mercoledì 17 ottobre 2012

Domenica 29ma, Tempo ordinario, B, 21 ott. 2012: L’insensata richiesta dei figli di Zebedeo. Mt 20, 17-28; Mc 10, 32-45; Lc 18, 31-34

Giuliano di Jacopone Bandino Panciatichi XV.jpg

577.  Terzo annuncio della Passione.   Maria d’Alfeo rievoca la figura di Giuseppe.
L’insensata richiesta dei figli di Zebedeo. Mt 20, 17-28; Mc 10, 32-45; Lc 18, 31-34  
     
L’alba appena schiarisce il cielo e rende ancora difficile il cammino quando Gesù lascia Doco ancora 
dormente. Lo scalpiccio dei passi non è certo udito da alcuno, perché è cauto e perché la gente dorme ancora 
nelle case chiuse. Nessuno parla sinché sono fuori della città, nella campagna che si ridesta lentamente nella 
parca luce tutta fresca dopo il lavacro delle rugiade. 
Allora l’Iscariota dice: «Strada inutile, riposo negato. Era meglio non venire sin qui». 
«Non ci hanno trattato male quei pochi che abbiamo trovato! Hanno perso la notte per ascoltarci e per andare 
a prendere i malati delle campagne. È stato proprio bene, anzi, di essere venuti. Perché coloro che, per 
malattia o altra causa, non potevano sperare di vedere il Signore a Gerusalemme, lo hanno visto qui e sono 
stati consolati con la salute o con altre grazie. Gli altri, si sa, sono andati già alla città... È uso di noi tutti 
andarvi, sol che si possa, qualche giorno prima della festa», dice Giacomo di Alfeo dolcemente, perché egli è 
sempre mite, tutto all’opposto di Giuda di Keriot, che anche nelle ore buone è sempre violento e imperioso. 
«Appunto perché si va anche noi a Gerusalemme, era inutile venire qui. Ci avrebbero sentiti e visti là...». 
«Ma non le donne e i malati», ribatte interrompendolo Bartolomeo, in aiuto di Giacomo d’Alfeo. 
Giuda finge di non sentire e dice, come continuando il discorso: «Almeno credo che noi si vada a 
Gerusalemme, benché ora non ne sono più sicuro dopo il discorso fatto a quel pastore...». 
«E dove vuoi che si vada se non là?», chiede Pietro. 
«Mah! Non so. È tutto così irreale ciò che facciamo da qualche mese, tutto così contrario al prevedibile, al 
buon senso, alla giustizia anche, che...». 
«Ohè! Ma io ti ho visto bere del latte a Doco, eppure tu parli da ebbro! Dove le vedi le cose contrarie alla giustizia?», chiede Giacomo di Zebedeo con occhi che promettono poco bene. E rincara: «Basta di 
rimproveri al Giusto! Hai capito che basta? Non hai il diritto, tu, di rimproverarlo. Nessuno ha questo diritto, perché Egli è perfetto, e noi... Nessuno di noi lo è, e tu meno di tutti». 
«Ma sì! Se sei malato curati, ma non affliggerci con le tue querele. Se sei lunatico, là è il Maestro. Fatti 
guarire e smettila!», dice Tommaso che perde la pazienza. 

