Statua posta sopra l'altare maggiore
della chiesa del Gesù Vecchio
[foto Elisabetta Nardi]
Grande fu a Napoli, nel Settecento, il contributo di S. Alfonso de’ Liguori e, nella prima metà dell’Ottocento, quello del venerabile don Placido Baccher (Napoli 5 aprile 1781-10 ottobre 1851).
Quest’ultimo, durante la repubblica partenopea, ebbe esiliato il padre, fucilati due fratelli ed egli stesso, imprigionato in Castel Capuano in attesa di condanna, in giorno di sabato fu riconosciuto innocente e liberato. Egli il giorno precedente con fede viva aveva così pregato: «Domani è sabato; questo giorno non mi può arrecare sventura, perché è il giorno della Madonna, giorno della divina misericordia» (3).
La sera, mentre egli si assopiva recitando il Rosario, gli apparve la Madonna, che gli disse: «Confida, figliuolo; domani sarai liberato da questo orrido carcere. Tu poi dovrai essere mio; e sarai chiamato in una delle principali chiese di Napoli a zelare le glorie del mio immacolato concepimento» (4)
Grato al Signore e alla Vergine, Placido Baccher abbracciò la vita clericale e il 31 maggio 1806 fu ordinato sacerdote nella Basilica di Santa Restituta. Collaborando con D. Pignataro, rettore della chiesa di S. Tommaso d’Aquino, promosse intensamente una cosciente partecipazione ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia, l’adorazione frequente del Cristo eucaristico, la devozione all’Immacolata e un’intensa attività evangelizzatrice e caritativa.
Nominato ben presto rettore della chiesa del Santissimo Salvatore, detta del Gesù Vecchio, egli, dopo essersi consigliato col suo confessore, il barnabita Francesco Saverio Bianchi, poi canonizzato, accettò l’incarico e subito si mise all’opera per sistemare questa artistica chiesa che con la soppressione della Compagnia di Gesù era passata al Demanio e adibita a teatro, ad aula magna dell’Università e, per diversi anni, persino abbandonata. A sue spese don Placido riparò il tetto e la cupola, acquistò suppellettili ed arredi sacri, riportò all’antico splendore marmi e bronzi, e fece costruire un organo idoneo per rendere più solenni le funzioni liturgiche.
Don Placido volle porre nelle mani della Madonna e del Bambino la corona del Rosario, e ai piedi della Vergine, sul globo, simbolo del mondo, un gruppo di teste di angeli; a destra e a sinistra due angeli recanti nelle mani un giglio e una stella; e ancora a destra uno specchio e a sinistra una rosa quasi a richiamare le litanie lauretane.
Malgrado tutto, don Placido soleva dire che la chiesa gli sembrava una casa senza padrona e una reggia senza regina. Fece perciò modellare dall’artista napoletano Nicola Ingaldi la Madonnina, come gli era apparsa durante la sua prigionia in Castel Capuano. La statua è di proporzioni ridotte, è parte in creta e parte in legno; le sue vesti sono di lino ingessato e inargentato; sul manto, sulla veste e sopravveste sono dipinti fiori, stelle e frange dorate. La Madonnina sorregge sul braccio sinistro il Bambino, mentre col piede schiaccia la testa del serpente.
La Madonnina fu collocata su un trono composto di colonne e cornici di legno indorato e ghirlandato di lauro, con in alto, a rilievo, le persone della Santissima Trinità. Vi si accede con due rampe di scale in marmo, sulle quali si adagiano due angeli sostenenti candelabri di bronzo dorato.
A questo punto va menzionata una data storica di grande importanza per la devozione dell’Immacolata a Napoli. Leone XII, a chiusura dell’anno giubilare del 1825, concesse all’Archidiocesi partenopea di celebrarlo ancora per tutto il 1826. Don Placido promosse ed ottenne dal Capitolo Vaticano che la Madonnina fosse incoronata il 30 dicembre 1826 dal card. Luigi Ruffo di Scilla, arcivescovo di Napoli.
