo. Mi abbandonai al suo divino Spirito e, affidando il mio cuore alla po­tenza del suo amore, mi fece riposare a lungo sul suo divin petto e mi scoprì le meraviglie del suo Amore e i segreti inesplicabili del suo Sacro Cuore, che mi aveva tenuti nascosti fino a quel momento, nel quale me lo aprì per la prima volta. E lo fece in modo così reale e sensibile da non permettermi ombra di dub­bio, dati gli effetti che questa grazia ha prodotto in me, anche se temo sempre di illudermi in tutto ciò che mi riguarda.
Ed ecco come, mi sembra, siano andate le cose. Mi disse: «Il mio divin Cuore è tanto appassionato d'amore per gli uomini e per te in particolare, che, non potendo più contenere in sé stesso le fiamme del suo ardente Amore, sente il bisogno di diffonderle per mezzo tuo e di manifestarsi agli uomini per ar­ricchirli dei preziosi tesori che ti scoprirò e che con­tengono le grazie santificanti e in ordine alla salvez­za, necessarie per ritrarli dal precipizio della perdi­zione. Per portare a compimento questo mio grande disegno ho scelto te, abisso d'indegnità e di ignoran­za, affinché appaia chiaro che tutto si compie per mezzo mio».
Poi mi domandò il cuore e io Lo supplicai di prenderlo. Lo prese e lo mise nel suo Cuore adorabi­le, nel quale me lo fece vedere come un piccolo ato­mo, che si consumava in quella fornace ardente. In un secondo tempo lo ritirò come fiamma incande­scente in forma di cuore e lo rimise dove l'aveva pre­so, dicendomi: «Eccoti, mia diletta, un prezioso pe­gno del mio amore che racchiude nel tuo costato una piccola scintilla delle sue fiamme più vive, affinché ti serva da cuore e ti consumi fino all'ultimo istante della tua vita. Il suo ardore non si estinguerà mai e potrà trovare un pò di refrigerio soltanto in un salas­so, che lo segnerò talmente col Sangue della mia Croce, da fartene riportare più umiliazione e soffe­renza che sollievo. Per questo voglio che tu chieda con semplicità questo rimedio, sia per mettere in pratica ciò che ti viene ordinato, sia per darti la sod­disfazione di versare il tuo sangue sulla croce delle umiliazioni ».

«E in segno che la grande grazia che ti ho con­cessa, non è frutto di fantasia, ma il fondamento di tutte le altre grazie che ti farò, il dolore della ferita del tuo costato, benché Io l'abbia già richiusa, durerà per tutta la tua vita e se finora hai preso soltanto il nome di mia schiava, ora voglio regalarti quello di discepola prediletta del mio Sacro Cuore».

Dopo questo insigne favore che durò per molto tempo, durante il quale non sapevo se mi trovassi in cielo o in terra, stetti parecchi giorni come tutta in­fiammata e inebriata, talmente fuori di me da non potermi riavere, né poter pronunciar parola se non con grande sforzo; e dovevo farmi ancora più violen­za per riuscire a mangiare e per partecipare alla ri­creazione comune perché non avevo più forze per su­perare la mia sofferenza. Mi sentivo profondamente umiliata; non riuscivo a dormire perché la ferita, il cui dolore mi è così prezioso, mi causa delle vampate così ardenti da consumarmi e bruciarmi viva.
Mi sentivo poi tanto piena di Dio, che non riu­scivo a spiegarlo alla superiora, come avrei desidera­to e fatto, anche se riferire queste grazie mi mette sempre in uno stato di confusione e di vergogna, a causa della mia indegnità; preferirei piuttosto rivela­re al mondo intero i miei peccati. Sarebbe stata per me una grande consolazione, se mi avessero permesso di fare, in refettorio, ad alta voce, la confessione ge­nerale, per mostrare l'abisso di corruzione che è in me e perché non si attribuissero a mio merito le gra­zie che ricevevo. (A. 53-54)

