Visualizzazione post con etichetta Magnificat. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Magnificat. Mostra tutti i post

martedì 22 dicembre 2020

Maria Santissima a Ebron e il suo incontro con Elisabetta.

 


Maria Valtorta: 'L'Evangelo come mi è stato rivelato'

   Cap. XXI. L'arrivo di Maria a Ebron e il suo incontro con Elisabetta.


   1 aprile 1944

  1Sono in un luogo montagnoso. Non sono grandi monti ma neppur più colline. Hanno già gioghi e insenature da vere montagne, quali se ne vedono sul nostro Appennino tosco-umbro. La vegetazione è folta e bella e vi è abbondanza di fresche acque, che mantengono verdi i pascoli e ubertosi i frutteti, che sono quasi tutti coltivati a meli, fichi e uva: intorno alle case questa. La stagione deve essere di primavera, perché i grappoli sono già grossetti, come chicchi di veccia, e i meli hanno già legati i fiori che ora paiono tante palline verdi verdi, e in cima ai rami dei fichi stanno i primi frutti ancora embrionali, ma già ben formati. I prati, poi, sono un vero tappeto soffice e dai mille colori. Su essi brucano le pecore, o riposano, macchie bianche sullo smeraldo dell’erba.

  2Maria sale, sul suo ciuchino, per una strada abbastanza in buono stato, che deve essere la via maestra. Sale, perché il paese, dall’aspetto abbastanza ordinato, è più in alto. Il mio interno ammonitore mi dice: «Questo luogo è Ebron». Lei mi parlava di Montana. Ma io non so cosa farci. A me viene indicato con questo nome. Non so se sia «Ebron» tutta la zona o «Ebron» il paese. Io sento così e dico così.


  Ecco che Maria entra nel paese. Delle donne sulle porte — è verso sera — osservano l’arrivo della forestiera e spettegolano fra di loro. La seguono con l’occhio e non hanno pace sinché non la vedono fermarsi davanti ad una delle più belle case, sita in mezzo del paese, con davanti un orto-giardino e dietro e intorno un ben tenuto frutteto, che poi prosegue in un vasto prato, che sale e scende per le sinuosità del monte e finisce in un bosco di alte piante, oltre il quale non so che ci sia. Tutto è recinto da una siepe di more selvatiche o di rose selvatiche. Non distinguo bene, perché, se lei ha presente, il fiore e la fronda di questi spinosi cespugli sono molto simili e, finché non c’è il frutto sui rami, è facile sbagliarsi. Sul davanti della casa, sul lato perciò che costeggia il paese, il luogo è cinto da un muretto bianco, su cui corrono dei rami di veri rosai, per ora senza fiori ma già pieni di bocci. Al centro, un cancello di ferro, chiuso. Si capisce che è la casa di un notabile del paese e di persone benestanti, perché tutto in essa mostra, se non ricchezza e sfarzo, agiatezza certo. E molto ordine.
 

  3Maria scende dal ciuchino e si accosta al cancello. Guarda fra le sbarre. Non vede nessuno. Allora cerca di farsi sentire. Una donnetta, che più curiosa di tutte l’ha seguita, le indica un bizzarro utensile che fa da campanello. Sono due pezzi di metallo messi a bilico di una specie di giogo, i quali, scuotendo il giogo con una fune, battono fra di loro col suono di una campana o di un gong.


  Maria tira, ma così gentilmente che il suono è un lieve tintinnio, e nessuno lo sente. Allora la donnetta, una vecchietta tutta naso e bazza e con una lingua che ne vale dieci messe insieme, si afferra alla fune e tira, tira, tira. Una suonata da far destare un morto. «Si fa così, donna. Altrimenti come fate a farvi sentire? Sapete, Elisabetta è vecchia e vecchio Zaccaria. Ora poi è anche muto, oltre che sordo. Vecchi sono anche i due servi, sapete? Siete mai venuta? Conoscete Zaccaria? Siete…».


  A salvare Maria dal diluvio di notizie e di domande, spunta un vecchietto arrancante, che deve essere un giardiniere o un agricoltore, perché ha in mano un sarchiello e legata alla vita una roncola. Apre, e Maria entra ringraziando la donnetta, ma… ahi! lasciandola senza risposta. Che delusione per la curiosa!
 Appena dentro, Maria dice: «Sono Maria di Giovacchino e Anna, di Nazareth. Cugina dei padroni vostri».

  4Il vecchietto si inchina e saluta, e poi dà una voce chiamando: «Sara! Sara!». E riapre il cancello per prendere il ciuchino rimasto fuori, perché Maria, per liberarsi dalla appiccicosa donnetta, è sgusciata dentro svelta svelta, e il giardiniere, svelto quanto Lei, ha chiuso il cancello sul naso della comare. E, intanto che fa passare il ciuco, dice: «Ah! gran felicità e gran disgrazia a questa casa! Il Cielo ha concesso un figlio alla sterile, l’Altissimo ne sia benedetto! Ma Zaccaria è tornato, sette mesi or sono, da Gerusalemme, muto. Si fa intendere a cenni o scrivendo. L’avete forse saputo? La padrona mia vi ha tanto desiderata in questa gioia e in questo dolore! Sempre parlava con Sara di voi e diceva: “Avessi la mia piccola Maria con me! Fosse ancora stata nel Tempio! Avrei mandato Zaccaria a prenderla. Ma ora il Signore l’ha voluta sposa a Giuseppe di Nazareth. Solo Lei poteva darmi conforto in questo dolore e aiuto a pregare Dio, perché Ella è tutta buona. E nel Tempio tutti la rimpiangono. La passata festa, quando andai con Zaccaria per l’ultima volta a Gerusalemme a ringraziare Iddio d’avermi dato un figlio, ho sentito le sue maestre dirmi: ‘Il Tempio pare senza i cherubini della Gloria da quando la voce di Maria non suona più fra queste mura’”. Sara! Sara! È un poco sorda la donna mia. Ma vieni, vieni, ché ti conduco io».


  5Invece di Sara, spunta sul sommo di una scala, che fiancheggia un lato della casa, una donna molto vecchiotta, già tutta rugosa e brizzolata intensamente nei capelli, che prima dovevano essere nerissimi perché ha nerissime anche le ciglia e le sopracciglia, e che fosse bruna lo denuncia il colore del volto. Contrasto strano con la sua palese vecchiezza è il suo stato già molto palese, nonostante le vesti ampie e sciolte. Guarda facendosi solecchio con la mano. Riconosce Maria. Alza le braccia al cielo in un : «Oh!» stupito e gioioso, e si precipita, per quanto può, incontro a Maria. Anche Maria, che è sempre pacata nel muoversi, corre, ora, svelta come un cerbiatto, e giunge ai piedi della scala quando vi giunge anche Elisabetta, e Maria riceve sul cuore con viva espansione la sua cugina, che piange di gioia vedendola.


