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domenica 13 novembre 2022

Ratzinger legge san Bonaventura



 Ratzinger legge san Bonaventura

DI ELIO GUERRIERO

Ritorna in libreria, dopo lunga assenza, San Bonaventura. La teologia della storia (Edizioni Porziuncola, pagine 256, euro 28,00), una delle opere fondamentali di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.

Il giovane studioso si accostò al maestro francescano su invito del suo maestro Gothlieb Söhgen con l’intento di dare un contributo chiarificatore ad un vivace dibattito della teologia del suo tempo.

Nell’incontro tra il pensiero riformato della prima metà del Novecento e il pensiero scolastico prevalente in ambito cattolico emergeva una difficoltà che sembrava insormontabile: lì dove i riformati, in particolare Karl Barth, sottolineavano il carattere di evento della rivelazione che ogni volta pone il credente di fronte alla decisione di aderire, la tradizione cattolica presentava un pensiero metafisico, statico e ben definito, che sembrava prescindere dal carattere ogni volta personale dell’atto di fede. La soluzione verso la quale propendevano alcuni studiosi anche cattolici era quella dell’abbandono della metafisica, della de­ellenizzazione che sembrava antitetica rispetto all’originale carattere semitico della fede.
Nella prefazione all’edizione italiana, e a quella americana, Ratzinger già cardinale ha continuato a sottolineare l’attualità del tema trattato.

All’epoca nel cassetto aveva ancora degli appunti per un’ulteriore messa a punto che speravo di trovare all’inizio della nuova edizione. Non è stato evidentemente possibile. Il punto di partenza di Ratzinger è l’opera Exaémeron, i sei giorni della creazione del mondo, uno degli ultimi scritti di san Bonaventura, nella quale il maestro francescano, a un anno dalla morte, si confrontava ancora con le correnti spirituali presenti nell’ordine e indirettamente con Gioacchino da Fiore. Entusiasti dell’insegnamento dell’abate cistercense che permetteva loro di riconoscere in Francesco l’iniziatore della nuova età dell’amore contrapposta a quella della legge, gli spirituali più radicali, tra i quali vi era anche il predecessore di san Bonaventura, rischiavano di portare l’ordine fuori dalla Chiesa.

Bonaventura, eletto generale dell’ordine proprio per affrontare una questione così delicata, nei primi anni del suo mandato si immerse nello spirito del fondatore, ne scrisse una nuova biografia, soprattutto meditò sul significato della sua venuta. Nel confronto con Gioacchino, di cui apprezzava la visione teologica della storia, introduceva una precisazione che eliminava ogni equivoco. L’abate calabrese come Francesco non avviava il tempo escatologico, ma ne era l’annunciatore. Paragonabile a quei semplici per i quali Gesù aveva esultato, il Poverello aveva ricevuto in dono una superiore intelligenza spirituale della Scrittura. Insieme alla revelatio, però, egli aveva ricevuto l’humilitas di modo che si può stabilire un nesso essenziale tra questi due doni dello Spirito. Per Bonaventura questo fa sì che il magistero non debba essere avvertito come un peso, bensì come garante che assicura la comunione con il popolo santo della Chiesa. 
Coloro che ricevono le rivelazioni – san Bonaventura usa il termine al plurale – sono in intima familiarità con il mistero di Dio e sono in comunione con la Chiesa gerarchica e con il popolo di Dio. In conclusione l’opera di Ratzinger rispondeva pienamente all’ipotesi di ricerca: anche nella tradizione cattolica il concetto di rivelazione porta dentro di sé il carattere di adesione personale e di urgenza.
Un’acquisizione fondamentale che Ratzinger insieme con de Lubac fece valere già al tempo della Costituzione conciliare sulla Divina rivelazione e che è rimasta presente nella sua teologia e nei suoi scritti. Un’altra peculiarità guadagnata dall’incontro con Bonaventura e che da allora è un tratto distintivo del pensiero e dell’opera del papa è la centralità e familiarità con Cristo. A quest’ultima invitava i fedeli nel suo Gesù di Nazareth.

