martedì 22 agosto 2023

"Tutto può essere"

 

I MISTERI DEL 

"DE GLORIA OLIVAE"

 

 




Nel recente libro di Peter Seewald su Benedetto XVI è presente una domanda curiosa al papa emerito che ha a che fare con la profezia dei papi di S. Malachia.

“Lei conosce la profezia di Malachia, che nel medioevo compilò una lista di futuri pontefici, prevedendo anche la fine del mondo, o almeno la fine della Chiesa. Secondo tale lista il papato terminerebbe con il suo pontificato. E se lei fosse effettivamente l’ultimo a rappresentare la figura del papa come l’abbiamo conosciuto finora?”.

“Tutto può essere” risponde Ratzinger “Probabilmente questa profezia è nata nei circoli intorno a Filippo Neri. A quell’epoca i protestanti sostenevano che il papato fosse finito e lui voleva solo dimostrare con una lista lunghissima che non era così. Non per questo però si deve dedurre che finirà davvero”

A parte il fatto che la domanda contiene di per se un errore in quanto il motto De Gloria Olivae non annuncia la fine del papato, è invece interessante la risposta del papa emerito che è allo stesso tempo seria ed ironica. San Filippo Neri era un santo romano famoso per predicare ai giovani e per aver istituito gli oratori. Per quale motivo avrebbe dovuto dedicarsi alla composizione di un simile testo?

Non si capisce bene se Ratzinger creda o meno a questa profezia, tuttavia non è la prima volta che nel suo entourage viene fuori il tema.

Già a Luglio infatti, in un’intervista concessa da Mons. Gaenswein ad EWTN, l’intervistatore chiese cosa ne pensasse della profezia di S. Malachia (la attribuì anche lui a S. Filippo Neri) e al fatto che Francesco risulterebbe essere l’ultimo papa.

Anche in questo caso c’è un errore di fondo. Dopo il De Gloria Olivae c’è infatti una predizione generale che descrive la tribolazione della Chiesa, sul cui trono siederà un Romano Pietro, ma senza specificare quanto tempo comprenderà e se ci saranno più papi che vivranno questa tribolazione.

Già in passato ho avuto modo di affrontare il tema e di mettere in relazione l’ultimo motto latino sia con la predizione dei 4 papi di Garabandal (prima dell’inizio del tempo delle profezie) sia con la visione di Fatima del vescovo vestito di bianco. Tutte e tre le profezie (Fatima, Garabandal e Malachia) infatti sembrano concordare sull’inizio della tribolazione o della via crucis con la fine del pontificato di Benedetto XVI. E visto come tale fine è avvenuta c’è da credere che sia proprio così. Come Mons. Gaenswein ha più volte detto, il Cielo stesso ha testimoniato i tempi con il pauroso fulmine sulla cupola di S. Pietro.

La risposta del segretario di Benedetto XVI è stata comunque più diretta:

“Guardando alla profezia e considerando come questa abbia sempre avuto dei riferimenti ai papi storici ammetto onestamente che mi da i brividi. Tuttavia non è parte del Libro della Rivelazione e a nessuno è richiesto di crederle. Ma da una prospettiva storica si dovrebbe dire: beh è una chiamata a stare all’erta.”

In precedenti articoli ho cercato di dimostrare come sia probabile che l’estensore di questa profezia sia stato lo stesso Nostradamus, contemporaneo di S. Filippo Neri. A differenza del Santo di Roma il veggente francese ha spesso concentrato la sua attenzione sulla Chiesa e la successione dei papi (basta vedere il Vaticinia Nostradami). In più, almeno con un papa (Pio IV), ha avuto una corrispondenza “profetica”.

Riflettendo nei giorni scorsi sull’ultimo motto latino, il De Gloria Olivae, oltre a tutto quanto ho già esposto in precedenza, mi sono soffermato a considerare ulteriori aspetti. L’attribuzione classica è quella con l’ordine di S. Benedetto tramite il ramo degli Olivetani. Mi chiedevo se per caso non si nascondesse nell’ordine Olivetano qualche altro riferimento al pontificato di Benedetto XVI.

Con mia grande sorpresa ho trovato interessanti coincidenze.

–          I monaci Olivetani a differenza dei Benedettini classici indossano un abito bianco.

–          Prendono il nome dal principale monastero, quello della Vergine di Monte Oliveto. Questo monte ricorda il Monte degli Ulivi, dove cominciò la passione di Gesù Cristo. Nella visione di Fatima il vescovo vestito di bianco (Benedetto XVI) comincia la Via Crucis della Chiesa.

–          L’Ordine raggiunse la massima diffusione nel ‘500, al tempo di Nostradamus.

–          L’Ordine si espanse soprattutto in Italia e in Francia.

–          Ma la cosa più importante è che l’Ordine Olivetano era l’unico ad avere l’Abate “a tempo” e non eletto a vita. Curioso davvero alla luce di un papa eletto a vita e che invece sceglie di far posto ad un successore.

Nelle quartine Nostradamus gioca a volte con la parola “monaco” in riferimento a Benedetto XVI (San Benedetto monaco e Monaco di Baviera dove Ratzinger è stato vescovo). Ma nella quartina 812 compare anche “l’abate di Foix” che potrebbe avere un riferimento con il papa emerito. Un abate di Foix, Paolo, frequentava la corte di Caterina de’ Medici al tempo di Nostradamus. Visse fino al tempo in cui l’abazia fu distrutta dai protestanti nelle guerre di religione, nel 1580. Nella 812 Nostradamus descrive un abate di Foix che fugge travestito da popolano. Potrebbe trattarsi di una duplice profezia: la prima riferita all’abate Paolo (forse si travestì per fuggire), la seconda ad un papa che allo stesso modo dovrà fuggire nel nascondimento.