  Stanno abbracciate un attimo e poi Elisabetta si stacca con un: «Ah!» misto di dolore e di gioia, e si porta le mani sul ventre ingrossato. China il viso impallidendo e arrossendo alternativamente. Maria e il servo stendono le mani per sostenerla, perché ella vacilla come si sentisse male.


  Ma Elisabetta, dopo esser stata un minuto come raccolta in sé, alza un volto talmente radioso che pare ringiovanito, guarda Maria sorridendo con venerazione come vedesse un angelo, e poi si inchina in un profondo saluto dicendo: «Benedetta tu fra tutte le donne! Benedetto il Frutto del tuo seno! (dice così: due frasi ben staccate). Come ho meritato che venga a me, tua serva, la Madre del mio Signore? Ecco, al suono della tua voce il bambino m’è balzato in seno come per giubilo e quando t’ho abbracciata lo Spirito del Signore mi ha detto altissima verità al cuore. Te beata, perché hai creduto che a Dio fosse possibile anche ciò che non appare possibile ad umana mente! Te benedetta, che per la tua fede farai compiere le cose a te predette dal Signore e predette ai Profeti per questo tempo! Te benedetta, per la Salute che generi alla stirpe di Giacobbe! Te benedetta, per aver portato la Santità al figlio mio che, lo sento, balza, come capretto festante, di giubilo nel mio seno, perché si sente liberato dal peso della colpa, chiamato ad esser colui che precede, santificato prima della Redenzione dal Santo che cresce in te!».


  Maria, con due lacrime che scendono come perle dagli occhi che ridono alla bocca che sorride, col volto levato al cielo e le braccia pure levate, nella posa che poi tante volte avrà il suo Gesù, esclama: «L’anima mia magnifica il suo Signore», e continua il cantico così come ci è tramandato(Lc 1,46-55). Alla fine, al versetto: «Ha soccorso Israele suo servo, ecc.», raccoglie le mani sul petto e si inginocchia molto curva a terra, adorando Dio.


  6Il servo, che si era prudentemente eclissato quando aveva visto che Elisabetta non si sentiva male, ma che anzi confidava il suo pensiero a Maria, torna dal frutteto con un imponente vecchio tutto bianco nella barba e nei capelli, il quale con grandi gesti e suoni gutturali saluta di lontano Maria.


    «Zaccaria giunge» dice Elisabetta, toccando sulla spalla la Vergine assorta in preghiera. «Il mio Zaccaria è muto. Dio lo ha colpito per non aver creduto. Ti dirò poi. Ma ora spero nel perdono di Dio, poiché tu sei venuta. Tu, piena di Grazia».
    Maria si leva e va incontro a Zaccaria e si curva davanti a lui fino a terra, baciandogli il lembo della veste bianca che lo copre sino al suolo. È molto ampia, questa veste, e tenuta a posto alla vita da un alto gallone ricamato.


    Zaccaria, a gesti, dà il benvenuto, e insieme raggiungono Elisabetta ed entrano tutti in una vasta stanza terrena molto ben messa, nella quale fanno sedere Maria e le fanno servire una tazza di latte appena munto - ha ancora la spuma - e delle piccole focacce.
    Elisabetta dà ordini alla servente, finalmente comparsa con le mani ancora impastate di farina e i capelli ancor più bianchi di quanto non siano per la farina che vi è sopra. Forse faceva il pane. Dà ordini anche al servo, che sento chiamare Samuele, perché porti il cofano di Maria in una camera che gli indica. Tutti i doveri di una padrona di casa verso la sua ospite.
    Maria risponde intanto alle domande, che Zaccaria le fa scrivendole su una tavoletta cerata con uno stilo. Comprendo dalle risposte che egli le chiede di Giuseppe e del come si trova sposata a lui. Ma comprendo anche che a Zaccaria è negata ogni luce soprannaturale circa lo stato di Maria e la sua condizione di Madre del Messia. 


    È Elisabetta che, andando presso il suo uomo e posandogli con amore una mano sulla spalla, come per una casta carezza, gli dice: «Maria è madre Ella pure. Giubila per la sua felicità». Ma non dice altro. Guarda Maria. E Maria la guarda, ma non l'invita a dire di più, ed ella tace.


  7Dolce, dolcissima visione! Essa mi annulla l’orrore rimasto dalla vista del suicidio di Giuda.
   Ieri sera, prima del sopore, vidi il pianto di Maria, curva sulla pietra dell’unzione, sul corpo spento del Redentore. Era al suo fianco destro, dando le spalle all’apertura della grotta sepolcrale. La luce delle torce le batteva sul viso e mi faceva vedere il suo povero viso devastato dal dolore, lavato dal pianto. Prendeva la mano di Gesù, la accarezzava, se la scaldava sulle guance, la baciava, ne stendeva le dita… una per una le baciava, queste dita senza più moto. Poi carezzava il volto, si curvava a baciare la bocca aperta, gli occhi socchiusi, la fronte ferita. La luce rossastra delle torce fa apparire ancor più vive le piaghe di tutto quel corpo torturato e più veritiera la crudezza della tortura subita e la realtà del suo esser morto.


   E così sono rimasta contemplando sinché m’è rimasta lucida l’intelligenza. Poi, risvegliata dal sopore, ho pregato e mi sono messa quieta per dormire per davvero. E mi è cominciata la suddescritta visione. Ma la Mamma mi ha detto: «Non ti muovere. Guarda unicamente. Scriverai domani». Nel sonno ho poi sognato di nuovo tutto. Svegliata alle 6,30, ho rivisto quanto avevo già visto da sveglia e in sogno. E ho scritto mentre vedevo. Poi è venuto lei e le ho potuto chiedere se dovevo mettere quanto segue. Sono quadretti staccati della permanenza di Maria in casa di Zaccaria.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, 

noi ci affidiamo a Te!

venerdì 18 dicembre 2020

MAGNIFICAT - O Sacerdos, quis es tu?

