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domenica 13 novembre 2022

Ratzinger legge san Bonaventura



 Ratzinger legge san Bonaventura

DI ELIO GUERRIERO

Ritorna in libreria, dopo lunga assenza, San Bonaventura. La teologia della storia (Edizioni Porziuncola, pagine 256, euro 28,00), una delle opere fondamentali di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.

Il giovane studioso si accostò al maestro francescano su invito del suo maestro Gothlieb Söhgen con l’intento di dare un contributo chiarificatore ad un vivace dibattito della teologia del suo tempo.

Nell’incontro tra il pensiero riformato della prima metà del Novecento e il pensiero scolastico prevalente in ambito cattolico emergeva una difficoltà che sembrava insormontabile: lì dove i riformati, in particolare Karl Barth, sottolineavano il carattere di evento della rivelazione che ogni volta pone il credente di fronte alla decisione di aderire, la tradizione cattolica presentava un pensiero metafisico, statico e ben definito, che sembrava prescindere dal carattere ogni volta personale dell’atto di fede. La soluzione verso la quale propendevano alcuni studiosi anche cattolici era quella dell’abbandono della metafisica, della de­ellenizzazione che sembrava antitetica rispetto all’originale carattere semitico della fede.
Nella prefazione all’edizione italiana, e a quella americana, Ratzinger già cardinale ha continuato a sottolineare l’attualità del tema trattato.

All’epoca nel cassetto aveva ancora degli appunti per un’ulteriore messa a punto che speravo di trovare all’inizio della nuova edizione. Non è stato evidentemente possibile. Il punto di partenza di Ratzinger è l’opera Exaémeron, i sei giorni della creazione del mondo, uno degli ultimi scritti di san Bonaventura, nella quale il maestro francescano, a un anno dalla morte, si confrontava ancora con le correnti spirituali presenti nell’ordine e indirettamente con Gioacchino da Fiore. Entusiasti dell’insegnamento dell’abate cistercense che permetteva loro di riconoscere in Francesco l’iniziatore della nuova età dell’amore contrapposta a quella della legge, gli spirituali più radicali, tra i quali vi era anche il predecessore di san Bonaventura, rischiavano di portare l’ordine fuori dalla Chiesa.

Bonaventura, eletto generale dell’ordine proprio per affrontare una questione così delicata, nei primi anni del suo mandato si immerse nello spirito del fondatore, ne scrisse una nuova biografia, soprattutto meditò sul significato della sua venuta. Nel confronto con Gioacchino, di cui apprezzava la visione teologica della storia, introduceva una precisazione che eliminava ogni equivoco. L’abate calabrese come Francesco non avviava il tempo escatologico, ma ne era l’annunciatore. Paragonabile a quei semplici per i quali Gesù aveva esultato, il Poverello aveva ricevuto in dono una superiore intelligenza spirituale della Scrittura. Insieme alla revelatio, però, egli aveva ricevuto l’humilitas di modo che si può stabilire un nesso essenziale tra questi due doni dello Spirito. Per Bonaventura questo fa sì che il magistero non debba essere avvertito come un peso, bensì come garante che assicura la comunione con il popolo santo della Chiesa. 
Coloro che ricevono le rivelazioni – san Bonaventura usa il termine al plurale – sono in intima familiarità con il mistero di Dio e sono in comunione con la Chiesa gerarchica e con il popolo di Dio. In conclusione l’opera di Ratzinger rispondeva pienamente all’ipotesi di ricerca: anche nella tradizione cattolica il concetto di rivelazione porta dentro di sé il carattere di adesione personale e di urgenza.
Un’acquisizione fondamentale che Ratzinger insieme con de Lubac fece valere già al tempo della Costituzione conciliare sulla Divina rivelazione e che è rimasta presente nella sua teologia e nei suoi scritti. Un’altra peculiarità guadagnata dall’incontro con Bonaventura e che da allora è un tratto distintivo del pensiero e dell’opera del papa è la centralità e familiarità con Cristo. A quest’ultima invitava i fedeli nel suo Gesù di Nazareth.

© Copyright Avvenire, 25 gennaio 2008


IL BEATO

Gioacchino da Fiore e le tre età della storia

Nato a Celico da ricca famiglia nel 1130 circa, Gioacchino da Fiore ricevette un’educazione classica nella vicina Cosenza, prima di entrare in seminario e divenire monaco cistercense. Nel 1188 fondò sulla Sila il convento di San Giovanni in Fiore e l’ordine dei florensi, che riceveranno l’approvazione di papa Celestino III il 25 agosto del 1196. Nei suoi scritti Gioacchino, partendo dal dogma della Trinità, divise la storia dell’uomo in tre epoche fondamentali: quella del Padre, corrispondente alle narrazioni dell’Antico Testamento; quella del Figlio: rappresentata dal Vangelo e compresa dall’avvento di Gesù fino al 1260; e quella dello Spirito Santo: dal 1260 in avanti, ovvero quel periodo in cui l’umanità, attraverso un clima di purezza e libertà, avrebbe avuto un contatto diretto con Dio. I suoi seguaci, i gioachimiti, estremizzarono alcune sue proposizioni escatologiche, tanto che il concilio Lateranense IV dichiarò eretiche alcune tesi attorno alla Trinità falsamente attribuite al beato, morto nel 1202.


IL SANTO

Da Bagnoregio a vertice dell’ordine francescano

Bonaventura nacque a Bagnoregio presso Viterbo nel 1217. Suo padre era probabilmente medico. Da bambino guarì da una grave malattia grazie all’intercessione di san Francesco. Di qui una grande venerazione verso il santo di Assisi e la decisione di entrare nell’ordine da lui fondato.