La seconda rivelazione

Il dolore del costato, al quale ho appena accen­nato, si rinnovava ogni primo venerdì del mese in questo modo: il Sacro Cuore mi si presentava come un sole sfolgorante di vivissima luce, i cui infocati raggi cadevano a piombo sul mio cuore, che subito si accendeva di fuoco tanto ardente che sembrava do­vesse ridurmi in cenere. In quell'occasione il divino Maestro mi manifestava ciò che desiderava da me e mi svelava i segreti del suo dolce Cuore.
Una volta, in particolare, mentre era esposto il Santo Sacramento, sentendomi tutta assorta nell'in­timo del mio essere per un raccoglimento straordina­rio di tutti i miei sensi e di tutte le mie facoltà, Gesù Cristo, il mio dolce Maestro, si presentò a me tutto splendente di gloria con le sue cinque piaghe sfolgo­ranti come cinque soli. Da ogni parte di quella sacra Umanità si sprigionavano fiamme, ma soprattutto dal suo adorabile petto, che somigliava a una fornace ardente. Dopo averlo scoperto, mi mostrò il suo amante e amabilissimo Cuore, sorgente viva di quelle fiamme.
Fu allora che mi svelò le meraviglie inesplicabili del suo puro Amore e fino a quale eccesso questo lo avesse spinto ad amare gli uomini, dai quali poi non riceveva in cambio che ingratitudini e indifferenza. «Questo, mi disse, mi fa soffrire più di tutto ciò che ho patito nella mia Passione, mentre se, in cambio, mi rendessero almeno un pò di amore, stimerei poco ciò che ho fatto per loro e vorrei, se fosse possibile, fare ancora di più. Invece non ho dagli uomini che freddezze e ripulse alle infinite premure che mi pren­do per far loro del bene ».

«Ma almeno tu dammi la gioia di compensare, per quanto ti è possibile, la loro ingratitudine». Con­fessando io la mia incapacità, mi rispose: « Tieni, eccoti con che supplire alla tua pochezza». E in quel mentre il divin Cuore si aprì e ne uscì una fiamma così ardente, che temetti di esserne consumata, per­ché ne fui tutta penetrata, e non potendo più soste­nerla, gli chiesi di aver compassione della mia debo­lezza. Ed Egli: « Sarò Io la tua forza, non temere; ma presta sempre attenzione alla mia voce e a ciò che ti chiedo, per portare a termine i miei disegni ».

«Prima di tutto mi riceverai nella Comunione tutte le volte che l'obbedienza te lo permetterà, an­che se te ne verranno mortificazioni e umiliazioni, che tu accetterai come pegno del mio Amore. Inoltre ti comunicherai il primo venerdì di ogni mese e infi­ne, tutte le notti che vanno dal giovedì al venerdì, ti farò partecipe di quella mortale tristezza che ho pro­vato nell'orto degli ulivi. Sarà un'amarezza che ti porterà, senza che tu possa comprenderlo, a una spe­cie di agonia più dura della stessa morte. Per tener­mi compagnia in quell'umile preghiera che allora, in mezzo alle mie angosce, presentai al Padre, ti alzerai fra le undici e mezzanotte per prostrarti con la faccia a terra, insieme a me, per un'ora. E questo sia per placare la divina collera, col chiedere misericordia per i peccatori, sia per addolcire in qualche modo l'amarezza che provai per l'abbandono dei miei Apo­stoli, che mi obbligò a rimproverarli di non essere stati capaci di vegliare un'ora assieme a me. Ascolta­mi bene, figlia mia, non credere tanto facilmente e non fidarti di qualsiasi spirito, perché Satana smania d'ingannarti. Per questo non devi far niente senza l'approvazione di coloro che ti guidano; perché, quando sei autorizzata dall'obbedienza, il demonio non ti può nuocere, non avendo nessun potere su quelli che obbediscono».