 


Magnificat

"Magníficat * Anima mea Dóminum,
et exsultávit spíritus meus * in Deo salvatóre meo,
quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ. * Ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes,
quia fecit mihi magna, qui potens est, * et sanctum nomen eius,
et misericórdia eius in progénies et progénies * timéntibus eum.
Fecit poténtiam in bráchio suo, * dispérsit supérbos mente cordis sui;
depósuit poténtes de sede * et exaltávit húmiles;
esuriéntes implévit bonis * et dívites dimísit inánes.
Suscépit Israel púerum suum, * recordátus misericórdiæ, sicut locútus est ad patres nostros, * Abraham et sémini eius in sæcula.
Glória Patri, et Fílio * et Spirítui Sancto.
Sicut erat in princípio, et nunc et semper, * et in sǽcula sæculórum. 

Amen."
(Indulgenza parziale E.I. n.32)

O Sacerdos, quis es tu? 


Quando il Diacono Joseph Ratzinger divenne Sacerdote
Haec meditare: 1 Tim 4,15:
Dignità del Sacerdote: Sacerdos alter Christus: S.I.Crys. - Admiramini, gaudete: Christus facti sumus!: S.Aug.- Miraculum stupendum, magna, immensa, infinita, sacerdotis dignitas: coelum attingit, cum Angelis conversatur, cum Deo familiariter agit: S.Ephr.- Sacerdos, terrenus Deus, ad animas deificandas destinatus: S.Greg.Naz. Apol.1.- "Se incontrassi un Angelo e un Sacerdote saluterei il Sacerdote prima dell'Angelo": S. Francesco d'Assisi.

Santità del Sacerdote: Sancti estote, quia ego sanctus sum: Lev.11,44-45.- Estote perfecti, sicut et Pater vester coelestis perfectus est: Mt 5,48. - In omni conversatione sancti sitis:1Pt 1,16.- Voluntas Dei sanctificatio vestra:1Thes.4,3.- Tu, o homo Dei, sectare justitiam, pietatem, fidem, caritatem, patientiam, mansuetudinem:1Tim.6,11.- Professio Clericorum vita coelestis. - Sanctitas una nos efficit quales vocatio divina exposcit: homines videlicet mundo crucifixos et quibus mundus ipse sit crucifixus: S. Pius X.

Vita di imitazione e unione con Gesù e Maria: Manete in Me: et ego in vobis: Ioan 15,4. Manete in dilectione mea: Ioan 15,9.- Si quis in Me non manserit mittetur foras... et arescet: Ioan 15,6 - Si quis Spiritum Christi non habet, hic non est eius: Rom.8,6.- Quicumque baptizati estis Christum induistis: Gal 3,27.- Hoc sentite in vobis quod et in Christo Iesu: Philip.2,5.- Christus... vita vestra: Colos 3,4.- Summum igitur studium nostrum sit in vita Iesu Christi meditari: Im. Chr.l.1.c.1.- Memor esto arrepti propositi e imaginem tibi propone Crucifixi... Qui se intente et devote in sanctissima vita et passione Domini exercet, omnia utilia et necessaria sibi abundanter inveniet: nec opus estut extra Iesum aliquid melius quaerat. O si Iesus Chrucifixus in cor nostrum veniret!: Im.Chr.l.1,c. 25.- "Quodcumque dixerit vobis, facite": Ioan 2,5- "Ecce ancilla Domini. Fiat mihi secundum verbum tuum": Luc 1,38.- "Magnificat...": Luc 1,46.
Spirito di orazione: Oportet semper orare et non deficere: Luc 18,1.- Horrendum est diem sine oratione transigere.- Servemus cor sursum ne putrescat in terra. Vere novit vivere qui recte novit orare: S. Aug.- Haec duo sunt sacerdotis opera: ut aut a Deo discat, legendo Scripturas divinas et saepius meditando: aut populum doceat quae ipse a Deo didicerit non ex proprio corde vel humano sensu: Orig. - Aliorum est servire Deo: nostrum est adhaerere: S.I.Chrys.- Cadentem genam pagina sancta suscipiat: S.Hier.- Attende studiose, rite, pie, religiose divinas laudes celebrare: non mente vaga, non vagis oculis, non indecenti corporis statu: Conc.Mediol. IV.- Nihil aliud dum psallitis, quam quod psallitis cogitate: S.Bonav.

Apostolato, frutto di vita interiore: Ego elegi vos, et posui vos ut eatis, et fructum afferatis: Ioan 15,16.- Qui manet in Me et ego in eo, hic fert fructum multum: quia sine Me nihil potestis facere: Ioan 15,5.- Quanta luce in quella parabola della vite e dei tralci!... I miei sforzi da soli non valgono nulla, assolutamente nulla: ma saranno utili e benedetti da Dio unicamente se, per mezzo d'una vera vita interiore, io li unisco costantemente all'azione vivificante di Gesù: Chautard.- "Omnia possum in Eo qui me confortat": Phil 4.13.

Buon esempio: Vos estis sal terrae... vos estis lux mundi... luceat lux vestra coram hominibus: et videant opera vestra bona et glorificent patrem vestrum: Matth 5,13-16. - Quidquid feceris, id sibi omnes faciendum putant: S.Hier. ad Eliod.- Non solum corrigetis orbem sancte recteque vivendo; sed etiam glorificare Deum ex vestra conversatione facietis: quemadmodum si contraria gesseritis, et homines perdetis, et nomen Dei blashemiis offendetis: S.I.Crys.- Cum pastor per abrupta graditur, consequens est ut grex in praecipitio feratur: S.Greg.M.-  Mores loquentis cogunt, non verba: Menander.- Non temere dico, sed ut affectus sum et sentio: non arbitror, inter sacerdotes, multos esse qui salvi fiant, sed multo plures qui pereant: quia quod alii peccant sacerdoti imputatur: S.I.Crys.- Omni cui multum datum est, multum quaeretur ab eo: Luc 12,48.
*
Vita boni sacerdotis crux est et dux paradisi. Incoeptum est: retro abire non licet, nec oportet. Eia, fratres, pergamus simul: Iesus erit nobiscum. Propter Iesum suscepimus hanc crucem, propter Iesum perseveremus in cruce. Erit adiutor noster, qui est dux noster et praecessor: Im.Chr. l 3, c.56.- Doce me, Domine, terrena despicere, praesentia fastidire, aeterna quaerere, coelestia sapere, honores fugere, scandala sufferre, omnem spem in te ponere, extra te nihil cupere, et super omnia Te ardenter amare. Ibid.c.44.
*
O Sacerdos, quis es tu? Non es a te, quia de nihilo; non es ad te, quia mediator ad Deum; non es tibi, quia sponsus Ecclesiae; non es tui, quia servus omnium; non es tu, quia Deus es. Quid ergo es? Nihil et omnia. O Sacerdos!
<< Mamma Celeste guariscimi nel corpo e nell’anima >>

AMDG et DVM
AVE MARIA PURISSIMA!

martedì 4 giugno 2019

SORPRENDENTE: «Se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo: ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio».