© Copyright Avvenire, 25 gennaio 2008


IL BEATO

Gioacchino da Fiore e le tre età della storia

Nato a Celico da ricca famiglia nel 1130 circa, Gioacchino da Fiore ricevette un’educazione classica nella vicina Cosenza, prima di entrare in seminario e divenire monaco cistercense. Nel 1188 fondò sulla Sila il convento di San Giovanni in Fiore e l’ordine dei florensi, che riceveranno l’approvazione di papa Celestino III il 25 agosto del 1196. Nei suoi scritti Gioacchino, partendo dal dogma della Trinità, divise la storia dell’uomo in tre epoche fondamentali: quella del Padre, corrispondente alle narrazioni dell’Antico Testamento; quella del Figlio: rappresentata dal Vangelo e compresa dall’avvento di Gesù fino al 1260; e quella dello Spirito Santo: dal 1260 in avanti, ovvero quel periodo in cui l’umanità, attraverso un clima di purezza e libertà, avrebbe avuto un contatto diretto con Dio. I suoi seguaci, i gioachimiti, estremizzarono alcune sue proposizioni escatologiche, tanto che il concilio Lateranense IV dichiarò eretiche alcune tesi attorno alla Trinità falsamente attribuite al beato, morto nel 1202.


IL SANTO

Da Bagnoregio a vertice dell’ordine francescano

Bonaventura nacque a Bagnoregio presso Viterbo nel 1217. Suo padre era probabilmente medico. Da bambino guarì da una grave malattia grazie all’intercessione di san Francesco. Di qui una grande venerazione verso il santo di Assisi e la decisione di entrare nell’ordine da lui fondato.

Appassionato degli studi nel 1238 si recò a Parigi per portare a termine il suo percorso formativo. Ottenne la licenza in Teologia e successivamente, dopo il 1250, fu nominato maestro.

Dopo pochi anni, nel 1257, lasciò l’insegnamento poiché eletto ministro generale dell’ordine francescano. Restò in carica fino al 1273 quando il papa Gregorio X lo nominò cardinale. Come tale partecipò al concilio di Lione e svolse un ruolo nelle trattative unionistiche con i greci. Morì a Lione il 15 luglio 1274. 

All’apice del Medioevo, contemporaneo di san Tommaso d’Aquino e come lui professore a Parigi, elaborò un pensiero caratterizzato dalla fiducia nella tradizione. Legato a sant’Agostino, ne condivise il primato dell’amore, l’immagine trinitaria riflessa nello spirito creato. Confluiva poi in lui la linea di pensiero avviata da Dionigi l’Areopagita. Tra le sue letture vi erano Anselmo con la sua prova ontologica ed ancor più la teologia spirituale di san Bernardo. Questo patrimonio culturale-spirituale ruotava, tuttavia, intorno al pensiero e alla vita francescana che è il punto sorgivo da cui trae origine ed irradia la teologia e la concezione della vita cristiana di Bonaventura.
Elio Guerriero


© Copyright Avvenire, 25 gennaio 2008
AMDG et DVM

giovedì 15 settembre 2022

Gioacchino da Fiore, il profeta di Dio.

 