Appassionato degli studi nel 1238 si recò a Parigi per portare a termine il suo percorso formativo. Ottenne la licenza in Teologia e successivamente, dopo il 1250, fu nominato maestro.

Dopo pochi anni, nel 1257, lasciò l’insegnamento poiché eletto ministro generale dell’ordine francescano. Restò in carica fino al 1273 quando il papa Gregorio X lo nominò cardinale. Come tale partecipò al concilio di Lione e svolse un ruolo nelle trattative unionistiche con i greci. Morì a Lione il 15 luglio 1274. 

All’apice del Medioevo, contemporaneo di san Tommaso d’Aquino e come lui professore a Parigi, elaborò un pensiero caratterizzato dalla fiducia nella tradizione. Legato a sant’Agostino, ne condivise il primato dell’amore, l’immagine trinitaria riflessa nello spirito creato. Confluiva poi in lui la linea di pensiero avviata da Dionigi l’Areopagita. Tra le sue letture vi erano Anselmo con la sua prova ontologica ed ancor più la teologia spirituale di san Bernardo. Questo patrimonio culturale-spirituale ruotava, tuttavia, intorno al pensiero e alla vita francescana che è il punto sorgivo da cui trae origine ed irradia la teologia e la concezione della vita cristiana di Bonaventura.
Elio Guerriero


© Copyright Avvenire, 25 gennaio 2008
AMDG et DVM

martedì 8 febbraio 2022

Frasi di San Bonaventura


Bonaventura da Bagnoregio Data di nascita: 1221 Data di morte: 15. Luglio 1274 Altri nomi: San Bonaventura da Bagnoregio Bonaventura da Bagnoregio , al secolo Giovanni Fidanza è stato un cardinale, filosofo e teologo italiano. Soprannominato Doctor Seraphicus, insegnò alla Sorbona di Parigi e fu amico di san Tommaso d'Aquino. 

Vescovo e cardinale, dopo la morte venne canonizzato da Papa Sisto IV nel 1482 e proclamato Dottore della Chiesa da Papa Sisto V nel 1588. È considerato uno tra i più importanti biografi di san Francesco d'Assisi. 

Infatti alla sua biografia — la Legenda Maior — si ispirò Giotto da Bondone per il ciclo delle storie sul Santo nella basilica di Assisi. Per diciassette anni — dal 1257 — fu ministro generale dell'Ordine francescano, del quale è ritenuto uno dei padri: quasi un secondo fondatore. Sotto la sua guida furono pubblicate le Costituzioni narbonesi, su cui si basarono tutte le successive costituzioni dell'Ordine. 

La visione filosofica di Bonaventura partiva dal presupposto che ogni conoscenza derivi dai sensi: l'anima conosce Dio e se stessa senza l'aiuto dei sensi esterni. Risolse il problema del rapporto tra ragione e fede in chiave platonico-agostiniana. 

È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che celebra la sua memoria obbligatoria il 15 luglio . Era figlio di Giovanni Fidanza, medico, e di Maria di Ritello; portò inizialmente il nome del padre, Giovanni, che cambiò in Bonaventura al momento del suo ingresso nella famiglia francescana. 

Entrò nell'Ordine francescano nel convento di San Francesco vecchio, situato a metà strada tra Bagnoregio e Civita.

*


„La materia è il principio di ogni limitazione.“ —  Bonaventura da Bagnoregio Origine: Citato in Focus, n. 90, pag. 162.

Fonte: https://le-citazioni.it/autori/bonaventura-da-bagnoregio/


„È insito nell'anima l'odio della falsità; ma ogni odio nasce dall'amore, perciò è molto più radicato nell'anima l'amore della verità e specialmente di quella verità per la quale l'anima è stata fatta.“ —  Bonaventura da Bagnoregio Origine: Dal De Mysterio Trinitatis, q. 1, a. 1, in Itinerario della mente in Dio. Riconduzione delle arti alla teologia, tradotto daS. Martignoni, O. Todisco, L. Mauro, Città Nuova, 2000.

Fonte: https://le-citazioni.it/autori/bonaventura-da-bagnoregio/


„Quando egli [San Francesco d'Assisi] considerava la fonte primordiale di tutte le cose, si sentiva colmo di ancora più abbondante pietà, e chiamava le creature, anche le più piccole, con il nome di fratello o sorella, perché sapeva che venivano dalla stessa fonte da cui anche lui veniva.“ —  Bonaventura da Bagnoregio da Vita di San Francesco d'Assisi; citato in Steven Rosen, Il vegetarismo e le religioni del mondo, traduzione di Giulia Amici, Jackson Libri 1995, p. 36

Fonte: https://le-citazioni.it/autori/bonaventura-da-bagnoregio/


„O anima, adunque che pensi tu che sia la divina consolazione? Certo, o anima, quella dolcezza è tanto grande e tanto suave consolazione che solo nel cuore apparisce che sia la divina consolazione, certo, o anema, questa dolcezza è tanto grande e tanto suave delettazione che, solo nel cuore sentendo, pensi quel che sia la divina consolazione.“ —  Bonaventura da Bagnoregio Origine: Da Soliloquio, Della consolazione divina; citato in La Letteratura Religiosa, p. 59, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1965.