Infatti Gesù è dietro, insieme a Giuda d’Alfeo e Giovanni, e aiutano le donne che, meno use al camminare in 
penombra, fanno fatica a procedere per il sentiero non buono e anche più oscuro dei campi, perché tagliato in 
un folto uliveto. E Gesù parla fitto con le donne, estraniandosi da ciò che succede più avanti e che pure è 
sentito da chi è con Lui, perché, se le parole giungono male, il tono di esse denota che non sono parole piane, 
ma che già hanno sapore di disputa. 
I due apostoli, il Taddeo e Giovanni, si guardano... ma non parlano. Guardano Gesù e Maria. Ma Maria è 
tanto velata dal suo manto che quasi non se ne vede il volto, e Gesù sembra non aver sentito. Però, finito il 
suo discorso - parlavano di Beniamino e del suo futuro, e parlano della vedova Sara di Afec, che si è stabilita 
a Cafarnao ed è madre amorosa non soltanto dell’infante di Giscala ma anche dei piccoli figli della donna di 
Cafarnao (Meroba, vedi Vol 7 Cap 449) che, passata a seconde nozze, non amava più i figli del primo letto e 
che è morta poi «così male che veramente si è vista la mano di Dio nella sua morte», dice Salome - Gesù va 
avanti insieme con Giuda Taddeo e si unisce agli apostoli dicendo nell’andarsene: «Resta pure, Giovanni, se 
vuoi farlo. Io vado a rispondere all’inquieto e a metter pace». 
Ma Giovanni, fatti ancor pochi passi con le donne, visto che ormai il sentiero si fa più aperto e luminoso, 
raggiunge di corsa Gesù proprio mentre dice: «Rassicurati, dunque, Giuda. Nulla faremo, come nulla abbiamo mai fatto, di irreale. Anche ora non facciamo cosa contro il prevedibile. Questo è il tempo in cui è 
prevedibile che ogni vero israelita, non impedito da malattie o cause gravissime, salga al Tempio. E noi al Tempio saliamo».

«Non tutti però. Marziam ho sentito che non ci sarà. È forse malato? Per qual motivo non viene? Ti pare di poterlo sostituire col samaritano?». Il tono di Giuda è insopportabile... 

Pietro mormora: «O prudenza, incatena la lingua a me che sono uomo!», e stringe fortemente le labbra per non dire di più. I suoi occhi, un poco bovini, hanno uno sguardo che commuove, tanto sono visibili in essi lo 
sforzo che fa l’uomo per frenare il suo sdegno e l’afflizione di sentire Giuda parlare a quel modo. 
La presenza di Gesù tiene ferma ogni lingua. È solo Lui che parla, dicendo con una calma veramente divina: 
«Venite avanti un poco. Che le donne non sentano. Ho da dirvi una cosa da qualche giorno. Ve l’ho promessa nelle campagne di Tersa. 

(Vedi capitolo 575. Si tratta dell’annuncio [il terzo dopo quelli dei 
capitoli 346 e 355 del Vol 5] della Passione, ormai imminente).

 Ma volevo ci foste tutti a sentirla. Tutti voi. 
Non le donne. Lasciamole nella loro umile pace... In quello che vi dirò sarà anche la ragione per la quale 
Marziam non sarà con noi, e non tua madre, Giuda di Keriot, e non le tue figlie, Filippo, e non le discepole di 
Betlemme di Galilea con la fanciulla. Vi sono cose che non tutti possono sopportare. Io, Maestro, so cosa è 
bene per i miei discepoli e quanto essi possono o non possono sopportare. Neppur voi siete forti per 
sopportare la prova. E grazia sarebbe per voi esserne esclusi. Ma voi dovrete continuarmi e dovete sapere 
quanto siete deboli per essere in seguito misericordiosi con i deboli. Perciò voi non potete essere esclusi da 
questa tremenda prova, che vi darà la misura di ciò che siete, di ciò che siete restati dopo tre anni che siete 
con Me e di ciò che siete  divenuti  dopo tre anni che siete con Me. Siete dodici. Siete venuti a Me quasi 
contemporaneamente. Non sono i pochi giorni che vanno dal mio incontro con Giacomo, Giovanni e Andrea, 
al giorno nel quale anche tu sei stato accolto fra noi, Giuda di Keriot, né a quello che tu, Giacomo fratello 
mio, e tu, Matteo, siete venuti con Me, quelli che possano giustificare tanta differenza di formazione fra voi. 
Eravate  tutti, anche tu, dotto Bartolmai, anche voi, fratelli miei, molto informi, assolutamente informi 
rispetto a quanto è formazione nella mia dottrina. Anzi, la vostra formazione, migliore a quella di altri fra voi 
nella dottrina del vecchio Israele, vi era di ostacolo al formarvi in Me. Eppure, nessuno di voi ha percorso 
tanta strada quale sarebbe stata sufficiente a portarvi tutti ad un unico punto. Uno lo ha raggiunto, altri vi 
sono vicini, altri più lontani, altri molto indietro, altri... sì, devo dire anche questo, in luogo di venire avanti 
sono arretrati. Non vi guardate! Non cercate fra voi chi è il primo e chi è l’ultimo. Colui che, forse, si crede il 
primo ed è creduto primo, ha ancora da saggiare se stesso. Colui che si crede ultimo sta per risplendere nella 
sua formazione come una stella del cielo. Perciò, una volta di più, vi dico: non giudicate. I fatti giudicheranno con la loro evidenza. Per ora non potete capire. Ma presto, molto presto ricorderete queste mie 
parole e le capirete». 
«Quando? Ci hai promesso di dirci, di spiegarci anche perché la purificazione pasquale sarà diversa 
quest’anno, e non ce lo dici mai», si lamenta Andrea. 
«È di questo che vi ho voluto parlare. Perché tanto quelle parole che questa sono un’unica cosa, avendo radice in un’unica cosa. Noi, ecco, stiamo ascendendo a Gerusalemme per la Pasqua. E là si compiranno tutte le cose dette dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo. 