La più grande personalità del Medioevo che troviamo nella cittadina di San Giovanni in Fiore è senza ombra di dubbio l’abate Gioacchino da fiore. Egli nacque a Celico dal notaio Mauro e da sua moglie Gemma intorno al 1135 c.a. La sua formazione fu prettamente latina ed egli non ebbe nulla a che fare con i monaci greci, che al suo tempo avevano una posizione predominante nella Calabria meridionale, ma del tutto trascurabile in Val di Crati e nella Cosenza normanna. Ricevette le prime nozioni di educazione scolastica nella vicina Cosenza, dove spinto dal padre lavorò presso l’ufficio del Giustiziere della Calabria. A causa di contrasti insorti sul posto di lavoro, andò a lavorare presso i Tribunali di Cosenza. In seguito il padre riuscì a fargli ottenere un posto presso la Corte normanna a Palermo, dove lavorò prima a diretto contatto con il capo della zecca, con i Notai Santoro e Pellegrino ed infine presso il Cancelliere di Palermo l’Arcivescovo Stefano di Perche. Entrato in disaccordo anche con Stefano si allontanò definitivamente dalla Corte Reale di Palermo per compiere un viaggio in Terrasanta. Nel viaggio maturò un profondo distacco dal mondo materiale per dedicarsi allo studio delle Sacre Scritture e rientrato in patria Gioacchino si ritirò dapprima in una grotta nei pressi di un monastero italo-greco posto sulle falde del monte Etna, poi tornò con un suo compagno a Guarassano, nei pressi di Cosenza. Qui fu riconosciuto e costretto ad incontrare il padre, che lo aveva dato per disperso. Al padre confessò di aver smesso di lavorare per il re normanno per servire il Re dei Re, Dio. Visse circa un anno presso l’Abbazia di Santa Maria della Sambucina, a Luzzi, che negli anni 1152-53 passava dai Benedettini ai Cistercensi, da cui si allontanò poi per andare a predicare dall’altra parte della valle vivendo nei pressi del guado Gaudianelli del torrente Surdo, vicino Rende. Poiché al tempo la predicazione di un laico non era ben accetta, Gioacchino compì un viaggio fino a Catanzaro, dove fu ordinato sacerdote. Secondo le fonti, nel 1177 Gioacchino venne eletto abate di Santa Maria di Corazzo, ma rinunciò scappando dapprima nel monastero della Sambucina, poi nel monastero del legno della croce di Acri poiché la vera ambizione di Gioacchino non era raggiungere un titolo, ma a studiare la Sacre Scritture e predicarle alla gente. Tuttavia riuscì a convincersi. In qualità di abate compì un viaggio nell’Abbazia di Casamari, nel Lazio tra il 1182 e il 1184. Durante la sua permanenza nell’Abbazia incontrò il papa Lucio III che gli accordò la “licentia scribendi“. Le sue dottrine ed il suo ideale di vita monastica austera e rigorosa, lo misero in urto con il suo Ordine dal quale intorno nel 1188 si staccò poiché non condividevano il suo continuo girovagare così distante. Il Papa Urbano III lo prosciolse così dai doveri abbaziali autorizzandolo a continuare a scrivere. Nel 1194 Gioacchino ebbe in concessione da Enrico IV un vasto tenimento in Sila e ottene privilegi sovrani su tutta la Calabria. Profondamente convinto del suo messaggio e ritenendosi “chiamato” ad una vera e propria funzione profetica, fondò una sua Congregazione Florense alla confluenza dei fiumi Arvo e Neto, in località Fiore, dove edificò un piccolo ospizio. In seguito all’aumentare del numero dei suoi seguaci, iniziò la costruzione di quella che doveva diventare l’Abbazia Madre dell’Ordine Florense. L’Abbazia venne dedicata a S. Giovanni Evangelista, alla Vergine ed allo Spirito Santo. Intorno all’edificio iniziarono a sorgere le abitazioni di allevatori, pastori, cacciatori, raccoglitori di pece e di tutti coloro che si insediavano in Sila per sfruttarne le grandi risorse naturali. Velocemente si formò un borgo che prese il nome del santo a cui era dedicata la chiesa e del posto sul quale la chiesa fu edificata: San Giovanni in Fiore. Gioacchino morì il 30 marzo 1202 presso Canale di Pietrafitta e fu seppellito nel monastero florense di San Martino di Canale. Il suoi resti furono traslati nell’abbazia di San Giovanni in Fiore verso il 1226, quando la grande chiesa era ancora in costruzione. L’abate Matteo, successore di Gioacchino, continuò l’opera ampliando le fondazioni florensi, nel periodo del suo abbaziato (1202-1234), l’ordine florense vantava oltre cento filiazioni, tra abbazie, monasteri e chiese, ognuna dotata di ampi tenimenti-tenute e possedimenti vari, sparse in Calabria, Puglia, Campania, Lazio, Toscana e rendite che provenivano anche dalle lontane terre di Inghilterra, Galles e Irlanda.