   LA CATECHESI DI BENEDETTO XVI:

      IL MAGNIFICAT


Siamo giunti ormai all’approdo finale del lungo itinerario cominciato proprio cinque anni fa dal mio amato Predecessore, l’indimenticabile Papa Giovanni Paolo II. Il grande Papa, infatti, aveva voluto percorrere nelle sue catechesi l’intera sequenza dei Salmi e dei Cantici che costituiscono il tessuto orante fondamentale della Liturgia delle Lodi e dei Vespri.


   Pervenuti ormai alla fine di questo pellegrinaggio testuale, simile a un viaggio nel giardino fiorito della lode, dell’invocazione, della preghiera e della contemplazione, lasciamo ora spazio a quel Cantico che idealmente suggella ogni celebrazione dei Vespri, il Magnificat (Lc 1,46-55).

È un canto che rivela in filigrana la spiritualità degli anawim biblici, ossia di quei fedeli che si riconoscevano «poveri» non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potere, ma anche nell’umiltà profonda del cuore, spoglio dalla tentazione dell’orgoglio, aperto all’irruzione della grazia divina salvatrice. Tutto il Magnificat è, infatti, marcato da questa «umiltà», in greco tapeinosis, che indica una situazione di concreta umiltà e povertà.

Celebrare la grazia

Il primo movimento del cantico mariano (cf Lc 1,46-50) è una sorta di voce solista che si leva verso il cielo per raggiungere il Signore.
   Si noti, infatti, il risuonare costante della prima persona: «L’anima mia... il mio spirito... mio salvatore... mi chiameranno beata... grandi cose ha fatto in me...».
   L’anima della preghiera è, quindi, la celebrazione della grazia divina che ha fatto irruzione nel cuore e nell’esistenza di Maria, rendendola la Madre del Signore. Sentiamo proprio la voce della Madonna che parla così del suo Salvatore, che ha fatto grandi cose nella sua anima e nel suo corpo.

L’intima struttura del suo canto orante è, allora, la lode, il ringraziamento, la gioia riconoscente. Ma questa testimonianza personale non è solitaria e intimistica, puramente individualistica, perché la Vergine Madre è consapevole di avere una missione da compiere per l’umanità e la sua vicenda si inserisce all’interno della storia della salvezza. E così può dire: «Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (v. 50). La Madonna con questa lode al Signore dà voce a tutte le creature redente, che nel suo «Fiat», e così nella figura di Gesù nato dalla Vergine, trovano la misericordia di Dio.


Dalla parte degli umili

È a questo punto che si svolge il secondo movimento poetico e spirituale del Magnificat (cf vv. 51-55). Esso ha una tonalità più corale, quasi che alla voce di Maria si associ quella dell’intera comunità dei fedeli che celebrano le scelte sorprendenti di Dio.
   Nell’originale greco del Vangelo di Luca abbiamo sette verbi all’aoristo, che indicano altrettante azioni che il Signore compie in modo permanente nella storia: «Ha spiegato la potenza... ha disperso i superbi... ha rovesciato i potenti... ha innalzato gli umili... ha ricolmato di beni gli affamati... ha rimandato i ricchi... ha soccorso Israele».
   In questo settenario di opere divine è evidente lo «stile» a cui il Signore della storia ispira il suo comportamento: egli si schiera dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare «i superbi, i potenti e i ricchi».
   Eppure la sua forza segreta è destinata alla fine a svelarsi, per mostrare chi sono i veri prediletti di Dio: «Coloro che lo temono», fedeli alla sua parola; «gli umili, gli affamati, Israele suo servo», ossia la comunità del popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono «poveri», puri e semplici di cuore. È quel «piccolo gregge» che è invitato a non temere perché al Padre è piaciuto dare ad esso il suo regno (cf Lc 12,32).
   E così questo canto ci invita ad associarci a questo piccolo gregge, ad essere realmente membri del Popolo di Dio nella purezza e nella semplicità del cuore, nell’amore di Dio.


Tutti generano Cristo

Raccogliamo, allora, l’invito che nel suo commento al testo del Magnificat ci rivolge Sant’Ambrogio. Dice il grande Dottore della Chiesa:

   «Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio; se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio...
   L’anima di Maria magnifica il Signore, e il suo spirito esulta in Dio, perché, consacrata con l’anima e con lo spirito al Padre e al Figlio, essa adora con devoto affetto un solo Dio, dal quale tutto proviene, e un solo Signore, in virtù del quale esistono tutte le cose» (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 2,26-27: SAEMO, XI, Milano-Roma 1978, p. 169).

In questo meraviglioso commento del Magnificat di Sant’Ambrogio mi tocca sempre particolarmente la parola sorprendente:
«Se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo: ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio».
     Così il santo Dottore, interpretando le parole della Madonna stessa, ci invita a far sì che nella nostra anima e nella nostra vita il Signore trovi una dimora.  

     Non dobbiamo solo portarlo nel cuore, ma dobbiamo portarlo al mondo, cosicché anche noi possiamo generare Cristo per i nostri tempi.
  
     Preghiamo il Signore perché ci aiuti a magnificarlo con lo spirito e l’anima di Maria e a portare di nuovo Cristo al nostro mondo.


        Benedetto XVI
L’Osservatore Romano, 15-02-2006

AMDG et DVM 

sabato 24 febbraio 2018

Raccogliamo l'invito che nel suo commento al testo del Magnificat ci rivolge sant'Ambrogio...


Madonna del Magnificat
Botticelli

  LA CATECHESI DI BENEDETTO XVI
Roma, 15-02-2006

      IL MAGNIFICAT

Siamo giunti ormai all’approdo finale del lungo itinerario cominciato proprio cinque anni fa dal mio amato Predecessore, l’indimenticabile Papa Giovanni Paolo II. Il grande Papa, infatti, aveva voluto percorrere nelle sue catechesi l’intera sequenza dei Salmi e dei Cantici che costituiscono il tessuto orante fondamentale della Liturgia delle Lodi e dei Vespri.

Pervenuti ormai alla fine di questo pellegrinaggio testuale, simile a un viaggio nel giardino fiorito della lode, dell’invocazione, della preghiera e della contemplazione, lasciamo ora spazio a quel Cantico che idealmente suggella ogni celebrazione dei Vespri, il Magnificat (Lc 1,46-55).
È un canto che rivela in filigrana la spiritualità degli anawim biblici, ossia di quei fedeli che si riconoscevano «poveri» non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potere, ma anche nell’umiltà profonda del cuore, spoglio dalla tentazione dell’orgoglio, aperto all’irruzione della grazia divina salvatrice. Tutto il Magnificat è, infatti, marcato da questa «umiltà», in greco tapeinosis, che indica una situazione di concreta umiltà e povertà.