(E cioè, riguardo al Messia, sono citate e ripetute ai capitoli: 7 - 10 - 27 - 41 - 66 - 73 - 74 - 77 - 78 del Vol 1, 108 - 111 - 144 – 155 del Vol 2, 176 - 177 - 194 - 207 – 225 del Vol 3, 260 - 266 - 291 – 293 del Vol 4, 324 - 340 - 342 - 348 - 354 del Vol 5, 378 - 382 - 390 - 399 - 405 – 414 del Vol 6, 436 - 463 - 464 - 471 - 478 - 482 - 483 - 486 - 487 del Vol 7, 506 - 507 - 518 - 520 - 525 - 536 - 549 – 554 del Vol 8, 556 - 560 - 561 - 566 - 579 - 580 - 588 - 589 - 591 - 592 - 593 – 595 - 596 - 597 - 598 – 600 del presente volume,  601 - 604 – 609 del Vol 10. Sono in un certo modo riepilogate al Vol 10 Cap 625 e si ritrovano ancora ai Capp 639, 645 e 647). 

In verità, così come videro i profeti, come già è detto nell’ordine dato agli ebrei di Egitto (che è in Levitico 12, 1-14 e che riguarda la Pasqua), come fu ordinato a Mosè nel deserto, l’Agnello di Dio sta per essere immolato e il suo Sangue sta per bagnare gli stipiti dei cuori, e l’angelo di Dio passerà senza percuotere coloro che avranno su di loro, e con amore, il 
Sangue dell’Agnello immolato, che sta per essere innalzato come il serpente di prezioso metallo sulla barra trasversa, ad essere segno ai feriti dal serpente infernale, per essere salute a coloro che lo guarderanno con 
amore. Il Figlio dell’uomo, il vostro Maestro Gesù, sta per essere dato nelle mani dei principi dei sacerdoti, degli scribi e degli anziani, che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai gentili perché venga schernito. E sarà schiaffeggiato, percosso, sputacchiato, trascinato per le vie come un cencio immondo, e  poi  i  gentili,  dopo averlo flagellato e coronato di spine, lo condanneranno alla morte di croce propria dei malfattori, volendo il popolo ebreo, radunato in Gerusalemme, la sua morte al posto di quella di un ladrone, ed Egli sarà così ucciso. Ma, così come è detto nei segni delle profezie, dopo tre giorni risorgerà. Questa la prova che vi attende. Quella che mostrerà la vostra formazione. In verità vi dico, a voi tutti che vi credete tanto perfetti da sprezzare quelli che non sono d’Israele, e anche da sprezzare molti dello stesso popolo nostro, in verità vi dico che voi, mia parte eletta del gregge, preso il Pastore, sarete percossi da paura e vi 
sbanderete fuggendo, quasi che i lupi, che mi azzanneranno da ogni parte, fossero contro di voi rivolti. Ma, ve lo dico: non temete. Non vi sarà torto un capello. Basterò Io a saziare i lupi feroci...».

