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Profilo di sant’Alberto Magno


Sant’Alberto Magno nacque verso il 1206 a Lauingen, sul Danubio, in diocesi di Augusta, da famiglia militare al servizio di Federico II.
Venuto in Italia per compiere gli studi, fu prima a Bologna (1222), poi a Venezia, infine a Padova dove conobbe il beato Giordano e decise, contro la volontà dei genitori, di entrare nell’Ordine: probabilmente nel 1223. Ritornato in Germania, nel 1228 lo troviamo docente di teologia a Colonia. Ha inizio la sua carriera di professore: Hildeshein, Friburgo, Ratisbona, Strasburgo. Maestro in teologia (1244), tenne per quattro anni la cattedra di teologia all’Università di Parigi, fino a quando fu destinato a Colonia per fondarvi uno Studium generale, di cui assunse la direzione (1248-52): tra gli allievi ebbe Tommaso d’Aquino.
Provinciale di Teutonia dal 1254 al 1257, fu a Roma (1256) per patrocinare la causa degli Ordini Mendicanti. Vani furono gli interventi del Maestro Generale, il venerabile Umberto di Romans, per evitargli l’episcopato: nel 1260 Alberto era nominato vescovo di Ratisbona. Riorganizzata rapidamente la diocesi, implorò da Roma la dispensa dalla gravosa carica: Urbano IV gliela concedette contro un altro onere, affidandogli cioè la predicazione della Crociata nei paesi di lingua tedesca (1263-64).
Strasburgo, Lione (dove prese parte al Concilio del 1274), forse Parigi, infine Colonia furono gli ultimi soggiorni di un’esistenza estremamente operosa. La sua salma riposa nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea, a Colonia.
Fu beatificato da Gregorio XV nel 1622; Pio XI nel 1931 lo proclamò santo e dottore della Chiesa e Pio XII lo dichiarò patrono dei cultori delle scienze naturali (1941).
Dell’ideale domenicano Alberto rappresenta forse, insieme a Tommaso, la personificazione più completa. In lui è l’ansia di distruggere l’errore affrontandolo e prevenendolo, lo sforzo geniale per unificare in sintesi armonica tutto lo scibile e di assimilare le conquiste del pensiero pagano. Lo studio è concepito come culto della Verità, come pratica ascetica, come perfezione umana; esso gli consente quella visione sapienziale della realtà, che affiora ad ogni pagina della sua immensa opera scientifica, filosofica e teologica (di qui il titolo di doctor universalis).
Insieme a quattro confratelli Alberto redige la magna charta degli studi nell’Ordine e la sua scuola sarà la scaturigine di due filoni auriferi: la corrente mistica agostiniana, con Ulrico di Strasburgo (discepolo prediletto di Alberto) e la corrente aristotelico-tomista, con Tommaso d’Aquino.

Alberto viene conquistato dalla predicazione del b. Giordano di Sassonia

Predicando un giorno a Padova, dove ha sede un’importante università, Maestro Giordano (primo successore di San Domenico alla guida dell’Ordine) ricevette nell’Ordine un giovane tedesco, di famiglia nobile e di condotta esemplare. Il suo maestro e i suoi compagni, sentendo che si voleva far frate, lo chiusero diabolicamente in camera con un’avvenente ragazza, sperando in tal modo dì distoglierlo dal suo proposito. Ma Cristo vinse in lui e lo spinse con ancor più convinzione ad entrare nell’Ordine. Anzi, in un secondo tempo riuscì a farvi entrare anche il suo maestro.
Ma suo padre, ch’era potente e ricco e non aveva altri figli che lui, avendo udito della sua entrata nell’Ordine, turbato fino a morirne, venne in Lombardia con un seguito numeroso, proponendosi fermamente o di riavere il figlio o di uccidere Maestro Giordano.
Un giorno, venendo a cavallo coi suoi per una strada, si incontrò proprio col Maestro Giordano; ma, non conoscendolo, gli chiese urlando e pieno d’ira dove fosse il Maestro. Ma questi, ricordandosi di Gesù, che aveva detto ai Giudei ”Sono io”, rispose sereno e tranquillo: “Il Maestro Giordano sono io”.
Egli allora da quella sua risposta così sincera capì la virtù di quel santo uomo e, scendendo da cavallo gli si gettò umilmente ai piedi, confessandogli il delitto che aveva avuto intenzione di commettere. Ed aggiunse: “Di mio figlio ora non mi preoccupo più e ti prometto che, prima di tornare nella mia patria, andrò insieme al mio seguito al di là del mare per servire il Signore”. E mantenne la promessa, insieme ai suoi quasi cento cavalieri.
(Cfr. Vitae fratrum, n.126).

