martedì 21 giugno 2016

San Luigi Gonzaga, Religioso gesuita

San Luigi Gonzaga Religioso
Nell’autunno del 1585 a Castiglione delle Stiviere e dintorni, fino a Mantova, girava una strana voce: Luigi, il nobile rampollo primogenito del signore della città Ferrante Gonzaga, così bravo e così promettente per il futuro della dinastia, stava per rinunciare al diritto di successione, in favore di Rodolfo, il secondogenito. Era vera la voce? Putroppo sì, ma molti sudditi speravano di no. E invece, un brutto giorno nel castello di San Giorgio, a Mantova, ebbe proprio luogo la solenne cerimonia della rinuncia alla primogenitura. Grande fu il dolore della popolazione semplice, che già lo stimava.
Dicevano infatti: “Non eravamo degni d’averlo per padrone... egli è un santo e Dio ce lo ha tolto”.
Grande dolore (mista a delusione e... rabbia) da parte del padre: aveva posto tutta la propria fiducia e il futuro della propria casata in quel ragazzo... che ora voleva andarsene, per inseguire i suoi strani ideali, abbandonando tutto, potere e lusso, onori e ricchezze, ambizione e gloria. Non riusciva ancora a capire, e tanto meno ad accettare. Comprensibile invece la gioia di Rodolfo, il soggetto privilegiato dalla decisione: d’improvviso e senza colpo ferire si vedeva spalancata la porta che tanto sognava: diventare marchese e signore di Castiglione delle Stiviere, con annessi diritti e connessi privilegi. E questo grazie a quello “strano” fratello, Luigi, che una volta gli rispose essere lui stesso quello più felice. Per inciso: la storia ci dirà che dopo non molti anni l’uno finirà sugli altari (fu dichiarato Beato nel 1605 dal Papa Paolo V), l’altro invece consumerà i suoi giorni scomunicato e infine assassinato.
Per la verità, si era levata anche qualche voce critica verso quella decisione. Ma Luigi aveva risposto:
“Cerco la salvezza, cercatela anche voi! Non si può servire a due padroni... È troppo difficile salvarsi per un signore di Stato!”.
E molti capirono il messaggio.
Luigi, quando prese questa decisione, aveva 17 anni. E così, il 4 novembre 1585, si incamminò verso Roma, dove sarebbe entrato nella giovane Compagnia di Gesù (i Gesuiti). Con sé portava una lettera del padre al Superiore Generale dell’Ordine:
“Lo mando a Vostra Signoria Rev.ma che gli sarà Padre più utile di me... Ella diviene padrone del più caro pegno che io abbia al mondo e della principale speranza che io avessi nella conservazione di questa mia casa”.
Questo ci dà la misura della grandissima stima e aspettative da parte di tutti, di cui godeva Luigi Gonzaga, e, date le sue doti, del brillante avvenire che tutti sognavano per lui.
Grande stima, ammirazione e aspettative lo accompagneranno in quei pochi anni che visse da gesuita.
Dopo la sua morte il padre Generale testimoniò:
“Io non pensai mai che dovesse morire di quella infermità, perché ritenevo per certo che Dio Nostro Signore l’avesse chiamato alla Compagnia di Gesù per dargli a suo tempo il governo di lei, per suo gran bene”.
Un’aspettativa non certo da poco: lo vedeva già, a suo tempo, superiore generale ovvero successore del grande Ignazio di Loyola, il fondatore stesso dei Gesuiti.


Nelle corti, per “aprire gli occhi”