♦ Gioacchino da Fiore fu uno dei più importanti mistici del XII secolo. Il suo insegnamento influì su vari movimenti religiosi come quello dei Gioachimiti, suoi seguaci, sulle sette dei flagellanti, degli spirituali e dei beghini e su scrittori e pensatori del tardo Medioevo, tra i quali lo stesso Dante Alighieri che, nella Commedia, inserisce Gioacchino da Fiore nel paradiso (canto XII, ver. 140-141) tra la schiera dei Beati (1316-1321), accanto a S. Bonaventura, Rabano e San Tommaso d’Aquino.

“[…] e lucemi da lato / il calavrese abate Giovacchino / di spirito profetico dotato […].”

♦ L’opera di Gioacchino da Fiore è basata su una profonda meditazione delle Sacre Scritture tutta volta alla dimostrazione ed all’annuncio profetico dell’avvento di una nuova era all’insegna del trionfo totale dello spiritualismo. La visione teologica della Storia di Gioacchino si basava su una concezione della triade divina come immagine del corso storico della cristianità. Secondo l’abate la trinità divina si riflette in tre distinte età della storia. La prima età, che appartiene al Padre, rappresenta la Creazione ed è l’epoca trascorsa dell’antico testamento. La seconda età, quella del Figlio, rappresenta la Redenzione. É l’era presente ed è prossima alla conclusione. Infine, la terza età, quella futura, rappresentata dallo Spirito Santo, è l’era della profonda spiritualità.

♦ I seguaci di Gioacchino subito dopo la sua morte raccolsero la biografia, le opere e le testimonianze dei miracoli ottenuti per sua intercessione per proporne la canonizzazione. Questo primo tentativo probabilmente abortì a seguito delle disposizioni del Concilio Lateranense IV che nel 1215 dichiarò eretiche alcune frasi contro Pietro Lombardo contenute in un libello accreditato ingiustamente a Gioacchino da Fiore. Un secondo tentativo d’avvio della canonizzazione fu compiuto nel 1346 dall’abate Pietro del monastero florense, che si recò ad Avignone per portare al Sommo Pontefice tutta la documentazione relativa alle grazie e dei miracoli ottenuti tramite l’abate Gioacchino, sia durante la sua vita sia dopo la sua morte. È risaputo che i cistercensi proclamarono beato l’abate Gioacchino, elaborandone perfino l’antifona per il 29 maggio. Si ritiene che ciò sia avvenuto dopo il 1570, quando i florensi furono fatti confluire nella Congregazione Cistercense Calabro Lucana. Il 20 luglio 1684 il vescovo di Cosenza denunciò all’Inquisizione i monaci cistercensi di San Giovanni in Fiore poiché tenevano continuamente accesa una lampada sull’altare vicino al sepolcro dell’abate Gioacchino. Tale denuncia causò una serie di problemi relativi al culto e alle reliquie. All’approssimarsi del’VIII centenario della morte dell’Abate Gioacchino, il 25 giugno 2001 l’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano iniziò nuovamente l’iter per la canonizzazione. Ad oggi risulta conclusa la fase diocesana.

♦ A San Giovanni in Fiore sorge anche il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, un ente culturale che opera dal 1982, ufficialmente riconosciuto dalla Ragione Calabia nel 1989, con l’intento di divulgare il pensiero teologico e profetico dell’abate e punto di coordinamento per gli studi sulla figura del mistico.