Celebrare la grazia

Il primo movimento del cantico mariano (cf Lc 1,46-50) è una sorta di voce solista che si leva verso il cielo per raggiungere il Signore.
Si noti, infatti, il risuonare costante della prima persona: «L’anima mia... il mio spirito... mio salvatore... mi chiameranno beata... grandi cose ha fatto in me...».
L’anima della preghiera è, quindi, la celebrazione della grazia divina che ha fatto irruzione nel cuore e nell’esistenza di Maria, rendendola la Madre del Signore. Sentiamo proprio la voce della Madonna che parla così del suo Salvatore, che ha fatto grandi cose nella sua anima e nel suo corpo.
L’intima struttura del suo canto orante è, allora, la lode, il ringraziamento, la gioia riconoscente. Ma questa testimonianza personale non è solitaria e intimistica, puramente individualistica, perché la Vergine Madre è consapevole di avere una missione da compiere per l’umanità e la sua vicenda si inserisce all’interno della storia della salvezza. E così può dire: «Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (v. 50). La Madonna con questa lode al Signore dà voce a tutte le creature redente, che nel suo «Fiat», e così nella figura di Gesù nato dalla Vergine, trovano la misericordia di Dio.

Dalla parte degli umili

È a questo punto che si svolge il secondo movimento poetico e spirituale del Magnificat (cf vv. 51-55). Esso ha una tonalità più corale, quasi che alla voce di Maria si associ quella dell’intera comunità dei fedeli che celebrano le scelte sorprendenti di Dio.

Nell’originale greco del Vangelo di Luca abbiamo sette verbi all’aoristo, che indicano altrettante azioni che il Signore compie in modo permanente nella storia: «Ha spiegato la potenza... ha disperso i superbi... ha rovesciato i potenti... ha innalzato gli umili... ha ricolmato di beni gli affamati... ha rimandato i ricchi... ha soccorso Israele».
In questo settenario di opere divine è evidente lo «stile» a cui il Signore della storia ispira il suo comportamento: egli si schiera dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare «i superbi, i potenti e i ricchi».

Eppure la sua forza segreta è destinata alla fine a svelarsi, per mostrare chi sono i veri prediletti di Dio: «Coloro che lo temono», fedeli alla sua parola; «gli umili, gli affamati, Israele suo servo», ossia la comunità del popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono «poveri», puri e semplici di cuore. È quel «piccolo gregge» che è invitato a non temere perché al Padre è piaciuto dare ad esso il suo regno (cf Lc 12,32).
E così questo canto ci invita ad associarci a questo piccolo gregge, ad essere realmente membri del Popolo di Dio nella purezza e nella semplicità del cuore, nell’amore di Dio.

Tutti generano Cristo

Raccogliamo, allora, l’invito che nel suo commento al testo del Magnificat ci rivolge Sant’Ambrogio. Dice il grande Dottore della Chiesa:
«Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio; se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio...
L’anima di Maria magnifica il Signore, e il suo spirito esulta in Dio, perché, consacrata con l’anima e con lo spirito al Padre e al Figlio, essa adora con devoto affetto un solo Dio, dal quale tutto proviene, e un solo Signore, in virtù del quale esistono tutte le cose» (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 2,26-27: SAEMO, XI, Milano-Roma 1978, p. 169).
In questo meraviglioso commento del Magnificat di Sant’Ambrogio mi tocca sempre particolarmente la parola sorprendente:
«Se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo: ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio».
Così il santo Dottore, interpretando le parole della Madonna stessa, ci invita a far sì che nella nostra anima e nella nostra vita il Signore trovi una dimora. Non dobbiamo solo portarlo nel cuore, ma dobbiamo portarlo al mondo, cosicché anche noi possiamo generare Cristo per i nostri tempi. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a magnificarlo con lo spirito e l’anima di Maria e a portare di nuovo Cristo al nostro mondo.


                                      
 IMMAGINI:
© Annunciazione, Jan Janssens, Museum voor Schone Kunsten, Gent. / Con l’annuncio dell’angelo a Maria, si compie la visita di Dio alla Vergine di Nazaret. Questo è il momento in cui l’umile ancella viene innalzata sopra tutte le creature.
 © Visitazione, Mariotto Albertinelli (1503), Galleria degli Uffizi, Firenze./ La maternità divina di Maria è l’origine dei suoi privilegi e della sua esemplarità per tutti i credenti.
 
Maria col Bambino




AVE MARIA PURISSIMA!

giovedì 27 luglio 2017

UNA BELLISSIMA OMELIA


L' OMELIA DEL PAPA BENEDETTO XVI SULL'ASSUNTA: STRAORDINARIA!

La festa dell’Assunta è un giorno di gioia. Dio ha vinto. L’amore ha vinto. Ha vinto la vita. Si è mostrato che l’amore è più forte della morte. Che Dio ha la vera forza e la sua forza è bontà e amore.

Maria è assunta in cielo in corpo e anima: anche per il corpo c’è posto in Dio. Il cielo non è più per noi una sfera molto lontana e sconosciuta. Nel cielo abbiamo una madre. E la Madre di Dio, la Madre del Figlio di Dio, è la nostra Madre. Egli stesso lo ha detto. Ne ha fatto la nostra Madre, quando ha detto al discepolo e a tutti noi: “Ecco la tua Madre!” Nel cielo abbiamo una Madre. Il cielo è aperto, il cielo ha un cuore.

Nel Vangelo abbiamo sentito il Magnificat, questa grande poesia venuta dalle labbra, anzi dal cuore di Maria, ispirata dallo Spirito Santo. In questo canto meraviglioso si riflette tutta l’anima, tutta la personalità di Maria. Possiamo dire che questo suo canto è un ritratto, una vera icona di Maria, nella quale possiamo vederla proprio così com'è. Vorrei rilevare solo due punti di questo grande canto. Esso comincia con la parola “Magnificat”: la mia anima “magnifica” il Signore, cioè “proclama grande” il Signore. Maria desidera che Dio sia grande nel mondo, sia grande nella sua vita, sia presente tra tutti noi. Non ha paura che Dio possa essere un “concorrente” nella nostra vita, che possa toglierci qualcosa della nostra libertà, del nostro spazio vitale con la sua grandezza. Ella sa che, se Dio è grande, anche noi siamo grandi. La nostra vita non viene oppressa, ma viene elevata e allargata: proprio allora diventa grande nello splendore di Dio.