Gli apostoli, man mano che Gesù parla, sembrano creature sotto un grandinare di pietre. Si curvano persino, sempre più mano a mano che Gesù parla. E quando Egli termina: «E quanto vi dico è ormai imminente. Non è come le altre volte, che del tempo era davanti all’ora. Adesso l’ora è venuta. Io vado per essere dato ai miei nemici e immolato per la salute di tutti. E questo bocciolo di fiore non avrà ancora perduto i suoi petali, dopo esser fiorito, che Io sarò già morto», chi si ripara il volto con le mani e chi geme come se venisse ferito.

L’Iscariota è livido, letteralmente livido... 
Il primo a riprendersi è Tommaso, che proclama: «Questo non ti accadrà, perché noi ti difenderemo o moriremo insieme a Te, e così dimostreremo che ti avevamo raggiunto nella tua perfezione e che eravamo 
perfetti nell’amore di Te». 

Gesù lo guarda senza parlare. 
Bartolomeo, dopo un lungo silenzio meditabondo, dice: «Hai detto che sarai dato... Ma chi, chi può darti in mano ai tuoi nemici? Ciò non è detto nelle profezie. No. Non è detto. Sarebbe troppo orribile se un tuo 
amico, un tuo discepolo, un tuo seguace, anche l’ultimo di tutti, ti desse a quelli che ti odiano. No! Chi ti ha udito con amore, anche una volta sola, non può commettere questo delitto. Sono uomini, non belve, non 
satana... No, mio Signore. E neppure quelli che ti odiano potranno... Hanno paura del popolo, e il popolo sarà tutto intorno a Te!».

Gesù guarda anche Natanaele e non parla. 
Pietro e lo Zelote parlano fitto fitto fra loro. Giacomo di Zebedeo malmena, a parole, il fratello perché lo 
vede calmo, e Giovanni risponde: «È perche da tre mesi io so questo» (confidatogli dal Maestro al Vol 8 Cap 540), e due lacrime gli scendono sul volto. I figli di Alfeo parlano con Matteo, che scrolla il capo 
sconfortato.
Andrea si volge all’Iscariota: «Tu che hai tanti amici nel Tempio...». 
«Giovanni conosce lo stesso Anna», ribatte Giuda e termina: «Ma che ci vuoi fare? Che vuoi che possa parola d’uomo se così è segnato?». 
«Tu credi proprio?», domandano insieme Tommaso e Andrea. 
«No. Io non credo niente. Sono allarmi inutili. Dice bene Bartolomeo. Tutto il popolo sarà intorno a Gesù. Già lo si vede da questi che si incontrano. E sarà un trionfo. Vedrete che sarà così», dice Giuda di Keriot. 
«Ma allora perché Egli...», dice Andrea accennando a Gesù che si è fermato per attendere le donne. 
«Perché lo dice? Perché è impressionato... e perché ci vuole provare. Ma non accadrà nulla. Del resto io andrò...». 
«Oh! sì. Va’ a sentire!», supplica Andrea. 
Tacciono perché Gesù li segue di nuovo, stando fra la Madre e Maria d’Alfeo. 
Maria ha un pallido sorriso perché la cognata le mostra dei semi, presi non so dove, e le dice che vuol seminarli a Nazaret dopo la Pasqua, proprio presso la grotticella a Maria tanto cara: «Quando eri bambina io 
ti ricordo sempre con questi fiori nelle manine. Li chiamavi i fiori della tua venuta. Infatti, quando nascesti, il tuo orto ne era pieno, e quella sera, quando tutta Nazaret corse a vedere la figlia di Gioacchino, i ciuffi di 
queste stelline erano tutti un diamante per l’acqua che era scesa dal cielo e per l’ultimo raggio di sole che da ponente li colpiva, e posto che ti chiamavi “Stella”, tutti dicevano, guardando quelle tante piccole stelle 
brillanti: “I fiori si sono ornati a far festa al fior di Gioacchino e le stelle hanno lasciato il cielo per venir dalla Stella”, e sorridevano tutti, felici del presagio e della gioia di padre. E Giuseppe, il fratello del mio 
sposo, disse: “Stelle e stille. È veramente Maria!”. 