Fonte: https://le-citazioni.it/autori/bonaventura-da-bagnoregio/


„L'uomo, poiché è forte e presiede alla donna, rappresenta la parte più elevata della ragione [ossia della mente], invece la donna rappresenta quella [del cuore, del sentimento]. E ciò a motivo della virilità da un lato, e della debolezza e fragilità [=delicatezza] dall'altro.“ —  

Bonaventura da Bagnoregio Origine: Da Comm. in sec. librum Sententiarum Pietri Lombardi, dist. XVI, art. 2, q. 2 e dist. XIX, a. 1, q. 1.
Fonte: https://le-citazioni.it/autori/bonaventura-da-bagnoregio/





AMDG et DVM

giovedì 25 novembre 2021

Cerca di riflettere...


 

Cerca di riflettere

con sincerità di coscienza

affettuosamente e

con calma – almeno una volta al giorno –

queste cinque cose:

·      quanto breve è la nostra vita

·      quanto scivoloso il cammino

·      quanto incerta la morte

·      quanto grande il premio dei buoni

·      quanto terribile il castigo dei  malvagi

(San Bonaventura)


AMDG et DVM


domenica 23 febbraio 2020

LA DIREZIONE DELL'ANIMA - di San Bonaventura


por São Boaventura
da ordem dos Frades Menores
Cardeal e Doutor da Santa Igreja
traduzido do latim por um sacerdote da mesma ordem
Livro de 1921 - 109 págs



Prefácio do Tradutor

Entre todas as Obras místicas de São Boaventura é A Direção da Alma a que mais notavelmente e com nitidez no-lo mostra abalizado mestre da vida espiritual. É muito pouco extenso este tratado. Seu autor, porém, concretizou nele os princípios básicos sobre os quais deseja levante a alma o edifício da vida espiritual. O leitor, sequioso de seu próprio aperfeiçoamento, encontrará neste opúsculo matéria abundante para proveitosas meditações e um guia seguro na direção de sua alma. Entretanto, com uma leitura rápida e superficial não se chegará sequer a avaliar a importância real do conteúdo da obra. Mas quem pausadamente a saboreia e estuda, certifica-se que o Doutor Seráfico expõe com mão de mestre, embora sucintamente, como a alma deve haver-se para com Deus e para com o próximo, o que quer dizer nas suas relações mais importantes e graves.
A alma então terá em si uma base solida sobre a qual poderá edificar, se nutre de Deus uma ideia altíssima, piíssima e santíssima e se abraça a lei de Deus com humildade, devoção e pureza. As faltas a alma as refaz pelo arrependimento, pelo santo temor e santo desejo. Na convivência com o próximo devem resplandecer a modéstia, a justiça e a piedade em suas diversas formas. É este o resumo da lição eficientíssima do presente opúsculo.
Segundo o prólogo do códice, conservado no Vaticano, São Boaventura escreveu este tratado para a princesa Branca, filha de São Luiz, rei da França, casada com Fernando, filho de Afonso X da Espanha. Depois da morte do marido, Branca voltou para Paris, onde morreu.

A DIREÇÃO DA ALMA

I
Antes de tudo, minha alma, é necessário que do bom Deus faças uma ideia altíssima, piíssima e santíssima. A isto chegarás por meio de fé inabalável, meditação atenta e lúcida intuição repassada de admiração.
1. - Altíssima será a ideia que fazes de Deus se fiel, piedosa e claramente crês, admiras e louvas seu poder imenso, que do nada criou tudo e tudo sustenta; sua sabedoria infinita que tudo dispõe e governa; sua justiça ilimitada que tudo julga e recompensa; e se, saindo de ti e voltando de novo e elevando-te acima de ti, com todas as veras cantas com o profeta: "Regozijaram-se as filhas de Judá pelos teus juízos, Senhor, porque tu és Senhor altíssimo sobre toda a terra, tu és sobremaneira exaltado sobre todos os deuses" (Ps. 96, 8 e 9).
2. - A ideia que fazes de Deus será piíssima se admiras, abraças e bendizes a sua imensa misericórdia que se mostrou sumamente benigna em tomar a nossa natureza humana e mortalidade, sumamente terna em suportar a cruz e a morte, sumamente liberal em mandar o Espírito Santo e instituir os Sacramentos, principalmente comunicando-se a si mesmo liberalissimamente no Sacramento do altar, para que de coração possas cantar as palavras do salmo: "Suave é o Senhor para com todos e as suas misericórdias são sobre todas as suas obras" (Ps. 144, 9).
3. - A ideia que fazes de Deus será santíssima se consideras, admiras e louvas a sua inefável santidade e o proclamas, com os bem-aventurados Serafins: Santo, santo, santo!
Santo quer dizer, em primeiro lugar, que possui Ele a santidade em grau tão elevado e com tanta pureza que Lhe é impossível querer ou aprovar coisa alguma que não seja santa.
Santo, em segundo lugar, por Ele amar a santidade nos outros, de forma que Lhe é impossível subtrair os dons da graça ou negar o prêmio da glória aos que na verdade conservam a santidade.
Santo, em terceiro lugar, por Ele aborrecer tanto o contrário da santidade que Lhe é impossível não reprovar os pecados ou deixá-los impunes.
Se desta forma pensas de Deus, cantarás com Moisés, o legislador da Antiga lei: "Deus é fiel e sem nenhuma iniquidade, justo e reto" (V Moisés, 32, 4).