Luigi nacque il 7 marzo 1568, figlio di Ferrante Gonzaga, marchese di Castiglione delle Stiviere (presso Mantova), un uomo orgoglioso e duro, dedito al gioco ma anche attaccato alla famiglia ealla fede, e da Marta di Sàntena, una contessa piemontese, donna molto buona e religiosa che lascerà una profonda influenza sul figlio. Luigi era di intelligenza brillante e aperta, dal carattere forte e focoso, talvolta ostinato e duro. Una volta fu udito affermare: “Sono un pezzo di ferro contorto che deve essere raddrizzato”. Aveva il destino già segnato: diventare marchese imperiale come il padre. E così fin da bambino fu gradualmente fatto entrare in quel mondo nobile e dorato, spesso corrotto e corruttore, dove non di rado regnava il culto dell’effimero e dell’apparenza, il tutto condito di banalità e vanità. Luigi, ancora fanciullo, conobbe la vita di corte di Firenze (1578, con i Medici) dove ebbe la possibilità di giocare con le principessine Eleonora (futura duchessa di Mantova) e con Maria de’ Medici (futura regina di Francia), a Mantova e poi anche a Madrid, alla corte di Filippo II (1582).
Fu all’età di dieci anni che Luigi, nella chiesa dell’Annunziata proprio a Firenze, si offrì a Dio, e spontaneamente “si consacrò a Maria, come Lei si era consacrata a Dio”. Capiva quello che faceva? Certamente, giudicando dalla vita che condusse dopo: intuiva bene il significato del gesto e fu sempre coerente con esso. Intanto cresceva sempre più non solo il gusto della preghiera e della meditazione ma anche una certa insofferenza per quel mondo circostante ricco e gaudente, frivolo e futile nonché, spesso, spiritualmente vuoto.
Luigi si era proposto come ideale di seguire Cristo incondizionatamente e per amore suo anche la povertà. Da Firenze passò a Mantova, e qui si ammalò. I medici gli ordinarono una dieta durissima, a pane e acqua. Luigi approfittò della situazione per imparare volontariamente a... fare penitenza, per amore a Cristo Crocifisso. Qui poi ebbe la consolazione di fare la prima comunione dalle mani del Card. Carlo Borromeo (San), in visita pastorale.
Intanto il mondo di corte gli stava sempre più stretto, ne intuiva i limiti umani e spirituali, e anche i pericoli per sé, e così a poco a poco stava maturando il proposito di rinunciare alla primogenitura. Ne parlò prima alla madre, poi dovette sopportare le burla dei parenti e la inevitabile quanto comprensibile violenta opposizione del padre. Questi era fiero di Luigi: ne voleva fare un grande erede e la fortuna del marchesato. Le premesse di intelligenza, cultura e capacità diplomatiche c’erano (cose che mancavano al fratello). Ferrante Gonzaga era furioso solo alla prospettiva della rinuncia.
Tornati da Madrid (1584) ordinò ai due figli di fare un giro di cortesia per le varie corti italiane. L’obiettivo ufficiale era “distrarre” un po’ Luigi, con un’altra vita di corte magari più brillante, e, secondo motivo nemmeno troppo segreto, la speranza che incrociasse gli sguardi e suscitasse l’interesse di qualche bella principessa di sangue blu. Il ragazzo fu quindi spedito a Mantova, a Parma, a Ferrara, a Pavia e a Torino, fresca capitale (dal 1563) dei Savoia.
Ma Luigi al ritorno, anche davanti a tutto il parentado, fu irremovibile nel suo proposito: rinuncia al marchesato per farsi religioso gesuita. A quel punto pensarono, tristemente sospirando, che la vocazione di quel ragazzo così intelligente e riflessivo, così calmo ma deciso, veniva proprio da Dio, e non era un capriccio adolescenziale. E si rassegnarono.