Il fatto che i nostri progenitori pensassero il contrario fu il nucleo del peccato originale. Temevano che, se Dio fosse stato troppo grande, avrebbe tolto qualcosa alla loro vita. Pensavano di dover accantonare Dio per avere spazio per loro stessi. Questa è stata anche la grande tentazione dell’epoca moderna, degli ultimi tre-quattro secoli.

Sempre più si è pensato ed anche si è detto: “Ma questo Dio non ci lascia la nostra libertà, rende stretto lo spazio della nostra vita con tutti i suoi comandamenti. Dio deve dunque scomparire; vogliamo essere autonomi, indipendenti. Senza questo Dio noi stessi saremo dei, facendo quel che vogliamo noi". 

Era questo il pensiero anche del figlio prodigo, il quale non capì che, proprio per il fatto di essere nella casa del padre, era “libero”. Andò via in paesi lontani e consumò la sostanza della sua vita. Alla fine capì che, proprio per essersi allontanato dal padre, invece che libero, era divenuto schiavo; capì che solo ritornando alla casa del padre avrebbe potuto essere libero davvero, in tutta la bellezza della vita. 

E’ così anche nell’epoca moderna. Prima si pensava e si credeva che, accantonando Dio ed essendo noi autonomi, seguendo solo le nostre idee, la nostra volontà, saremmo divenuti realmente liberi, potendo fare quanto volevamo senza che nessun altro potesse darci alcun ordine. Ma dove scompare Dio, l’uomo non diventa più grande; perde anzi la dignità divina, perde lo splendore di Dio sul suo volto. Alla fine risulta solo il prodotto di un’evoluzione cieca e, come tale, può essere usato e abusato. E' proprio quanto l'esperienza di questa nostra epoca ha confermato.

Solo se Dio è grande, anche l’uomo è grande. Con Maria dobbiamo cominciare a capire che è così. Non dobbiamo allontanarci da Dio, ma rendere presente Dio; far sì che Egli sia grande nella nostra vita; così anche noi diventiamo divini; tutto lo splendore della dignità divina è allora nostro. 

Applichiamo questo alla nostra vita. E’ importante che Dio sia grande tra di noi, nella vita pubblica e nella vita privata. 
Nella vita pubblica, è importante che Dio sia presente, ad esempio, mediante la Croce negli edifici pubblici, che Dio sia presente nella nostra vita comune, perché solo se Dio è presente abbiamo un orientamento, una strada comune; altrimenti i contrasti diventano inconciliabili, non essendoci più il riconoscimento della comune dignità.

Rendiamo Dio grande nella vita pubblica e nella vita privata. Ciò vuol dire fare spazio ogni giorno a Dio nella nostra vita, cominciando dal mattino con la preghiera, e poi dando tempo a Dio, dando la domenica a Dio. Non perdiamo il nostro tempo libero se lo offriamo a Dio. Se Dio entra nel nostro tempo, tutto il tempo diventa più grande, più ampio, più ricco.

Una seconda osservazione. 
Questa poesia di Maria - il Magnificat – è tutta originale; tuttavia è, nello stesso tempo, un “tessuto” fatto totalmente di “fili” dell’Antico Testamento, fatto di parola di Dio. E così vediamo che Maria era, per così dire, “a casa” nella parola di Dio, viveva della parola di Dio, era penetrata dalla parola di Dio. 
Nella misura in cui parlava con le parole di Dio, pensava con le parole di Dio, i suoi pensieri erano i pensieri di Dio, le sue parole le parole di Dio. 
Era penetrata dalla luce divina e perciò era così splendida, così buona, così raggiante di amore e di bontà. 
Maria vive della parola di Dio, è pervasa dalla parola di Dio. E questo essere immersa nella parola di Dio, questo essere totalmente familiare con la parola di Dio le dà poi anche la luce interiore della sapienza. Chi pensa con Dio pensa bene, e chi parla con Dio parla bene. Ha criteri di giudizio validi per tutte le cose del mondo. Diventa sapiente, saggio e, nello stesso tempo, buono; diventa anche forte e coraggioso, con la forza di Dio che resiste al male e promuove il bene nel mondo.

E, così, Maria parla con noi, parla a noi, ci invita a conoscere la parola di Dio, ad amare la parola di Dio, a vivere con la parola di Dio, a pensare con la parola di Dio. 
E possiamo farlo in diversissimi modi: leggendo la Sacra Scrittura, soprattutto partecipando alla Liturgia, nella quale nel corso dell’anno la Santa Chiesa ci apre dinanzi tutto il libro della Sacra Scrittura. Lo apre alla nostra vita e lo rende presente nella nostra vita. Ma penso anche al “Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica”, che recentemente abbiamo pubblicato, nel quale la parola di Dio è applicata alla nostra vita, interpreta la realtà della nostra vita, ci aiuta ad entrare nel grande “tempio” della parola di Dio, ad imparare ad amarla e ad essere, come Maria, penetrati da questa parola. 
Così la vita diventa luminosa e abbiamo il criterio in base al quale giudicare, riceviamo bontà e forza nello stesso momento.

Maria è assunta in corpo e anima nella gloria del cielo e con Dio e in Dio è regina del cielo e della terra. E’ forse così lontana da noi? E' vero il contrario. Proprio perché è con Dio e in Dio, è vicinissima ad ognuno di noi. Quando era in terra poteva essere vicina solo ad alcune persone. Essendo in Dio, che è vicino a noi, anzi che è “interiore” a noi tutti, Maria partecipa a questa vicinanza di Dio. Essendo in Dio e con Dio, è vicina ad ognuno di noi, conosce il nostro cuore, può sentire le nostre preghiere, può aiutarci con la sua bontà materna e ci è data – come è detto dal Signore – proprio come “madre”, alla quale possiamo rivolgerci in ogni momento. 
Ella ci ascolta sempre, ci è sempre vicina, ed essendo Madre del Figlio, partecipa del potere del Figlio, della sua bontà. Possiamo sempre affidare tutta la nostra vita a questa Madre, che non è lontana da nessuno di noi.

BENEDETTO XVI
15 agosto 2005
AVE MARIA
SIS MECUM SEMPER
ET OMNIA QUAE FACIAM PROTEGE ET SANCTIFICA

venerdì 28 aprile 2017

IL PIU' BEL CANTICO

 MAGNIFICAT


È un vero guaio, tante volte, gettarsi nella critica letteraria, pur tanto necessaria quanto deleteria, quando mette in dubbio cose ovvie. Sì, è vero che alcuni, pochi a dire il vero, ed insignificanti manoscritti attribuiscono il Magnificat ad Elisabetta, ma quando si legge il testo si comprende immediatamente che se l’unico locutore nella scena della Visitazione fosse Elisabetta, tutto l’episodio risulterebbe assurdo.