II
 Depois, dirige o teu olhar sobre a lei de Deus que te manda oferecer ao Altíssimo um coração humilde, ao Piíssimo um coração devoto, ao Santíssimo um coração ilibado.
1. - Um coração humilde, digo, deves oferecer ao Altíssimo pela reverência no Espírito, pela obediência nas obras, pela honra nas palavras e nos atos, observando a apostólica regra e doutrina: "Faze tudo para a glória de Deus" (I Cor., 10, 31).
2. - Um coração devoto deves oferecer ao Piíssimo, invocando em orações fervorosas, saboreando doçuras espirituais, dando muitas graças para que tua alma sempre mais a Deus "ascenda pelo deserto como uma varinha de fumo composto de aromas de mirra e de incenso" (Cântico dos Cânticos, 3, 6).
3. - Um coração ilibado deves oferecer ao Esposo santíssimo de maneira que não reine em ti, - nem nos sentidos, nem na vontade, nem no afeto, - algum prazer em deleites desordenados, desejo de coisas terrenas, nenhum movimento de maldade interna, e assim, livre de toda a mácula de pecado, possas cantar com o salmista: "Seja imaculado o meu coração nas tuas justificações para que não seja confundido" (Ps. 118, 80).
Reflete, pois, diligentemente e vê se tudo isto observaste desde a juventude. Se a consciência t'o afirmar, não o atribuas a ti mesmo, mas à mercê de Deus e rende-lhe graças. Se, porém, achares que uma ou mais vezes, num ponto ou em alguns, ou talvez em todos eles, faltaste grave ou levemente, por fraqueza, por ignorância ou com pleno conhecimento, procura reconciliar-te com Deus com "gemidos inexplicáveis" (Rom. 8, 26) e, para Lhe mostrar a emenda, reveste-te do Espírito de penitência, para que possas cantar com o salmista penitente: "Porque preparado estou para os açoites, e a minha dor está sempre diante de mim" (Ps. 37, 18).

III
 A dor da alma, porém, deve ter dois companheiros para que a purifiquem e aplaquem a Deus, a saber: o temor do juízo divino e o ardor de interno desejo, afim de que recuperes pelo temor um coração humilde, pelo desejo um coração devoto e pela contrição um coração ilibado.
1. - Teme, pois, os juízos divinos que são "um abismo profundo" (Ps. 35, 7). Teme, repito, teme muito para que, embora de algum modo penitente, não desagrades ainda a Deus; teme mais, para que depois não recomeces a ofender a Deus; teme muitíssimo, para que no fim não te afastes de Deus, carecendo sempre de luz, ardendo sempre no fogo, jamais livre do verme. Somente uma vida de verdadeira penitência e uma morte na graça da perseverança pode preservar-te desta infelicidade. Canta, pois, com o profeta: "Trespassa com o teu temor a minha carne, porque temos os teus juízos" (Ps. 118, 120).
2. - Arrepende-te e tem cuidado por causa dos pecados cometidos. Arrepende-te, aconselho, arrepende-te muito, porque por eles aniquilaste todo o bem que de Deus recebeste; (trata-se do pecado mortal que destrói todos os dons sobrenaturais); arrepende-te mais porque ofendeste a Cristo que por ti nasceu e foi crucificado; arrepende-te muitíssimo porque desprezaste a Deus, cuja majestade desonraste transgredindo as suas leis, cuja verdade negaste, cuja bondade afrontaste. Pelo pecado desonraste, desfiguraste e transtornaste toda a criação; porque pela rebeldia contra os divinos estatutos, mandamentos e juízos, abusaste de todas as coisas que, segundo a vontade de Deus, te deveriam servir: das criaturas, dos merecimentos alcançados, das misericórdias de Deus, os dons gratuitamente outorgados, e o prêmio prometido.
Depois de atentamente considerar tudo isto, toma luto como por teu filho único, chora amargamente (Jer. 6, 26); faze correr uma como que corrente de lágrimas de dia e de noite; não te dês descanso algum nem se cale a menina dos teus olhos (Lament. 2, 18).
3. - Deseja, contudo, os dons divinos, elevando-te pela chama do divino amor, até Deus, o qual tão pacientemente te suportou nos teus pecados, tão longanimemente esperou, tão misericordiosamente te reconduziu à penitência, concedendo-te o perdão, infundindo-te a graça, prometendo-te a coroa, enquanto de tua parte Lhe ofertaste - ou antes d'Ele recebeste para Lhe ofertar, - o sacrifício de um Espírito atribulado, de um coração contrito e humilhado (Ps. 50, 19) por meio de sentida compunção, confissão sincera e satisfação condigna.
Deseja, digo, muito a benevolência divina por uma larga comunicação do Espírito Santo, deseja mais a semelhança com Deus por uma imitação exata de Cristo crucificado, deseja muitíssimo, a posse de Deus por uma visão clara do Eterno Padre, para que na verdade cantes com o Profeta: "A minha alma arde em sede por Deus forte e vivo; quando irei e aparecerei diante da face de Deus?" (Ps. 41, 3).