(Il nome della Madre di Gesù è molto comune tra le donne ebree del suo tempo, ha numerose interpretazioni, ma nessuna di derivazione certa. I significati di stella [Vedi Vol 1 Cap 4] e di stilla [Vedi Vol 3 Cap 198], evocanti rispettivamente la luce e il dolore [come al Vol 1 Capp 5 e 22, e al Vol 4 Cap 262], sono riconducibili ad una interpretazione di san Girolamo, cui si aggiunge, al Vol 3 Cap 168 e al Vol 4 Cap 244, un riferimento al mare. Per la radice del nome potrebbe essere illuminante la dotta osservazione dell’Iscariota al Vol 3 Cap 199. Tuttavia Gesù dice, al Vol 5 Cap 346, che “solo coloro che uniranno perfetta fede a perfetto amore giungeranno a sapere il vero significato del nome ‘Maria’, della Madre del Figlio di Dio”). Chi glielo avrebbe detto allora che la sua stella avresti dovuto divenire? Quando tornò da Gerusalemme eletto a tuo sposo! Tutta Nazaret gli voleva far festa, perché era 
grande il suo onore venuto dal Cielo e venuto dagli sponsali con te, figlia di Gioacchino e Anna, e tutti lo 
volevano a festino. Ma egli con il suo dolce ma fermo volere respinse ogni festa, stupendo tutti, perché quale 
è quell’uomo, destinato a onorevoli nozze e con tal decreto dell’Altissimo, che non festeggi la sua felicità 
d’anima e di carne e sangue? Ma egli diceva: “A grande elezione grande preparazione”. E con continenza 
anche di parole e di cibo, ché ogni altra continenza era sempre stata in lui, passò quel tempo lavorando e 
pregando, perché credo che ogni colpo di martello, ogni segno di scalpello divenisse orazione, se orare si può 
col lavoro. Il suo viso era come estatico. Io andavo a riordinare la casa, imbiancare lenzuoli e ogni altro 
lasciati da tua madre e divenuti gialli nel tempo, e lo guardavo mentre lavorava nell’orto e nella casa a rifarli
belli come mai fossero rimasti in abbandono, e gli parlavo anche... ma era come assorto. Sorrideva. Ma non a 
me o ad altri, ad un suo pensiero che non era, no,  il  pensiero  di  ogni  uomo prossimo a nozze. Quello è 
sorriso di letizia maliziosa e carnale... Lui... pareva sorridesse agli invisibili angeli di Dio, e con essi parlasse 
e si consigliasse... Oh! che io ne sono certa che essi lo istruissero sul come trattare te! Perché dopo, altro 
stupore di tutta Nazaret, e quasi sdegno del mio Alfeo, procrastinò le nozze a quanto più poté, e non si capì 
mai come d’improvviso si decidesse prima del tempo fissato. E anche quando ti si seppe madre, come stupì 
Nazaret della sua gioia assorta!... Ma anche il mio Giacomo è un poco così. E sempre più lo diventa. Ora che 
lo osservo bene -  non so perché, ma da quando venimmo ad Efraim mi pare tutto nuovo - lo vedo così... 
proprio come Giuseppe. Guardalo anche ora, Maria, or che si volge di nuovo a guardarci. Non ha l’aspetto 
assorto, tanto abituale in Giuseppe, tuo sposo? Sorride di quel sorriso che non so dire se mesto o lontano. 
Guarda e ha lo sguardo lungo, oltre noi, che aveva Giuseppe tante volte. Ti ricordi come lo stuzzicava Alfeo? 
Diceva: “Fratello, vedi ancor le piramidi?”. Ed egli scoteva il capo senza parlare, paziente e segreto sui suoi 
pensieri. Poco ciarliero sempre. Ma da quando tornasti da Ebron! Neppur più veniva solo alla fontana, come 
prima faceva e come tutti fanno. O con te o al suo lavoro. E men che il sabato alla sinagoga o quando si 
recava per affari altrove, nessuno può dire di aver visto Giuseppe a zonzo in quei mesi. Poi partiste... Che 
affanno non saper più nulla di voi dopo la strage! Alfeo si spinse sino a Betlemme... “Partiti”, dissero. Ma 
come credere se vi odiavano a morte nella città dove ancora rosseggiava il sangue innocente e fumavano le 
rovine e vi si faceva accusa che per voi quel sangue era scorso? Andò a Ebron e poi al Tempio, perché 
Zaccaria aveva il suo turno. Elisabetta non gli dette che lacrime, Zaccaria parole di conforto. L’una e l’altro, 
in affanno per Giovanni, temendo nuove ferocie, l’avevano nascosto e trepidavano per lui. Di voi nulla 
sapevano, e Zaccaria disse ad Alfeo: “Se sono morti, il loro sangue è su me, perché io li persuasi a rimanere 
a Betlemme”. La mia Maria! Il mio Gesù visto così bello alla Pasqua che seguì la sua nascita! E non saperne 
nulla. Per tanto! Ma perché mai una notizia?». 
«Perché bene era tacere. Là dove eravamo, molte erano le Marie e i Giuseppe, e bene era passar per una 
coppia qualunque di sposi», risponde quieta Maria e sospira: «Ed erano, nella loro tristezza, giorni ancor 
felici. Il male era così lontano ancora! Se tanto mancava alle nostre persone umane, lo spirito si saziava della 
gioia di averti, Figlio mio!». 
«Anche ora ce l’hai, Maria, il Figlio tuo. Manca Giuseppe, è vero! Ma Gesù è qui e col suo completo amore 
di adulto», osserva Maria d’Alfeo. 
Maria alza il capo a guardare il suo Gesù. E lo strazio è nel suo sguardo anche se la bocca sorride lievemente. Ma non aggiunge parola.