La celebrazione fu solennissima e vi presenziò il re Francesco II con la regina Elisabetta. Incessante fu il pellegrinaggio dei fedeli e straordinaria la partecipazione ai Sacramenti. Allora don Placido scrisse al cardinale arcivescovo che la gran Signora gli aveva imposto di riferirgli queste sue parole: «Beati i sacerdoti che celebreranno al mio altare e beati i fedeli che vi faranno la comunione nel sabato seguente alla mia incoronazione» (5).
Da allora sino ad oggi nel cosiddetto Sabato privilegiato accorrono a venerare la Madonnina di don Placido innumerevoli pellegrini a confessarsi e a ricevere l’Eucaristia da Napoli e dalla Campania. All’altare maggiore si celebrano ininterrottamente sante Messe durante la notte e il giorno e vari sacerdoti e diaconi distribuiscono l’Eucaristia. Non manca mai a presenziare l’Eucaristia e a confessare il cardinale arcivescovo (6).
Il Beato Pio IX, pontefice dell’Immacolata, esule a Napoli
Pio IX, non appena ascese al soglio pontificio il 16 giugno 1846, decise di appagare il vivo desiderio dei fedeli di vedere finalmente definita come dogma la Concezione Immacolata di Maria.
Intanto, instauratasi la repubblica romana, il papa, per poter esercitare liberamente il suo ministero di pastore universale, il 20 settembre 1848 lasciò Roma e con nave passò a Gaeta, dove fu accolto dal re di Napoli Ferdinando II. Qui il 6 dicembre 1848 costituì una commissione di cardinali e di teologi per esaminare a fondo la questione della definibilità del privilegio mariano e per suggerire come procedere all’atto solenne. Non tutti furono d’accordo sulla opportunità della definizione. [Il Beato] Antonio Rosmini, pur ritenendo ammessa da tutto il popolo di Dio la Concezione Immacolata della Madre del Redentore, consigliava di non definirla subito e proponeva di interpellare i vescovi mediante un’enciclica.
Perciò il papa, il 2 febbraio 1849, trasmise ai vescovi l’enciclica Ubi primum per conoscerne il parere. La risposta fu plebiscitaria: su 665 risposte, 570 furono entusiasticamente favorevoli, qualche altra incerta sull’opportunità della definizione e 6 soltanto contrarie.
L’episcopato del Regno di Napoli aveva già avviato studi e petizioni in ordine alla proclamazione dogmatica dell’Immacolata. Il 27 novembre 1849 Ferdinando II inviava a Pio IX la petizione di 40 vescovi, esprimendo anche il suo vivo desiderio di vedere sempre crescere la devozione verso l’Immacolata nei suoi Stati (7). Il 2 dicembre ne inviava altre 16.
Il 25 dicembre del 1849 le petizioni provenienti dalle regioni meridionali al di qua del Faro, cioè dalla Calabria all’Abruzzo, erano 336, e in seguito, sempre all’epoca dell’esilio di Pio IX, superavano le 600. Nel settembre del 1849 la Conferenza plenaria dell’episcopato meridionale inviò una petizione collettiva firmata da tutti i 26 presuli partecipanti e pubblicava una lettera pastorale collettiva tendente a ottenere la proclamazione.
Pio IX, che il 2 settembre 1849 si era trasferito nella Reggia di Portici, profittando della sua permanenza in Campania (durata dal 20 settembre 1848 al 6 aprile 1850), visitò chiese e istituti religiosi, trovando ovunque affetto, gratitudine e attesa della definizione dogmatica.