Nota 1: il Beato Giordano scrive alla beata Diana degli Andalò (monaca domenicana, il cui nonno diede a San Domenico la terra per costruire il convento dei domenicani in Bologna) come andò quella predicazione:
“Già da lungo tempo predicavo agli studenti di Padova, e vedendo poco, anzi quasi nessun frutto, preso dalla tristezza stavo pensando di ritornarmene. Ed ecco che improvvisamente il Signore si è degnato di scuotere il cuore di molti, infondendo la sua grazia… Già dieci sono entrati, tra essi vi sono due figli di grandi conti tedeschi, dei quali uno era gran preposito ed aveva varie dignità e molte ricchezze. L’altro invece aveva molte rendite ed era veramente nobile di stirpe e di animo”.
Quanto all’Università, vi fu fondata proprio in quel 1222, a seguito delle turbolenze sorte in quella di Bologna, e che vi provocarono un esodo dì maestri e di scolari.

Nota 2: Una tentazione analoga a quella di Alberto la subirà anche S. Tommaso d’Aquino, quando i suoi fratelli, per impedirgli di farsi Domenicano, lo rinchiusero nel castello di Roccasecca e gli mandarono nella prigione una donna per tentarlo.

Un frate molto famoso e che rivestì nell’Ordine posti eminenti, quando ancora ragazzo studiava a Padova, mosso dalle esortazioni dei frati e soprattutto dalle prediche di Maestro Giordano, aveva più volte manifestato il desiderio, ma non ancora definitivo, di entrare nell’Ordine. Ma un suo zio materno lo contrastava, fino al punto che gli aveva fatto giurare di non andar più per un certo tempo alla casa dei frati. Scaduto quel tempo, egli però riprese a frequentare i frati e si rinsaldò nel suo proposito, anche se ancora lo tratteneva il timore di non riuscire a perseverare
Una notte gli parve in sogno di essere già entrato nell’Ordine e poi, dopo un po’ di tempo, di esserne uscito. Per cui, svegliandosi, fu molto contento di non esservi ancora entrato, e disse a se stesso: “Ora so che ciò che temevo mi sarebbe veramente successo, se fossi entrato”. Gli capitò però quello stesso giorno che, essendo andato ad una predica di Maestro Giordano, lo udì dire fra le altre cose a proposito delle tentazioni cui sottilmente il diavolo ricorre per ingannare alcuni: “Ci sono di quelli che si propongono di abbandonare il mondo e di entrare nell’Ordine; ma il diavolo li fa sognare di essere entrati e poi dopo poco di esserne usciti, di andare a cavallo o di essere vestiti di rosso, di godere di certi piaceri da soli o in compagnia, incutendo così in loro, se ancora non sono entrati, il timore di non poter perseverare, o se sono già entrati, turbandoli e spingendoli ad uscirne”.
Molto meravigliato per quel discorso, finita la predica quel giovane andò da lui e gli chiese: “Maestro, ma chi vi ha rivelato quello che passava per la mia mente?” e gli espose i suoi timori precedenti e gli raccontò il sogno. Il Maestro allora ne prese motivo per esortarlo a confidare in Dio e a superare simili tentazioni. Ed egli rinsaldato nel suo proposito dalle parole di lui, senza più alcuna esitazione entrò nell’Ordine.
Questo lo raccontò più volte quel frate in persona.
(Cfr. Vitae fratrum, n. 239).

Nota: Il protagonista di questo episodio, S. Alberto Magno, era ancora in vita quando il Frachet scriveva la sua cronaca. Ecco perché, per delicatezza, non ne fa il nome. Ma la sua identità è certa. Lo stesso Maestro Giordano allude a lui quando in una lettera da Padova alla beata Diana degli Andalò parla di due giovani, figli di conti tedeschi, entrati nell’Ordine a seguito della sua predicazione.

Il tedesco fra Alberto riferì che, quand’egli era priore Provinciale di Germania, fu accolto nell’Ordine un novizio di scarsa cultura e di età insufficiente, ma che suppliva con molta pietà e con altre doti a questi difetti. I frati si divertivano per scherzo a spaventarlo, dicendogli che il Provinciale lo avrebbe espulso dall’Ordine. Ed egli viveva nel terrore che questo avvenisse.
Accadde che nella notte della festa della Purificazione venisse letto il Vangelo che racconta del timore di Simeone di non poter vedere il Messia. Dopo il mattutino si prostrò in preghiera con straordinaria devozione e, scoppiando in lacrime, cominciò ad applicare a se stesso quel brano del Vangelo, dicendo: “O Signore Gesù, pensi che io ti vedrò, pensi che io resterò nell’Ordine?”. E ripeté più volte questa domanda con accoramento. Udì allora una voce che gli diceva:”Tu mi vedrai e persevererai in codesto Ordine”.
(Cfr. Vitae fratrum, n. 282)

(Da questo giorno iniziamo la trascrizione del racconto dei Bollandisti. L’italiano è quello della traduzione nella nostra lingua fatta nel 1881. Alcune forme sono certamente arcaiche, ma hanno il loro fascino. Per questo abbiamo pensato di non ritoccarle se non marginalmente).

(continua)