Per molti o per
tutti?
Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
Nella comunità concreta di coloro che celebrano l’Eucaristia, Egli per tutti, concretamente giunge solo a “molti” che rappresentano e portano la responsabilità per “tutti”
«Le avevo promesso (La lettera è
rivolta direttamente all’Arcivescovo Robert Zollitsch, presidente della
Conferenza Episcopale Tedesca) che mi sarei espresso per iscritto riguardo a
questa importante questione (la traduzione delle parole “pro multis” nelle
Preghiere Eucaristiche della Santa Messa), al fine di prevenire una tale
divisione nel luogo più intimo della nostra preghiera. La lettera che qui, per
Suo tramite, indirizzo ai membri della Conferenza Episcopale Tedesca, sarà
inviata anche agli altri Vescovi dell’area di lingua tedesca.
Anzitutto, mi lasci spendere brevemente una parola sulle origini del problema.
Negli anni sessanta, quando bisognava tradurre in tedesco, sotto la
responsabilità dei Vescovi, il Messale Romano, esisteva un consenso esegetico
sul fatto che la parola “i molti”, “molti” in Isaia 53,11s, fosse una forma
ebraica per indicare la totalità, “tutti”. La parola “molti” nei racconti
dell’istituzione di Matteo e Marco, sarebbe stata quindi un “semitismo” e
avrebbe dovuto essere tradotta con “tutti”. Questo concetto si applicò anche al
testo latino direttamente da tradurre, in cui il “pro multis” avrebbe rimandato,
attraverso i racconti evangelici, a Isaia 53 e perciò sarebbe stato da tradurre
con “per tutti”. Questo consenso esegetico, nel frattempo, si è sgretolato;
esso non esiste più. Nella traduzione ecumenica tedesca della Sacra Scrittura,
nel racconto dell’Ultima Cena, si legge: “Questo è il mio sangue, il sangue
dell’alleanza, che è versato per molti” (Mc 14,24; Mt 26,28). Con questo si
evidenzia una cosa molto importante: la resa di “pro multis” con “per tutti”
non era affatto una semplice traduzione, bensì un’interpretazione, che
sicuramente era e rimane fondata, ma tuttavia è già un’interpretazione ed è di
più di una traduzione.
Questa fusione di traduzione e interpretazione appartiene, in un certo senso,
ai principi che, subito dopo il Concilio, guidarono la traduzione dei libri
liturgici nelle lingue moderne. Si era consapevoli di quanto la Bibbia ed i
testi liturgici fossero lontani dal mondo del parlare e del pensare dell’uomo
d’oggi, così che anche tradotti essi sarebbero rimasti ampiamente incomprensibili
ai partecipanti alla liturgia. Era un’impresa nuova che i testi sacri fossero
resi accessibili, in traduzione, ai partecipanti alla liturgia, pur rimanendo,
tuttavia, a una grande distanza dal loro mondo; anzi, in questo modo, i testi
sacri apparivano proprio nella loro grande distanza. Così, ci si sentì non solo
autorizzati, ma addirittura in obbligo di fondere già nella traduzione
l’interpretazione, e di accorciare in questo modo la strada verso gli uomini,
il cui cuore ed intelletto si voleva fossero raggiunti appunto da queste
parole.
Fino a un certo punto, il principio di una traduzione contenutistica e non
necessariamente letterale del testo di base rimane giustificato.
Dal momento che devo recitare le preghiere liturgiche continuamente in lingue diverse, noto che, talora, tra le diverse traduzioni, non è possibile trovare quasi niente in comune e che il testo unico che ne è alla base, spesso è riconoscibile soltanto da lontano. Vi sono state poi delle banalizzazioni che rappresentano delle vere perdite.
Così nel corso degli anni, anche a me personalmente, è diventato sempre più chiaro che il principio della corrispondenza non letterale, ma strutturale, come linea guida nella traduzione, ha i suoi limiti.
Dal momento che devo recitare le preghiere liturgiche continuamente in lingue diverse, noto che, talora, tra le diverse traduzioni, non è possibile trovare quasi niente in comune e che il testo unico che ne è alla base, spesso è riconoscibile soltanto da lontano. Vi sono state poi delle banalizzazioni che rappresentano delle vere perdite.
Così nel corso degli anni, anche a me personalmente, è diventato sempre più chiaro che il principio della corrispondenza non letterale, ma strutturale, come linea guida nella traduzione, ha i suoi limiti.
Seguendo considerazioni di questo genere, l’Istruzione sulle traduzioni
“Liturgiam authenticam”, emanata dalla Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti il 28 marzo 2001, ha posto di nuovo in primo piano il
principio della corrispondenza letterale, senza ovviamente prescrivere un
verbalismo unilaterale.