Gli apostoli si sono fermati ad attenderli e si riuniscono tutti, anche Giacomo e Giovanni che erano indietro a 
tutti con la madre loro. E mentre riposano dal cammino fatto e alcuni mangiano un poco di pane, la madre di 
Giacomo e Giovanni si avvicina a Gesù e si prostra davanti a Lui che non si è neppur seduto, frettoloso di 
riprendere il cammino. 
Gesù la interroga, perché è palese in lei il desiderio di chiedere qualcosa: «Che vuoi, donna? Parla». 
«Concedimi una grazia, prima che Tu te ne vada così come dici». 
«E quale?». 
«Quella di ordinare che questi miei due figlioli, che per Te tutto hanno lasciato, seggano uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra quando Tu sarai seduto, nella tua gloria, nel tuo Regno». 
Gesù guarda la donna e poi guarda i due apostoli e dice: «Voi avete suggerito questo pensiero a vostra 
madre, interpretando molto male le mie promesse di ieri. (Pur avendo trovato la condiscendenza della madre, 
che tuttavia non riduce la responsabilità dei due figli [come si legge al Vol 2 Cap 106] per la richiesta 
insensata).  Il centuplo per ciò che avete lasciato non lo avrete in un regno della Terra. Anche voi dunque 
divenite avidi e stolti? Ma non voi. È già il crepuscolo mefitico delle tenebre che avanza e l’aria inquinata di 
Gerusalemme che si avvicina e vi corrompe e accieca... Io vi dico che voi non sapete ciò che chiedete! Potete 
voi forse bere il calice che berrò Io?». 
«Noi lo possiamo, Signore». 
«Come potete dirlo se ancor non avete compreso di quale amaritudine sarà il mio calice? Non sarà solamente 
l’amarezza che vi descrissi ieri, la mia di Uomo di tutti i dolori. Vi saranno torture che, anche se Io ve le 
descrivessi, voi non sareste in condizioni di capire... Eppure, sì, poiché - per quanto ancor come due bambini 
che non conoscono il valore di ciò che chiedono - poiché voi siete due spiriti giusti e amanti di Me, voi certo 
berrete al mio calice. Però sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a Me di concedervelo. Essa è cosa 
concessa a quelli ai quali è stato preparato dal Padre mio». 
Gli altri apostoli, mentre ancora Gesù parla, sono acerbi nel criticare la richiesta dei figli di Zebedeo e della 
loro madre. 
Pietro dice a Giovanni: «Tu poi! Non ti riconosco più per quel che eri!». 
E l’Iscariota, con il suo sorriso da demonio: «Veramente i primi sono gli ultimi! Tempo di sorprese e di 
cognizioni...», e ride verde. 
«Abbiamo forse seguito per gli onori il Maestro nostro?», rimprovera Filippo. 
Tommaso, invece che ai due, si volge a Salome dicendo: «Perché far mortificare i tuoi figli? Se non loro, tu 
dovevi riflettere e impedire questo». 
«È vero. Nostra madre non lo avrebbe fatto», dice il Taddeo. 
Bartolomeo non parla, ma il suo volto è tutto una disapprovazione. 
Simone Zelote dice, a calmare lo sdegno: «Tutti possiamo errare...». 
Matteo, Andrea e Giacomo di Alfeo non parlano, anzi visibilmente soffrono dell’incidente che incrina la bella perfezione di Giovanni. 