IV
Ora, para conservar em ti este espírito de temor, de dor e de desejo, exerce-te externamente numa perfeita modéstia, justiça e piedade, afim de que, segundo escreve o Apóstolo, "renunciando à impiedade e às paixões mundanas, vivas sóbria, justa e piedosamente neste século" (Tito, 2, 12).
1. - Exerce-te numa perfeita modéstia para que, segundo a doutrina do Apóstolo, "a tua modéstia seja conhecida por todos os homens" (Phil. 4, 5). Exerce-te primeiro na modéstia da parcimônia no comer e vestir, no dormir e vigiar, no recreio e no trabalho, não excedendo a medida em coisa alguma.
Depois exerce-te na modéstia da disciplina, com moderação no silêncio e no falar, na tristeza e na alegria, na clemência e no rigor, conforme as circunstâncias o exigem e a sã razão o prescreve.
Finalmente, exerce-te na modéstia da civilidade, regulando, ordenando e, compondo as ações, os movimentos, os gestos, as vestes, os membros e os sentidos, conforme o requer a educação moral e o costume na ordem, para que merecidamente pertenças ao número daqueles aos quais o Apóstolo diz: "Faça-se tudo entre vós com decência e ordem" (I Cor. 14, 40).
2. - Exerce-te também na justiça para que te sejam aplicáveis as palavras do Profeta: "Reina por meio da verdade, da mansidão e da justiça" (Ps. 44, 5).
Na justiça, afirmo, integra por zelo pela honra divina, por observância da lei de Deus e por desejo da salvação do próximo.
Na justiça regulada pela obediência aos superiores, pela sociabilidade aos iguais, pela punição das faltas dos inferiores.
Na justiça perfeita, de forma que aproves toda a verdadefavoreças a bondade, resistas à maldade tanto no Espírito, como nas palavras e obras, não fazendo a ninguém o que não queres que te façam, não negando a ninguém o que dos outros desejas, para que imites com perfeição aqueles a quem foi dito: "Se a vossa justiça não for maior do que a dos escribas e fariseus, não entrareis no reino dos céus" (Matth. 5, 20).
3. - Finalmente, exerce-te na piedade, porque, como diz o Apóstolo, "a piedade é útil para tudo, porque tem a promessa da vida presente e futura" (I Tim. 4, 8).
Exerce-te na piedade do culto divino recitando as horas canônicas atenta, devota e reverentemente, acusando e chorando as faltas quotidianas, recebendo a seu tempo o Santíssimo Sacramento e ouvindo todos os dias a santa missa.
Na piedade, por meio da salvação das almas, auxiliando ora por frequentes orações, ora por instrutivas palavras, ora pelo estímulo do exemplo, para que quem ouve diga: Vem! (Apoc. 22, 17). Isto, porém, cumpre fazer com tanta prudência, que a própria alma não sofra prejuízo.
Na piedade, por meio do alívio das necessidades corporais, suportando com paciência, consolando amigavelmente, ajudando com humildade, alegria e misericórdia, para desta forma: cumprires o mandamento divino enunciado pelo Apóstolo: "Carregai os fardos uns dos outros, e desta maneira cumprireis a lei de Cristo" (Gal. 6, 2).
Para praticares tudo isto, o meio melhor, eu o creio, é a lembrança do Crucificado, afim de que o teu Dileto, como um ramalhete de mirra (Cântico dos C. 1, 12), descanse sempre junto ao teu coração.
Isto te queira prestar Aquele que é bendito por todos os séculos dos séculos.
Amém.


SANCTA MARIA, SPLENDOR SANCTAE ECCLESIAE, ORA PRO NOBIS

venerdì 28 giugno 2019

Volgiamo lo sguardo a Colui che abbiamo trafitto



Dalla lettera Enciclica di Papa Pio XI

Fra i meravigliosi incrementi della dottrina sacra e della pietà onde i disegni della divina Sapienza sempre più chiaramente di giorno in giorno si manifestano alla Chiesa, nessun altro è più visibile quanto il trionfale progresso del culto del Sacratissimo Cuor di Gesù. Certo ripetutamente, nel corso dei primi tempi, i Padri, i Dottori, i Santi celebrarono l'amore del nostro Redentore: la ferita aperta nel costato di Cristo la dissero fonte arcana di tutte le grazie. Ma poi dal medio evo, i fedeli cominciarono ad esser presi da una certa più tenera venerazione verso la Santissima Umanità del Salvatore, le anime contemplative per quella piaga solevano quasi penetrare nel Cuore stesso ferito per l'amore degli uomini. E da quel tempo questa contemplazione divenne così famigliare a tutti i più grandi santi, che non c'è regione né ordine religioso in cui non se ne trovino, in questa età, insigni testimonianze. Finalmente nei secoli più vicini, e specialmente in quel tempo in cui gli eretici, sotto il titolo di una falsa pietà, si sforzavano di tener lontani i Cristiani dalla Santissima Eucaristia, cominciò a rendersi pubblicamente il culto al Sacratissimo Cuore, per opera primieramente di san Giovanni Eudes, il quale non immeritamente è appellato l'autore del culto liturgico dei Sacri Cuori di Gesù e Maria.

Ma a stabilire pienamente e perfettamente il culto del Sacratissimo Cuor di Gesù e a propagarlo per tutto il mondo, Dio stesso si elesse per strumento una umilissima vergine dell'ordine della Visitazione, santa Maria Margherita Alacoque, a cui, già fin dalla prima età infiammata d'amore verso il Sacramento dell'Eucaristia, Cristo Signore spessissimo apparendo, si degnò di far conoscere e le ricchezze e i desideri del suo divin Cuore. Delle quali apparizioni la più celebre è quella in cui mentre ella pregava davanti all'Eucaristia, Gesù le si diede a vedere, le mostrò il Cuore Sacratissimo, e lamentatosi che, in cambio dell'immensa sua carità, non riceveva altro che gli oltraggi di uomini ingrati, le comandò di far sì, che il Venerdì dopo l'ottava del Corpus Domini venisse istituita una nuova festa, colla quale il suo Cuore fosse venerato col dovuto onore, e le ingiurie fattegli dai peccatori nel Sacramento dell'amore venissero espiate con degni ossequi. Quali poi e quante difficoltà abbia provato la Serva di Dio nell'eseguire i comandi di Cristo, nessuno è che l'ignori; ma confortata dal Signore medesimo e validamente aiutata dai Religiosi direttori dell'anima sua, i quali con un certo incredibile ardore si adoperarono nel promuovere questo culto, non desisté fino alla morte dal compiere fedelmente 1'opera dal cielo affidatale.