L’acquisizione importante che è alla base di questa Istruzione consiste nella distinzione a cui ho già accennato all’inizio, fra traduzione e interpretazione. Essa è necessaria sia nei confronti della parola della Scrittura, sia nei confronti dei testi liturgici. Da un lato, la parola sacra deve presentarsi il più possibile come essa è, anche nella sua estraneità e con le domande che porta con sé; dall’altro lato, è alla Chiesa che è affidato il compito dell’interpretazione, affinché – nei limiti della nostra attuale comprensione – ci raggiunga quel messaggio che il Signore ci ha destinato. Neppure la traduzione può sostituire l’interpretazione: rientra nella struttura della rivelazione il fatto che la Parola di Dio sia letta nella comunità interpretante della Chiesa, e che fedeltà e attualizzazione siano legate reciprocamente. La Parola deve essere presente quale essa è, nella sua propria forma, forse a noi estranea; l’interpretazione deve misurarsi con la fedeltà alla Parola stessa, ma al tempo stesso deve renderla accessibile all’ascoltatore di oggi. In questo contesto, è stato deciso dalla Santa Sede che, nella nuova traduzione del Messale, l’espressione “pro multis” debba essere tradotta come tale non insieme già interpretata. Al posto della versione interpretativa “per tutti” deve andare la semplice traduzione “per molti”.
L’acquisizione importante che è alla base di questa Istruzione consiste nella distinzione a cui ho già accennato all’inizio, fra traduzione e interpretazione. Essa è necessaria sia nei confronti della parola della Scrittura, sia nei confronti dei testi liturgici. Da un lato, la parola sacra deve presentarsi il più possibile come essa è, anche nella sua estraneità e con le domande che porta con sé; dall’altro lato, è alla Chiesa che è affidato il compito dell’interpretazione, affinché – nei limiti della nostra attuale comprensione – ci raggiunga quel messaggio che il Signore ci ha destinato. Neppure la traduzione può sostituire l’interpretazione: rientra nella struttura della rivelazione il fatto che la Parola di Dio sia letta nella comunità interpretante della Chiesa, e che fedeltà e attualizzazione siano legate reciprocamente. La Parola deve essere presente quale essa è, nella sua propria forma, forse a noi estranea; l’interpretazione deve misurarsi con la fedeltà alla Parola stessa, ma al tempo stesso deve renderla accessibile all’ascoltatore di oggi. In questo contesto, è stato deciso dalla Santa Sede che, nella nuova traduzione del Messale, l’espressione “pro multis” debba essere tradotta come tale non insieme già interpretata. Al posto della versione interpretativa “per tutti” deve andare la semplice traduzione “per molti”.
Se questa decisione è, come spero, assolutamente comprensibile alla luce della
fondamentale correlazione tra traduzione e interpretazione, sono tuttavia
consapevole che essa rappresenta una sfida enorme per tutti coloro che hanno il compito di esporre
la Parola di Dio nella Chiesa. Infatti, per coloro che abitualmente partecipano
alla Santa Messa questo appare quasi inevitabilmente come una rottura proprio
nel cuore del Sacro.
Essi chiederanno: ma Cristo non è morto per tutti? La Chiesa ha modificato la sua dottrina? E’ qui in atto una reazione che vuole distruggere l’eredità del Concilio?
Per l’esperienza degli ultimi 50 anni, tutti sappiamo quanto profondamente i cambiamenti di forme e testi liturgici colpiscono le persone nell’animo; quanto fortemente possa inquietare le persone una modifica del testo in un punto così centrale.
Essi chiederanno: ma Cristo non è morto per tutti? La Chiesa ha modificato la sua dottrina? E’ qui in atto una reazione che vuole distruggere l’eredità del Concilio?
Per l’esperienza degli ultimi 50 anni, tutti sappiamo quanto profondamente i cambiamenti di forme e testi liturgici colpiscono le persone nell’animo; quanto fortemente possa inquietare le persone una modifica del testo in un punto così centrale.
Per questo motivo, nel momento in cui, in base alla differenza tra traduzione e
interpretazione, si scelse la traduzione “molti”, si decise, al tempo stesso,
chequesta
traduzione dovesse essere preceduta, nelle singole aree linguistiche, da una
catechesi accurata, per mezzo della quale i vescovi avrebbero dovuto far
comprendere concretamente ai loro sacerdoti e, attraverso di loro, a tutti i
fedeli, di che cosa si trattasse. Il far precedere la catechesi è la condizione
essenziale per l’entrata in vigore della nuova traduzione. Per quanto ne so,
una tale catechesi finora non è stata fatta nell’area linguistica tedesca.
L’intento della mia lettera è chiedere con la più grande urgenza a Voi tutti,
cari confratelli, di elaborare ora una tale catechesi, per parlarne poi con i
sacerdoti e renderla contemporaneamente accessibile ai fedeli.
