giovedì 11 ottobre 2012

LETTERA APOSTOLICA IN FORMA DI MOTU PROPRIO PORTA FIDEI DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI CON LA QUALE SI INDICE L'ANNO DELLA FEDE


LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI MOTU PROPRIO
PORTA FIDEI
DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO XVI
CON LA QUALE SI INDICE L'ANNO DELLA FEDE


1. La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette
l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia
quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita.
Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6, 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il
nome di Padre, e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della
risurrezione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella
sua stessa gloria quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). Professare la fede nella Trinità – Padre,
Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8): il Padre,
che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel
mistero della sua morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la
Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore.


2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di
riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed
il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo. Nell’Omelia della santa Messa per l’inizio
del pontificato dicevo: “La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono
mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso
l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” [1]. Capita
ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali,
culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto
ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso
viene perfino negato [2]. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale
unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati,
oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi
di fede che ha toccato molte persone.

3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-
16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al
pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente,
zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di
Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti
sono suoi discepoli (cfr Gv 6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri
giorni con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che
rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso
anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28).
Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha
mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza.

4. Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre
2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella
solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013. Nella data
dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della
Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato Papa Giovanni Paolo II [3],
allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede. Questo documento,
autentico frutto del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del
1985 come strumento al servizio della catechesi [4] e venne realizzato mediante la
collaborazione di tutto l’Episcopato della Chiesa cattolica. E proprio l’Assemblea Generale del
Sinodo dei Vescovi è stata da me convocata, nel mese di ottobre del 2012, sul tema de La
nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Sarà quella un’occasione
propizia per introdurre l’intera compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e
riscoperta della fede. Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare un Anno della
fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di Dio Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per
fare memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della
loro testimonianza suprema. Lo pensò come un momento solenne perché in tutta la Chiesa vi
fosse “un'autentica e sincera professione della medesima fede”; egli, inoltre, volle che questa
venisse confermata in maniera “individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed
esteriore, umile e franca” [5]. Pensava che in tal modo la Chiesa intera potesse riprendere
“esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per
confessarla” [6]. I grandi sconvolgimenti che si verificarono in quell’Anno, resero ancora più
evidente la necessità di una simile celebrazione. Essa si concluse con la Professione i fede del
Popolo di Dio [7], per attestare quanto i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il
patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in
maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato.


5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide questo Anno come una “conseguenza
ed esigenza postconciliare” [8], ben cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto
riguardo alla professione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far
iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del
Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in
eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il
loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che
vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all'interno
della Tradizione della Chiesa … Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la
grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura
bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre” [9]. Io pure intendo ribadire con
forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a
Successore di Pietro: “se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può
essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della
Chiesa” [10].


6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei
credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far
risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella
Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo, innocente, senza
macchia» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare
i peccati del popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò
santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della
penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni
del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signore fino a che
egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con
pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e
per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a
che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce” [11].
L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al
Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha
rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante
la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo
ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte,
perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi
possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma
tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera
disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono
lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa
vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio
di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20- 29; 2Cor 5,17).


7. “Caritas Christi urget nos” (2Cor 5,14): è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci
spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per
proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù
Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa
affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche
oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione
per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Nella
quotidiana riscoperta del suo amore attinge forza e vigore l’impegno missionario dei credenti
che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un
amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende
fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace
di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del
Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti, attesta sant’Agostino,
“si fortificano credendo” [12]. Il santo Vescovo di Ippona aveva buone ragioni per esprimersi
in questo modo. Come sappiamo, la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede
fino a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio [13]. I suoi numerosi scritti, nei quali
vengono spiegate l’importanza del credere e la verità della fede, permangono fino ai nostri
giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in
ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla “porta della fede”.
Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità per possedere
certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un
amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio.


8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si
uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare
memoria del dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in maniera degna e
feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a
rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un
momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo. Avremo
l’opportunità di confessare la fede nel Signore Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di
tutto il mondo; nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte
l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le
comunità religiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove,
troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione del Credo.

9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in
pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia
anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia,
che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta
la sua energia” [14]. Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti
cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e
pregata [15], e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve
fare proprio, soprattutto in questo Anno.
Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a memoria il Credo. Questo
serviva loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il
Battesimo. Con parole dense di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in un’Omelia
sulla redditio symboli, la consegna del Credo, dice: “Il simbolo del santo mistero che avete
ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con
saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi
dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente,
lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e
anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore” [16].

10. Vorrei, a questo punto, delineare un percorso che aiuti a comprendere in modo più
profondo non solo i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di
affidarci totalmente a Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si
crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare
all’interno di questa realtà quando scrive: “Con il cuore … si crede … e con la bocca si fa la
professione di fede” (Rm 10,10). Il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è
dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo.
L’esempio di Lidia è quanto mai eloquente in proposito. Racconta san Luca che Paolo, mentre
si trovava a Filippi, andò di sabato per annunciare il Vangelo ad alcune donne; tra esse vi era
Lidia e il “Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At 16,14). Il senso
racchiuso nell’espressione è importante. San Luca insegna che la conoscenza dei contenuti da
credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla
grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato
annunciato è la Parola di Dio.
Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un
impegno pubblici. Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. La fede è
decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce alla
comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché è atto della libertà, esige
anche la responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra
con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la
propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica
la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa.
La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario. E’ la Chiesa,
infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il
Battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come
attesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: “«Io credo»; è la fede della Chiesa professata
personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. «Noi crediamo» è la
fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o più generalmente,
dall’assemblea liturgica dei fedeli. «Io credo»: è anche la Chiesa nostra Madre, che risponde a
Dio con la sua fede e che ci insegna a dire «Io credo», «Noi crediamo»” [17].
Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio
assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto
dalla Chiesa. La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da
Dio. L’assenso che viene prestato implica quindi che, quando si crede, si accetta liberamente
tutto il mistero della fede, perché garante della sua verità è Dio stesso che si rivela e permette
di conoscere il suo mistero di amore [18].
D’altra parte, non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur
non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso
ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico
“preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La
stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre”
[19]. Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano,
a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto
incontro [20]. Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza.


11. Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare
nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce
uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica Fidei
depositum, non a caso firmata nella ricorrenza del trentesimo anniversario dell’apertura del
Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II scriveva: “Questo Catechismo apporterà un
contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita ecclesiale… Io lo
riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e
come una norma sicura per l’insegnamento della fede” [21].
E’ proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la
riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della
Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di
insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia.
Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno
attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la
Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti
nella loro vita di fede.
Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta lo sviluppo della fede
fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto
viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa. Alla
professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è
presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la
professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la
testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita
morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera.


12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolica potrà essere un vero
strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei
cristiani, così determinante nel nostro contesto culturale. A tale scopo, ho invitato la
Congregazione per la Dottrina della Fede, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa
Sede, a redigere una Nota, con cui offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere quest’Anno della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell’evangelizzare.
La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che
provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze
razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai
avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto
perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità [22].


13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede
il mistero insondabile dell’intreccio tra santità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande
apporto che uomini e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della comunità con la
testimonianza della loro vita, il secondo deve provocare in ognuno una sincera e permanente
opera di conversione per sperimentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro.
In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la
porta a compimento” (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore
umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del
perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto
trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con
noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e
risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi
duemila anni della nostra storia di salvezza.
Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta
Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il
suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr
Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la
verginità (cfr Lc 2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo
dalla persecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua
predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i
frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo
trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4).
Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28). Credettero
alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr
Lc 11,20). Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento,
lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi
discepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo
il mandato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore,
annunciarono a tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni.
Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno all’insegnamento degli
Apostoli, nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quanto
possedevano per sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr At 2,42-47).
Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva
trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei
propri persecutori.
Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere
in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del
Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore
della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione
dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19).
Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro
della vita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove
venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella
professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati.
Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra
esistenza e nella storia.


14. L’Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della
carità. Ricorda san Paolo: “Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la
carità. Ma la più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13,13). Con parole ancora più forti - che da
sempre impegnano i cristiani - l’apostolo Giacomo affermava: “A che serve, fratelli miei, se
uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o
una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro:
«Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a
che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al
contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le
opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede»” (Gc 2,14-18).
La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia
costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di
attuare il suo cammino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore a chi è
solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da
sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo
riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. “Tutto quello che
avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40): queste
sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con
cui Egli si prende cura di noi. E’ la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso
amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita.
Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi
cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13; cfr Ap 21,1).


15. Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo Paolo chiede al discepolo Timoteo di
“cercare la fede” (cfr 2Tm 2,22) con la stessa costanza di quando era ragazzo (cfr 2Tm 3,15).
Sentiamo questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede. Essa
è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio
compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna
ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cui il
mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella
mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al
desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine.
“La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere
sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per
guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. Le parole dell’apostolo
Pietro gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora
dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla
prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a
vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo
visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre
raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt 1,6-9). La vita dei cristiani
conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la
solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre
vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di
comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24),
sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora che
sono forte” (2Cor 12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha sconfitto il
male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui: Egli, presente in mezzo a noi,
vince il potere del maligno (cfr Lc 11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia,
permane in Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre.
Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45), questo tempo di grazia.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011, settimo di Pontificato.

Benedetto XVI


[1] Omelia per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma (24 aprile 2005): AAS
97(2005), 710.
[2] Cfr BENEDETTO XVI, Omelia S. Messa al Terreiro do Paço, Lisbona (11 maggio 2010):
Insegnamenti VI,1(2010), 673.
[3] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994),
113-118.
[4] Cfr Rapporto finale del Secondo Sinodo Straordinario dei Vescovi (7 dicembre 1985), II,
B, a, 4: in Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1797.
[5] PAOLO VI, Esort. ap. Petrum et Paulum Apostolos, nel XIX centenario del martirio dei
Santi Apostoli Pietro e Paolo (22 febbraio 1967): AAS 59(1967), 196.
[6] Ibid., 198.
[7] PAOLO VI, Solenne Professione di fede, Omelia per la Concelebrazione nel XIX
centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a conclusione dell’ “Anno della
fede” (30 giugno 1968): AAS 60(1968), 433-445.
[8] ID., Udienza Generale (14 giugno 1967): Insegnamenti V(1967), 801.
[9] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 57: AAS
93(2001), 308.
[10] Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98(2006), 52.
[11] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.
[12] De utilitate credendi, 1,2.
[13] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, I,1.
[14] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.
[15] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994),
116.
[16] Sermo 215,1.
[17] Catechismo della Chiesa Cattolica, 167.
[18] Cfr CONC. ECUM. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III: DS
3008-3009; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 5.
[19] BENEDETTO XVI, Discorso al Collège des Bernardins, Parigi (12 settembre 2008):
AAS 100(2008), 722.
[20] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, XIII, 1.
[21] GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994),
115 e 117.
[22] Cfr ID., Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 34 e106: AAS 91(1999), 31-32,
86-87.
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