Finalmente l'anno millesettecento sessantacinque il Sommo Pontefice Clemente XIII approvò l'ufficio e la messa in onore del Sacratissimo Cuore di Gesù; Pio IX poi ne estese la festa a tutta la Chiesa. Da allora il culto del Sacratissimo Cuore, quasi fiume che inonda, travolti tutti gli impedimenti, si diffuse per tutto l'orbe, e sull'alba del secolo Leone XIII, dopo aver indetto il giubileo, volle consacrato l'universo genere umano al Sacratissimo Cuore. La quale consacrazione fatta con rito solenne in tutte le chiese dell'orbe cattolico, portò smisurato incremento a questa devozione, e le condusse non solo i popoli ma anche le singole famiglie, che senza numero si consacrano al Divin Cuore e si sottomettono al regale suo impero. Ultimamente il Sommo Pontefice Pio XI, affinché la solennità della festa rispondesse più pienamente alla devozione del popolo cristiano tanto largamente diffusa, innalzò la festa del Sacratissimo Cuore di Gesù a rito doppio di prima classe con ottava; e di più, affinché i violati diritti di Cristo sommo Re e Signore fossero risarciti, e pianti i peccati dei popoli, ordinò che nel medesimo giorno della festa ogni anno si recitasse in tutti i tempi dell'orbe cristiano una speciale preghiera.



Lettura del santo Vangelo secondo Giovanni
Joannes 19:31-37
In quell'occasione: I Giudei, siccome era il venerdì, affinché i corpi non restassero in croce durante il sabato, perché quel giorno di sabato era molto solenne, chiesero a Pilato che fossero rotte loro le gambe e fossero tolti via. Eccetera.

Omelia di san Bonaventura Vescovo
Libro del legno della vita, num. 30

Affinché dal costato di Cristo dormiente sulla croce si formasse la Chiesa «e s'adempisse la Scrittura che dice: Volgeranno lo sguardo a colui che han trafitto» Joann. 19,37 fu voluto dalla divina disposizione che uno dei soldati aprisse con una lancia e trapassasse quel sacro costato onde, uscendone sangue ed acqua, si versasse il prezzo della nostra salvezza, il quale versato cioè dal fonte misterioso del Cuore, desse ai sacramenti della Chiesa la virtù di comunicare la vita della grazia, e fosse, per quelli che già vivono in Cristo, bevanda di sorgente viva «che sale fino alla vita eterna» Joann. 4,14. Sorgi dunque, o anima amica di Cristo, non cessare di vegliare, accosta ivi la tua bocca «per bere alle sorgenti del salvatore» Is. 12,3.

Della vite mistica Cap. 3

Giunti una volta al Cuore dolcissimo di Gesù, e siccome è bene lo starsene qui, non lasciamoci facilmente distaccare da lui. «O quanto è buono e dolce abitare in questo Cuore» Ps. 132,1. Un buon tesoro, una perla preziosa è il tuo Cuore, o ottimo Gesù, che abbiam trovato dopo aver scavato nel campo del tuo corpo. Chi getterà questa perla? Anzi darò via tutte le perle, darò in cambio i pensieri e gli affetti miei e me la comprerò, gettando ogni mia sollecitudine nel Cuore del buon Gesù, ed esso senza dubbio mi nutrirà. Avendo dunque trovato questo Cuore, ch'è tuo e mio, o dolcissimo Gesù, ti pregherò, o mio Dio: ammetti nel sacrario della tua udienza le mie preghiere: anzi attirami tutto nel tuo Cuore.

Per questo appunto fu trapassato il tuo costato, affinché ci sia aperta una entrata. Per questo fu ferito il tuo Cuore, affinché liberi dalle esterne perturbazioni, possiamo abitare in esso. Ma esso fu ferito ancora, affinché per la ferita visibile vediamo la ferita invisibile dell'amore. Poteva mostrarsi meglio questo amore ardente, che lasciandosi squarciare da una lancia non soltanto il corpo ma financo lo stesso Cuore? La ferita corporale indica dunque la ferita spirituale. Chi non amerà questo Cuore così trafitto? chi non riamerà chi tanto ci ama? chi non abbraccerà amante sì casto? Noi dunque che siamo ancora in questo corpo, per quanto possiamo, amiamo, riamiamo, abbracciamo il nostro ferito, cui empi agricoltori trapassarono le mani e i piedi, il costato e il Cuore: e preghiamo affinché egli si degni di legare col vincolo e di ferire col dardo del suo amore il nostro cuore ancor duro e impenitente.



Preghiamo
O Dio, che nel Cuore del Figlio tuo, ferito pe' nostri peccati, ti degni di effondere pietosamente gli infiniti tesori del tuo amore; concedi, che noi, prestandogli il divoto ossequio della nostra pietà, gli rendiamo anche il dovere di una condegna soddisfazione. 
Per il medesimo nostro Signore