In una tale catechesi si dovrà forse, in primo luogo, spiegare brevemente
perché nella traduzione del Messale dopo il Concilio, la parola “molti” venne
resa con “tutti”: per esprimere in modo inequivocabile, nel senso voluto da
Gesù, l’universalità della salvezza che proviene da Lui. Ma poi sorge subito la
domanda: se Gesù è morto per tutti, perché nelle parole dell’Ultima Cena Egli
ha detto “per molti”? E perché allora noi ci teniamo a queste parole di
istituzione di Gesù? A questo punto bisogna anzitutto aggiungere che, secondo
Matteo e Marco, Gesù ha detto “per molti”, mentre secondo Luca e Paolo, ha
detto “per voi”. Così il cerchio apparentemente, si stringe ancora di più.
Invece, proprio partendo da questo si può andare verso la soluzione. I discepoli
sanno che la missione di Gesù va oltre loro e la loro cerchia; che Egli era
venuto per riunire da tutto il mondo i figli di Dio che erano dispersi (Gv
11,52).
Il “per voi”, rende, però, la missione di Gesù assolutamente concreta per i
presenti. Essi non sono degli elementi anonimi qualsiasi di un’enorme totalità,
bensì ogni singolo sa che il Signore è morto proprio “per me”, “per noi”. “Per
voi” si estende al passato e al futuro, si riferisce a me del tutto
personalmente; noi, che siamo qui riuniti, siamo conosciuti ed amati da Gesù in
quanto tali. Quindi questo “per voi” non è una restrizione, bensì una
concretizzazione, che vale per ogni comunità che celebra l’Eucaristia e che la
unisce concretamente all’amore di Gesù. Il Canone Romano ha unito tra loro,
nelle parole della consacrazione, le letture bibliche e, conformemente a ciò,
dice: “per voi e per molti”. Quindi la formula è stata poi ripresa, nella
riforma liturgica, in tutte le Preghiere Eucaristiche.
Ma, ancora una volta: perché “per molti”? Il Signore non è forse morto per
tutti? Il fatto che Gesù Cristo, in quanto Figlio di Dio fatto uomo, sia l’uomo
per tutti gli uomini, il nuovo Adamo, fa parte delle certezze fondamentali
della nostra fede. Su questo punto vorrei solamente ricordare tre testi della
Scrittura: Dio ha consegnato suo Figlio “per tutti”, afferma Paolo nella
Lettera ai Romani (Rm 8,32). “Uno è morto per tutti”, dice nella Seconda
Lettera ai Corinzi, parlando della morte di Gesù (2 Cor 5,14). Gesù “ha dato se
stesso in riscatto per tutti”, è scritto nella Prima Lettera a Timoteo (1 Tm
2,6). Ma allora a maggior ragione ci si deve chiedere ancora una volta: se
questo è così chiaro, perché nella Preghiera Eucaristica è scritto per molti”?
Ora, la Chiesa ha ripreso questa formulazione dai racconti dell’istituzione nel
Nuovo testamento.
Essa dice così per rispetto verso la parola di Gesù, per mantenersi fedele a Lui fin dentro la parola. Il rispetto reverenziale per la parola stessa di Gesù è la ragione della formulazione della Preghiera Eucaristica. Ma allora noi ci chiediamo: perché mai Gesù stesso ha detto così? La ragione vera e propria consiste nel fatto che, con questo, Gesù si è fatto riconoscere come il Servo di Dio di Isaia 53, ha dimostrato di essere quella figura che la parola del profeta stava aspettando.
Essa dice così per rispetto verso la parola di Gesù, per mantenersi fedele a Lui fin dentro la parola. Il rispetto reverenziale per la parola stessa di Gesù è la ragione della formulazione della Preghiera Eucaristica. Ma allora noi ci chiediamo: perché mai Gesù stesso ha detto così? La ragione vera e propria consiste nel fatto che, con questo, Gesù si è fatto riconoscere come il Servo di Dio di Isaia 53, ha dimostrato di essere quella figura che la parola del profeta stava aspettando.
Rispetto reverenziale della Chiesa per la parola di Gesù, fedeltà di Gesù alla
parola della “Scrittura”. Questa doppia fedeltà è la ragione concreta della
formulazione “per molti”. In questa catena di fedeltà reverenziale, noi ci
inseriamo con la traduzione letterale delle parole della Scrittura.
Come abbiamo visto anteriormente che il “per voi” della traduzione lucano –
paolina non restringe, ma concretizza; così ora possiamo riconoscere che la
dialettica “molti” – “tutti” ha il suo proprio significato. “Tutti” si muove
sul piano ontologico – l’essere ed operare di Gesù comprende tutta l’umanità,
il passato, il presente e il futuro. Ma di fatto, storicamente, nella comunità
concreta di coloro che celebrano l’Eucaristia, Egli giunge solo a “molti”.