Il motto: “Come gli altri”, cioè senza privilegi

Luigi entrò nella Compagnia di Gesù nell’anno 1587, a Roma, dopo il noviziato. Durante questo periodo i padri Gesuiti si accorsero subito di avere tra le mani un vero gioiello spirituale. Non solo non aveva bisogno di tutti i discorsi di stampo ascetico, ma il loro problema era di moderare ed equilibrare l’ardore penitenziale che era già patrimonio spirituale del soggetto che dovevano formare. E si crearono anche situazioni al limite dell’umorismo. Luigi era così abituato alla penitenza e all’autocontrollo ascetico che i suoi formatori non trovarono di meglio che proibirgli di... fare penitenza. Con il risultato che per lui la vera penitenza era non fare penitenza.
E siccome soffriva di emicrania il padre spirituale gli consigliò di non pensare troppo intensamente a Dio, con il risultato che doveva sforzarsi maggiormente per obbedire... di non pensare a Dio, per amore di Dio. Confidava ad un suo formatore anziano:
“Veramente io non so che fare. Il padre rettore mi proibisce di fare orazione, acciò che con l’attenzione io non faccia violenza alla testa: ed io maggior forza e violenza mi fo, mentre cerco di distraèr la mente da Dio che io tenerla sempre raccolta in Dio, perché questo già per l’uso mi è quasi diventato connaturale, e vi trovo quiete e riposo e non pena”.
Dio gli era così presente che giunse a pregare: “Allontanati da me, Signore”. Non so quanti santi hanno osato pregare così, escludendo San Pietro, ma questi aveva detto le stesse parole per altri ben noti motivi.
Luigi era già impegnato negli studi di teologia quando sulla città di Roma si abbatté un’immane tragedia: prima la siccità, poi la carestia, infine un’epidemia di tifo. Nell’opera di assistenza che i Gesuiti prestarono, fu presente anche lui: sempre a fianco dei malati, specialmente i più ripugnanti e i moribondi. Girava anche per i palazzi dei nobili a chiedere l’elemosina per quei poveracci. Lo faceva seguendo, lui di sangue nobile, il motto: “Come gli altri”, dimenticando cioè tutti i privilegi. Questo coraggio e questa forza, anche fisica, sentiva che gli veniva da Dio stesso e dal Cristo che lui serviva nei sofferenti. Fino a quando raccolse un moribondo, malato di peste, e se lo caricò sulle spalle per portarlo all’ospedale. Probabilmente fu contagiato proprio in quella circostanza.
La sua fine comunque arrivò velocemente ma non inaspettatamente. All’incontro con Dio era preparatissimo e anche la morte non gli faceva paura tanto che a tutti diceva “Me ne vado felice” e alla stessa madre, nell’ultima lettera, raccomandava di non piangere il proprio figlio come morto ma come vivente e per sempre felice davanti a Dio. Il giorno della sua nascita al cielo fu il 21 giugno 1591, assistito da San Roberto Bellarmino, uno dei grandi Gesuiti della prima ora. Luigi Gonzaga fu un martire non della fede (anche se ne aveva tanta) ma della carità, fino a donare la propria vita per il prossimo
Come si vede da questi piccoli tratti, qui la stoffa del giovane santo, secondo tutti i canoni della santità cristiana, è facilmente riconoscibile e proponibile. Invece non fu così. 
Nel clima anticlericale dell’800 (e anche del primo ’900) la sua santità non solo non fu riconosciuta ma fu ostacolata. In un certo senso ha fatto testo la frase del Gioberti (1801-1852) che aveva scritto essere la santità del Gonzaga “inutile e dannosa a imitarsi”. Invece, escludendo alcuni elementi (forse un po’ esagerati) propri del suo carattere e del tempo in cui visse, i tratti salienti della sua santità hanno un grande valore e sono proponibile anche ai giovani di oggi, così bisognosi di veri e sostanziosi modelli da imitare, e non di effimeri, superficiali e piccoli “eroi” creati ad hoc dall’onnipotente circo mediatico e commerciale.

Autore: Mario Scudu


Dalla LETTERA ALLA MADRE

Io invoco su di te, mia Signora, il dono dello Spirito Santo e consolazioni senza fine. Quando mi hanno portato la tua lettera, mi trovavo ancora in questa regione di morti. Ma facciamoci animo e puntiamo le nostre aspirazioni verso il cielo dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi...
La carità consiste, come dice San Paolo, nel “rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto”. Perciò, madre illustrissima, devi gioire grandemente perché per merito tuo, Dio mi indica la vera felicità e mi libera dal timore di perderlo.
Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando le bontà divine, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto.
O illustrissima Signora, guardati dall’offendere l’infinita bontà divina, piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita.
La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza, godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità dell’anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro ed inviolabile e per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremo.
Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o illustrissima signora e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione, mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze. Ho preferito scriverti perché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro l’amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre.

PREGHIERA di Papa Giovanni Paolo II

San Luigi, povero in spirito a te con fiducia ci rivolgiamo benedicendo il Padre celeste perché in te ci ha offerto una prova eloquente del suo amore misericordioso. Umile e confidente adoratore dei disegni del Cuore divino, ti sei spogliato sin da adolescente di ogni onore mondano e di ogni terrena fortuna. Hai rivestito il cilizio della perfetta castità, hai percorso la strada dell’obbedienza, ti sei fatto povero per servire Iddio, tutto a lui offrendo per amore.
Tu, puro di cuore, rendici liberi da ogni mondana schiavitù. Non permettere che i giovani cadano vittime dell’odio e della violenza; non lasciare che essi cedano alle lusinghe di facili e fallaci miraggi edonistici. Aiutali a liberarsi da ogni sentimento torbido, difendili dall’egoismo che acceca, salvali dal potere del Maligno.
Rendili testimoni della purezza del cuore.
Tu eroico apostolo della carità ottienici il dono della divina misericordia che smuova i cuori induriti dall’egoismo e tenga desto in ciascuno l’anelito verso la santità.
Fa’ che anche l’odierna generazione abbia il coraggio di andare contro corrente, quando si tratta di spendere la vita, per costruire il Regno di Cristo.
Sappia anch’essa condividere la tua stessa passione per l’uomo, riconoscendo in lui, chiunque egli sia, la divina presenza di Cristo.
Con te invochiamo Maria, la Madre del Redentore.
A lei affidiamo l’anima e il corpo, ogni miseria ed angustia, la vita e la morte, perché tutto in noi, come avvenne in te, si compia a gloria di Dio, che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.