Potrebbe essere il papa emerito o anche un suo successore identificabile con la parola “abate”.

Di certo il motto malachiano De Gloria Olivae mostra sorprendenti nuove corrispondenze con Benedetto XVI.

 Remox Andrè


MITI E LEGGENDE NELLA STORIA DELL’ULIVO

Di seguito ti parliamo dell’Ulivo e dei suoi 6.000 anni di storia

La storia dell’ulivo e delle sue caratteristiche è profondamente legata a quella dell’umanità; nelle origini di questo prezioso liquido dorato, l’olio extravergine d’oliva, storia e mitologia si intrecciano strettamente, fino a confondersi.

Comparsa per la prima volta probabilmente nell’Asia occidentale, la pianta dell’ulivo si diffuse in tutta l’area mediterranea, dove il suo culto fu consacrato da tutte le religioni.

Fin dai tempi più remoti l’ulivo fu considerato un simbolo trascendente di spiritualità e sacralità. Sinonimo di fertilità e rinascita, di resistenza alle ingiurie del tempo e delle guerre, simbolo di pace e valore, l’olivo rappresentava nella mitologia, come nella religione, un elemento naturale di forza e di purificazione.
E’ ormai accertato che la coltivazione dell’ulivo ha origini ad almeno 6.000 anni fa: ne fanno fede racconti tradizionali, testi religiosi e rinvenimenti archeologici.
Probabilmente la pianta ebbe il suo habitat originario in Siria ed i primi che pensarono a trasformare una pianta selvatica in una specie domestica furono senza dubbio popoli che parlavano una lingua semitica.


Dalla Siria facile fu il suo trapianto in Grecia dove trovò una inaspettata fortuna e applicazione che la resero, poi, indispensabile ai popoli antichi del Mediterraneo.

A conferma della millenaria storia dell’ulivo ricordiamo come la tradizione pone di fronte all’antica Gerusalemme il “Monte degli Ulivi”, o come la bellezza di questa pianta sia cantata spesso nell’ “Antico Testamento” (v. libro del profeta Osea dove il Dio d’Israele è paragonato alla magnificenza dell’olivo). Sono circa settanta le citazioni che se ne fanno nella bibbia.
D’altra parte che questo fosse un simbolo è chiarito anche dall’episodio della colomba che torna all’arca di Noè tenendo nel becco un rametto d’olivo. Lo stesso nome di Gesù, christos, vuol dire semplicemente unto. La Bibbia racconta che fu un Angelo a dare a Seth, il figlio di Adamo, tre semi da mettere fra le labbra del padre dopo la sua morte. Dalle ceneri di Adamo germogliarono così un cedro, un cipresso e un olivo.


Nella tradizione cristiana, da secoli, viene usato olio d’oliva per la celebrazione di alcuni Sacramenti, Cresima, ordinamento sacerdotale, Estrema Unzione. Ed è un rametto di olivo benedetto che viene distribuito a tutti i fedeli la Domenica delle Palme, in ricordo della resurrezione e come simbolo pace.
Nell’antica Grecia agli Ateniesi vincitori venivano offerti una corona di ulivo ed un’ampolla d’olio; mentre gli antichi Romani intrecciavano ramoscelli di ulivo per farne corone con le quali premiare i cittadini più valorosi.
Sappiamo che ad Atene fu sacro alla dea Athena e costituisce fatto indubbiamente interessante che esso sia stato considerato sacro da molte popolazioni e forse non soltanto per il suo apporto calorico, ma per la sua stessa natura di pianta resistente e longeva.
L’olio spremuto dalle olive non era soltanto, nell’antichità, una risorsa alimentare; era usato anche come cosmetico e come coadiuvante nei massaggi.
Inoltre, gli atleti, in particolare coloro che si dedicavano alla lotta, usavano cospargere i muscoli di purissimo olio, sia per il riscaldamento degli stessi, sia per contrastare la presa degli avversari.

I Romani, che coltivarono l’olivo a partire dal 580 A.C., ne fecero un uso che si potrebbe qualificare smodato; Gaio Plinio Secondo afferma che esistono quindici specie di olivo, e ne elenca i pregi, oggi si denominano i vari cultivar con nomi diversi, come taggiasca, casalina, nebiot, gargnan, trillo, carpellese, punteruolo, augellina, cellina del Nardò, colombino, ciccinella, moraiola, leccina, monopolese, ogliarolo del Gargano e tante altre che spesso prendono il nome dalla località in cui crescono.

Nelle culture occidentali la parola olio può sicuramente essere ricondotta alla parola latina oleum e alla greca elaion, sin ancora all’antica semitica ulu.

In un pur breve excursus storico non possiamo dimenticare che la cultura dell’olio di oliva è giunta sino a noi, attraverso il Medioevo, per opera di alcuni Ordini religiosi, fra cui in particolare i Benedettini ed i Cistercensi.


Benedettini, devoti al credo della preghiera e del lavoro, persuadevano contadini ed operai agricoli a non abbandonare le terre ma a dedicarsi a colture redditizie quali l’olivo.

Il grande animatore dei Cistercensi fu Bernardo Chiaravalle, detto: “l’ultimo dei padri della Chiesa”. I suoi monaci insegnarono ai contadini, delusi dallo stato di semi-schiavitù in cui si trovavano, a dissodare i campi, a piantare colture da reddito, a rendersi indipendenti come fattori di produzione.
Non si videro forse mai tanti oliveti e vigne come dal Mille al Quattrocento, gli anni d’oro dei monaci Benedettini e Cistercensi



AMDG et DVM

 

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