Il cuore di Gesù e le sue misericordie

La prima rivelazione

Santa Margherita Maria Alacoque una piccola grande donna  


Una volta, mentre ero davanti al Santo Sacra­mento con un pò più di tempo a disposizione, (che, di solito, i compiti affidatimi non me ne lasciavano molto) mi trovai tutta investita della sua divina pre­senza e con tanta forza da farmi dimenticare me stessa e il luogo in cui mi trovavo. Mi abbandonai al suo divino Spirito e, affidando il mio cuore alla po­tenza del suo amore, mi fece riposare a lungo sul suo divin petto e mi scoprì le meraviglie del suo Amore e i segreti inesplicabili del suo Sacro Cuore, che mi aveva tenuti nascosti fino a quel momento, nel quale me lo aprì per la prima volta. E lo fece in modo così reale e sensibile da non permettermi ombra di dub­bio, dati gli effetti che questa grazia ha prodotto in me, anche se temo sempre di illudermi in tutto ciò che mi riguarda.
Ed ecco come, mi sembra, siano andate le cose. Mi disse: «Il mio divin Cuore è tanto appassionato d'amore per gli uomini e per te in particolare, che, non potendo più contenere in sé stesso le fiamme del suo ardente Amore, sente il bisogno di diffonderle per mezzo tuo e di manifestarsi agli uomini per ar­ricchirli dei preziosi tesori che ti scoprirò e che con­tengono le grazie santificanti e in ordine alla salvez­za, necessarie per ritrarli dal precipizio della perdi­zione. Per portare a compimento questo mio grande disegno ho scelto te, abisso d'indegnità e di ignoran­za, affinché appaia chiaro che tutto si compie per mezzo mio».
Poi mi domandò il cuore e io Lo supplicai di prenderlo. Lo prese e lo mise nel suo Cuore adorabi­le, nel quale me lo fece vedere come un piccolo ato­mo, che si consumava in quella fornace ardente. In un secondo tempo lo ritirò come fiamma incande­scente in forma di cuore e lo rimise dove l'aveva pre­so, dicendomi: «Eccoti, mia diletta, un prezioso pe­gno del mio amore che racchiude nel tuo costato una piccola scintilla delle sue fiamme più vive, affinché ti serva da cuore e ti consumi fino all'ultimo istante della tua vita. Il suo ardore non si estinguerà mai e potrà trovare un pò di refrigerio soltanto in un salas­so, che lo segnerò talmente col Sangue della mia Croce, da fartene riportare più umiliazione e soffe­renza che sollievo. Per questo voglio che tu chieda con semplicità questo rimedio, sia per mettere in pratica ciò che ti viene ordinato, sia per darti la sod­disfazione di versare il tuo sangue sulla croce delle umiliazioni ».

«E in segno che la grande grazia che ti ho con­cessa, non è frutto di fantasia, ma il fondamento di tutte le altre grazie che ti farò, il dolore della ferita del tuo costato, benché Io l'abbia già richiusa, durerà per tutta la tua vita e se finora hai preso soltanto il nome di mia schiava, ora voglio regalarti quello di discepola prediletta del mio Sacro Cuore».

Dopo questo insigne favore che durò per molto tempo, durante il quale non sapevo se mi trovassi in cielo o in terra, stetti parecchi giorni come tutta in­fiammata e inebriata, talmente fuori di me da non potermi riavere, né poter pronunciar parola se non con grande sforzo; e dovevo farmi ancora più violen­za per riuscire a mangiare e per partecipare alla ri­creazione comune perché non avevo più forze per su­perare la mia sofferenza. Mi sentivo profondamente umiliata; non riuscivo a dormire perché la ferita, il cui dolore mi è così prezioso, mi causa delle vampate così ardenti da consumarmi e bruciarmi viva.
Mi sentivo poi tanto piena di Dio, che non riu­scivo a spiegarlo alla superiora, come avrei desidera­to e fatto, anche se riferire queste grazie mi mette sempre in uno stato di confusione e di vergogna, a causa della mia indegnità; preferirei piuttosto rivela­re al mondo intero i miei peccati. Sarebbe stata per me una grande consolazione, se mi avessero permesso di fare, in refettorio, ad alta voce, la confessione ge­nerale, per mostrare l'abisso di corruzione che è in me e perché non si attribuissero a mio merito le gra­zie che ricevevo. (A. 53-54)

La seconda rivelazione

Il dolore del costato, al quale ho appena accen­nato, si rinnovava ogni primo venerdì del mese in questo modo: il Sacro Cuore mi si presentava come un sole sfolgorante di vivissima luce, i cui infocati raggi cadevano a piombo sul mio cuore, che subito si accendeva di fuoco tanto ardente che sembrava do­vesse ridurmi in cenere. In quell'occasione il divino Maestro mi manifestava ciò che desiderava da me e mi svelava i segreti del suo dolce Cuore.
Una volta, in particolare, mentre era esposto il Santo Sacramento, sentendomi tutta assorta nell'in­timo del mio essere per un raccoglimento straordina­rio di tutti i miei sensi e di tutte le mie facoltà, Gesù Cristo, il mio dolce Maestro, si presentò a me tutto splendente di gloria con le sue cinque piaghe sfolgo­ranti come cinque soli. Da ogni parte di quella sacra Umanità si sprigionavano fiamme, ma soprattutto dal suo adorabile petto, che somigliava a una fornace ardente. Dopo averlo scoperto, mi mostrò il suo amante e amabilissimo Cuore, sorgente viva di quelle fiamme.
Fu allora che mi svelò le meraviglie inesplicabili del suo puro Amore e fino a quale eccesso questo lo avesse spinto ad amare gli uomini, dai quali poi non riceveva in cambio che ingratitudini e indifferenza. «Questo, mi disse, mi fa soffrire più di tutto ciò che ho patito nella mia Passione, mentre se, in cambio, mi rendessero almeno un pò di amore, stimerei poco ciò che ho fatto per loro e vorrei, se fosse possibile, fare ancora di più. Invece non ho dagli uomini che freddezze e ripulse alle infinite premure che mi pren­do per far loro del bene ».

«Ma almeno tu dammi la gioia di compensare, per quanto ti è possibile, la loro ingratitudine». Con­fessando io la mia incapacità, mi rispose: « Tieni, eccoti con che supplire alla tua pochezza». E in quel mentre il divin Cuore si aprì e ne uscì una fiamma così ardente, che temetti di esserne consumata, per­ché ne fui tutta penetrata, e non potendo più soste­nerla, gli chiesi di aver compassione della mia debo­lezza. Ed Egli: « Sarò Io la tua forza, non temere; ma presta sempre attenzione alla mia voce e a ciò che ti chiedo, per portare a termine i miei disegni ».