Durante tutto quel tempo, io ero stata completa­mente fuori dei sensi e avevo perduto persino la co­gnizione del luogo dove mi trovavo. Quando mi con­dussero via, vedendo che non riuscivo a rispondere e che mi reggevo a mala pena in piedi, fui condotta da nostra madre. Mi gettai in ginocchio ai suoi piedi e lei, nel vedermi come fuori di me stessa, tutta febbri­citante e tremante, mi mortificò e mi umiliò con tut­te le sue forze. Questo mi fece gran piacere e mi col­mò d'una gioia incredibile perché mi sentivo tanto colpevole e confusa, che il più duro dei trattamenti mi sarebbe sembrato troppo dolce. Dopo averle rac­contato, con estrema vergogna, quanto mi era acca­duto, mi umiliò ancora di più, senza concedermi, per questa volta, niente di ciò che io credevo che Nostro Signore mi avesse chiesto di fare, e disprezzando tut­to ciò che le avevo riferito. Ne ebbi un senso di im­mensa consolazione e mi ritirai in perfetta pace... (A. 55-6-7-8)

La grande promessa
Una volta mentre ero davanti al SS.mo Sacra­mento, (era un giorno dell'ottava del Corpus Domi­ni) ricevetti dal mio Dio grazie straordinarie del suo Amore; mi sentii spinta dal desiderio di ricambiarlo e di rendergli amore per amore. Egli mi rivolse que­ste parole: «Tu non puoi mostrarmi amore più gran­de che facendo ciò che tante volte ti ho domandato».

Allora scoprendo il suo divin Cuore mi disse: «Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e che nulla ha risparmiato fino ad esaurirsi e a consu­marsi per testimoniare loro il suo Amore. In segno di riconoscenza, però, non ricevo dalla maggior parte di essi che ingratitudine per le loro tante irriverenze, i loro sacrilegi e per le freddezze e i disprezzi che essi mi usano in questo Sacramento d'Amore. Ma ciò che più mi amareggia è che ci siano anche dei cuori a me consacrati che mi trattano così».

« Per questo ti chiedo che il primo venerdì dopo l'ottava del <Corpus Domini>, sia dedicato a una festa particolare per onorare il mio Cuore, ricevendo in quel giorno la santa comunione e facendo un'am­menda d'onore per riparare tutti gli oltraggi ricevuti durante il periodo in cui è stato esposto sugli altari.
Io ti prometto che il mio Cuore si dilaterà per ef­fondere con abbondanza le ricchezze del suo divino Amore su coloro che gli renderanno questo onore e procureranno che gli sia reso da altri».

Obiettando io che non sapevo come fare per at­tuare ciò che da tempo mi chiedeva, mi rispose di ri­volgermi al suo servo (Padre La Colombière) che mi aveva inviato, per mettere in esecuzione questo suo progetto. Avendolo io fatto, questi mi ordinò di scri­vere ciò che gli avevo riferito sul Sacro Cuore di Gesù Cristo e molte altre cose che riguardavano la gloria di Dio e anche la sua persona.
Il Signore mi fece trovare in quel sant'uomo molta consolazione, primo perché mi insegnò a corri­spondere ai suoi disegni e poi perché, nella terribile paura che avevo di essere ingannata e che mi faceva piangere continuamente, riuscì a trasfondermi grande sicurezza e serenità.
Quando il Signore lo allontanò da questa città per impiegarlo nella conversione degli infedeli, accet­tai il dolore con la totale sommissione alla volontà di Dio, che me lo aveva reso tanto utile nel breve pe­riodo, in cui aveva soggiornato tra di noi; ma quando Gesù mi sorprese a riflettere su quella perdita, mi ri­volse questo rimprovero: «Non ti basto, dunque, Io che sono il tuo principio e la tua fine?». Non mi ci volle altro per abbandonarmi tutta Lui, sicura che Egli si sarebbe preso cura di tutto ciò, di cui avrei avuto bisogno.


AMDG et DVM