Nei Diari dei cerimonieri della cattedrale di Napoli (8) troviamo un’eco di tali pellegrinaggi e visite. Così al 9 settembre 1849 si nota:
«Pio IX al Gesù Vecchio… celebra la Messa. Sale la scala che mena al trono della Madonna e vi recita le litanie. Indi chiede carta, calamaio e penna e poi scrive: "Pio IX dichiara di mettersi sotto la protezione di Maria Immacolata". Il foglio è gelosamente custodito dal rettore della Chiesa don Placido Baccher. Bacia la reliquia del sangue di S. Luigi Gonzaga, entra nella camera del rettore ed infine, da un balcone, imparte la benedizione alla folla dal grande cortile del Salvatore» (9).
Il 27 settembre 1849 Pio IX visitava il Gesù Nuovo, venerava l’Immacolata e le spoglie di S. Francesco De Geronimo, s’intratteneva con la comunità dei gesuiti in sacrestia, con altre 300 persone nell’oratorio delle dame, con molti membri delle varie Congregazioni mariane nelle loro rispettive sale (10).
In quel periodo il P.Carlo Maria Curci propose al papa la pubblicazione di una rivista a difesa della dottrina della Chiesa nei vari rami del sapere e della vita sociale. Pio IX fece sua l’idea e quasi l’impose al generale Jan Philip Roothan (1775-1853). Questi era titubante perché temeva che i gesuiti si sarebbero dovuti immischiare in questioni anche politiche, ma venne incontro alla proposta caldeggiata dal papa. Nacque così, il 5 aprile 1850, presso il Gesù Nuovo La Civiltà Cattolica, che fu stampata nel cortile di S.Sebastiano. Nel settembre successivo si fu costretti a trasferire a Roma la rivista per difficoltà sorte con la censura borbonica (11 ).
L'Obelisco dell'Immacolata inPiazza del Gesù Nuovo (Napoli) [foto Sebastiano Esposito s.j.] |
Rientrato in Vaticano, Pio IX fece approntare la bolla definitoria dell’Immacolata Concezione attraverso l’iter di 8 redazioni, che fece spostare l’accento da una dimostrazione storico-teologica alla fede attuale e alla Tradizione viva della Chiesa.
L’8 dicembre 1854 Pio IX pronunciò la solenne formula definitoria: «Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina che ritiene che la Santissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio Onnipotente, ed in vista dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di colpa originale, è stata rivelata da Dio e perciò da credersi fermamente ed inviolabilmente da tutti i fedeli» (12).
A ricordo di tale evento il papa fece elevare a Roma in Piazza di Spagna la colossale colonna, ritrovata nel 1777 in Campo Marzio. Nell’artistico monumento, secondo il disegno ideato dall’architetto Poletti e approvato da Pio IX, la colonna di marmo cipollino (dal diametro di mt 3,45) poggia su due piedistalli ottagonali sovrapposti. Quello inferiore sui quattro lati opposti offre altrettanti piedistalli, sui quali sono sedute le statue di Mosè, Isaia, Davide ed Ezechiele. Negli altri lati dell’ottagono, alternandosi con i precedenti, sono collocati bassorilievi riguardanti episodi della vita di Maria Santissima. Sui quattro lati maggiori del secondo basamento ottagonale sono fissi in bronzo gli stemmi di Pio IX e l’iscrizione riguardante la definizione del dogma mariano.
Gli altri quattro lati minori servono a formare fondo alle statue sopra menzionate. Su questo secondo basamento, all’altezza di mt 8,25, sorge la colonna, alta (compresi la base e il capitello) mt 14,27 e per un terzo del fusto ornata di lauro, in modo da collegare la parte inferiore a quella superiore senza togliere la vista della superficie. Il capitello di un vago composito allude con le sigle iniziali alla Vergine Immacolata, coi gigli alla sua purezza e con l’ulivo alla sua implorazione della pace. Su questo capitello, mediante un secondo piedistallo alto mt 2,67, sorgono i simboli degli evangelisti che sorreggono il mondo, su cui s’eleva la statua della Vergine Immacolata scolpita in bronzo da Giuseppe Obisi, alta mt 4. Il viso di Maria è rivolto al cielo per ringraziare la Santissima Trinità del privilegio che le è stato concesso ed è stato solennemente proclamato dal pontefice, e per implorare per tutti pace sulla terra (13).