È vero che Maria nel racconto precedente ha fatto scena muta, ma verso la fine, dopo due accenni alla sua capacità di riflettere, ha pronunciato parole cariche di senso: “Ecco, io sono la serva del Signore, si compia in me quanto hai detto”. Maria si è sentita tutta di Dio, totalmente abbandonata al suo Signore. E qui, invece, si vorrebbe che Maria restasse muta, dopo le tante parole di Elisabetta e dopo aver sentito tante lodi rivolte a Lei per quello che il Signore ha operato in Lei? È assurdo. È più che logico che trasformi le cose udite in canto, inserendosi nella storia del suo popolo. Anna, la madre di Samuele, dopo aver ricevuto un figlio dal Signore ha intonato un canto (1 Sam 2,1-30). Debora, la profetessa, dopo la vittoria su Sisara, cantò al Signore (Gdc 4,5). Lo stesso fece il popolo dopo la traversata del Mar Rosso (Es 15). Lasciamo dunque cantare anche Maria, che non stona affatto, anzi, il suo canto di sapore veterotestamentario si inserisce assai bene in tutta la storia innica del suo popolo.

Elisabetta l’ha appena dichiarata “Beata” e Maria scoppia in un inno di lode: “L’anima mia magnifica il Signore...”. Sembra di vederla con le mani tese verso l’alto; guarda il cielo e scruta le profondità di Dio, e il suo canto si fa rivelazione di Dio per noi. Maria, cantando, ci parla di Dio, si fa catechista di Dio, ci educa al senso di Dio e si fa nostra voce nel lodare Dio.

Il Magnificat è un canto composto da quindici frasi, undici hanno un verbo che ha come soggetto Dio e subito appare chi è Dio per Maria e insegna chi è Dio per noi: è il Signore, l’Onnipotente, il Santo, il Misericordioso, Colui che è fedele, il Salvatore. Sono tutte definizioni che ci fanno sentire Dio presente nella nostra storia. Perciò ascoltiamo Maria.


***

“L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore. Ha guardato l’umiltà della sua serva, d’ora in poi tutti mi diranno Beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, Santo è il suo nome”.

Dio è il Signore. Con la parola Signore si traducono quelle quattro consonanti ebraiche che esprimono il nome con cui Dio si è rivelato a Mosè che tanti traducono con: “Colui che è”. Una definizione che piace ai filosofi perché dà l’idea della staticità, dell’immutabilità ma che non ci sembra aderente al pensare biblico. Preferiamo tradurre con: “Colui che fa esistere”. In questa definizione cogliamo l’esperienza di un popolo che sente Dio all’inizio della sua esistenza, inserito nella sua storia, pronto a entrare in alleanza con loro. Anche Maria lo sperimenta così: come Colui che trasforma la sua esistenza. Essa lo contempla e lo percepisce in tutta la sua sovranità e ne ha già sperimentato e ne sperimenta tutta la potenza.
Per questo lo riconosce come l’Onnipotente e dice: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”, un titolo che risale ai Padri. Così l’hanno sperimentato Abramo, Isacco e Giacobbe quando Dio ha stretto con loro un’alleanza carica di promesse, quando è entrato nella loro vita per iniziare una storia di salvezza estesa a tutti gli uomini ed esprimevano questo titolo con immagini che fanno anche sorridere. Osservando il cielo dicevano a Dio che “tutto è opera delle sue dita”. Dio è così Onnipotente che gli è bastato un dito per creare tutte la cose. Quando però parlano di salvezza, allora dicono, come fa Maria, che “ha spiegato la potenza del suo braccio”, una frase che viene dai Salmi e dal libro dell’Esodo e che dice qualcosa alla nostra vita: quando Dio ci libera dal peccato e ci salva, deve mettere in azione tutta la sua onnipotenza, perché deve vincere anche le nostre ribelli volontà.
Ma torniamo alla Bibbia. Quando il popolo, e con esso Maria, percepiscono Dio in tutta la sua potenza, lo percepiscono anche come il “tutt’Altro”, come “il Santo”. Gli antichi dicevano: “Santo e terribile è il suo Nome”. Maria addolcisce: “Santo è il suo nome”. Dice così perché la grazia, l’immacolatezza, la santità che sente in sé non è opera sua. È Dio, il Santo, che le ha comunicato la sua santità e noi in Maria scopriamo che Dio ci chiama a essere partecipi della sua santità.
Diceva San Paolo: “Ci ha scelti per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità” (Ef 1,4) e nel Battesimo “ci ha lavati, santificati, resi giusti” (1 Cor 6,11), Per questo San Pietro dice ai cristiani: “A immagine del Santo che vi ha scelti, siate santi anche voi” (1 Pt 1,15). La volontà di Dio è la nostra santificazione, Egli vuole, come a Maria, comunicarci la sua santità.
***“Di generazione in generazione la sua misericordia si estende su quelli che lo temono”.
Maria, contemplandolo come il Santo, non lo vede separato dal mondo degli uomini e anche noi lo possiamo costatare quando vediamo gente impegnata nel bene e in una vita onesta. È il Santo che agisce nella nostra vita. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Poiché Dio è il Santo può perdonare all’uomo che davanti a lui si riconosce peccatore: «Non darò sfogo alla mia ira perché sono Dio e non un uomo, sono il Santo in mezzo a voi»” (Os 11,9). Dio agisce così perché “è Misericordioso e fedele”. Maria dice: “Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia” (1,54).
Anticamente Dio stesso parlando con Mosè si era definito: “Dio misericordioso e fedele, lento all’ira e grande nell’amore”. Il concetto di Misericordia e di Fedeltà è strettamente legato a quello di “Alleanza”. Per mantenere la sua fedeltà all’uomo con cui vuole entrare in Alleanza, Dio dev’essere Misericordioso. L’uomo infatti può trovarsi in difficoltà e può cadere nell’infedeltà. Solo la misericordia, la fedeltà, la bontà, la compassione di Dio può farsi perdono, riconciliazione, salvezza. Per questo il Dio dei Padri, con la sua misericordia che attraversa i secoli, si rivela come il Dio “Salvatore”.
Anticamente si parlava anche di salvezza materiale, ma poi si è capito che si necessitava di una salvezza piena e totale, di una salvezza che è liberazione dalla radicalità stessa del male, perché è perdono, riconciliazione con i fratelli, dono di pace fatta di vicendevole aiuto e amore. Dice Dio per mezzo di Geremia: “Io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò più del loro peccato… porrò la mia legge nel loro cuore”. (Ger 31,33ss). E per mezzo di Ezechiele: “Vi libererò da tutte le vostra iniquità, vi purificherò, sarete il mio popolo e io il vostro Dio”. (Ez 36).
Ecco Dio è la mia salvezza. E Maria dice: “Il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore” (Ez 1,47). Anche Maria, la piena di grazia, chiama Dio “mio Salvatore”. Si sente una salvata. Essa sa che la sua adesione totale a Dio è inizio della definitiva salvezza; che Dio potrà definitivamente rivelarsi come il Salvatore dell’umanità intera. E nel suo canto lo contempla che irrompe nella storia per distruggere il male.
***
Dice:
 “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.
Sono frasi che ci fanno sentire la grande rivoluzione di Dio. La compie senza spargimento di sangue, perché tutto tende a una totale riconciliazione. Comunque, Egli non sopporta i superbi nei pensieri del loro cuore; detesta i potenti che abusano del loro potere, aborrisce i ricchi che disprezzano i poveri. Egli non tollera queste distinzioni sociali, perché vuole che tutti vivano da fratelli, ma non vuole distruggere e annientare i superbi, i potenti e i ricchi: li vuole convertire; vuole togliere la superbia dal loro cuore e mettervi l’amore; vuole che la potenza e il potere siano veramente al servizio degli umili; vuole che i sazi riempiano di beni la mensa degli affamati.
Questo cerca Dio. Solo chi non si converte, sarà condannato, spazzato via, ma finché c’è storia Dio agisce a salvezza per tutti. E Dio, per rifare la storia umana, fatta di peccato e di sangue, indica la strada dimostrandosi come colui che preferisce gli umili, i poveri; come colui che è dalla parte degli schiantati dai potenti, dalla parte degli emarginati.
In questo senso il canto del Magnificat è una profezia di come Gesù rivelerà con il suo agire l’agire del Padre. Gesù, il Figlio di Dio, non solo è nato tra i poveri, ma è anche vissuto da povero ed ha cercato i poveri, gli umili. In linea con il canto di Maria, Gesù si presenta a Nazaret e dice: “Lo Spirito del Signore è su di me... Mi ha mandato ad annunziare il Lieto Annuncio ai poveri..., a mettere in libertà gli oppressi...” (Lc 4,14-20).