Allora è possibile riconoscere un triplice significato della correlazione di “molti” e “tutti”.
Allora è possibile riconoscere un triplice significato della correlazione di “molti” e “tutti”.
- Innanzitutto, per noi, che possiamo sedere alla sua mensa, dovrebbe
significare sorpresa, gioia e gratitudine perché Egli mi ha chiamato, perché
posso stare con Lui e posso conoscerlo. “Sono grato al Signore, che per grazia
mi ha chiamato nella sua Chiesa…” (canto religioso “Fest soll mein Taibunt
immer stehen, strofa 1).
- Poi, però, in secondo luogo questo significa anche responsabilità. Come il
Signore, a modo suo, raggiunga gli altri – “tutti” – resta alla fine un mistero
suo. Senza dubbio, però, costituisce una responsabilità il fatto di essere
chiamato da Lui direttamente alla sua mensa, così che posso udire: “per voi”,
“per me”, Egli ha patito. I molti portano la responsabilità per tutti. La comunità dei molti
deve essere luce sul candelabro, città sul monte, lievito per tutti. Questa è
una vocazione che riguarda ciascuno, in modo del tutto personale. I molti, che
siamo noi, devono sostenere la responsabilità per il tutto, consapevoli della
propria missione.
- Infine, si può aggiungere un terzo aspetto. Nella società attuale abbiamo la
sensazione di non essere affatto “molti”, ma molto pochi – una piccola schiera,
che continuamente si riduce. Invece no – noi siamo “molti”: “Dopo queste cose
vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni
nazione, tribù, popolo e lingua”, dice l’Apocalisse di Giovanni (Ap 7,9) . Noi
siamo molti e rappresentiamo tutti. Così ambedue le parole “molti” e “tutti”
vanno insieme e si relazionano l’una all’altra nella responsabilità e nella
promessa.
Eccellenza, cari confratelli nell’Episcopato! Con tutto questo, ho voluto indicare le linee fondamentali di contenuto della catechesi per mezzo della quale sacerdoti e laici dovranno essere preparati il più presto possibile alla nuova traduzione.
Eccellenza, cari confratelli nell’Episcopato! Con tutto questo, ho voluto indicare le linee fondamentali di contenuto della catechesi per mezzo della quale sacerdoti e laici dovranno essere preparati il più presto possibile alla nuova traduzione.
Auspico che tutto questo possa servire, allo steso tempo, ad una più profonda
partecipazione alla Santa Eucaristia, inserendosi così nel grande compito che
ci aspetta con l’“Anno della fede”. Posso sperare che la catechesi venga
presentata presto e diventi così parte di quel rinnovamento liturgico, per il
quale il Concilio si è impegnato fin dalla sua prima sessione» [Benedetto XVI, Lettera ai membri della
Conferenza Episcopale Tedesca e a tutti i vescovi dell’area di lingua
tedesca, 14 aprile 2012].
La ragione fondamentale della scelta per “molti” è la fedeltà per le parole di Gesù dell’Ultima Cena, fedeltà di Gesù alla Scrittura. Lui che h rivelato la volontà del Padre che vuole tutti salvi, è stato fedele a Isaia 53 dicendo “per voi”, secondo Luca e Paolo, “per molti”, secondo Marco e Matteo. Benedetto XVI ha avviato un cammino di catechesi per comprendere le ragioni della scelta di Gesù. Ontologicamente egli è morto per tutti, esistenzialmente l’amore del Dio che possiede un volto umano cioè Gesù Cristo che ci ha amato sino alla fine, concretamente è morto per me, “per noi”, per i molti in rappresentanza e in rapporto per tutti. IL Padre vuole tutti salvi, non a nostra insaputa e senza la nostra accoglienza, la nostra cooperazione apostolica.
La ragione fondamentale della scelta per “molti” è la fedeltà per le parole di Gesù dell’Ultima Cena, fedeltà di Gesù alla Scrittura. Lui che h rivelato la volontà del Padre che vuole tutti salvi, è stato fedele a Isaia 53 dicendo “per voi”, secondo Luca e Paolo, “per molti”, secondo Marco e Matteo. Benedetto XVI ha avviato un cammino di catechesi per comprendere le ragioni della scelta di Gesù. Ontologicamente egli è morto per tutti, esistenzialmente l’amore del Dio che possiede un volto umano cioè Gesù Cristo che ci ha amato sino alla fine, concretamente è morto per me, “per noi”, per i molti in rappresentanza e in rapporto per tutti. IL Padre vuole tutti salvi, non a nostra insaputa e senza la nostra accoglienza, la nostra cooperazione apostolica.
<<Cor Mariæ
Immaculatum, intercede pro nobis>>
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