♦ Le parole che Dante Alighieri lega all’abate sono riportate sulla sua tomba, nell’Abbazia di San Giovanni in Fiore.

https://www.ottoetrenta.it/in-evidenza/gioacchino-da-fiore-il-profeta-di-dio/

martedì 13 settembre 2022

UNA LETTERA PREZIOSA DI PAPA BENEDETTO XVI


BENEDICTUS XVI, PAPA EMERITUS, SCRIVE AL CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI GIOACHIMITI


 Dopo l’incontro con Papa Francesco, avvenuto lo scorso 6 aprile, e due lettere della Segreteria di Stato del Vaticano con apprezzamenti verso il lavoro del Centro internazionale di studi gioachimiti, un’altra straordinaria testimonianza è pervenuta al prestigioso Istituto culturale: quella del Papa Emerito Benedetto XVI.

“ A quel tempo - scrive il papa al presidente del Centro Studi - Gioacchino era ancora considerato un sognatore sulla cui opera si preferiva tacere… Da allora l’opera di Gioacchino è stata al centro di ampi dibattiti e il silenzioso abate di Fiore si meraviglierebbe di tutto quello che oggi gli si attribuisce “.

Quando negli anni Cinquanta scrissi il mio lavoro sulla Teologia della storia di San Bonaventura dovetti utilizzare l’edizione del cinquecento , pubblicata nella Repubblica di Venezia.  “.

Il papa continua nella sua bella lettera con un significativo apprezzamento verso l’operazione culturale più importante che sta svolgendo da quarant’anni il Centro Studi, la pubblicazione delle opere di Gioacchino da Fiore che consente di poter attingere al pensiero dell’abate calabrese e non alle interpretazioni e manipolazioni che ne hanno caratterizzato la lettura:

“Per questo la pubblicazione di una moderna edizione critica dei suoi scritti rappresenta un’assoluta necessità , alla quale Lei ha corrisposto con il Suo Centro Internazionale di Studi Gioachimiti”.

Il Papa conclude la sua straordinaria testimonianza chiedendo l’invio dei libri pubblicati dal Centro Studi.

Negli anni cinquanta, Ratzinger scrisse un lavoro importante, “San Bonaventura . La teologia della storia”, pubblicato successivamente dalla Porziuncola nel 2008.

Il volume propone uno stimolante studio degli aspetti culturali e religiosi della societas chistiana del secolo XIII e l’analisi del dibattito sul ruolo del francescanesimo.

Ratzinger ha approfondito il confronto tra la concezione della storia di Bonaventura e quella dell’abate di Fiore ed ha studiato l’influsso di Gioacchino su Bonaventura.
Secondo Ratzinger, san Bonaventura ha accolto la concezione gioachimita di Cristo “centro dei tempi”, e non solo “fine dei tempi”.

Ratzinger sostiene che “l’idea di considerare Cristo l’asse dei tempi è estranea a tutto il primo millennio cristiano ed emerge solo in Gioacchino…che divenne, proprio nella Chiesa stessa, l’antesignano di una nuova comprensione della storia che oggi ci appare essere la comprensione cristiana in modo così ovvio da renderci difficile credere che in qualche momento non sia stato così.”.

Secondo papa Benedetto XVI, San Bonaventura è sintonizzato con Gioacchino nell’ intendere la rivelazione “non più semplicemente come la comunicazione di alcune verità alla ragione, ma come l’agire storico di Dio, in cui la verità si svela gradatamente”.

È questa l’idea rinnovata di rivelazione che Ratzinger avrebbe veicolato, nominato teologo esperto al Concilio Vaticano II, nei documenti conciliari sulla divina Rivelazione.




Molto pertinente  il video seguente:
AMDG et DVM

sabato 9 settembre 2017

San Bonaventura e il rischio di un gravissimo fraintendimento di san Francesco

Benedetto XVI: San Bonaventura e il rischio di un gravissimo fraintendimento di san Francesco (YouTube)



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Cari amici, buona domenica.
Gemma ci ha fatto un bellissimo regalo ritrovando la seconda parte della catechesi di Papa Benedetto su San Bonaventura. Il testo (qui la versione integrale) è un grande insegnamento anche per la chiesa di oggi. Ne consiglio la lettura :-) // Novità e continuità del Concilio.
R.