Per fare questo si avvicina anche ai ricchi, a coloro che si sentono sazi e dice: “Date in elemosina quello che avete nel piatto” (Lc 11,41). E nel Vangelo scorgiamo un ricco che dà la metà dei suoi beni ai poveri e restituisce quel che ha rubato dando quattro volte tanto. E Gesù dice che la salvezza è entrata nella sua casa (Lc 19,1-10). Un’altra volta, mentre è a pranzo, vede gente che corre a prendere i primi posti... e dice loro: “chi si esalta sarà umiliato”.
La salvezza cantata da Maria ha come base la liberazione dal peccato e, quando si dice peccato, si dice rottura di relazione tra l’uomo e Dio e degli uomini tra loro”. Imprimiamola bene nella mente questa definizione di peccato: “Rottura di relazione con Dio e con gli uomini miei fratelli”. “Rottura” perché il peccato è sempre ricerca di sé e chiusura a Dio e agli altri. Ebbene Dio, come ci ha insegnato Maria, vuole abolire queste rotture e costruire comunione, vuole confondere i superbi e quelli che si credono superiori agli altri, perché scendano dai loro troni e mettano la loro autorità a servizio della gente. Gesù è venuto per servire, e quando risorto appare pieno di potere in cielo e in terra, mette subito la sua autorità a servizio: “Sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo”. Egli, ne è simbolo l’Eucaristia, ci invita alla sua mensa, perché vuole che tutti ci sentiamo partecipi dello stesso pane, che tutti ci sentiamo in comunione con gli altri.
L’insegnamento è chiaro: la rivoluzione di Dio cantata da Maria indica il progetto di Dio sull’umanità: costruire una comunità di fratelli perché la parola d’ordine è unica: “fare comunione”.

***“Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia. Come aveva promesso ai nostri Padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre”.
È la conclusione più logica del Magnificat. Tutta la storia di Israele, di solito infedele a Dio, è un atto di “misericordia”. Non c’era altro mezzo per mantenere le promesse fatte ai Padri e alla loro discendenza. Sia Maria però, sia la comunità cristiana sa che Dio è andato oltre questa storia antica e in Gesù, suo Figlio, ha portato a compimento in modo perfetto tutte le promesse, perché Gesù è il vero compimento di tutta la Legge e di tutti i profeti.


Preghiamo
Come è stato bello, o Maria, ascoltare il tuo canto. Sei una vera catechista di Dio, ce lo hai presentato come un Padre colmo di misericordia e di amore, ce lo hai fatto sentire vicino, accanto a noi in ogni situazione e ci hai insegnato a lodarlo. O Maria, invoca su di noi il dono dello Spirito Santo che ci aiuti a sentire le cose belle che facIciamo e che sono in noi come opera sua e a scorgerlo operante nella storia. Donaci quel sentimento profondo che ci aiuti a colloquiare con il Padre, e il Figlio e lo Spirito in una vera preghiera, fatta di lode, di ringraziamento e di adorazione. Allora riusciremo a sentire che non siamo soli perché Essi non ci abbandonano mai. Amen!
                                                                                    
Mario Galizzi SDB


IMMAGINI:1-2  © Elledici / P. Favaro / L’esultanza del canto del Magnificat di Maria, nasce dalla sua appartenenza totale a Dio. La fede l’ha condotta ad abbandonarsi totalmente al Signore, per questo è capace di gioia e di giubilo. La Vergine Maria, Marc Chagall, Zurigo / È la semplicità e umiltà di Maria che la erge al di sopra di tutte le creature. Lei non ha mai ospitato nel suo cuore la possibilità di rifiutare Dio. Il dubbio non ha attraversato la sua esistenza. Il dubbio, non il dolore. © Elledici / P. Favaro / Maria prega e canta. In lei la preghiera si fa canto perché è capace di vedere la magnificenza di Dio nella creazione e nella storia. © Elledici / N. Musio / Mediante la preghiera Maria scopre di appartenere a pieno titolo alla storia del suo popolo. Storia nella quale lei ha ora un ruolo di eccezionale importanza.

AVE MARIA PURISSIMA!