Le analogie tra il monumento mariano di Roma e quello della Piazza del Gesù Nuovo di Napoli sono evidenti per cui non è da escludersi che l’idea a Pio IX sia stata ispirata dall’obelisco di Napoli da lui più volte ammirato nel suo soggiorno in Campania (14).
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Note
3. Gennaro Luisi, Il venerabile don Placido Baccher apostolo dell’Immacolata, Edizione Basilica del Gesù Vecchio, Napoli 1978, p. 15.
4. Ivi.
5.Ivi,p. 26.
6. Si ricordano ancora le parole pronunciate nel 1968 dal card. Corrado Ursi che sintetizzano bene il ruolo di Maria nella nostra vita: «Figli miei, ricordiamo sempre che l’Immacolata è connessa con la Pasqua della Chiesa. In Maria troviamo la realizzazione più bella di unione e comunione con la Santissima Trinità, per cui dobbiamo invocare l’aiuto della sua mediazione universale per ottenere quella santità necessaria ai membri della Chiesa e così poter conseguire la salvezza nella Pasqua del Cristo glorificato». Ivi, p. 26.
7. G. Russo, Documenti napoletani per la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione, in Asprenas 10 (1963) 59-92.
8. Questi Diari si trovano nell’Archivio storico della diocesi di Napoli e sono editi da: Franco Strazzullo, Diari dei cerimonieri della cattedrale di Napoli – Una fonte per la storia napoletana, Tipografia Agar, Napoli 1961.
9. Ivi, p. 181.
10. Ivi, p. 182.
11. Cf. M. Volpe S.I., I Gesuiti nel Napoletano, II, Napoli 1918, pp. 183-202; P. Pirri S.I., Giovanni Roothan, XX Generale della Compagnia di Gesù, Tipografia Macioce, Isola del Liri 1930, pp. 463-469; P. Curci, Memorie della Civiltà Cattolica, Primo Quadriennio 1850-1853, Roma 1954, pp. V-XLI.
12. Bolla Ineffabilis Deus, in Enchiridion delle Encicliche, 2, EDB, Bologna 1936, n. 761.
13. Cf. La Civiltà Cattolica, S.II, vol. 10 (1855) 400-401.
14. Il progetto approvato per l’obelisco dell’Immacolata nella Piazza del Gesù Nuovo fu quello di Giuseppe Genoino e l’esecuzione fu diretta dall’ingegnere Giuseppe Fiore e dal gesuita Filippo Amato. I lavori procedettero così spediti che già nel 1742 si commissionarono molte delle statue, provvisoriamente eseguite in stucco. Tra il 1752 e il 1753 Francesco Pagano e Matteo Bottigliero realizzarono le sculture in marmo, oltre ai vari elementi decorativi: al primo livello quattro coppie di puttini con gli emblemi dell’Immacolata; al secondo livello quattro bassorilievi con gli eventi mariani della Nascita, Assunzione, Purificazione e Concezione della Vergine; sul ballatoio quattro statue dei santi gesuiti Ignazio, Francesco Saverio, Francesco Borgia, Francesco Regis; al terzo piano altri quattro puttini; al terzo livello due medaglioni raffiguranti S.Stanislao Kostka e S.Luigi Gonzaga. Francesco Pagano nel 1758 fuse in bronzo dorato la statua dell’Immacolata, che presumibilmente solo nel 1758 fu issata sulla cima. Cf. Angela Schiattarella – Filippo Jappelli S.I., Gesù Nuovo (edizione con note), Edizioni Eidos Sas, Castellammare di Stabia 1997, pp. 105-108.
<<Cor Mariæ
Immaculatum, intercede pro nobis>>
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