Gesù fa un gesto per imporre silenzio e dice: «E che? Da un errore ne verranno molti? Voi, che rimproverate indignati, non vi accorgete di peccare voi pure? Lasciate stare questi vostri fratelli. Il mio rimprovero è sufficiente. Il loro avvilimento è palese, il loro pentimento umile e sincero. Dovete amarvi fra voi, sorreggervi a vicenda. Perché, in verità, nessuno di voi è perfetto ancora. Voi non dovete imitare il mondo e gli uomini di esso. Nel mondo, voi lo sapete, i principi delle nazioni le signoreggiano e i loro grandi esercitano su di esse il potere in nome dei principi. Ma tra voi così non deve essere. Non deve essere in voi 

smania di signoreggiare sugli uomini, né sui compagni. Anzi, chi tra voi vorrà diventare maggiore si faccia vostro ministro e chi vuol essere primo si faccia servo di tutti. Così come ha fatto il Maestro vostro. Son forse venuto per opprimere e signoreggiare? Per essere servito? No, in verità, no. Io sono venuto per servire. 
E così, come il Figlio dell’uomo non è venuto ad essere servito, ma per servire e per dare la vita sua in redenzione di molti, così voi dovrete saper fare, se vorrete essere come Io sono e dove Io sono. Ora andate. E siate in pace fra voi come Io lo sono con voi». 

    

Mi dice Gesù: 

«Segna molto il punto: «“...voi certo berrete al* mio calice”. Nelle traduzioni si legge: “il mio calice”. Ho detto “al mio”, non “il mio”. Nessun uomo avrebbe potuto bere il mio calice. Io solo, Redentore, l’ho dovuto bere tutto il mio calice. Ai miei discepoli, ai miei imitatori e amanti, certo è concesso bere a quel calice dove Io bevvi, per quella stilla, quel sorso, o quei sorsi, che la predilezione di Dio concede loro di bere. Ma mai nessuno lo berrà tutto il calice come Io lo bevvi. Dunque è giusto dire “al mio calice” e non “il mio calice”».


*(L’espressione “bere il calice” sembra tradotta correttamente dal testo greco degli evangelisti Matteo e Marco; ma potrebbe essere interpretata anche come “bere al calice” se detta in aramaico, la lingua parlata da 
Gesù, nella quale non vi sarebbe distinzione di forma tra “bere il calice” e “bere al calice”).

Gesù Bambino perdonami,

Gesù Bambino benedicimi.

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