«Prima di tutto mi riceverai nella Comunione tutte le volte che l'obbedienza te lo permetterà, an­che se te ne verranno mortificazioni e umiliazioni, che tu accetterai come pegno del mio Amore. Inoltre ti comunicherai il primo venerdì di ogni mese e infi­ne, tutte le notti che vanno dal giovedì al venerdì, ti farò partecipe di quella mortale tristezza che ho pro­vato nell'orto degli ulivi. Sarà un'amarezza che ti porterà, senza che tu possa comprenderlo, a una spe­cie di agonia più dura della stessa morte. Per tener­mi compagnia in quell'umile preghiera che allora, in mezzo alle mie angosce, presentai al Padre, ti alzerai fra le undici e mezzanotte per prostrarti con la faccia a terra, insieme a me, per un'ora. E questo sia per placare la divina collera, col chiedere misericordia per i peccatori, sia per addolcire in qualche modo l'amarezza che provai per l'abbandono dei miei Apo­stoli, che mi obbligò a rimproverarli di non essere stati capaci di vegliare un'ora assieme a me. Ascolta­mi bene, figlia mia, non credere tanto facilmente e non fidarti di qualsiasi spirito, perché Satana smania d'ingannarti. Per questo non devi far niente senza l'approvazione di coloro che ti guidano; perché, quando sei autorizzata dall'obbedienza, il demonio non ti può nuocere, non avendo nessun potere su quelli che obbediscono».

Durante tutto quel tempo, io ero stata completa­mente fuori dei sensi e avevo perduto persino la co­gnizione del luogo dove mi trovavo. Quando mi con­dussero via, vedendo che non riuscivo a rispondere e che mi reggevo a mala pena in piedi, fui condotta da nostra madre. Mi gettai in ginocchio ai suoi piedi e lei, nel vedermi come fuori di me stessa, tutta febbri­citante e tremante, mi mortificò e mi umiliò con tut­te le sue forze. Questo mi fece gran piacere e mi col­mò d'una gioia incredibile perché mi sentivo tanto colpevole e confusa, che il più duro dei trattamenti mi sarebbe sembrato troppo dolce. Dopo averle rac­contato, con estrema vergogna, quanto mi era acca­duto, mi umiliò ancora di più, senza concedermi, per questa volta, niente di ciò che io credevo che Nostro Signore mi avesse chiesto di fare, e disprezzando tut­to ciò che le avevo riferito. Ne ebbi un senso di im­mensa consolazione e mi ritirai in perfetta pace... (A. 55-6-7-8)

La grande promessa
Una volta mentre ero davanti al SS.mo Sacra­mento, (era un giorno dell'ottava del Corpus Domi­ni) ricevetti dal mio Dio grazie straordinarie del suo Amore; mi sentii spinta dal desiderio di ricambiarlo e di rendergli amore per amore. Egli mi rivolse que­ste parole: «Tu non puoi mostrarmi amore più gran­de che facendo ciò che tante volte ti ho domandato».

Allora scoprendo il suo divin Cuore mi disse: «Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e che nulla ha risparmiato fino ad esaurirsi e a consu­marsi per testimoniare loro il suo Amore. In segno di riconoscenza, però, non ricevo dalla maggior parte di essi che ingratitudine per le loro tante irriverenze, i loro sacrilegi e per le freddezze e i disprezzi che essi mi usano in questo Sacramento d'Amore. Ma ciò che più mi amareggia è che ci siano anche dei cuori a me consacrati che mi trattano così».

« Per questo ti chiedo che il primo venerdì dopo l'ottava del <Corpus Domini>, sia dedicato a una festa particolare per onorare il mio Cuore, ricevendo in quel giorno la santa comunione e facendo un'am­menda d'onore per riparare tutti gli oltraggi ricevuti durante il periodo in cui è stato esposto sugli altari.
Io ti prometto che il mio Cuore si dilaterà per ef­fondere con abbondanza le ricchezze del suo divino Amore su coloro che gli renderanno questo onore e procureranno che gli sia reso da altri».

Obiettando io che non sapevo come fare per at­tuare ciò che da tempo mi chiedeva, mi rispose di ri­volgermi al suo servo (Padre La Colombière) che mi aveva inviato, per mettere in esecuzione questo suo progetto. Avendolo io fatto, questi mi ordinò di scri­vere ciò che gli avevo riferito sul Sacro Cuore di Gesù Cristo e molte altre cose che riguardavano la gloria di Dio e anche la sua persona.
Il Signore mi fece trovare in quel sant'uomo molta consolazione, primo perché mi insegnò a corri­spondere ai suoi disegni e poi perché, nella terribile paura che avevo di essere ingannata e che mi faceva piangere continuamente, riuscì a trasfondermi grande sicurezza e serenità.
Quando il Signore lo allontanò da questa città per impiegarlo nella conversione degli infedeli, accet­tai il dolore con la totale sommissione alla volontà di Dio, che me lo aveva reso tanto utile nel breve pe­riodo, in cui aveva soggiornato tra di noi; ma quando Gesù mi sorprese a riflettere su quella perdita, mi ri­volse questo rimprovero: «Non ti basto, dunque, Io che sono il tuo principio e la tua fine?». Non mi ci volle altro per abbandonarmi tutta Lui, sicura che Egli si sarebbe preso cura di tutto ciò, di cui avrei avuto bisogno.


AMDG et DVM